06.04.2010 free
Tribunale di Torino - (manutenzione dei dispositivi di protezione individuale)
§ - Non sono dispositivi di protezione individuale (D.P.I.): a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore", come ribadito anche dall'art. 74 D.Lgs 9.4.2008 n. 81.
È stato evidenziato come l'insegnamento della giurisprudenza sia nel senso che solo per gli "indumenti di protezione", aventi lo specifico scopo di prevenire "l'insorgenza o il diffondersi di infezioni", sussiste un obbligo di lavaggio in quanto "indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza", con la conseguenza che un lavoratore può rivendicare il diritto di vedersi rifondere il costo della manutenzione del vestiario solo dopo avere dedotto in modo chiaro che il vestiario da lui lavato, stirato e rassettato rientra fra i cd. dispositivi di protezione individuale (D.P.I.). [Avv. Ennio Grassini - www.dirittosanitario.net]
Tribunale di Torino - Sez. Lavoro; Sent. del 03.08.2009
omissis
Svolgimento del processo
I ricorrenti, con ricorsi ritualmente depositati e notificati, evocavano in giudizio davanti a questo Tribunale l'A. spa per sentirla condannare al pagamento in loro favore di somme varie, puntualmente quantificate, ma comunque eventualmente accertande in entità diverse in corso di causa anche in via equitativa, "a titolo di risarcimento del danno (costi vivi e tempi) per il mancato lavaggio degli indumenti da lavoro da parte della convenuta", nonché, in subordine, al pagamento di somme inferiori, anch'esse puntualmente quantificate ma eventualmente determinande in corso di causa qualora non si potesse tener conto dell'onere proprio del tempo occupato nelle varie incombenze; in ogni caso con aggiunta di interessi, rivalutazione e spese legali. Il tutto con riferimento al periodo 1995 - giugno 2003.
Essi esponevano di essere dipendenti della convenuta con varie mansioni (autista, autista mezzi differenziati, elettricista, meccanico oleodinamico, addetto ai servizi ambientali, piantone, addetto pulizie, addetto metrocab, netturbino, addetto raccolta raccolta rifiuti, addetto spazzamento strade); di avere l'azienda fornito loro determinati indumenti; di non avere questa mai provveduto al lavaggio e alla igienizzazione degli stessi fino all'1.7.2003, allorquando allestì un apposito servizio; di non avere essa ottemperato a quanto sancito da diverse sentenze di legittimità e di merito (Cass. sent n. 7019 dell'8.5.2003; Corte D'Appello di Torino n. 75 del 15.2.2005); di essere, in riferimento al peculiare svolgimento delle mansioni, venuti "in contatto con i rifiuti"; di avere dovuto per il lavaggio e l'igienizzazione degli indumenti sostenere i costi dell'acqua, dell'energia elettrica consumata dalla lavatrice e dal ferro da stiro, dei detersivi, degli igienizzanti, della progressiva usura della lavatrice e del ferro da stiro; di avere dovuto utilizzare nell'interesse dell'azienda il proprio tempo libero da considerare pertanto come occupato in lavoro straordinario.
A sostegno delle domande venivano indicati testimoni, veniva chiesta l'ammissione dell'interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta e venivano prodotti documenti. Qualora i conteggi prospettati non fossero stati ritenuti corretti, le parti ricorrenti instavano per una consulenza tecnica onde quantificare l'entità delle somme dovute.
La A. spa, costituendosi ritualmente in giudizio, contestava il fondamento delle avversarie pretese, puntualizzando alcuni aspetti relativi agli indumenti forniti ai dipendenti ed alle ragioni per cui venivano assegnati; in particolare evidenziava come non fosse stato allegato nei ricorsi che gli indumenti di interesse per la causa fossero "indumenti di protezione" ai sensi delle normative vigenti in materia di lavoro.
Concludeva per il rigetto dei ricorsi.
Anch'essa produceva documenti e indicava testimoni.
Le cause singolarmente intraprese dai lavoratori venivano riunite all'udienza del 13.7.2009 secondo la previsione di cui all'art. 151 Disp. Att. c.p.c.
All'udienza del 21.7.2009, all'esito delle discussioni orali, la causa riunita veniva decisa con lettura del dispositivo della sentenza, previa fissazione al 3.8.2009 del termine per il deposito della motivazione ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 429, 1° comma, 2° parte c.p.c.
Motivi della decisione
Le parti ricorrenti hanno fondato i rispettivi ricorsi sul presupposto che a loro giudizio non vi sarebbe stata contestazione alcuna in ordine alla sussistenza del dovere della società convenuta di provvedere alla cura degli indumenti che la stessa loro periodicamente forniva affinché li usassero nell'espletamento del lavoro, in quanto lavoro che, a loro dire, li poneva In contatto con i rifiuti".
Nulla di analitico sul concreto espletamento delle mansioni e sulla funzione degli indumenti è stato però prospettato se non con il richiamo ad alcune categorie di incombenze, evidentemente ritenute in sé tali da rendere desumibile, senza necessità di prova, il "contatto" in questione.
Nessun richiamo è stato effettuato nei ricorsi a norme di legge o di contrattazione collettiva quale fonte dell'obbligo aziendale, apoditticamente affermato, di sopportare gli oneri della manutenzione del vestiario, ma sono soltanto state menzionate alcune sentenze che si sarebbero pronunciate in senso favorevole a certi lavoratori.
Orbene, siffatta impostazione complessiva è stata puntualmente evidenziata dalla difesa della convenuta censurandola come affetta da un insanabile difetto di allegazione, con tutte le relative conseguenze sull'esito del giudizio.
Detta difesa, invero, ha operato due riferimenti normativi. In primis ha richiamato quanto specificato al secondo comma, lettera A), del D.Lgs 19.9.1994 n. 626, che dice:
"Non sono dispositivi di protezione individuale (D.P.I.): a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uniformi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore", come ribadito anche dall'art. 74 D.Lgs 9.4.2008 n. 81. Inoltre ha richiamato l'art. 60 del c.c.n.I. di settore laddove al punto c), trattando degli "indumenti da lavoro finalizzati a preservare gli abiti civili", dice che " il personale è tenuto a curare l'uso appropriato e la buona conservazione degli indumenti di lavoro assegnati".
In relazione ai due richiami in questione è stato evidenziato come l'insegnamento della giurisprudenza sia nel senso che solo per gli "indumenti di protezione", aventi lo specifico scopo di prevenire "l'insorgenza o il diffondersi di infezioni", sussiste un obbligo di lavaggio in quanto "indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza" (Cass. 14.11.2005 n. 22926 e Cass. 4.9.2007 n.18573), con la conseguenza che un lavoratore può rivendicare il diritto di vedersi rifondere il costo della manutenzione del vestiario solo dopo avere dedotto in modo chiaro che il vestiario da lui lavato, stirato e rassettato rientra fra i ed. dispositivi di protezione individuale (D.P.I.).
Ciò posto, è oggettivo come l'allegazione in questione manchi del tutto nei ricorsi attorei.
E" vero che si menzionano le mansioni svolte da ciascuno e si afferma - come già detto - che per le mansioni stesse ogni lavoratore viene a "contatto " con i rifiuti.
E" ancora vero che viene detto che l'azienda fornisce determinati capi di vestiario ma è altresì vero che manca la qualificazione specifica del vestiario stesso nel suo insieme ovvero per quanto concerne singoli capi.
Alla stregua della riportata normativa di legge e di contratto collettivo, il vestiario anche per gli addetti ai servizi di igiene ambientale può essere fornito tanto con la finalità di "protezione" quanto con la finalità di "preservare gli abiti civili" o, comunque, con quella di rendere i soggetti individuabili come appartenenti ad una certa struttura operante sul territorio. La specificazione della prima delle finalità menzionate costituiva una indicazione indispensabile per chiarire l'elemento della causa petendi: l'accoglimento della domanda sotto il profilo dell'an debeatur non può prescindere dalla qualificazione degli indumenti per i quali si chiede la rifusione del costo della manutenzione come forniti per specifiche ragioni di tutela della salute.
Stante il rilievo della convenuta, che nessuna ammissione ha effettuato in ordine alla natura del vestiario in discussione, non è consentito operare attraverso presunzioni e dare per allegata la circostanza menzionata, con riferimento alla quale, tra l'altro, anche le richieste istruttorie contenute nei ricorsi sono totalmente carenti.
Né si dica che il richiamo effettuato alle pronunce della magistratura torinese (Corte d'Appello di Torino 15.2.2005 n. 75, Tribunale Torino 22.6.1999 e 22.7.2002) rendeva superflue tanto le allegazione quanto le deduzioni istruttorie. Solo con riferimento ai ricorrenti C., B., D. C., L., V., P., Z., F., S. e S. vennero pronunciate sentenze, peraltro non prodotte agli atti, che sembra avessero riconosciuto un diritto al lavaggio di certi indumenti, negando però qualsiasi pretesa risarcitoria, ma anche questa circostanza non può rivestire alcuna funzione sanante.
Il periodo di riferimento delle sentenze riferite ai ricorrenti, conseguenti quasi tutte a ricorsi indicati come depositati il 17.11.1995, non è quello di interesse per il presente giudizio e, nel tempo, le mansioni ben possono essere mutate sia in capo ai singoli interessati sia per ciò che riguarda le modalità di svolgimento. Per completezza di motivazione va presa posizione sul fatto enunciato in ricorso, e pacifico tra le parti, che dal luglio 2003 I" A. provvede direttamente al lavaggio degli indumenti di lavoro dei suoi dipendenti.
La convenuta ha prodotto in proposito l'accordo sindacale 15.7.2007 nel quale, dopo la premessa che "a partire dal 2003 A. spa provvede direttamente al lavaggio degli indumenti da lavoro cui è stato riconosciuto il diritto mediante accordo sindacale sottoscritto in data 20.12.2000 con Cgil, Cisl e Uil e separatamente con Fiadel Cisal', si legge che "le OOSS stipulanti a nome e per conto dei lavoratori dichiarano di rinunciare ad ogni pretesa o richiesta in ordine a compensi o rimborsi relativi alla attività di lavaggio, stiro e manutenzione degli indumenti di lavoro svolta direttamente o tramite terzi e limitano le richieste al rimborso delle spese direttamente sostenute (per detersivi, energia, ammortamento lavatrice ecc..) per il lavaggio indumenti da lavoro" e conclusivamente si conviene che "l'A., pur contestando le richieste dei dipendenti senza riconoscimento alcune e solo al fine di evitare gli oneri del contenzioso, si impegna a corrispondere ai lavoratori che nel periodo dall'1.7.1993 al 30.6.2003 hanno svolto le mansioni per le quali ai sensi dell'accordo sindacale M. Vestiario del 20.12.2000 è stato attivato il lavaggio un importo che verrà corrisposto nella misura annua massima lorda di Euro 180,00.... ".
V'è da chiedersi se, per effetto della situazione richiamata nell'accordo "M. Vestiario", di cui si ignora il contenuto in quanto non prodotto, del dicembre 2000, prodromico a quello testé riportato, sia consentito con riferimento ai ricorrenti, quali soggetti divenuti dal 2003 beneficiari del lavaggio, dar corso senz'altro ad una istruttoria finalizzata alla quantificazione delle spese che asseriscono di aver sostenuto nell'interesse dell'impresa, spese a loro dire molto maggiori rispetto all'indennizzo di 180,00 euro lordi all'anno concordato con le OO.SS.
Sebbene essi avrebbero potuto, e forse potranno ancora, beneficiare dell'accordo del 2007, essendo stati dall'azienda espressamente invitati ad aderirvi, per effetto della formale contestazione del diritto a qualsiasi compenso o rimborso per lavaggio e manutenzione degli indumenti contenuto nell'accordo medesimo, non è dato comprendere come questa intesa possa essere letta quale riconoscimento generalizzato in punto an debeatur del beneficio in discussione riferito a indumenti di lavoro tout court e, quindi, anche agli indumenti non costituenti D.P.I.
Il fatto che dal luglio 2003, almeno così sembra, l'A. curi la manutenzione degli indumenti da lavoro da lei forniti, tanto finalizzati alla salvaguardia degli abiti civili quanto di protezione, non può in alcun modo condurre al riconoscimento di una forma di rimborso per la cura pregressa degli abiti dei ricorrenti, abiti che, giusta le considerazioni svolte all'inizio in funzione delle eccezioni aziendali svolte nel processo, non risultano collocabili né nell'una né nell'altra delle due categorie e, segnatamente, non risultano collocabili - e la cosa non è più suscettibile di prova - nella categoria degli indumenti di protezione.
Per le ragioni addotte i ricorsi riuniti vanno respinti.
Rimangono le spese di giudizio.
La particolarità della questione in discussione, attesa la pur sempre opinabilità di quanto ritenuto, consiglia la loro compensazione integrale fra le parti.
P.Q.M.
Il Giudice del Tribunale Ordinario di Torino - Sezione Lavoro
Visto l'art. 429 c.p.c.
Respinge i ricorsi;
spese compensate.
Torino, 21.7.2009
Depositata in cancelleria 3 agosto 2009.