09.09.2005 free
TAR LAZIO - (la Amministrazione puo' sempre ripetere somme erogate per errore)
§ - La buona fede dell'accipiens non è di ostacolo all'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del diritto di ripetere le somme indebitamente erogate ai sensi dell'art.2033 c.c., essendo solo necessario che l’atto – privo di natura provvedimentale –chiarisca le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto a quella determinata somma corrispostagli per errore (www.dirittosanitario.net)
sentenza 1 settembre 2005 n. 6497
Depositata in segreteria in data 1 settembre 2005.
FATTO
Con ricorso notificato il 22.5.98 e depositato il 20.6.98, il ricorrente, già dipendente dell’amministrazione resistente, impugna l’atto indicato in epigrafe, con cui è stato disposto nei suoi confronti il recupero di somme erroneamente corrisposte a titolo di emolumenti retributivi, lamentandone l’illegittimità sotto il profilo della mancata considerazione della buona fede dello stesso nel percepire le somme in questione nonché della circostanza dell’avvenuto utilizzo delle stesse per fronteggiare le ordinarie spese quotidiane e della situazione di disagio economico in cui lo stesso si verrebbe a trovare a seguito del disposto recupero.
Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata, chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto infondato, vinte le spese. All'udienza pubblica odierna il ricorso è trattenuto in decisione.
DIRITTO
Con il ricorso in esame si impugna l’atto con cui la resistente amministrazione ha disposto il recupero delle somme indebitamente percepite dal ricorrente lamentandone, quale unico motivo di gravame, l’illegittimità sotto il profilo della mancata considerazione della buona fede dello stesso nel percepire le somme in questione nonché della circostanza dell’avvenuto utilizzo delle stesse per fronteggiare le ordinarie spese quotidiane e della situazione di disagio economico in cui lo stesso si verrebbe a trovare a seguito del disposto recupero. Il ricorso è infondato.
Il favorevole orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente è stato infatti di recente oggetto di una rimeditazione, che ha portato il giudice d’appello ad evidenziare la natura doverosa dell’atto di recupero e, per conseguenza, l’irrilevanza dell’eventuale buona fede dell’accipiens nel percepire le somme non dovute e l’eventuale avvenuto utilizzo delle stesse. La giurisprudenza invocata, risalente alla decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 12 dicembre 1992, n. 20, la quale inquadrava l’atto di recupero come atto conclusivo del procedimento finalizzato alla emissione dell'atto di recupero di somme erroneamente corrisposte dall' Amministrazione a un dipendente e di conseguenza lo sottoponeva alle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 della legge n. 241/90, si fondava sulla considerazione che il recupero non era un atto assolutamente vincolato, dovendo l'Amministrazione medesima valutare gli effetti già prodotti dall'atto originario e le situazioni sulle quali aveva inciso, risultando la ripetizione illegittima, ove incidesse in maniera sensibile sulle condizioni patrimoniali del dipendente (cfr. A.P. n. 20/1992 cit.).
Tale orientamento è stato tuttavia modificato di recente, in base alla riconsiderazione della natura dell’atto, che viene qualificato come paritetico e spogliato delle precedenti vesti provvedimentali. In tale nuova prospettiva, è stato chiarito che il recupero di emolumenti indebitamente corrisposti a pubblici dipendenti costituisce per la P.A. l'esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, ex art. 2033 cod.civ., avente carattere di doverosità e privo di valenza provvedimentale, sicchè il mancato assolvimento dell'onere di comunicazione non può più essere considerato come causa, ex se, di illegittimità del procedimento, il cui esito appare interamente vincolato (fermo restando, ovviamente, il diritto dell'interessato - azionabile nell'ordinario termine di prescrizione - di contestare eventuali errori di conteggio o, in apice, l'insussistenza del debito, al fine di ottenere la restituzione di quanto reintroitato senza titolo dall'amministrazione) (cfr., ex plurimis, C.G.A., 15 gennaio 2002, n. 8; Cons. St., VI Sez., 20 febbraio 2002, n. 1045, e, da ultimo, 20 aprile 2004 n. 2203).
Tra tali contestazioni che il destinatario dell’atto di recupero può avanzare utilmente a-posteriore, vi è la rappresentazione di eventuali elementi soggettivi, quali la buona fede dell’accipiens nel percepire somme che non riteneva non dovute, ed oggettivi, quali l’eventuale spendita delle somme non dovute per le necessità quotidiane, che un tempo erano favorevolmente valutate rispettivamente come fattori di ingiustizia del recupero o elementi volti a configurare in termini di irreversibilità l’avvenuta modifica dell’assetto patrimoniale dei rapporti tra le parti. Seguendo tale impostazione, si riteneva che l'amministrazione fosse tenuta, da un lato, a verificare che il provvedimento di recupero non incidesse sulle esigenze di vita del dipendente e, dall'altro, a motivare circa l'interesse attuale e concreto al recupero stesso, anche in relazione alla buona fede dell'interessato nella percezione delle somme indebite e al lungo tempo trascorso dall'erogazione di queste ultime.
Tale impostazione è stata tuttavia anch’essa rivista, quale corollario della riconosciuta natura doverosa dell’atto di recupero, sicchè alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale soprarichiamato, e condiviso dal Collegio, la buona fede dell'accipiens non è di ostacolo all'esercizio, da parte dell'Amministrazione, del diritto di ripetere le somme indebitamente erogate ai sensi dell'art.2033 c.c., essendo solo necessario che l’atto – privo di natura provvedimentale –chiarisca le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto a quella determinata somma corrispostagli per errore (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VI, 6 aprile 2004, n. 1864; 14 ottobre 2004, n. 6654).
Nella mutata prospettiva che colloca l’atto di recupero di somme indebitamente corrisposte nell’ambito degli atti paritetici – privi di natura provvedimentale – vanno rivisti gli oneri procedimentali cui l’amministrazione è sottoposta, sicchè il sindacato sulla "motivazione" dell’atto, effettuato dal giudice amministrativo nell’ambito della giurisdizione esclusiva, non va condotto allo stregua dello scrutinio della comparazione degli opposti interessi in gioco richiesto dall’art. 3 della legge n. 241/90, bensì secondo la logica stringente dell’atto vincolato, sicchè la comparazione è limitata al più semplice confronto tra fatto avvenuto e prescrizione normativa, per cui è sufficiente che l’atto impugnato specifichi il titolo del recupero e cioè indichi la mancanza di causa dell’avvenuto trasferimento delle somme, che configura una ragione necessaria e sufficiente per chiedere la restituzione di somme indebitamente corrisposte.
Non avendo il ricorrente rappresentato nessun altra considerazione volta a contestare l’atto di recupero impugnato, se non la sua buona fede e l’avvenuta spendita della somma erroneamente corrispostagli, il ricorso va respinto, essendo dette circostanze irrilevanti alla stregua del mutato e condiviso orientamento giurisprudenziale.
Sussistono tuttavia giusti motivi per compensare tra la parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione II Ter, respinge il ricorso in epigrafe. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla pubblica amministrazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2005.
Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente
Floriana RIZZETTO Estensore