03/03/2017 free
Il medico che "abusa" della sua posizione e "pretende", serve ad identificare la concussione medica.
La valutazione del Tribunale è in linea con i principi affermati in tema di concussione medica, specie in situazioni ambientali in cui sia diffusa e nota, come nel caso di specie, la mercificazione della professione medico sanitaria, risultando correttamente valorizzato lo squilibrio di posizioni nel rapporto medico di fiducia - pubblico ufficiale - paziente, nel quale l'abuso di posizione e la pretesa rivestono forza ed idoneità per esercitare una forma di pressione sul privato, così ponendolo in uno stato di soggezione e sudditanza psicologica, rispetto ad una volontà, percepita come dominante e decisiva per la propria salute fisica, tale da non lasciargli margini di libertà di determinazione e da convincersi della necessità di dare o promettere denaro od altra utilità, per evitare conseguenze per lui dannose.
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Cass. pen. Sez. VI, 07-11-2016, sentenza n. 46649
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco - Presidente -
Dott. TRONCI Andrea - Consigliere -
Dott. MOGINI Stefano - Consigliere -
Dott. CRISCUOLO Anna - rel. Consigliere -
Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.L., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 28/04/2016 del Tribunale del riesame di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Anna Criscuolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Orsi Luigi, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori, avv. Alberico Villani e avv. Paolo Carbone, che hanno concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale del riesame di Salerno ha dichiarato l'incompetenza per territorio dell'AG di Salerno in favore di quella di Pisa in relazione ai reati di concussione, oggetto dei capi H) ed I), e rigettato nel resto l'istanza di riesame proposta da B.A. avverso l'ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Salerno gli aveva applicato la misura degli arresti domiciliari per i reati di concussione, contestati dal capo A) al capo G).
Al B. si contesta di aver abusato della qualità di primario f.f. presso il reparto di neurochirurgia dell'Azienda ospedaliera (OMISSIS) e di aver costretto i pazienti, indicati nei capi di imputazione, affetti da gravi patologie neurologiche, a corrispondergli somme di danaro in contanti, prospettando loro la possibilità di ottenere un intervento chirurgico immediato al di fuori delle liste d'attesa; si contesta, altresì, ai capi A) e B), di avere agito in concorso con il F., neurochirurgo di fama mondiale, che eseguiva gli interventi presso il reparto ospedaliero, pur non essendo autorizzato, e con la I., caposala del reparto e coordinatrice delle sale operatorie, costringendo le pazienti L.L. e V.O., a versare la somma di 5 mila dollari a titolo di donazione in favore della fondazione del F. con sede negli USA; ai capi H) e I) gli si contesta di aver agito in concorso con il F., la I. ed il Li., neurochirurgo presso l'(OMISSIS) e direttore del F. Brain Institute con sede in (OMISSIS), il quale indirizzava i pazienti P.R. ed E.M. presso l'ospedale salernitano, ove gli interventi venivano eseguiti dal F. dietro versamento di somme all'istituto del F. con la causale di copertura "consulenza chirurgica".
Il Tribunale ha rilevato l'incompetenza territoriale dell'AG salernitana per questi ultimi due episodi concussivi, in quanto la dazione in favore del Li. era avvenuta in (OMISSIS), ove aveva sede l'istituto di credito presso il quale le somme furono bonificate dai pazienti e, quindi, ivi si era consumato il reato. Pur riconoscendo che i fatti contestati rientravano in un unico disegno criminoso, il Tribunale non ha accolto la tesi difensiva in tema di competenza territoriale, ritenendo che lo spostamento di competenza per reati connessi possa avvenire solo se i fatti siano ascritti agli stessi soggetti, circostanza sussistente solo per i suddetti reati, risultando gli altri reati ascritti solo al B., commessi in Salerno.
Quanto ai reati di cui ai capi A) e B) il Tribunale ha escluso la sussistenza della gravità indiziaria, non risultando che i pazienti fossero stati vittime di comportamenti minacciosi o costrittivi da parte del B. nè che fosse stato loro prospettato un danno ingiusto; ha escluso la configurabilità del reato di induzione indebita, non risultando l'ingiusto vantaggio conseguito dai pazienti, intenzionati a cogliere l'opportunità di garantirsi la migliore riuscita dell'intervento, ravvisando, piuttosto, in detti casi il peculato, atteso che il B. aveva esclusiva disponibilità delle attrezzature mediche e autonomia decisionale in merito al ricovero ed alla permanenza dei pazienti, che sarebbero stati operati dal F..
Quanto agli ulteriori episodi contestati ha ritenuto sussistente la condizione di assoluta soggezione dei pazienti, impossibilitati a sottrarsi alle richieste del B. e costretti ad elargirgli le somme pretese.
Sul piano delle esigenze cautelari il Tribunale ha ravvisato un concreto ed attuale pericolo di recidiva, avuto riguardo alla reiterazione delle condotte poste in essere, nonostante le vibrate contestazioni dei colleghi; ha ravvisato altresì, il pericolo di inquinamento probatorio, tenuto conto della condotta già tenuta dall'indagato, che aveva costretto il marito della L. a firmare una falsa dichiarazione sotto dettatura per contrastare le pressioni dei colleghi, che gli richiedevano spiegazioni in ordine agli abusi commessi, e ha ritenuto del tutto adeguata a salvaguardare dette esigenze la misura applicata.
2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso la difesa del B., che articola cinque motivi:
2.1 violazione degli artt. 12, 16 e 292 c.p.p.: il Tribunale ha errato nel negare la competenza dell'A.G. di Pisa per tutti i reati e nel non ritenere operante la vis actrativa della competenza ex art. 16 c.p.p. per gli altri reati contestati al ricorrente, in quanto la norma individua un legame innanzitutto oggettivo tra i reati, prima di quello tra i soggetti, cosicchè non è necessaria l'identità degli autori dei diversi fatti criminosi. A tale soluzione non può ostare il principio del giudice naturale, in quanto la nozione di giudice naturale non può che interpretarsi in linea con i principi dell'imparzialità e della ragionevole durata del processo, diretti ad evitare contrasti tra giudicati e la trattazione parallela di processi per il medesimo reato; pertanto, è sufficiente la connessione oggettiva, prescindendo dall'identità degli autori.
Nel caso di specie le condotte sono state poste in essere nell'ambito di un progetto unitario; i reati sono di pari gravità e la competenza spettava all'A.G. di Pisa, che procedeva per il reato di maggiore offensività - quello di cui al capo H)- per il maggiore importo del danno subito dalla persona offesa; qualora i reati si ritengano di pari gravità il primo reato deve ritenersi consumato al momento dell'accreditamento della somma bonificata sul conto extra UE della fondazione F.;
2.2 violazione degli artt. 63 e 273 c.p.p.: il Tribunale ha confermato l'impianto accusatorio, trascurando la configurabilità di altre ipotesi di reato quali la truffa ai danni del SSN, l'abuso d'ufficio a vantaggio dei pazienti e l'induzione indebita per l'evidente utile ricavato dai pazienti, con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli stessi, fondanti l'impianto accusatorio, ma assunte in violazione dell'art. 63 c.p.p.: in assenza di altri elementi probatori deve ritenersi insussistente la gravità indiziaria;
2.3 violazione dell'art. 273 c.p.p.: il Tribunale ha ravvisato nei fatti contestati ai capi A) e B) il reato di peculato per l'indebito uso delle strutture operatorie da parte del B. in concorso con medici estranei alla struttura, ma ha trascurato che gli interventi chirurgici erano stati autorizzati dalla Direzione sanitaria dell'ospedale, come risulta dalla documentazione prodotta, cosicchè gli interventi operatori eseguiti dal B. e dal F. erano pienamente legittimi; il Tribunale ha trascurato gli esiti della commissione interna ospedaliera, che aveva ritenuto accordata una preliminare autorizzazione alla presenza del prof. F. in sala operatoria e ha omesso di considerare che la presenza di questi era nota ai vertici ed ai sanitari dell'ospedale, come risulta dalle dichiarazioni assunte. Si deduce il vizio di motivazione sul punto e sui restanti reati, in quanto le argomentazioni del Tribunale sono contrastate dai dati documentali e dichiarativi, dai quali emerge che i pazienti non furono coartati o costretti a pagare; il Tribunale ha errato nel ritenete insussistente il vantaggio per i pazienti, che, invece, accettavano di pagare somme per tornaconto personale ovvero per essere operati dal B. e non da altri medici di turno e bypassare le liste di attesa, a discapito di altri pazienti, per interventi non urgenti; risulta inoltre, che gli interventi sarebbero stati eseguiti in regime intramoenia ed il mancato versamento delle somme all'azienda ospedaliera non integra il reato di concussione, ma un profitto per entrambe le parti, stante la mancata regolarizzazione della procedura;
2.4 violazione dell'art. 274 c.p.p.: la valutazione del Tribunale in punto di esigenze cautelari non è condivisibile, non essendo le esigenze concrete ed attuali; il pericolo di recidiva non può consistere nella mera potenzialità del rischio, ma deve fondarsi su dati concreti ed oggettivi, che rendano il pericolo attuale cioè effettivo al momento di applicazione della misura: nel caso di specie il Tribunale non ha tenuto conto che le condotte illecite erano cessate nel marzo 2015 e che l'indagato era stato sospeso dal servizio nè ha considerato l'incensuratezza dell'indagato, l'assenza di ulteriori condotte censurabili dopo la perquisizione del 12 maggio 2015, l'occasionalità della condotta, a fronte di centinaia di interventi eseguiti nel periodo, e la minima entità del guadagno.
Quanto al pericolo di inquinamento probatorio il Tribunale incorre in errore, in quanto richiama impropriamente l'episodio della lettera firmata dal Giordano relativa ad un episodio per il quale lo stesso Tribunale aveva escluso l'ipotesi concussiva;
2.5 violazione degli artt. 274 e 275 c.p.p.: la motivazione è carente in punto di adeguatezza e proporzionalità della misura, in quanto non argomenta sull'inidoneità delle misure del divieto di dimora in (OMISSIS) o dell'obbligo di dimora in (OMISSIS) richieste nè sulla idoneità della misura interdittiva a salvaguardare le esigenze cautelari, tenuto conto, peraltro, che nelle more è stata annullata in sede di riesame l'ordinanza cautelare, emessa dal G.i.p. del Tribunale di Firenze per i reati di cui ai capi H) e I) per insussistenza di gravità indiziaria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è ammissibile, nonostante la misura cautelare sia stata revocata dal G.i.p. del Tribunale di Salerno con ordinanza in data 1 luglio 2016, in quanto il ricorrente all'udienza odierna ha dichiarato di avere interesse alla trattazione del procedimento ai fini della riparazione per ingiusta detenzione.
Precisato che l'interesse all'impugnazione di una misura cautelare personale dopo la sua cessazione è ravvisabile, ai fini dell'equa riparazione per l'ingiusta detenzione, esclusivamente in relazione all'accertamento della sussistenza delle condizioni di applicabilità di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p., non anche in relazione alle esigenze cautelari o alla scelta della misura, previste dagli artt. 274 e 275 c.p.p. in quanto dette ipotesi non rientrano tra le ragioni idonee a fondare il diritto di cui all'art. 314 c.p.p. (Sez. 6, n. 47173 del 05/11/2013, Baris, Rv. 257268; Sez. 5, n. 19334 del 18/01/2013, Rubino, Rv. 256497; Sez. 6, n. 37764 del 21/09/2010, Fabiano, Rv. 248245), l'ambito della verifica in questa sede è, quindi, circoscritto alla sola sussistenza della gravità indiziaria.
2. Preliminarmente va rilevata l'infondatezza dell'eccezione di incompetenza territoriale.
Lo stesso ricorrente ammette che i reati contestati sono riconducibili ad un disegno criminoso unitario e sono di pari gravità, ma contraddittoriamente reputa che la competenza spetterebbe all'A.G. di Pisa, in quanto ivi sarebbe stato commesso il reato di maggiore offensività in ragione dell'importo corrisposto dalla persona offesa.
Precisato che, come ritenuto dal Tribunale, ai fini dell'individuazione della competenza per territorio in caso di procedimenti connessi, la comparazione dei reati sotto il profilo della gravità, secondo il disposto dell'art. 16 c.p.p., comma 3, va effettuata con riguardo esclusivo alle sanzioni edittali, restando priva di rilevanza, nel caso che esse si equivalgano, la maggiore o minore entità del danno in concreto provocato dalle singole condotte criminose (Sez. 2. n. 39756 del 05/10/2011, Ciancimino, Rv. 251190; Sez. 2, n. 48784 del 19 novembre 2003, Mazzaferro, Rv. 228335), è principio consolidato che la connessione, fondata sull'astratta configurabilità del vincolo della continuazione, è idonea a determinare lo spostamento della competenza soltanto quando l'identità del disegno criminoso sia comune a tutti i compartecipi, giacchè l'interesse di un imputato alla trattazione unitaria di fatti in continuazione, non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale (Sez. 1, n. 8526 del 09/01/2013, confl. competenza in proc. Baruffo e altri, Rv. 254924; Sez. 1, n. 5725 del 20/12/2012, dep. 2013, Settepani, Rv. 254808).
Risulta, pertanto, corretta la valutazione del Tribunale sul punto, che ha anche precisato che tutti i reati contestati all'indagato risultano commessi in (OMISSIS).
3. Infondata è anche la censura relativa alla non corretta qualificazione dei fatti, riconducibili, secondo il ricorrente non già alla fattispecie di cui all'art. 317 c.p., bensì ad altre ipotesi di reato quali la truffa aggravata, l'abuso d'ufficio o l'induzione indebita per l'evidente utilità ricavata dai pazienti con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli stessi.
Orbene, la prospettazione alternativa di altre ipotesi di reato senza la precisa indicazione di elementi, che supportino l'inquadramento dei fatti in dette diversissime fattispecie, si risolve in una censura generica, a fronte della motivazione del Tribunale, che ha escluso la riconducibilità dei fatti nella fattispecie dell'induzione indebita in base alle dichiarazioni rese dai pazienti, puntualmente riportate nell'ordinanza genetica, che si salda a quella impugnata, dalle quali risulta l'abuso costrittivo del B. e la posizione di assoluta soggezione e prostrazione psichica dei pazienti, affetti da patologie gravissime, ed ai quali egli aveva prospettato, contrariamente all'assunto difensivo, l'urgenza dell'intervento, e, pertanto, costretti a subire e ad accettare le indebite richieste di danaro loro rivolte ad esclusivo vantaggio personale dell'indagato: circostanza, peraltro, notoria e causa di montante il disagio dei colleghi, della quale vi è conferma nelle dichiarazioni e nelle intercettazioni in atti (v. ordinanza genetica pag. 26).
La valutazione del Tribunale risulta coerente ed aderente alle evidenziate risultanze probatorie, atteso che i pazienti, secondo l'ordinanza impugnata, hanno descritto le loro condizioni di salute, le vicissitudini affrontate, il contesto, le modalità ed i sistemi con cui venivano formulate dall'indagato le richieste di danaro, la cui natura indebita è ricavabile in primo luogo, dalla circostanza che gli interventi venivano eseguiti in regime di ricovero ordinario e non intramoenia, non essendo, peraltro, l'indagato autorizzato in tal senso; in secondo luogo, dalla circostanza che ai pazienti veniva prospettata l'assoluta necessità ed urgenza dell'intervento, ma, al contempo, la necessità di attendere i tempi lunghi delle liste d'attesa, ponendoli così di fronte all'alternativa di pagare per non attendere ed essere operati da lui "privatamente" ( D.S.V., capo c); di essere dimessi, in quanto già ricoverati, o pagare la somma richiesta ( D.G.A., capo d) e B.E., capo e); di pagare per anticipare l'intervento ( G.G., capo f); C.R., capo g), al quale l'indagato ribadiva la richiesta di pagare 1.500 Euro senza ricevuta o di 6 mila Euro con ricevuta per la sua prestazione professionale.
La circostanza, ritenuta dal Tribunale, che i pazienti avessero pagato, pur nella consapevolezza della ingiustizia della richiesta (v. dichiarazioni della D.S. pag. 33 -34 dell'ordinanza genetica, del figlio della B., pag. 37) e che le richieste venissero giustificate con le causali più disparate (pagare delle spese, remunerare l'èquipe, che non sarebbe stata di turno) o persino accompagnate dalla prospettazione di un vantaggio economico con la concessione di uno sconto sulla somma ben più elevata, concordata con il paziente, che aveva rinviato l'intervento e liberato il posto, come nel caso del D.G. e del G., confermano la correttezza della operata valutazione del Tribunale, che ha tenuto conto dello stato di prostrazione psichica dei pazienti, posti di fronte all'alternativa di pagare in contanti per accelerare l'intervento, dallo stesso indagato indicato come urgente, e non subire il danno ingiusto dell'aggravamento delle condizioni di salute.
Le obiezioni difensive circa l'utilità che avrebbero ricavato i pazienti nel bypassare le liste di attesa trascurano sia le condizioni fisico-psichiche dei pazienti che la tempistica e modalità delle richieste, puntualmente illustrate nell'ordinanza genetica, specie per i pazienti già ricoverati, sia la posizione dominante dell'indagato.
E' evidenziato, infatti, come indubbio il ruolo apicale del B., titolare del potere di pianificare i ricoveri, di stabilire le priorità in relazione alle urgenze cliniche ed il piano operatorio, decidendo date ed equipe operatoria; risulta, altresì, indubbio, che il B., pur avendone fatto richiesta, ma solo in epoca successiva ai fatti in contestazione, non era autorizzato a svolgere attività libero professionale chirurgica all'interno dell'ospedale (risultando autorizzato dal 2012 solo a svolgere attività ambulatoriale e di ricovero per pochi interventi di routine quali ernia al disco, ernia cervicale e tunnel carpale), cosicchè non poteva operare privatamente nè farsi remunerare per l'attività svolta in orario di lavoro presso la struttura pubblica. Ancora, è stato sottolineato che risulta da fonti dichiarative convergenti, che poteva contare su appoggi interni del personale infermieristico per la gestione dei ricoveri e la riserva di posti; sono inoltre, documentate le numerose anomalie presenti nelle liste di attesa, in quanto ad alcune prenotazioni con urgenza non corrisponde il successivo intervento del paziente nè vi è alcuna comunicazione del medico al riguardo.
Deve ritenersi, pertanto, corretta la valutazione di giudici merito, che hanno ritenuto abusante e soverchiante la posizione dell'indagato e coartanti le richieste di denaro dirette a pazienti, non in condizioni di resistere o opporsi alle indebite richieste, ma costretti a piegarsi nella speranza di vedere migliorare le proprie condizioni di salute e, trattandosi della tutela di un bene primario, nelle condizioni descritte non poteva essere oggetto di trattativa economica.
In definitiva, la valutazione del Tribunale è in linea con i principi affermati in tema di concussione medica, specie in situazioni ambientali in cui sia diffusa e nota, come nel caso di specie, la mercificazione della professione medico sanitaria, risultando correttamente valorizzato lo squilibrio di posizioni nel rapporto medico di fiducia - pubblico ufficiale - paziente, nel quale l'abuso di posizione e la pretesa rivestono forza ed idoneità per esercitare una forma di pressione sul privato, così ponendolo in uno stato di soggezione e sudditanza psicologica, rispetto ad una volontà, percepita come dominante e decisiva per la propria salute fisica, tale da non lasciargli margini di libertà di determinazione e da convincersi della necessità di dare o promettere denaro od altra utilità, per evitare conseguenze per lui dannose.
4. Infondato è anche il terzo motivo.
Correttamente il Tribunale ha escluso la configurabilità della concussione per i fatti indicati ai capi A) e B) in assenza di minacce subite dai pazienti e, per la peculiarità delle situazioni esaminate, anche l'induzione indebita, ravvisando nelle condotte dell'indagato il peculato per l'indebito utilizzo della struttura pubblica, non limitato al solo utilizzo della sala operatoria, ma anche della struttura e del personale, avuto riguardo ai ricoveri, alle analisi preliminari, alla degenza successiva all'intervento ed all'assistenza prestata ai pazienti nel decorso post operatorio, interamente a carico dello stato.
E' da escludere, altresì, la fondatezza della contestazione difensiva circa la non configurabilità del peculato per l'attività svolta intramoenia: non solo è stato già evidenziato che l'indagato non risultava autorizzato a svolgerla per gli interventi del tipo in oggetto, e che, quand'anche lo fosse stato, non risulta in alcun modo documentato il versamento della quota dovuta alla azienda sanitaria ed il rispetto delle procedure previste per tale tipo di attività, risultando, invece, le somme destinate al luminare giapponese, che eseguiva gli interventi in assenza di autorizzazione, atteso che il direttore del presidio ospedaliero ha riferito che gli accessi del prof. F. in sala operatoria avevano solo scopo didattico. In ogni caso le ondivaghe dichiarazioni rese sul punto dai vertici dell'azienda ospedaliera, informati dell'accesso di esterni in sala operatoria, e le stesse richieste di autorizzazione all'accesso del luminare in sala operatoria, predisposte dall'indagato, dimostrano, secondo la non illogica argomentazione del Tribunale, che la partecipazione del F. agli interventi veniva prospettata dallo stesso indagato come gratuita ed a scopo formativo (la circostanza trova conferma nelle dichiarazioni riportate a pagina 25 dell'ordinanza genetica).
Precisato che non ogni omissione integra il vizio di motivazione, laddove la censura sia manifestamente infondata, non incorre nel vizio denunciato l'ordinanza per l'omessa valutazione dei risultati della commissione interna, istituita dal Direttore Generale dopo l'emersione della vicenda, in quanto la commissione non aveva adottato provvedimenti a carico dell'indagato solo perchè esulanti dalla propria competenza, pur avendo accertato gravi anomalie relative agli interventi eseguiti dall'indagato e dal luminare giapponese, stante la brevità del periodo intercorrente tra la data di prenotazione ed il ricovero dei pazienti.
La fondatezza della tesi difensiva è definitivamente esclusa dal consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l'onorario dovuto per le prestazioni, ometta poi di versare all'azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene (Sez. 6, n.25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253098 e Sez. 6, n. 39695 del 17/09/2009, Russo, Rv. 245003, che in motivazione precisano che anche il medico convenzionato, pur non potendosi qualificare dipendente pubblico, riveste la qualità di pubblico ufficiale per la parte della sua attività inerente al versamento delle somme che, in base alle norme vigenti in materia di attività intra moenia, sono dovute all'azienda sanitaria, sicchè è configurabile il reato di peculato nell'ipotesi in cui tale soggetto si appropri di tali porzioni di somme ricevute dai pazienti).
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 5 ottobre 2016.
Depositato in Cancelleria il 7 novembre 2016