05/05/2015 free
Cassazione civile - (solo la condotta abnorme del lavoratore salva il datore dalla responsabilità)
il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità e dell'imprevedibilità rispetto al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Cassazione Civile – Sez. lavoro; Sent. n. 4668 del 09.03.2015
omissis
Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata in data 10 settembre 2010, la Corte d'appello di Venezia confermava la sentenza resa dal tribunale di prime cure che, in accoglimento della domanda proposta da R. M., aveva condannato Mantovani Srl (già F.lli Mantovani di Maurizio ed Enrico s.n.c.), M.M. ed M. E. al pagamento, in favore del R., loro dipendente, di una somma a titolo di risarcimento dei danni conseguiti ad un infortunio sul lavoro.
2. Il X., il R., operaio di quarto livello, tornitore e meccanico, addetto alla riparazione di mezzi meccanici destinati all'agricoltura e di macchine utensili in genere, nell'usare un attrezzo denominato caccia-spine, era stato colpito all'occhio da una scintilla che gli aveva cagionato gravi lesioni di natura permanente.
3. La Corte territoriale, condividendo il giudizio del primo giudice, dopo aver premesso che non erano contestate le modalità dell'infortunio, riteneva sussistente la responsabilità dei convenuti, in quanto, a prescindere dall'effettiva messa a disposizione dei lavoratori di strumenti di protezione adeguati al tipo di lavoro da eseguirsi (nella specie, gli occhiali), era risultato in ogni caso accertato che la società non aveva vigilato affinchè tali strumenti fossero effettivamente usati dal dipendente.
3.1. Riteneva altresì che non fosse ravvisabile un concorso del fatto colposo del lavoratore, poichè dalla prova testimoniale era emerso che, per il tipo di operazione che il lavoratore stava eseguendo, di norma non venivano adoperati mezzi di protezione, perchè si riteneva che non implicasse un'attività pericolosa.
4. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione la Mantovani s.r.l., M.M. ed E., affidandolo a sei motivi. Il R. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la s.r.l. Mantovani e gli altri litisconsorti deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in tema di valutazione delle prove, riguardanti la responsabilità del datore di lavoro in ordine alla causazione dell'infortunio. In particolare assumono che dalla prova documentale e testimoniale sarebbero emersi alcuni dati inconfutabili, come l'acquisto e la fornitura ai dipendenti degli occhiali antinfortunistici; lo svolgimento di attività di informazione e formazione dei lavoratori in ordine ai rischi connessi a determinate operazioni; la disposizione aziendale di indossare gli occhiali nello svolgimento di operazioni comportanti il pericolo di schegge; la costante presenza sul luogo di lavoro di almeno uno dei soci e quindi la vigilanza da parte della società datrice di lavoro sul rispetto delle norme di sicurezza. Precisano, inoltre, che dall'istruttoria non era emerso che la causa dell'infortunio era da ricollegarsi all'inefficienza degli strumenti di lavoro, e in particolare alla scheggiatura della superficie del martello, essendo stata questa circostanza riferita esclusivamente dal ricorrente, mentre nessun rilievo, nel senso anzidetto, poteva assumere la loro richiesta di chiamare in causa il produttore del martello, trattandosi di istanza avanzata a meri fini processuali e cautelativi e non avente valore confessorio.
Il motivo si conclude con la formulazione di un quesito, non richiesto dalla disciplina processuale vigente rationetemporis.
2. Con il secondo motivo denunciano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in tema di ripartizione dell'onere probatorio circa la responsabilità del datore di lavoro per la mancata informazione al ricorrente dei rischi delle varie lavorazioni. Il motivo si conclude con un quesito di diritto con cui si chiede affermarsi che il lavoratore che agisce nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno subito a seguito di un infortunio è tenuto a provare il fatto costituente l'inadempimento e il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento del danno.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla presunta mancanza di prova circa l'assolvimento da parte del datore di lavoro degli obblighi di formazione e informazione del lavoratore sui rischi delle lavorazioni e sull'uso dei dispositivi di protezione.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c. e lamentano che la Corte del merito non avrebbe considerato che l'uso di occhiali di protezione dell'esecuzione di operazioni di martellatura costituisce atto notorio e che comunque tale accorgimento doveva essere noto al lavoratore in considerazione della sua preparazione scolastica.
5. Con il quinto motivo denunciano la violazione e la falsa applicazione dell'art. 2730 c.c., per non aver considerato le ammissioni del ricorrente nel ricorso introduttivo del giudizio, in ordine alla sua consapevolezza della necessità di indossare gli occhiali nello svolgimento dell'attività cui era addetto al momento dell'infortunio.
6. Con il sesto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 1227 c.c., per non aver tenuto conto, il giudice, del concorso del fatto colposo del lavoratore, idoneo a determinare la sua responsabilità esclusiva o, comunque, tale da ridurre il grado di responsabilità del datore di lavoro.
7. I primi due motivi di ricorso, che si affrontano congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono inammissibili, oltre che infondati.
7.1. Ed invero, con riferimento alle norme indicate, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge sussiste solo se ed in quanto, con la deduzione della violazione dell'art. 116 c.p.c., si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato - in assenza di diversa indicazione normativa - secondo il suo "prudente apprezzamento", pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento. Per contro, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ne consegue l'inammissibilità della doglianza che sia prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell'art. 360 c.pc.., n. 3 (Cass., 19 giugno 2014, n. 13960).
7.2. Deve aggiungersi che il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360 c.p.c., n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell'art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l'indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di "errori di diritto" individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, (cfr.
Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106; Cass., 19 gennaio 2005, n. 1063; Cass., 2 agosto 2005, n. 16132).
7.3. Nel caso in esame, i ricorrenti non attribuiscono alla Corte alcuna specifica violazione, nel senso anzidetto dell'art. 116 c.p.c. o art. 2697 c.c., nè indicano quale sua precisa affermazione si ponga in violazione delle norme indicate. In particolare, non è dato di leggere in sentenza l'affermazione secondo cui sarebbe onere del datore di lavoro provare la violazione delle norme antinfortunistiche e il nesso di causalità con il danno patito.
7.4. Vero è, invece, che la Corte, dopo aver sottoposto al vaglio del suo giudizio gli elementi di prova raccolti, ha ritenuto provato l'inadempimento della società allegato dal lavoratore, costituito dall'omessa vigilanza sull'uso da parte del dipendente degli occhiali antinfortunistici, nonchè dal mancato assolvimento degli obblighi di informazione in ordine ai rischi connessi all'espletamento dell'attività di martellatura.
7.5. In tale giudizio non si riscontra alcuna violazione delle regole di ripartizione degli oneri probatori, giacchè - posta la natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell'art. 2087 c.c. - al lavoratore spetta lo specifico onere di riscontrare il fatto costituente inadempimento dell'obbligo di sicurezza nonchè il nesso di causalità materiale tra l'inadempimento stesso ed il danno da lui subito, mentre non è gravato dall'onere della prova relativa alla colpa del datore di lavoro danneggiante, sebbene concorra ad integrare la fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento, onere che, invece, incombe sul datore di lavoro e che si concreta nel provare la non imputabilità dell'inadempimento (Cass., 25 maggio 2006, n. 12445;
Cass., 14 aprile 2008, n. 9817; Cass., 11 aprile 2013, n. 8855;
Cass., 2 luglio 2014, n. 15082).
8. Anche i restanti motivi, che per ragioni di connessione vanno affrontati congiuntamente, sono infondati.
La Corte veneziana ha fondato il giudizio di responsabilità della società e dei soci convenuti sulla base di una duplice ratio decidendi, costituita, in primo luogo, dall'omessa vigilanza da parte dei datori di lavoro sull'uso da parte dei lavoratori dei mezzi di protezione e, in secondo luogo, dall'omesso svolgimento di una idonea attività di informazione sui rischi delle lavorazioni. Ha specificamente indicato gli elementi fattuali da cui da cui ha tratto tale giudizio, costituiti dal dato (incontestato) che al momento dell'infortunio il lavoratore non indossava strumenti di protezione e dall'ulteriore circostanza, riferita dal teste B., che, per quel tipo di attività, gli occhiali non venivano normalmente usati, perchè si riteneva che "non fosse attività pericolosa".
7.1. Ha quindi fatto corretta applicazione dei principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, la cui condotta può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da ogni responsabilità solo quando presenti i caratteri dell'abnormità e dell'imprevedibilità rispetto al procedimento lavorativo "tipico" ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell'evento (cfr. Cass., 17 febbraio 2009, n. 3786; Cass. 13 settembre 2006, n. 19559; n. Cass., 14 marzo 2006, n. 5493; Cass., 8 marzo 2006, n. 4980).
7.2. Pertanto l'omissione di cautele da parte del lavoratore non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla condotta colposa del datore di lavoro che non abbia provveduto ad adottare tutte le misure di prevenzione necessarie per il concreto svolgimento del lavoro e ad assicurarne il rispetto, non essendo nè imprevedibile nè anomala una dimenticanza dei lavoratori nell'adozione di tutte le cautele necessarie, con conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cosiddetto "rischio elettivo", idoneo ad interrompere il nesso causale e ravvisabile solo quando l'attività non sia in rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso (v. da ultimo Cass., 20 ottobre 2011, n. 21694; Cass., 20 marzo 2006, n. 6154; Cass., 14 febbraio 2005, n. 2930).
7.3. Diviene così irrilevante ogni ulteriore accertamento in ordine alla conoscenza personale che il lavoratore avrebbe dovuto avere, in ragione della sua formazione professionale, dei rischi collegati alla sua attività, dal momento le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono dirette a tutelare il lavoratore anche dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, o ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso, con la conseguenza che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente (Cass., 25 febbraio 2011, n. 4656).
7.4. Nè è pertinente il richiamo al fatto notorio, il quale attiene all'esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, il cui giudizio circa la sua sussistenza può essere censurato in sede di legittimità solo se sia stata posta a base della decisione un'inesatta nozione del notorio, da intendersi come fatto conosciuto da un uomo di media cultura, in un dato tempo e luogo (Cass., 18 luglio 201 l,n. 15715).
8. In realtà, i motivi in esame investono direttamente il merito della valutazione operata dalla Corte territoriale e tentano una diversa e più appagante rivalutazione delle risultanze istruttorie per pervenire ad un giudizio di fatto favorevole.
8.1. Ma è principio di indiscussa acquisizione nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (v. da ultimo, Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. Sez. Un. 11 giugno 1998 n. 5802).
9. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non deve adottarsi alcun provvedimento sulle spese poichè la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2015