07.11.2014 free
Tribunale di Cremona (Linee guida: i criteri per andare esente da responsabilità)
Per linee guida devono intendersi, secondo la definizione che ne è stata fornita dall'Insitute of Medicine degli Stati Uniti nel 2011, quei documenti che contengono raccomandazioni finalizzate ad ottimizzare l'assistenza al paziente, fondate su una revisione sistematica delle prove di efficacia e su una valutazione di benefici e danni di opzioni assistenziali alternative. Per essere valide, quindi, debbono: essere fondate su una revisione sistematica delle prove di efficacia disponibili; essere approntate da un gruppo multidisciplinare di esperti e rappresentanti dei vari gruppi interessati; prendere in considerazione sottogruppi rilevanti di pazienti; basarsi su un processo esplicito e trasparente, che riduca al minimo le distorsioni, i bias e i conflitti di interesse; fornire una accurata illustrazione delle relazioni logiche tra opzioni assistenziali alternative ed esiti per la salute; essere riconsiderate e aggiornate.
In linea di massima, il sanitario, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver seguito le linee guida (specifiche per il sottogruppo cui apparteneva il paziente), che il caso del paziente rientrava tra quelli considerati dalle stesse (o dal sottogruppo considerato), ovvero, in caso di anomalie o specificità, dimostrare la loro irrilevanza ai fini del trattamento, oppure dimostrare di averne tenuto debitamente conto, adeguando le linee guida al caso di specie.
Laddove tali prove siano fornite e l'intervento non abbia avuto successo, il sanitario andrà esente da colpa; lo stesso dicasi nell'ipotesi in cui si siano verificate delle complicanze proprie, ossia note alla scienza medica come possibili e tipiche di un determinato intervento, essendovi sempre un certo tasso di insuccessi.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Tribunale di Cremona, Sezione I Civile, Sentenza del 9 luglio 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Giulio Borella
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 130/2009 promossa da:
C.N. (C.F.), con il patrocinio dell’avv. T.B.
ATTORE/I
contro
R.V. (C.F.), con il patrocinio dell’avv. R.G.
G.A.C. (C.F.), con il patrocinio dell’avv. B.A.
CASA DI CURA S.C. (C.F. ), con il patrocinio dell’avv.
CONVENUTO/I
CONCLUSIONI
Per parte attrice:
Voglia il Trib. Ill.mo, ogni contraria istanza disattesa e respinta:
1) nel merito e in via principale:
-accertare la responsabilità dei convenuti, condannare in via solidale tra loro per fatto e colpa a loro addebitabile, i Sig.ri R.V., G.A.C. e la Casa di Cura S.C. al risarcimento dei danni tutti, patiti e patiendi dal Sig. N.C., patrimoniali e non patrimoniali, diretti ed indiretti, biologici, morali, alla vita di relazioni, da perdita da chances e qualsiasi altra voce di danno risarcibile, quantificata in non meno di € 1.000.000,00 (unmilione) e/o in quella diversa somma che a parere del procuratore di N.C. si va di seguito a determinare e specificare, disattendendo le conclusioni della C.T.U. Dott.ssa L. che non possono ritenersi convincenti ne condivisibili nella valutazione del 30% quale grado di invalidità permanente attribuito al Sig. N.C. ricomprendendovi anche l’impotentia lamentata dall’attore e le conseguenti ripercussioni psichiche.
Alla luce infatti della documentazione medica esaminata risulta evidente il nesso di causalità fra l’intervento d’asportazione dell’epididimo sinistro e l’infertilità del Sig. N.C. L’asportazione di una parte dell’epididimo sinistro, oltre a ridurre l’area anatomica dove avvengono i fini meccanismi per la maturazione degli spermatozoi, ha molto probabilmente innescato un processo autoimmune che rende vano qualsiasi tentativo di fecondazione (Dott. Pagliara e Dott. Maretti).
Riguardo alla sfera sessuale, la disfunzione erettile è di natura psicologica, come dimostrato dalle relazioni cliniche psichiatriche, psicologiche e sessuologiche in atti (Dott.ssa Bersani, Dott. Lombardi) che evidenziano un elevato danno psicologico e psichiatrico in seguito ai fatti accaduti.
A fronte dei gravissimi danni derivati al Sig. N.C. per fatto e colpa addebitabile al Dott. R.V. e dal Dott. G.A.C., si insiste per la condanna al risarcimento di tutti i danni in solido con la Casa di Cura S.C. come di seguito si specifica:
Danno biologico permanente
Età del danneggiato alla data del sinistro 31 anni
Percentuale di invalidità permanente 50%
Punto base danno non patrimoniale € 9.258,30
Punto base I.T.T. € 96,00
Giorni di invalidità temporanea totale 20
Giorni di invalidità temporanea parziale al 75% 40
Giorni di invalidità temporanea parziale al 50% 120
Danno risarcibile € 393.478,00
Aumento personalizzato (max 25%) € 491.848,00
Invalidità temporanea totale € 1.920,00
Invalidità temporanea parziale al 75% € 2.880,00
Invalidità temporanea parziale al 50% € 5.760,00
Danno biologico temporaneo € 10.560,00
Spese mediche già sostenute dall’anno 2001 all’anno 2013 quali visite e terapie di natura andrologica e chirurgica, consulenze psicologiche e psichiatriche, farmaci del deficit erettile, fecondazione assistita e quant’altro € 1.000.000,00
TOTALE: € 1.404.038,00
Totale con personalizzazione massima € 1.502.408,00
oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 26/06/2001 al saldo
Danno morale soggettivo: valutato, tenuto conto che in virtù del complesso menomativo attuale il paziente trovasi oggi a vedere del tutto alterate e sconvolte le proprie dinamiche affettive, sessuali e relazionali, nella misura di € 4.000.000,00
Spese mediche future per ulteriori anni 10 dall’anno 2014, come prima sopra indicate € 1.000.000,00
oltre il danno da mancata informazione e mancata raccolta del consenso riguardo al secondo intervento del 29/08/2001 da liquidarsi in via equitativa;
2) in subordine:
si insiste affinché il Tribunale Voglia rimettere gli atti in istruttoria al fine di conferire nuova C.T.U. ad altro medico legale e/o ammettere i testi per essere sentiti a chiarimenti nelle persone dei medici Dott. M.P., Dott. C.M., Dott. F.L., Dott.ssa N.B., nonché della Sig.ra N.M., quale moglie del Sig. N.C.
Per parte convenuta G.A.C.: dato atto che l’attore ha già percepito ante causam la somma di euro 10.284,00, liquidare il danno attoreo nei limiti del giusto e del provato, respingendo ogni diversa e maggiore pretesa, con compensazione delle spese di lite.
Per parte convenuta R.V.: come da comparsa di costituzione e risposta.
IN FATTO E DIRITTO
Con citazione del gennaio 2009 N.C. conveniva in giudizio il Dr. V.R., il Dr. C.A.G. e la Casa di Cura S.C., onde sentirli condannare al risarcimento in proprio favore di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti per effetto di malpractice medica.
Allegava che in data 18.06.2001 si era sottoposto a visita urologica presso il Dott. R.V., il quale aveva accertato la presenza di una cisti dell'epididimo destro, per la cura della quale aveva proposto intervento chirurgico; per l'effetto l'attore si era ricoverato presso la Casa di Cura S.C., ove il 26.06.2001 veniva sottoposto ad intervento, che veniva però sospeso, previa asportazione di una cisti sebacea dell'emiscroto, a causa di complicanze; l'intervento veniva ripreso e portato a compimento il 28.08.2001 e il paziente dimesso il 30.08.2001; tuttavia il predetto, lamentando ancora dolori, si era sottoposto a nuovi accertamenti, all'esito dei quali si era appurato che, nel corso dell'intervento, i sanitari avevano asportato una cisti all'epididimo sinistro, anzichè al destro.
Lamentava quindi, tra l'altro, problematiche di tipo psichico e difficoltà nei rapporti sessuali, impotentia coeundi, oltre all'inutilità dell'intervento subito e alla necessità di risottoporsi ad un ulteriore; il tutto anche sotto il profilo della perdita di chances.
Nelle more i convenuti V. e C. subivano condanna penale ex art. 590 c.p., confermata in appello.
Si costituiva il Dott. V., contestando, sulla scorta della perizia svolta in sede penale, che dall'errore medico potesse essere discesa una impotentia coeundi o generandi, eventualmente riconducibile ad altre cause; contestava comunque la misura del danno.
Analoghe difese spiegava il Dott. C., osservando come, in forza della perizia penale, l'intervento non avesse comportato asportazione o minorazioni anatomo funzionali di strutture testicolari, atte a determinare un qualsiasi danno, a parte quello cicatriziale; precisava dunque, sempre la perizia penale, che l'impotentia coeundi fosse da ricondurre ad una incompleta maturazione testicolare delle linee germinative spermatiche, non correlata però nè alle patologie riscontrate, nè agli interventi medici.
La causa veniva istruita mediante CTU medico legale e integrazione della stessa.
La causa veniva quindi trattenuta in decisione all'udienza del 27.02.2014 e viene dunque oggi decisa come segue.
MOTIVAZIONE
La domanda va accolta nei termini che seguono.
Circa i presupposti della responsabilità medica, ci si è già espressi in altra sentenza, pubblicata e ampiamente (anche se non sempre correttamente) commentata.
Volendo ripetersi, basti qui ribadire (a parte l'irretroattività del Decreto Balduzzi, che comunque non ha mutato il titolo contrattuale della responsabilità, come di recente anche la Cassazione ha statuito) che rimane ferma - in linea di massima - la cornice della responsabilità civile del sanitario, così come negli ultimi anni disegnata dalla giurisprudenza, ancorata, per le operazioni di routine, al mancato raggiungimento del risultato, negli altri casi alla verifica della sussistenza del dolo o della colpa grave.
La giurisprudenza è pervenuta a tale risultato all'esito di un percorso ermeneutico volto a scrutinare la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, evidenziando come tale distinzione si fondi sulla dominabilità o meno del risultato stesso, nel senso che, mentre, nel primo caso, esso dipenderebbe da una molteplicità di concause, concorrenti con l'azione del debitore, nel secondo dipenderebbe quasi interamente dall'attività di costui.
Così che si ritiene oggi che nell'attività medica, retta da studi e leggi scientifiche, il risultato sia, se non dominabile, quanto meno governabile, attraverso il rispetto dello standard curativo (linee guida), salve le specificità del caso di specie.
Questo almeno nei c.d. interventi di routine, da intendersi non già come le operazioni di non difficile esecuzione, concetto del tutto indeterminato e arbitrario, bensì come gli interventi attinenti a settori nei quali la scienza medica abbia già enucleato uno standard curativo - o se si preferisce delle linee guida - universalmente accreditato (cfr Cass. 20586/2012, Cass.5945/2000).
Al contrario, laddove uno standard curativo ancora non esista, vuoi perchè trattasi di malattie nuove, vuoi perchè ancora in fieri il dibattito sull'iter terapeutico più appropriato, si è al di fuori delle c.d. operazioni di routine.
Solo nel primo caso il mancato raggiungimento del risultato fa insorgere una presunzione (semplice) di inadempimento, con la conseguenza che spetta al sanitario fornire la prova liberatoria, ossia che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da caso fortuito o forza maggiore, laddove nel caso fortuito ben possono farsi rientrare le complicanze proprie e inevitabili dell'intervento, mentre non vi rientrano le complicanze atipiche e/o improprie, ossia quelle estranee all'intervento o inadeguate o sproporzionate, o note, ma evitabili.
In caso di dubbio, il rischio delle (con)cause ignote rimane a carico del sanitario.
Come si vede un'importanza notevole nella ricostruzione giurisprudenziale ha assunto il concetto di standard curativo, o linee guida, il cui rispetto costituisce il contenuto primario dell'obbligazione del sanitario.
Per linee guida poi devono intendersi, secondo la definizione che ne è stata fornita dall'Insitute of Medicine degli Stati Uniti nel 2011, quei documenti che contengono raccomandazioni finalizzate ad ottimizzare l'assistenza al paziente, fondate su una revisione sistematica delle prove di efficacia e su una valutazione di benefici e danni di opzioni assistenziali alternative.
Per essere valide quindi le linee guida debbono: essere fondate su una revisione sistematica delle prove di efficacia disponibili; essere approntate da un gruppo di esperti multidisciplinare di esperti e rappresentanti dei vari gruppi interessati; prendere in considerazione sottogruppi rilevanti di pazienti; basarsi su un processo esplicito e trasparente, che riduca al minimo le distorsioni, i bias e i conflitti di interesse; fornire una accurata illustrazione delle relazioni logiche tra opzioni assistenziali alternative ed esiti per la salute; essere riconsiderate e aggiornate.
Occorre peraltro precisare che governabilità del risultato non significa che anche l’obbligazione del sanitario sia divenuta di risultato, almeno non pare di poter evincere dalla giurisprudenza di legittimità una tale conclusione.
L'obbligazione del sanitario resta essenzialmente di mezzi, ossia quella di fornire lo standard curativo, adeguato e calato al caso concreto e non acriticamente e meccanicamente eseguito.
Il risultato, ossia la guarigione o il miglioramento delle condizioni del paziente, rimane normalmente fuori dall'obbligazione strictu sensu e, in teoria, governato da causalità naturale (art. 40 c.p.).
Poichè però la sussunzione sotto leggi scientifiche di quel risultato è già verificata a monte (negli interventi di routine s'intende), essendo esso normale conseguenza del rispetto delle linee guida, il creditore/paziente, che normalmente nelle obbligazioni di mezzi deve provare il nesso di causa tra inadempimento e risultato non conseguito, può beneficiare di tale preventiva sussunzione e della presunzione di inadempimento che ne deriva, scaricando sul sanitario l'onere della prova liberatoria.
Ne discende che, in linea di massima, il sanitario, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver seguito le linee guida (specifiche per il sottogruppo cui apparteneva il paziente), deve dimostrare che il caso del paziente rientrava tra quelli considerati dalle linee guida (o dal sottogruppo considerato), ovvero, in caso di anomalie o specificità, dimostrare la loro irrilevanza ai fini del trattamento, oppure dimostrare di averne tenuto debitamente conto, adeguando le linee guida al caso di specie.
Laddove tali prove siano fornite e l'intervento non abbia avuto successo, il sanitario andrà esente da colpa; lo stesso dicasi nell'ipotesi in cui si siano verificate delle complicanze proprie, ossia complicanze note alla scienza medica come possibili e tipiche di un determinato intervento, essendovi sempre un certo tasso di insuccessi.
Per contro, laddove non sia fornita la prova liberatoria, potranno imputarsi al sanitario sia l'insuccesso (mancata guarigione), che le complicanze proprie.
Le precisazioni in ordine alla struttura dell'obbligazione sanitaria, soprattutto per quel che concerne il rapporto di causalità (naturale, seppur presunto) che governa il nesso tra inadempimento ed evento di danno (alla salute) è particolarmente rilevante e utile nella specie, per le ragioni che di seguito si esporranno.
Deve innanzitutto dirsi che, nel caso di specie, la situazione appare assai più semplice, almeno sotto il profilo dell'an: il paziente veniva ricoverato per l'asportazione di una cisti al testicolo destro e subiva una resezione della testa e della coda del testicolo sinistro, non chiesta, non programmata e, alla prova dei fatti, per nulla necessaria.
La responsabilità appare dunque evidente, tanto che è già stata dichiarata dai giudici penali e non si ritornerà quindi su questioni che sono già state approfonditamente sviscerate in quella sede.
Il problema attiene al quantum, ai danni liquidabili, in quanto, tra l'altro, il N. lamenta, oltre alla detta resezione indebita di parti del testicolo sinistro (che integra insieme e al contempo l'inadempimento e la lesione primaria del bene salute) impotentia generandi, impotentia coeundi e ripercussioni psichiche, con pregiudizio alla vita di relazione, in particolare sotto il profilo della serenità della vita, anche sessuale, di coppia.
La domanda è, quindi, se dalla indebita resezione di parti del testicolo sinistro possano discendere le conseguenze lamentate dall'attore, in termini di infertilità, impotenza e disturbi psichici.
Ebbene, la Consulente d'Ufficio Dott.ssa L. rileva come l'asportazione di questi tratti del testicolo comporti un impedimento meccanico alla fuoriuscita dello sperma, prodotto dal testicolo omolaterale, con impossibilità del suo passaggio nelle vie spermatiche.
Peraltro, prosegue la CTU, nel valutare l'influenza di tale fattore con la (asseritamente diminuita) capacità fecondante dell'attore, occorre tenere conto di altri fattori di rischio di cui il medesimo era portatore, quali il tabagismo, l'idrocele, processi flogistici delle vie spermatiche e prostatiche, il sovrappeso e l'attività lavorativa di camionista.
Inoltre problematiche di oligospermia si manifestavano solo a partire dal febbraio 2002, associate peraltro a ridotta mobilità e vitalità degli spermatozoi presenti, sicuramente non riconducibili, queste, alla lesione per cui è causa.
Per tali motivi, concludeva, poteva solo dirsi possibile, ma non affermarsi con certezza, che dall'intervento per cui è causa fosse conseguita l'impotentia generandi e, di seguito, l'impotentia coeundi e i disturbi psichici lamentati dall'attore, sicchè si limitava a quantificare il danno biologico temporaneo e, quanto a quello permanente, lo ricollegava agli esiti cicatriziali e alla mera asportazione di parti del testicolo sinistro.
Tale conclusione tuttavia, se accettabile dal punto di vista scientifico, merita un approfondimento dal punto di vista giuridico.
Occorre infatti richiamare quanto sopra detto in merito alla struttura dell'obbligazione del sanitario: trattasi tutt'ora di obbligazione di mezzi, nella quale il risultato (guarigione o miglioramento delle condizioni del paziente) rimane teoricamente fuori dall'obbligazione structu sensu del sanitario e governata dalla causalità naturale, sussunta sotto leggi scientifiche, con la particolarità però che tale sussunzione è ritenuta sussistente a monte, per effetto del rispetto delle linee guida scientificamente approvate, in quanto, come detto, le stesse consentono di governare il risultato stesso.
Il rapporto tra inadempimento (mancato rispetto dello standard curativo, adeguato e calato nel concreto) ed evento di danno (alla salute) rimane però in teoria governato dalla causalità naturale.
Questo è importante nel caso di specie, in quanto potrebbe portare prima facie ad affermare che sulla scorta della causalità naturale dovrebbe essere scrutinato anche il rapporto tra l'errata resezione e l'impotentia generandi e le problematiche ulteriori, ossia tra la lesione primaria del bene salute e le lesioni secondarie e successive.
Rapporto che non potrebbe darsi per presunto, in quanto il paziente non si ricoverava per risolvere problemi di impotenza e infertilità (allega anzi di non averne avuti in precedenza) e, quindi, non vi sarebbe alcun collegamento tra l'attività medica posta in essere, che aveva altre finalità ed era volta a conseguire altri risultati, e la lesione alla salute conseguita, ossia l'infertilità; mancherebbe cioè una legge di copertura, verificata a monte, tra tipo di intervento e risultato da conseguire, sicchè questa dovrebbe essere ricercata.
In realtà occorre domandarsi se la causalità naturale governi i rapporti tra tutti gli eventi di danno che possano essere conseguiti ad una certa condotta, ovvero se essa governi unicamente il rapporto tra condotta e lesione primaria, dovendosi invece il rapporto tra questa e le lesioni secondarie (alla stessa collegate) scrutinare in base ad un criterio di normalità/adeguatezza/regolarità causale, ex art. 1223 c.c. (norma che, ordinariamente, presiede alla selezione dei pregiudizi risarcibili).
Se cioè da una lesione ad un bene della vita conseguono altre lesioni, allo stesso o ad altri beni della vita, il rapporto di derivazione dell'una dall'altra va indagato ex art. 40 c.p. o ex art. 1223 c.c.?
Pare corretta quest'ultima impostazione, quanto meno nel caso in cui alla lesione primaria siano associate lesioni secondarie del medesimo bene della vita, e questo sia costituito dalla salute.
Una volta infatti stabilito un collegamento certo tra una condotta colposa e un evento di danno, ulteriori lesioni possono ritenersi collegate alla prima e, quindi, alla condotta colposa stessa, sulla scorta della loro semplice adeguatezza e ad un criterio di regolarità causale.
Tale conclusione appare vieppiù predicabile con riferimento alla lesione del bene salute, dove non è facile distinguere, se non dal punto di vista logico, evento di danno e pregiudizio risarcibile, in quanto la rottura del tessuto, la perdita di funzionalità di un organo, o gli altri casi in cui può concretizzarsi la lesione della salute integrano già di per se stessi il danno, mentre invalidità permanente/danno biologico sembrano più che altro riferirsi ai concreti risvolti risarcitori e ai criteri di quantificazione, di un pregiudizio però che è certo nel suo esistere nel momento stesso in cui viene leso l’interesse tutelato (salute) e con ciò si realizza l’evento di danno.
Non per niente la difficoltà di distinguere materialmente lesione e pregiudizio, con riferimento al bene salute, aveva in origine portato a parlare di tertium genus e di danno evento.
Così, nella specie, alla resezione indebitamente effettuata del testicolo sinistro conseguiva una oligospermia (attestata a sei mesi di distanza dall'intervento e, quindi, in un lasso temporale tale da far ritenere certo il nesso), la quale come evidenziato dalla stessa CTU nella relazione a pag. 14, e come devesi ritenere conforme a criterio di adeguatezza e regolarità causale, può a sua volta essere causa di infertilità.
D'altro canto dalla CTU è anche emerso che, almeno in parte, a beneficio dei convenuti, depongono i numerosi fattori di rischio, di cui il N. era ed è portatore (tabagismo, peso eccessivo, attività sedentaria di camionista, idrocele, processi flogistici alle vie spermatiche), che pure possono svolgere un ruolo eziologico importante nell'insorgenza dell'infertilità.
Anche considerando tali fattori di rischio tuttavia rimane chiaro che l'oligospermia derivata dalla resezione può benissimo costituire quanto meno una concausa dell'infertilità, come evidenziato dalla CTU a pag. 14, soprattutto nei casi, come quello di specie, nei quali essa porti con sè problematiche di tipo psicologico.
Deve infatti ritenersi conforme a normalità che, negli uomini, all'impotentia generandi possano associarsi disturbi psichici quali rabbia, frustrazione, depressione, con effetti negativi anche sull'impotentia coeundi, la capacità di mantenere l'erezione e di avere rapporti sessuali soddisfacenti.
In effetti il N. non è risultato portatore di vere e proprie patologie psichiche, in particolare da disturbo dell'adattamento ipotizzato dalla Dott.ssa Bersani, di parte attrice, difettando evidenze cliniche in tal senso (non sarebbe del resto soddisfatto il criterio cronologico, il quale prevede che tale disturbo si sviluppi nei tre mesi successivi all'evento).
Sono stati invece riscontrati dall'ausiliario del CTU i tratti sopra descritti di rabbia, frustrazione, depressione e insoddisfazione, tali da integrare comunque una particolare sofferenza soggettiva connessa al trauma e inemendabile per via del tempo trascorso.
Tali disturbi ben possono aver ingenerato il disturbo del desiderio sessuale ipoattivo e il disturbo maschile dell'erezione, che infatti vengono non di rado associati all'infertilità maschile e che a loro volta la aggravano, come evidenziato dalla stessa CTU a pag. 16 della prima relazione e pag. 4 dell'integrazione.
Quid iuris nei casi, come quello di specie, nei quali il nesso di causa non possa essere affermato con certezza, per la presenza di fattori concausali certi, dei quali non è possibile verificare però se operino quali fonti di un decorso eziologico alternativo (tale da escludere la responsabilità), ovvero quali elementi concausali?
Nel diritto civile non esiste una norma, quale l'art. 41 c.p., per la quale il concorso di cause non esclude il rapporto di causalità tra condotta ed evento.
Non è possibile cioè, a fronte di una mera concausalità, imputare completamente un certo evento al soggetto che ha posto in essere la condotta colposa, in quanto nel diritto civile il problema è quello del risarcimento dei danni e, sotto tale profilo, ben può tenersi conto dell'effettivo apporto causale dato da un soggetto alla produzione di una certa lesione (problema che in diritto penale si pone in termini diversi, nel senso che la responsabilità può essere affermata sulla scorta anche della mera concausalità, mentre dell'effettivo apporto fornito dal reo alla produzione dell'evento si può tenere conto nella commisurazione della pena).
Per ritagliare adeguatamente queste fattispecie, nelle quali, a fronte di un patente errore medico, non sia tuttavia certo il collegamento causale tra esso e il peggioramento delle condizioni di salute del paziente, per via della sicura identificazione di ulteriori possibili (con)cause e l'impossibilità di verificare se esse si collochino nell'area della causalità alternativa o concorrente, la giurisprudenza di legittimità ha disegnato la figura del danno da perdita di chances (cfr Cass. 4400/2004).
Quando sia stata cioè pregiudicata la possibilità stessa di conseguire un determinato risultato utile, che però non è certo sarebbe stato raggiunto, tale possibilità assurge comunque ad autonomo bene della vita, in sè e per sè enucleabile, la cui compromissione integra un'autonoma fattispecie di danno emergente, che merita di essere risarcita.
Il risarcimento potrà poi essere commisurato, anche se non identificato, nella perdita dei vantaggi sperati e non conseguiti, in ragione del grado di probabilità di conseguirli (cfr Cass. 852/2006).
Nella specie dunque è certo che l'infertilità del N. possa essere correlata a diversi fattori, ma tra essi può certamente annoverarsi anche l'oligospermia provocata dalla resezione impropriamente effettuata, nonchè l'associazione a problematiche di tipo psicologico normalmente associate alla sfera sessuale e puntualmente riscontrate (anche se con esclusione del più grave disturbo dell'adattamento) in sede di CTU.
Ne discende una perdita di chances che, ad avviso di questo giudice, può stimarsi nel 30%.
Per effetto di tutto quanto sopra esposto, il danno biologico permanente sicuramente ricollegabile all'errore medico è pari all'8%, e corrisponde agli esiti cicatriziali e alla lesione alla testa e alla coda del testicolo sinistro.
La differenza, del 22%, va invece liquidata sotto forma di danno da perdita di chances, nell'anzidetta misura del 30%.
Più in particolare il danno può essere liquidato come segue:
IP 8% età 31 euro 16.048,00
ITT 2 gg euro 192,00
ITP 10 gg al 50% euro 480,00
Tale parte di danno, essendo conseguenza certa dell'errore medico, va liquidata nella sua interezza.
Essa va inoltre liquidata in base alla tabelle di Milano e non alle tabelle per la liquidazione delle lesioni c.d. micropermanenti, in quanto è vero che si parla di una I.P. dell'8%, ma quale componente di un danno più consistente, della misura complessiva del 30%.
A tali importi debbono essere aggiunti quelli conseguenti alla perdita di chances:
IP 22% età 31 euro 87.135,00
Si ritiene peraltro che il danno biologico structu sensu meriti di essere adeguatamente personalizzato.
Sono state infatti evidenziate le problematiche di tipo psicologico che affliggono il N., che coinvolgono pesantemente la sua sfera sessuale (o meglio, la lesione sessuale e la possibile infecondità han cagionato le ripercussioni psicologiche, che a loro volta alimentano ulteriormente le difficoltà nella vita sessuale e, così, l'infertilità, in un circolo vizioso che continua ad autoalimentarsi).
Inutile rilevare che tali problematiche hanno per certo avuto una pesante ricaduta nella serenità e nel concreto sviluppo della vita di coppia dell'attore, compromessa da una non serena e non appagante vita sessuale.
La lesione della serenità familiare costituisce lesione di un bene primario a rilevanza costituzionale, tutelato dagli artt. 2 e 29 della costituzione, così che il relativo evento di danno, se conseguenza della lesione del bene salute, può essere liquidato mediante un adeguamento del valore del punto.
Deve ritenersi poi conforme a comune esperienza e normalità che una coppia desideri avere dei figli, sicchè anche la compromissione di questa possibilità, sempre ovviamente nei termini di perdita di chances sopra descritti, va adeguatamente considerata ai fini del risarcimento.
Per l'effetto si ritiene che possa essere accordata la personalizzazione massima consentita dalle tabelle milanesi, ossia il 37%, così che il danno sale ad euro 119.375,00.
Questa parte di danno, per i motivi già esposti, va liquidata nella misura del 30%, pari alla concreta perdita di chances che si ritiene di riconoscere all'attore, per un importo dunque di euro 35.812,00.
Che sommati ad euro 16.048,00, ad euro 192,00 e ad euro 480,00, danno un totale di euro 52.532,00.
Dai quali va dedotto quanto già percepito dall'attore in seguito alla sentenza penale, ossia euro 10.284,00, per un risarcimento residuo di euro 42.248,00.
Il tutto con interessi dall'evento al saldo.
Al risarcimento di tale somma vanno condannati, in via solidale, tutte le parti convenute.
Il Dott. V. perchè, quale capo equipe, non poteva limitarsi a recepire le risultanze della cartella clinica del paziente o a fidarsi degli accertamenti clinico strumentali effettuati dai suoi collaboratori, ma aveva l'onere di effettuare le opportune verifiche e, comunque, non poteva non accorgersi del macroscopico errore nel quale si stava imbattendo (cfr pag. 13 sentenza penale).
Il Dott. C. poi era nello specifico il soggetto incaricato dell'anamnesi, dell'esame obiettivo, della redazione della cartella clinica e della procedura destinata ad ottenere il consenso informato (a pag. 13 della sentenza penale emerge anzi come il convenuto sia stato colui che, concretamente, in sala operatoria diede le indicazioni per operare il testicolo sinistro).
Quanto alla Casa di Cura, nemmeno costituitasi, deve rispondere ex art. 2049 c.c. dell'operato dei propri dipendenti.
L'accertamento dei gradi di responsabilità non è stato fatto oggetto di specifica domanda e, perciò, verrà trattato in una eventuale successiva instauranda azione di regresso tra i vari condebitori in solido.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
A carico dei convenuti anche le spese di CTU.
P.Q.M.
Il Tribunale di Cremona, ogni diversa istanza, eccezione e conclusione disattesi, condanna i convenuti tutti, in solido tra loro, ciascuno per il suo titolo come da motivazione, al risarcimento in favore dell'attore della somma di euro 42.248,00, oltre interessi dall'evento al saldo.
Condanna pure i convenuti, in solido tra loro, alla rifusione in favor edell'attore delle spese di lite, che si liquidano in complessivi euro 7.254,00, oltre accessori di legge e oltre euro 348,00 per spese esenti.
Pone definitivamente a carico di parti convenute, in solido, le spese di CTU.
Cremona, 9 luglio 2014.
Il Giudice
dott. Giulio Borella