26.11.2007 free
CASSAZIONE PENALE – ( duplice omicidio: l’attività medica di equipe tra sicurezza e rischio )
§ - Nell'attività medico - chirurgica in equipe, la divisione del lavoro costituisce un fattore di sicurezza (perchè ciascuno dei sanitari è chiamato a svolgere il lavoro in relazione al quale possiede una specifica competenza e perchè, in rapporto ad esso, è posto nelle condizioni di profondere tutta la diligenza, prudenza e perizia richieste, senza essere tenuto a controllare continuamente l'operato dei colleghi), ma rappresenta anche un fattore di rischio.
Fa sorgere, in particolare, rischi nuovi e diversi (rispetto a quelli propri dell'attività medica monosoggettiva), essenzialmente derivanti da difetti di coordinamento o di informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione di insieme, ecc., e spesso tra loro collegati.
E, quando nel caso concreto si appalesino circostanze tali da rendere evidente la negligenza altrui, quali ad esempio, come nella fattispecie, un'attività colposa già in atto, oppure un errore commesso nella fase preparatoria, ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro deve farsi carico di questi rischi peculiari. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net ]
Cassazione Penale - Sez. IV, Sent. n. 41317 del 09-11-2007
omissis
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 22 novembre 2002, il Tribunale di Caltanissetta dichiarava R.V., primario della divisione di ostetricia e ginecologia dell'ospedale X, F.C. e M.C., medici addetti alla medesima divisione, e B.E., anestesista, colpevoli di duplice omicidio colposo in danno di M.A. e del bambino che portava in grembo e li condannava, riconosciuta la sussistenza delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., alle pene di anni uno di reclusione ( R. e B.) e di mesi nove di reclusione ( F. e M.).
Il Tribunale condannava, inoltre, gli imputati:
- a risarcire il danno alla parte civile (rimessione delle parti, ai sensi dell'art. 539 c.p.p., davanti al giudice civile per la liquidazione);
a pagare alla stessa, a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, la somma di Euro 25.000,00;
- a pagare, in favore della parte civile medesima, le spese processuali.
2. La Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza in epigrafe indicata, confermava la decisione di primo grado, fondata essenzialmente sulla ricostruzione dei fatti e sulle conclusioni alla quali era pervenuto il collegio di periti nominato dal Tribunale.
2.1. M.A., gravida alla trentanovesima settimana, era, al momento del ricovero all'Ospedale X di Y (tarda serata del […]), in stato di ipertensione arteriosa gestazionale.
La mattina successiva, alle ore 9.30, era stata portata in sala operatoria per un taglio cesareo.
In seguito ad un primo vano tentativo di intubazione da parte dell'anestesista B. era insorto un edema polmonare.
L'anestesista, anzichè desistere da ulteriori tentativi di intubazione, come avrebbe dovuto per evitare di provocarle "inventilabilità", aveva recuperato lo stato di veglia della paziente, proseguendo in quell'attività.
Ciò, tra l'altro, nonostante il collega Dott. D.M. avesse suggerito di effettuare un'anestesia loco regionale (ulteriori alternative erano state dai periti individuate in una intubazione da sveglia in anestesia locale e in una nuova induzione della narcosi con intubazione in broncoscopia alla presenza di uno specialista).
La scelta di B. si era, pertanto, rivelata del tutto errata, atteso che la sopravvenuta inventilabilità della M.A. era prevedibile in considerazione delle sue condizioni obiettive.
2.2. Riteneva, dunque, la Corte che se l'anestesista avesse effettuato una scelta corretta avrebbe evitato la progressiva inventilabilità che aveva condotto al decesso della M. A..
Sarebbe stato necessario secondo i periti procedere al taglio cesareo, ormai non più differibile, visto lo stato di sofferenza, materno e fetale;
L'intervento avrebbe dovuto essere effettuato mediante prosecuzione della narcosi, dopo avere posizionato una maschera laringea o il combitube.
In altre parole, dopo il secondo tentativo fallito di intubazione si imponeva all'anestesista e ai ginecologi l'esigenza di estrarre il feto (il momento adeguato era stato individuato in concomitanza con l'intervento del Dott. V., broncoscopista, quando cioè la M.A. era già fortemente cianotica ed aveva manifestato scosse tonico - cloniche).
La Corte di merito escludeva la tesi difensiva secondo cui l'insorgenza dell'edema polmonare sarebbe stata anteriore all'induzione dell'anestesia ed ai tentativi di intubazione (sicchè questi ultimi come affermato dall'imputato B. sarebbero stati posti in essere al fine di rianimare la paziente, non cioè quali atti finalizzati all'intervento chirurgico);
Escludeva, in particolare, che l'edema fosse stato come sostenuto dal consulente tecnico dell'imputato "secondario" ad una grave preeclampsia, che avrebbe afflitto la M.A. già al momento del ricovero (e della quale, quand'anche esistente, il Dott. B. non si sarebbe in ogni caso avveduto nel momento in cui aveva compiuto la visita anestesiologica).
2.3. Con riferimento ai ginecologi, vale a dire agli imputati R., F. e M., la Corte osservava che essi avevano assistito "passivamente alla tragedia che si stava consumando sotto i loro occhi".
In particolare non erano intervenuti a porre rimedio al grave errore del Dott. B. il quale, insistendo nel tentativo di intubazione, stava provocando l'inventilabilità della M. A..
Era, invece, loro dovere, quanto meno dopo il secondo tentativo fallito di intubazione, estrarre rapidamente il feto, con le modalità di cui sopra si è detto, per ottenere in tal modo anche un netto miglioramento della ventilabilità.
Non vi sarebbe così stata la necessità di ricorrere ad una ossigenazione trans - tracheale e si sarebbe salvata la vita sia della madre che del figlio.
Non poteva dubitarsi, pertanto, secondo la Corte territoriale che la condotta omissiva dei ginecologi era stata "concausa necessaria dell'evento lesivo".
All'insorgenza dell'edema polmonare il primo provvedimento da adottare era, invero, l'inserimento di una maschera laringea o di un combitube;
unito ad adeguata terapia farmacologica, avrebbe consentito di fronteggiare il quadro clinico e si sarebbe rivelato risolutivo.
La M.A., invece, alle ore 11,00 alle ore 11,40, era stata ventilata soltanto con la maschera facciale ed era così andata incontro ad una gravissima ipossia che aveva comportato l'arresto cardio - circolatorio.
Data la repentina caduta dei valori ossimetrici della madre e la conseguente cianosi, si imponeva - come già detto - l'estrazione del feto.
La manovra avrebbe con certezza salvato la vita del bambino e migliorato la ventilabilità della madre.
3. Avverso la predetta decisione ricorrono per cassazione gli imputati.
3.1. L'imputato B., per mezzo del difensore, denuncia la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.
La Corte di Appello avrebbe "sottovalutato" l'ipotesi alternativa prospettata dal suo consulente tecnico.
Successione degli eventi, tempi e modalità dell'intervento erano stati, dai giudici di merito, ricostruiti sulla base delle testimonianze degli infermieri, senza rendersi conto che si era al cospetto di dichiarazioni "vaghe a proposito degli orari, contraddittorie (nella sostanza) e non pertinenti nè rilevanti sul problema di cui non avevano piena coscienza trattandosi di una delicata questione squisitamente medica";
dichiarazioni che non offrirebbero certezza neppure a proposito del numero dei tentativi di intubazione praticati, nè del tipo di operazioni compiute.
Ad avviso del ricorrente sarebbe meramente congetturale l'affermazione secondo cui l'edema polmonare era stato conseguente ai tentativi di intubazione.
Ribadiva, in altre parole, il ricorrente che l'insorgenza dell'edema era stata spontanea e in ogni caso ricollegabile allo stato di pre - eclampsia della M.A..
Affermare come aveva fatto la Corte che in ogni caso egli non si era reso conto della effettiva situazione della paziente significava, in sostanza, modificare l'imputazione, passando da una contestata condotta attiva ad un profilo omissivo.
Inoltre, la rilevabilità di detto stato era compito principale, se non esclusivo, dei ginecologi.
3.2. Gli imputati R., F. e M., per mezzo del comune difensore, articolano un unico motivo.
Sostengono, in particolare, che sarebbe apodittica l'affermazione della Corte in ordine all'esistenza di un dovere dei ginecologi secondo cui, fallito il secondo tentativo di intubare la M. A., avrebbero dovuto estrarre il feto, previo posizionamento della maschera laringea o del combitube.
Inoltre, la sentenza impugnata sarebbe totalmente priva di motivazione sia in ordine alla effettiva possibilità di intervenire per estrarre il feto, atteso che la M.A. non era mai stata anestetizzata, ma soltanto sedata, sia in relazione al quesito, rimasto senza risposta, se la M.A., che presentava deficit di valori di saturazione di ossigeno, avrebbe potuto resistere in vita all'intervento di laparotomia.
Nel caso di specie, secondo i ricorrenti, la priorità non era quella di monitorare il feto, ma di riuscire ad anestetizzare la donna e metterla nelle condizioni di normale ventilabilità.
Nulla, pertanto, avrebbero potuto fare se non attendere che gli anestesisti mettessero la M.A. in condizioni di operabilità.
L'intervento, inoltre, senza avere praticato anestesia alcuna, avrebbe certamente provocato il decesso della donna.
Motivi della decisione
4. Il reato è estinto per sopravvenuta prescrizione.
Le statuizioni di carattere civile della sentenza vanno, peraltro, confermate.
4.1. Il ricorso presentato nell'interesse dell'anestesista Dott. B. è, invero, destituito di fondamento.
Il ricorrente offre in sostanza una propria diversa verità in ordine all'effettivo svolgimento dei fatti.
Non si tratta, peraltro, di una diversa, altrettanto plausibile, ricostruzione dei medesimi alla luce degli elementi probatori raccolti.
Gli elementi probatori, ed in particolare le dichiarazioni delle persone presenti, depongono, invero, nel senso che l'intubazione fosse finalizzata all'imminente intervento chirurgico, deciso dal ginecologo.
Prima di quel momento, inoltre, la paziente risultava soltanto ipertesa, ed anzi l'ipertensione era stata comunque adeguatamente fronteggiata, tanto che ad un certo punto i valori pressori erano sensibilmente scesi.
Il ricorrente sostiene, poi, l'inattendibilità dei "testimoni oculari", segnatamente del personale paramedico che, a suo dire, non sarebbe stato in grado di rendersi conto dell'effettivo significato "medico" delle manovre di intubazione da lui compiute e della fase in cui esse si inserivano.
La apoditticità di queste osservazioni del ricorrente ne impedisce, peraltro, qualsivoglia valutazione e va, in ogni caso, ricordato che dalla sentenza impugnata si evince che l'altro medico anestesista che operava con l'imputato (il Dott. D.M.) ebbe a suggerire, visti i vani tentativi di intubazione, di procedere ad un diverso tipo di anestesia.
Orbene, se, come sostiene l'imputato, i tentativi di intubazione fossero davvero stati compiuti con finalità rianimatoria, anzichè ai fini dell'intervento chirurgico, il suggerimento anzidetto non avrebbe alcuna logica spiegazione.
4.2 Anche i ricorsi degli imputati R., F. e M. non contengono affermazioni fondate.
La sentenza è, in punto di affermazione della responsabilità, coerentemente argomentata.
I ginecologi si erano resi conto dell'errore commesso dall'anestesista nella fase preparatoria e dei suoi insistiti e deleteri tentativi di intubazione della paziente.
Erano in atto scelte errate e spettava loro, a quel punto, chiarire le priorità ed imporre opzioni diverse.
Nell'attività medico - chirurgica in equipe, la divisione del lavoro costituisce un fattore di sicurezza (perchè ciascuno dei sanitari è chiamato a svolgere il lavoro in relazione al quale possiede una specifica competenza e perchè, in rapporto ad esso, è posto nelle condizioni di profondere tutta la diligenza, prudenza e perizia richieste, senza essere tenuto a controllare continuamente l'operato dei colleghi), ma rappresenta anche un fattore di rischio.
Fa sorgere, in particolare, rischi nuovi e diversi (rispetto a quelli propri dell'attività medica monosoggettiva), essenzialmente derivanti da difetti di coordinamento o di informazione, da errori di comprensione o dovuti alla mancanza di una visione di insieme, ecc, e spesso tra loro collegati.
E, quando nel caso concreto si appalesino circostanze tali da rendere evidente la negligenza altrui, quali ad esempio, come nel caso di specie, un'attività colposa già in atto, oppure un errore commesso nella fase preparatoria, ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro deve farsi carico di questi rischi peculiari.
Nel caso in esame, vista la situazione creatasi a causa degli errori compiuti dal B., gli imputati avrebbero dovuto (ed erano in condizioni di farlo) imporre soluzioni diverse, tanto più che, come già si è avuto modo di dire, l'altro anestesista, il Dott. D. M., aveva a sua volta suggerito scelte alternative all'intubazione.
5. Se, dunque come si è detto all'inizio le statuizioni di carattere civile devono essere confermate, la sentenza va, peraltro, annullata senza rinvio perchè il reato è estinto per prescrizione.
Il fatto risale, invero, al 29 settembre 1998 ed il termine di prescrizione (in conseguenza del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, sette anni e sei mesi ai sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 4 e art. 160 c.p., comma 3, nei testi vigenti prima delle modificazioni ai medesimi apportate dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251) è maturato il 29 marzo 2006 e, in ogni caso, prima della pronuncia della presente sentenza, volendo tenere conto del periodo (poco più di dieci mesi) in cui il processo (e, quindi, il corso della prescrizione) è rimasto sospeso per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il reato ascritto ai ricorrenti è estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili contenute nella sentenza impugnata.
Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2007