19.12.2006 free
CASSAZIONE PENALE –(certificazione concordata: concorso in truffa aggravata dell’assistente sociale)
§ - Confermata la misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di assistente sociale presso l'Ospedale per la durata di mesi due in relazione alla contestazione di concorso in truffa aggravata, di cui agli artt. 110 e 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere con artifici e raggiri - consistiti nel concordare la redazione da parte primario dell'Unità operativa di Geriatria del Presidio Ospedaliero di un falso certificato medico e la redazione da parte dei medici componenti la Commissione di prima istanza per l'accertamento degli stati di invalidità civile di un falso verbale - indotto in errore l'INPS e il Ministero dell'Economia e delle Finanze in ordine all'effettiva sussistenza dei requisiti necessari per godere della pensione di invalidità totale e dell'indennità di accompagnamento, procurando un ingiusto profitto, rappresentato dal riconoscimento del diritto alla corresponsione delle somme relative alla pensione e all'accompagnamento, con pari danno dell'ente pubblico. La riferita condotta risulta idonea a costituire quegli artifici e raggiri necessari ai fini del perfezionamento del delitto di cui all'art. 640 c.p. ed è certamente espressiva di un concorso nella commissione della truffa ai danni dell'ente pubblico. [ Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net ]
Cass. pen. Sez. II, [udienza 17-10-2006] 08-11-2006, n. 36970
omissis
Svolgimento del processo
Con ordinanza in data 7-3-2006 il Tribunale di Lecce rigettava l'appello di C.C. e, per l'effetto, confermava l'ordinanza, emessa in data 9-2-2006 dal Giudice delle indagini preliminari, applicativa nei confronti della C. della misura interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio di assistente sociale presso l'Ospedale di […] per la durata di mesi due in relazione alla contestazione di concorso in truffa aggravata, di cui agli artt. 110 e 640 c.p., comma 2, n. 1, per avere, nella indicata qualità, con artifici e raggiri - consistiti nel concordare la redazione da parte di P.E. (primario dell'Unità operativa di Geriatria del Presidio Ospedaliere […] di […]) di un falso certificato medico rilasciato il […] a D.N.M. e la redazione da parte di M.F., C.A. e C.E. (medici componenti la Commissione di prima istanza per l'accertamento degli stati di invalidità civile di (OMISSIS)) di un falso verbale della seduta del […] - indotto in errore l'INPS di […] e il Ministero dell'Economia e delle Finanze in ordine all'effettiva sussistenza in capo al predetto D.N.M. dei requisiti necessari per godere della pensione di invalidità totale e dell'indennità di accompagnamento con decorrenza da […], procurando al D.N. un ingiusto profitto, rappresentato dal riconoscimento del diritto alla corresponsione delle somme relative alla pensione e all'accompagnamento, con pari danno dell'ente pubblico.
Avverso l'indicata ordinanza ricorre per cassazione la difesa della C., deducendo: 1) la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'art. 273 c.p.p. in quanto il Tribunale avrebbe fornito una motivazione manifestamente illogica in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e avrebbe, altresì, omesso di motivare in ordine agli specifici motivi di gravame, con particolare riguardo all'insussistenza degli estremi degli artifici e raggiri necessari a integrare la condotta del reato di truffa; a parere della ricorrente l'impostazione accusatoria sarebbe viziata da una contraddizione di fondo, rappresentata dalla mancata contestazione del concorso nei reati di falso, che non sarebbe rimossa dall'impugnata ordinanza; in mancanza di altri comportamenti da ricondursi ad integrazione di artificio o raggiro, sarebbe, dunque, possibile attribuire altro significato ai passi delle intercettazioni telefoniche richiamate dal Tribunale, "trattandosi semmai di raccomandazione spiegata in termini di mera premura umanitaria"; 2) la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all'art. 274 c.p.p., comma 1, lett. c) in quanto il Tribunale avrebbe fornito una motivazione manifestamente illogica in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, pervenendo alla prognosi positiva di reiterazione del reato "per la enfatizzazione di rapporti asseritamene intrattenuti con altri soggetti" pure in difetto di elementi concreti che riflettano l'attuale ed effettiva potenzialità a commettere nuovi reati della stessa specie di quello contestato.
Motivi della decisione
Il primo motivo, con cui si denuncia la carenza e/o illogicità della motivazione in punto di individuazione dei "gravi indizi di colpevolezza" di cui all'art. 273 c.p.p. va dichiarato inammissibile, risultando le censure prospettate manifestamente infondate. Invero il Tribunale, con adeguata e logica motivazione, aderente alle risultanze processuali, ha esposto con chiarezza le ragioni del proprio convincimento in ordine all'esistenza di elementi idonei a condurre ad una probabile condanna, a fronte delle quali appaiono prive di pregio le doglianze espresse da parte ricorrente.
Valga considerare che il provvedimento impugnato non manca di specificità nel ricostruire il quadro indiziario acquisito, segnatamente osservando: che l'interpretazione suggerita dalla difesa dell'indagata in ordine ai contenuti delle intercettazioni telefoniche non appare plausibile alla luce di alcuni dati obiettivi e non contestati, ricavabili dai documenti acquisiti dal Pubblico Ministero; che, in particolare, i contenuti delle conversazioni telefoniche contraddicono le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dalla C. e, nel contempo, raffrontati con lo svolgimento della pratica di inabilità e del ricorso previdenziale, depongono nel senso che l'indagata fosse al corrente delle reali condizioni del D.N. e delle iniziative intraprese ai fini del conseguimento da parte dello stesso delle indebite prestazioni previdenziali; che il quadro indiziario, delineato dal P.M. e recepito dal GIP, non risulta superato neppure dagli argomenti probatori della difesa, relativi all'acquisto di una videocamera, non apparendo plausibile un intento "giustizialista" dell'indagata, che, se esistente, si sarebbe tradotto in una denuncia all'Autorità Giudiziaria; che (anche a non voler ritenere che il concorso nei reati di falso non sia in fatto contestato nell'ambito del capo relativo alla truffa) risulta, comunque, chiaramente descritta nel capo di imputazione la condotta contestata alla C., consistita nell'avere concordato con i medici suddetti la redazione del falso certificato e del falso verbale di visita; che la riferita condotta risulta idonea a costituire quegli artifici e raggiri necessari ai fini del perfezionamento del delitto di cui all'art. 640 c.p. ed è certamente espressiva di un concorso nella commissione della truffa ai danni dell'ente pubblico.
La motivazione, qui sintetizzata, offre una soluzione congrua rispetto alle questioni che obiettivamente si prospettano sul punto delle condizioni generali di cui all'art. 273 c.p.p., alla stregua degli elementi espressamente considerati, risolvendo implicitamente tutte le altre soluzioni astrattamente proponibili sulla scorta di una diversa lettura degli atti e che non sono valutabili in questa sede. Il motivo, risulta perciò, da un lato manifestamente infondato e, dall'altro, del tutto in conferente. E' inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, con cui si lamenta l'illogicità della motivazione in ordine all'apprezzamento delle esigenze cautelari. Invero la prognosi di reiterazione del reato risulta formulata dal Tribunale, da un lato, tenendo conto dei rapporti intrattenuti dall'indagata quali emergenti dalle conversazioni telefoniche intercettate e dai riferimenti in esse contenuti ad analoghe pratiche previdenziali e, dall'altro, valutando il nesso strumentale ravvisabile tra il fatto contestato e la funzione sospesa, in considerazione delle possibili richieste di "aiuto" per l'ottenimento di indebite prestazioni previdenziali cui l'attività di assistente sociale potrebbe dare occasione. Orbene, sotto entrambi i profili, rilevanti per l'applicazione della misura interdittiva, l'impugnata ordinanza trova sostegno in un logico apparato argomentativo e si sottrae alla generica censura della ricorrente, volta a contestare le esigenze cautelari in termini apodittici e stereotipati.
In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non esulando profili di colpa nella proposizione del gravame, di una somma, alla Cassa delle ammende, che appare equo determinare in Euro 600,00.
p.q.m.
La Corte di cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 600,00 alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2006. Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2006