18.12.2006 free
CORTE di CASSAZIONE – (sospensione dall’esercizio della professione per pubblicità sanitaria non autorizzata e non veritiera) .
§ - la pubblicità sanitaria può essere effettuata solo mediante targhe apposte sull'edificio in cui si svolge l'attività ed inserzioni sugli elenchi telefonici, sugli elenchi generali di categoria e attraverso giornali e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie ed inserzioni, con modalità uniformi e con l'indicazione di specifici dati obbiettivi, ed è soggetta ad autorizzazione comunale, previo nullaosta dell'Ordine professionale. L'addebito mosso all'incolpato consisteva nell'avere effettuato pubblicità in violazione di legge, per avere, senza autorizzazione, esposto una targa ed effettuato inserzioni con contenuto non veritiero. Non rileva e non scusa, invece, la presenza nel territorio comunale di numerose altre targhe non autorizzate. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net ]
Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 8958 del 2006
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con delibera del 17.2.2003 la Commissione medica dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Arezzo disponeva l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del Dott. XX con l'addebito: di avere esposto una targa pubblicitaria senza la prescritta autorizzazione e contenente informazioni false, così configurando violazione degli artt. 53 e 54 del codice deontologico e della L. n. 175 del 1992 e successive modificazioni (in […], in periodo precedente al 30.5.2002) e di avere pubblicizzato sull'elenco telefonico di […], relativo agli anni 2001-2002, inserzione pubblicitaria non autorizzata e di contenuto non veritiero, così configurando violazione degli artt. 53 e 54 del codice deontologico e della L. n. 175 del 1992 e successive modificazioni (in […], dalla data di pubblicazione dell'elenco telefonico relativo agli anni 2001-2002 fino al ritiro, per sostituzione, dello stesso). All'esito del giudizio disciplinare, la Commissione riteneva il Dott. XX responsabile dell'infrazione contestatagli e gli irrogava la sanzione della sospensione dall'esercizio professionale per giorni trenta. Avverso la decisione il Dott. XX proponeva ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie chiedendo l'annullamento ed in subordine la riduzione della sanzione. La Commissione centrale, con decisione del 21.2.2005, respingeva il ricorso. Considerava quanto segue: il contenuto della targa, recante l'indicazione "Dr. XY", non era rispondente al vero, poiché il predetto, padre del Dott. XX, non poteva fregiarsi del titolo di dottore, avendo conseguito all'estero lauree non riconosciute in Italia ed essendo stato ammesso a frequentare il sesto anno della facoltà di medicina solo in data 23.1.2003; l'apposizione della targa recante la menzionata dicitura era riconducibile alla volontà dell'incolpato, che aveva del resto ammesso di essere responsabile di tale installazione, non autorizzata dall'Ordine;
l'esistenza nel Comune di […] di numerose altre targhe non autorizzate non era stata provata ed era comunque irrilevante; anche le inserzioni sulle pagine degli elenchi telefonici relativi agli anni 2001-2002, non autorizzate e recanti l'inveritiera indicazione dello studio come "medico dentistico" pur non essendo il Dott. XX abilitato all'esercizio della professione di odontoiatra avendo conseguito l'iscrizione all'Albo solo il 17.7.2003, erano state ammesse quale atto personale dell'incolpato. Avverso la decisione il Dott. XX ha proposto ricorso per Cassazione, affidandone l'accoglimento a quattro motivi. Ha resistito, con controricorso, il Ministero della salute.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente svolge tre questioni di legittimità costituzionale del D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 223, e segnatamente dell'art. 17 e seguenti del decreto come ratificato con L. 17 aprile 1956, n. 561 e successive modifiche per contrasto con gli artt. 101, 102, 104, 107 e 108 Cost. e con la 6^ disposizione transitoria finale. 1.1. Con la prima, si assume che il citato art. 17, nella parte in cui non prevede che, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, la Commissione centrale sia formata da soggetti diversi da quelli che ebbero a pronunciare la decisione cassata, violerebbe i principi di terzietà ed imparzialità della giurisdizione. 1.1.1. La questione è inammissibile per difetto di rilevanza. L'impugnata decisione non è stata adottata in sede di rinvio e l'ipotesi di una pronunzia siffatta di questa Corte nel presente giudizio è meramente ipotetica. 1.2. Con la seconda, si denuncia la mancata revisione della Commissione centrale, avente natura di giudice speciale, nel termine fissato dalla 6^ disposizione transitoria. 1.2.1. La questione è manifestamente infondata. Al termine previsto dalla VI disposizione transitoria va riconosciuta natura ordinatoria (v., per tutte, sent. n. 247/2001). 1.3. Con la terza, si assume che le norme che disciplinano la composizione della Commissione e la nomina e la revoca dei membri non sarebbero idonee a garantire l'indipendenza e l'imparzialità dell'organo. 1.3.1. La questione è manifestamente infondata. In tal senso questa Corte si è espressamente già pronunciata (v., per tutte, sent. n. 10396/01), ed il Collegio a tale orientamento ai uniforma. 2. Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 5 febbraio 1992, n. 175, artt. 1 e 2 e del D.M. 16 settembre 1994, n. 657, artt. 2 e 4 previsto dall'art. 2, comma 3, della citata legge, nonché del D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, art. 2 e del D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 67, ex art. 111 Cost. ed art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4, il ricorrente addebita alla Commissione: a) di aver ritenuto idonea a configurare attività pubblicitaria l'apposizione della targa, nonostante si trattasse di una targhetta di piccole dimensioni, posta accanto all'ingresso di uno studio situato al piano terra di un immobile non affacciante sulla pubblica strada ma all'interno di un cortile; b) di aver considerato messaggio pubblicitario, l'inserzione sugli elenchi telefonici, recante l'indicazione "Dott. XX, Studio Medico Dentistico, 224 vl. […]", e di averne ritenuto inveritiero il contenuto; c) di aver ritenuto che l'apposizione di una targa avente tali caratteristiche e l'inserzione negli elenchi del menzionato annuncio fossero soggette a preventiva autorizzazione.
2.1. Il motivo, formulato in termini di violazione di norme di diritto, in realtà è rivolto a censurare valutazioni ed apprezzamenti compiuti dalla Commissione centrale e quindi a prospettare un vizio di motivazione della decisione su questioni di fatto. Ma l'inosservanza da parte della Commissione centrale dell'obbligo di motivazione su questioni di fatto può essere denunciata con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. soltanto sotto il profilo della violazione di legge, e quindi solo se la motivazione sia del tutto mancante ovvero meramente apparente o intrinsecamente illogica (v., per tutte, sent. S.U. n. 1951/03). Ipotesi che, nella specie, non sussistono.
3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell'art. 81 (ex 85) del Trattato sull'Unione Europea e della direttiva 450/84 CEE siccome modificata dalla direttiva 97/55 CE e del D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, art. 2 come modificato dal D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 67 e della L. 10 ottobre 1990, n. 287, recante norme sulla concorrenza e sul mercato, ex art. 111 Cost. ed art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4. Assume il ricorrente che la Commissione centrale ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 53 del codice deontologico, secondo cui "nel rispetto delle disposizioni di legge, a difesa del pubblico cui è destinata, la pubblicità e le informazioni in materia sanitaria devono essere contenute entro i limiti del decoro professionale e ispirati a criteri di serietà scientifica e a fini di tutela della saluta", senza fornire motivazione alcuna sulla idoneità dei fatti contestati ad esorbitare dai limiti del decoro professionale. Sostiene, inoltre, che, poiché la L. n. 287 del 1990, a garanzia del diritto di iniziativa economica, nel rispetto della normativa comunitaria, ribadisce il divieto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente, il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale ed istituisce l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, non sono ammissibili limitazioni e/o divieti in materia pubblicitaria, la legislazione nazionale che pone limiti alla pubblicità in materia sanitaria contrasterebbe con la normativa comunitaria.
3.1. Il motivo è infondato. Circa il primo profilo di censura, va rilevato che la decisione impugnata ha esattamente ritenuto sussistente la violazione dell'art. 53 del codice deontologico, che sanziona l'esercizio della pubblicità in modo non conforme alle disposizioni di legge, nella specie costituite dalla L. n. 175 del 1992, come modificata dal D.Lgs. n. 42 del 1999 (secondo cui: la pubblicità sanitaria può essere effettuata solo mediante targhe apposte sull'edificio in cui si svolge l'attività ed inserzioni sugli elenchi telefonici, sugli elenchi generali di categoria e attraverso giornali e periodici destinati esclusivamente agli esercenti le professioni sanitarie ed inserzioni, con modalità uniformi e con l'indicazione di specifici dati obbiettivi, ed è soggetta ad autorizzazione comunale, previo nulla-osta dell'Ordine professionale). L'addebito mosso all'incolpato consisteva appunto nell'avere effettuato pubblicità in violazione della citata legge, per avere, senza autorizzazione, esposto una targa ed effettuato inserzioni con contenuto non veritiero. E tali comportamenti il giudice disciplinare ha accertato essere effettivamente avvenuti. Circa il preteso contrasto della L. n. 175 del 1992, applicata dalla Commissione, con la disciplina comunitaria della concorrenza, va rilevato che la citata normativa è volta a regolare la pubblicità sanitaria prevedendo limiti e controlli al fine di evitarne l'esercizio scorretto, e di una disciplina siffatta non può certamente predicarsi l'effetto di falsare il gioco della concorrenza, essendo al contrario tesa ad assicurarne il rispetto. 4. Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, art. 47, violazione e falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., n. 4, omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4, il ricorrente addebita alla Commissione di aver ritenuto fondate le accuse sulla base di pretesi comportamenti confessori dell'incolpato e di non aver motivato il rigetto della istanza subordinata di riduzione della sanzione. 4.1. Il motivo va disatteso.
Il primo profilo di censura è inammissibile, vertendo sulla valutazione delle risultanze probatorie, che la Commissione ha corredato di motivazione non apparente ne' illogica. Il secondo è infondato, dovendosi ritenere implicito il rigetto della istanza di riduzione della sanzione nella valutazione di adeguatezza della stessa in relazione alla evidenza delle violazioni accertate che conclude la decisione.
5. In conclusione, il ricorso è rigettato. 6. Le spese del giudizio di Cassazione seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in favore dell'Amministrazione resistente in Euro 5.000,00, oltre le spese prenotate a debito. Così deciso in Roma, il 22 marzo 2006. Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2006