10.09.03 free
TAR LAZIO - (tecnico responsabile del laboratorio di analisi ; sulla inidoneità di eventuali dichiarazioni “postume” ai fini dell’asseveramento dello svolgimento delle mansioni superiori; sulla legittimita' del diniego alle maggiorazioni, in assenza di posto vacante in pianta organica)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
sent.7083 Anno 2003 >BR> IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
Anno 1989 - Sezione I-bis - ha pronunciato la seguente Sentenza
sul ricorso n. 7083 del 1989, proposto da Di Giamberardino Nicolina, rappresentata e difesa dall’avv. Filippo De Giovanni, presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, piazza delle Iris n. 18 contro l’Unità Sanitaria Locale RM/5, in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio per l'annullamento del silenzio-rifiuto formatosi a seguito dell’atto notificato in data 8 aprile 1989 Visto il ricorso con la relativa documentazione; Visto l’atto di costituzione in giudizio della Gestione Liquidatoria della U.S.L. ROMA/B, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Fallerini, elettivamente domiciliata in Roma, via Filippo Meda n. 35, presso il Dipartimento Contenzioso dell’Azienda; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 12 maggio 2003 il Cons. Roberto POLITI; uditi altresì l'avv. F. De Giovanni per la parte ricorrente e l’avv. M. Fallerini per la resistente Gestione Liquidatoria. Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Espone la ricorrente – dipendente della U.S.L. RM/5 – di aver disimpegnato, previo conferimento intervenuto con atto del 28 novembre 1984 – l’incarico di tecnico responsabile del laboratorio di analisi. A fronte di tale svolgimento mansionistico, lamenta l’interessata il mancato riconoscimento del relativo differenziale retributivo rispetto alle spettanze da essa percepite in ragione della qualifica formalmente rivestita; ulteriormente dolendosi che la formale richiesta in tal senso, notificata in data 8 aprile 1989, si rimasta senza alcun esito.
Contesta, dunque, il silenzio per l’effetto formatosi sulla base dei seguenti argomenti di censura: Violazione dell’art. 36 della Costituzione, la cui diretta applicabilità allo svolgimento dei rapporti di lavoro subordinato necessariamente implica che il riconoscimento della retribuzione sia adeguato all’attività lavorativa effettivamente svolta; Violazione del D.P.R. 384/83, in ragione della fissazione delle retribuzioni con riferimento alle posizioni funzionali del personale. Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente declaratoria di illegittimità del silenzio come sopra formatosi, riconoscimento del diritto alla liquidazione della retribuzione corrispondente alle superiori mansioni effettivamente svolte e conseguente condanna della U.S.L. intimata alla liquidazione del relativo differenziale retributivo, maggiorato degli interessi in misura di legge e delle maggiori somme per rivalutazione monetaria. L'Amministrazione resistente, ancorché ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio. Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 12 maggio 2003.
Diritto
1. Con decisione interlocutoria n. 545, pubblicata mediante deposito in Segreteria il 30 gennaio 2003, questa Sezione ha disposto l’integrazione del contraddittorio processuale – avuto riguardo all’originaria notificazione dell’atto introduttivo del giudizio nei soli confronti della U.S.L. RM/5 – nei confronti: della Regione Lazio, nella persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, nonché della Gestione Liquidatoria della (ex-)U.S.L. RM/5, nella persona del Commissario liquidatore nominato dalla predetta Amministrazione regionale al fine della definizione delle posizioni creditorie e debitorie facenti capo al predetto Ente. Del predetto adempimento veniva onerata la parte ricorrente, alla quale veniva all’uopo fissato un termine di giorni sessanta decorrente dalla notificazione o comunicazione della presente decisione; ulteriormente stabilendosi che la stessa parte avrebbe successivamente provvedendo, entro l'ulteriore termine di giorni trenta dal completamento delle anzidette formalità di notificazione, al deposito dell'atto introduttivo del giudizio come sopra notificato.
A seguito dell’adempimento del predetto incombente, si è costituita in giudizio – con atto depositato il 2 maggio 2003 – la Gestione Liquidatoria della U.S.L. ROMA/B, che ha contestato la fondatezza della pretesa dedotta dalla parte ricorrente in quanto: l'incarico concernente lo svolgimento delle mansioni superiori onde trattasi proverrebbe da un ordine di servizio non riconducibile all’organo avente competenza al riguardo (il Comitato di Gestione della U.S.L.); e, ulteriormente, per il periodo interessato dallo svolgimento del compendio mansionistico onde trattasi non sarebbe risultata alcuna vacanza di posto nella pianta organica (né sarebbero state avviate procedure concorsuali preordinate alla copertura del posto). 2. Le dedotte argomentazioni – confortate anche da concludenti rilievi documentali depositati in giudizio dalla Gestione Liquidatoria – inducono ad escludere che il proposto gravame rechi persuasivi profili di accoglibilità.
Difetta, quanto all’impostazione di parte ricorrente – volta, come illustrato in narrativa, al conseguimento del differenziale retributivo per le mansioni superiori asseritamente svolte – la prova, pur astrattamente nella disponibilità della parte stessa, del loro ininterrotto espletamento su posto vacante in pianta organica (circostanza, quest’ultima, peraltro espressamente confutata dalla Gestione Liquidatoria, come in precedenza riportato).
E difetta ulteriormente, a monte, un provvedimento formale di conferimento delle funzioni, emanato nelle forme di legge dall’organismo a ciò competente nell’ambito della struttura organizzativa della U.S.L. intimata: non assumendo, al riguardo, idonea (ed equipollente) rilevanza meri ordini di servizio, ovvero attestazioni aventi carattere meramente ricognitivo. La presenza di entrambi i cennati presupposti– nella fattispecie insussistenti (o, comunque, indimostrati) – costituisce, come è noto, indefettibile condizione ai fini del riconoscimento della pretesa patrimoniale onde trattasi. L’indisponibilità degli interessi pubblici inerenti alla scelta del tipo di attività lavorativa da svolgersi dai dipendenti pubblici e l’esigenza che la selezione del personale avvenga sulla base della generale regola del concorso concernono, infatti, non solo il momento della immissione nei ruoli dell’Amministrazione Pubblica, ma anche il successivo sviluppo del rapporto.
E ciò, al di fuori del casi contemplati dall’ordinamento, rende comunque irrilevanti le mansioni superiori espletate dai pubblici dipendenti ai fini sia giuridici che economici (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 2001, n. 1110; sez. V, 24 marzo 1998, n. 354; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 22 dicembre 2000 n. 4883). Sul punto (delle ricadute economiche dello svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica di formale inquadramento del pubblico dipendente) è comunque intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le due note pronunzie n. 22 del 18 novembre 1999 e n. 10 del 28 gennaio 2000.
Il supremo consesso della giustizia amministrativa ha avuto, con i citati interventi ermeneutici, modo di dirimere il dibattito giurisprudenziale ancora in piedi intorno alla vexata quaestio della retribuibilità o meno delle mansioni superiori svolte di fatto dai pubblici dipendenti, concludendo per la loro irrilevanza. A tale indirizzo la Sezione ritiene di aderire, evidenziando come nel caso del personale sanitario dipendente dal Servizio Sanitario Nazionale non esista alcuna normazione primaria che rechi un’eccezione al principio della irrilevanza delle funzioni di che trattasi.
Al contrario, può affermarsi che tutto il sistema normativo si caratterizza per la suddetta irrilevanza: a partire dall’obbligo di sostituzione che grava sull’aiuto rispetto al primario ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 128/1969, al penultimo comma dell’art. 47 della l. 833/1978, allo stesso art. 29 del D.P.R. 761/1979, la cui lettura è innanzi tutto nel senso della irrilevanza delle mansioni fattuali, fino alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 29/93 che, proprio per l’innovazione in materia di trattamento delle mansioni superiori, dimostrano la insussistenza di una precedente normativa di segno contrario. Fermo quanto sopra, la pretesa come sopra fatta valere in giudizio neppure può fondarsi sul richiamo operato alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e, quindi, all’art. 36 della Costituzione ed all’art. 2126 c.c.
Le pronunce del giudice delle leggi sul punto non possono, infatti, essere impegnative per l’interprete alla stregua del loro dispositivo e non tengono conto della norma di chiusura del sistema, quale costituita dal penultimo comma dell’art. 14 della l. n. 207/85, che commina la nullità ai provvedimenti di utilizzazione, a qualsiasi titolo, del personale di che trattasi in deroga alle vigenti disposizioni di legge. Né si dimostra suscettibile di accoglimento la tesi della idoneità di eventuali dichiarazioni “postume” ai fini dell’asseveramento dello svolgimento delle mansioni superiori. Specificamente per il settore sanitario, infatti, con riguardo ai princìpi ed alle disposizioni normative richiamate dal ricorrente, la giurisprudenza ha – condivisibilmente – più volte chiarito che il riconoscimento del trattamento economico superiore, ai sensi dell’art. 29, comma II, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, è subordinato: alla presenza di un preventivo atto di conferimento dell’incarico adottato dagli organi competenti dell’Amministrazione (a nulla rilevando l’adozione di eventuali atti deliberativi recanti riconoscimento postumo delle mansioni superiori: cfr., fra le numerose pronunzie in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 1999 n. 1447, 20 luglio 1999 n. 857, 11 giugno 1999 n. 629 e 31 dicembre 1988 n. 1977); e, ulteriormente, alla disponibilità all’interno della pianta organica dell’Ente posto relativo alla posizione funzionale al cui contenuto corrispondono le mansioni disimpegnate (presupposto non comprovato in alcun modo dalla parte ricorrente; ed anzi, espressamente confutato dalla resistente Amministrazione costituitasi in giudizio).
3. Nel ribadire, alla stregua delle considerazioni precedentemente svolte, l’infondatezza dei dedotti argomenti di censura, dispone conclusivamente il collegio la reiezione della presente impugnativa. Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare integralmente fra le parti costituite le spese del presente giudizio. P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I-bis – definitivamente pronunziando in ordine al ricorso indicato in epigrafe, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12 maggio 2003, con l’intervento dei signori giudici Dr. Cesare MASTROCOLA – Presidente Dr. Roberto POLITI – Consigliere, relatore, estensore Dr. Pietro MORABITO – Consigliere
sent.7083 Anno 2003 >BR> IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
Anno 1989 - Sezione I-bis - ha pronunciato la seguente Sentenza
sul ricorso n. 7083 del 1989, proposto da Di Giamberardino Nicolina, rappresentata e difesa dall’avv. Filippo De Giovanni, presso il cui studio è elettivamente domiciliata, in Roma, piazza delle Iris n. 18 contro l’Unità Sanitaria Locale RM/5, in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio per l'annullamento del silenzio-rifiuto formatosi a seguito dell’atto notificato in data 8 aprile 1989 Visto il ricorso con la relativa documentazione; Visto l’atto di costituzione in giudizio della Gestione Liquidatoria della U.S.L. ROMA/B, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Maria Fallerini, elettivamente domiciliata in Roma, via Filippo Meda n. 35, presso il Dipartimento Contenzioso dell’Azienda; Viste le memorie prodotte dalle parti; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 12 maggio 2003 il Cons. Roberto POLITI; uditi altresì l'avv. F. De Giovanni per la parte ricorrente e l’avv. M. Fallerini per la resistente Gestione Liquidatoria. Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Espone la ricorrente – dipendente della U.S.L. RM/5 – di aver disimpegnato, previo conferimento intervenuto con atto del 28 novembre 1984 – l’incarico di tecnico responsabile del laboratorio di analisi. A fronte di tale svolgimento mansionistico, lamenta l’interessata il mancato riconoscimento del relativo differenziale retributivo rispetto alle spettanze da essa percepite in ragione della qualifica formalmente rivestita; ulteriormente dolendosi che la formale richiesta in tal senso, notificata in data 8 aprile 1989, si rimasta senza alcun esito.
Contesta, dunque, il silenzio per l’effetto formatosi sulla base dei seguenti argomenti di censura: Violazione dell’art. 36 della Costituzione, la cui diretta applicabilità allo svolgimento dei rapporti di lavoro subordinato necessariamente implica che il riconoscimento della retribuzione sia adeguato all’attività lavorativa effettivamente svolta; Violazione del D.P.R. 384/83, in ragione della fissazione delle retribuzioni con riferimento alle posizioni funzionali del personale. Conclude la parte ricorrente insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente declaratoria di illegittimità del silenzio come sopra formatosi, riconoscimento del diritto alla liquidazione della retribuzione corrispondente alle superiori mansioni effettivamente svolte e conseguente condanna della U.S.L. intimata alla liquidazione del relativo differenziale retributivo, maggiorato degli interessi in misura di legge e delle maggiori somme per rivalutazione monetaria. L'Amministrazione resistente, ancorché ritualmente intimata, non si è costituita in giudizio. Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 12 maggio 2003.
Diritto
1. Con decisione interlocutoria n. 545, pubblicata mediante deposito in Segreteria il 30 gennaio 2003, questa Sezione ha disposto l’integrazione del contraddittorio processuale – avuto riguardo all’originaria notificazione dell’atto introduttivo del giudizio nei soli confronti della U.S.L. RM/5 – nei confronti: della Regione Lazio, nella persona del Presidente p.t. della Giunta Regionale, nonché della Gestione Liquidatoria della (ex-)U.S.L. RM/5, nella persona del Commissario liquidatore nominato dalla predetta Amministrazione regionale al fine della definizione delle posizioni creditorie e debitorie facenti capo al predetto Ente. Del predetto adempimento veniva onerata la parte ricorrente, alla quale veniva all’uopo fissato un termine di giorni sessanta decorrente dalla notificazione o comunicazione della presente decisione; ulteriormente stabilendosi che la stessa parte avrebbe successivamente provvedendo, entro l'ulteriore termine di giorni trenta dal completamento delle anzidette formalità di notificazione, al deposito dell'atto introduttivo del giudizio come sopra notificato.
A seguito dell’adempimento del predetto incombente, si è costituita in giudizio – con atto depositato il 2 maggio 2003 – la Gestione Liquidatoria della U.S.L. ROMA/B, che ha contestato la fondatezza della pretesa dedotta dalla parte ricorrente in quanto: l'incarico concernente lo svolgimento delle mansioni superiori onde trattasi proverrebbe da un ordine di servizio non riconducibile all’organo avente competenza al riguardo (il Comitato di Gestione della U.S.L.); e, ulteriormente, per il periodo interessato dallo svolgimento del compendio mansionistico onde trattasi non sarebbe risultata alcuna vacanza di posto nella pianta organica (né sarebbero state avviate procedure concorsuali preordinate alla copertura del posto). 2. Le dedotte argomentazioni – confortate anche da concludenti rilievi documentali depositati in giudizio dalla Gestione Liquidatoria – inducono ad escludere che il proposto gravame rechi persuasivi profili di accoglibilità.
Difetta, quanto all’impostazione di parte ricorrente – volta, come illustrato in narrativa, al conseguimento del differenziale retributivo per le mansioni superiori asseritamente svolte – la prova, pur astrattamente nella disponibilità della parte stessa, del loro ininterrotto espletamento su posto vacante in pianta organica (circostanza, quest’ultima, peraltro espressamente confutata dalla Gestione Liquidatoria, come in precedenza riportato).
E difetta ulteriormente, a monte, un provvedimento formale di conferimento delle funzioni, emanato nelle forme di legge dall’organismo a ciò competente nell’ambito della struttura organizzativa della U.S.L. intimata: non assumendo, al riguardo, idonea (ed equipollente) rilevanza meri ordini di servizio, ovvero attestazioni aventi carattere meramente ricognitivo. La presenza di entrambi i cennati presupposti– nella fattispecie insussistenti (o, comunque, indimostrati) – costituisce, come è noto, indefettibile condizione ai fini del riconoscimento della pretesa patrimoniale onde trattasi. L’indisponibilità degli interessi pubblici inerenti alla scelta del tipo di attività lavorativa da svolgersi dai dipendenti pubblici e l’esigenza che la selezione del personale avvenga sulla base della generale regola del concorso concernono, infatti, non solo il momento della immissione nei ruoli dell’Amministrazione Pubblica, ma anche il successivo sviluppo del rapporto.
E ciò, al di fuori del casi contemplati dall’ordinamento, rende comunque irrilevanti le mansioni superiori espletate dai pubblici dipendenti ai fini sia giuridici che economici (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 1° marzo 2001, n. 1110; sez. V, 24 marzo 1998, n. 354; T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 22 dicembre 2000 n. 4883). Sul punto (delle ricadute economiche dello svolgimento di mansioni superiori rispetto a quelle proprie della qualifica di formale inquadramento del pubblico dipendente) è comunque intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le due note pronunzie n. 22 del 18 novembre 1999 e n. 10 del 28 gennaio 2000.
Il supremo consesso della giustizia amministrativa ha avuto, con i citati interventi ermeneutici, modo di dirimere il dibattito giurisprudenziale ancora in piedi intorno alla vexata quaestio della retribuibilità o meno delle mansioni superiori svolte di fatto dai pubblici dipendenti, concludendo per la loro irrilevanza. A tale indirizzo la Sezione ritiene di aderire, evidenziando come nel caso del personale sanitario dipendente dal Servizio Sanitario Nazionale non esista alcuna normazione primaria che rechi un’eccezione al principio della irrilevanza delle funzioni di che trattasi.
Al contrario, può affermarsi che tutto il sistema normativo si caratterizza per la suddetta irrilevanza: a partire dall’obbligo di sostituzione che grava sull’aiuto rispetto al primario ai sensi dell’art. 7 del D.P.R. 128/1969, al penultimo comma dell’art. 47 della l. 833/1978, allo stesso art. 29 del D.P.R. 761/1979, la cui lettura è innanzi tutto nel senso della irrilevanza delle mansioni fattuali, fino alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 29/93 che, proprio per l’innovazione in materia di trattamento delle mansioni superiori, dimostrano la insussistenza di una precedente normativa di segno contrario. Fermo quanto sopra, la pretesa come sopra fatta valere in giudizio neppure può fondarsi sul richiamo operato alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e, quindi, all’art. 36 della Costituzione ed all’art. 2126 c.c.
Le pronunce del giudice delle leggi sul punto non possono, infatti, essere impegnative per l’interprete alla stregua del loro dispositivo e non tengono conto della norma di chiusura del sistema, quale costituita dal penultimo comma dell’art. 14 della l. n. 207/85, che commina la nullità ai provvedimenti di utilizzazione, a qualsiasi titolo, del personale di che trattasi in deroga alle vigenti disposizioni di legge. Né si dimostra suscettibile di accoglimento la tesi della idoneità di eventuali dichiarazioni “postume” ai fini dell’asseveramento dello svolgimento delle mansioni superiori. Specificamente per il settore sanitario, infatti, con riguardo ai princìpi ed alle disposizioni normative richiamate dal ricorrente, la giurisprudenza ha – condivisibilmente – più volte chiarito che il riconoscimento del trattamento economico superiore, ai sensi dell’art. 29, comma II, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, è subordinato: alla presenza di un preventivo atto di conferimento dell’incarico adottato dagli organi competenti dell’Amministrazione (a nulla rilevando l’adozione di eventuali atti deliberativi recanti riconoscimento postumo delle mansioni superiori: cfr., fra le numerose pronunzie in tal senso, Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 1999 n. 1447, 20 luglio 1999 n. 857, 11 giugno 1999 n. 629 e 31 dicembre 1988 n. 1977); e, ulteriormente, alla disponibilità all’interno della pianta organica dell’Ente posto relativo alla posizione funzionale al cui contenuto corrispondono le mansioni disimpegnate (presupposto non comprovato in alcun modo dalla parte ricorrente; ed anzi, espressamente confutato dalla resistente Amministrazione costituitasi in giudizio).
3. Nel ribadire, alla stregua delle considerazioni precedentemente svolte, l’infondatezza dei dedotti argomenti di censura, dispone conclusivamente il collegio la reiezione della presente impugnativa. Sussistono, peraltro, giusti motivi per compensare integralmente fra le parti costituite le spese del presente giudizio. P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I-bis – definitivamente pronunziando in ordine al ricorso indicato in epigrafe, lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 12 maggio 2003, con l’intervento dei signori giudici Dr. Cesare MASTROCOLA – Presidente Dr. Roberto POLITI – Consigliere, relatore, estensore Dr. Pietro MORABITO – Consigliere