30.05.2006 free
CORTE di CASSAZIONE - sez. penale (una autocertificazione, per ottenere dalla ASL, in regime di esenzione, l'erogazione delle prestazioni sanitarie, concretizza il reato di truffa?)
§ - Il fatto che le dichiarazioni false sono state rese dall'imputata in una autocertificazione, assume precipuo rilievo. Invero l'autocertificazione è un atto particolare nel quale il soggetto esplica un potere certificatorio, normalmente riservato al pubblico ufficiale ed in sostituzione di questo; la significatività di siffatto atto e la responsabilità che con il medesimo si assume il privato che ne è protagonista, valgono ad attribuirgli particolare efficacia persuasiva e pertanto esso è idoneo a configurare un raggiro. ( avv. ennio grassini - www.dirittosanitario.net)
Sez. V - Sentenza n. 30896/ 05
Motivi della decisione
Con sentenza 9-11-04 il Gup presso il Tribunale di Patti, all'esito dell'udienza preliminare, dichiarava non doversi procedere nei confronti di D. L. P. per il reato di truffa ascrittole ex art. 640 c. 2 c.p. (per avere con artifici e raggiri, consistiti nel rendere una falsa dichiarazione sostitutiva di certificazione in ordine alla sua situazione di disoccupata o licenziata ed al reddito del proprio nucleo famigliare, indotto in errore l'Azienda Ospedaliera di Patti, ottenendo in regime di esenzione contributiva l'erogazione delle prestazioni sanitarie richieste, con proprio ingiusto profitto e danno per l'Ente).
All'uopo detto giudice rilevava che l'art. 316 ter c.p., avente carattere sussidiario rispetto all'art. 640 c.p., induceva ad escludere che le condotte delineate nel primo, potessero di per sè solo, se non indirizzate al conseguimento di una sovvenzione pubblica e se non integrate da ulteriori profili idonei a configurare sussistenza di artifici e raggiri, integrare i reati di cui al c. 1 e 2 n. 1 c.p.; evidenziava che nel caso concreto l'imputata si era limitata ad apporre la propria sottoscrizione alla attestazione, riportata tramite timbro sul retro della ricetta, di versare in condizioni di reddito ed occupazione richieste dalla legge per usufruire dell'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria e che era mancata qualsiasi azione antecedente, concomitante o successiva; escludeva infine che la condotta de qua potesse essere sanzionata dall'art. 3 D.l. 382/89 il quale punisce ai sensi dell'art. 640 c. 2 c.p. "chiunque, con qualsiasi mezzo, ottiene indebitamente l'esenzione dal pagamento di quote di partecipazione alla spesa sanitaria": ciò in quanto l'art. 8 del Dlgs 124/98 aveva sancito l'abrogazione di tutte le precedenti norme in materia di partecipazione alla spesa sanitaria e di esenzione dalla stessa, non esplicitamente confermate e che fra queste ultime non v'era il citato art. 3.
Avverso la riportata decisione hanno proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica ed il Procuratore Generale deducendo violazione degli artt. 316 ter, 640, 640 bis c.p., dell'art. 382/89 e dell'art. 8 D.Lvo 124/98.
In particolare gli impugnanti assumevano: che la norma incriminatrice di cui all'art. 3 del D.L. 382/89 non poteva considerarsi abrogata non essendo "norma in materia di partecipazione alla spesa sanitaria e di esenzione della stessa"; che ai fini della configurabilità della truffa anche il mero mendacio ed il semplice silenzio su circostanze rilevanti, se attivamente diretti a trarre in inganno il soggetto passivo, possono integrare l'artificio della truffa; che solo con riguardo a indebita percezione di erogazioni finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche o allo svolgimento di attività di interesse pubblico sussisteva differente disciplina a secondo che la condotta si fosse esplicata col mero mendacio (operando in tal senso l'art. 316 ter c.p.) ovvero con diverse ed ulteriori modalità ingannevoli (operando in tal senso l'art. 640 c.p. con l'aggravante di cui all'art. 640 bis c.p.); che siffatta disciplina non era irragionevole, essendo evidente che il legislatore con riferimento ai finanziamenti comunitari ed alle analoghe erogazioni degli enti pubblici nazionali aveva voluto adottare una tutela penale articolata, il che escludeva la necessità di revisione interpretativa della truffa comune.
I ricorsi sono fondati per le seguenti decisive ragioni.
La disposizione di cui all'art. 316 ter c.p. - che incrimina l'indebito conseguimento di sovvenzioni pubbliche mediante semplice presentazione di documenti inveritieri o di dichiarazioni mendaci ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute - ha senza dubbio carattere sussidiario rispetto alla truffa prevista dall'art. 640 bis c.p., essendo essa diretta a reprimere comportamenti che altrimenti non rientrerebbero in quest'ultima norma: ciò è reso evidente dalla clausola di riserva "salvo che il fatto costituisca il più grave reato previsto dall'art. 640 bis" ed in tal senso si è espressa la Corte Costituzionale (sentenza 25/94) nonchè la Cassazione (Cass. S.U. 15-3-96 n. 02780 RV. 203969 e successivamente: 23-11-01 n. 41928 RV. 220200); quanto sopra si riflette anche sull'interpretazione dell'art. 640 c.p. rispetto al quale quello successivo configura un ipotesi aggravata e non una figura autonoma (Cass. S.U. 10-7-02 n. 26351 RV. 221663) Deve peraltro puntualizzarsi che, proprio in virtù della citata clausola di riserva, non può escludersi che i comportamenti menzonieri o reticenti descritti nell'art. 316 ter c.p. non siano idonei in relazione a determinati contesti e modalità ad integrare "artifici e raggiri" (cit. Cass. S.U. 96/02780).
Con specifico riguardo alla fattispecie in esame va considerato che le dichiarazioni false sono state rese dall'imputata in una autocertificazione, il che assume precipuo rilievo.
Invero l'autocertificazione è un atto particolare nel quale il soggetto esplica un potere certificatorio, normalmente riservato al pubblico ufficiale ed in sostituzione di questo: la significatività di siffatto atto e la responsabilità che con il medesimo si assume il privato che ne è protagonista, valgono ad attribuirgli particolare efficacia persuasiva e pertanto esso è idoneo a configurare un raggiro.
D'altro canto va ricordato che questa Corte ebbe a ritenere che un documento falso, nel caso in cui sia realizzato da chi lo utilizza, costituisce un raggiro (Cass. 31-10-03 n. 41480 RV. 227137).
Per le svolte argomentazioni la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla Corte di appello di Messina la quale, attenendosi agli enunciati principi dovrà procedere a nuovo esame in ordine alla richiesta del pubblico ministero di rinvio a giudizio della D. L..
P.Q.M.
La Corte, annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Messina per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2005.
Depositato in Cancelleria il 12 agosto 2005