30/08/2023 free
Violenza sessuale ai danni della moglie: è sufficiente che la volontà del soggetto passivo sia coartata.
Cass. pen., sez. III, ud. 23 maggio 2023 (dep. 28 luglio 2023), n. 32951
omissis
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 14/11/2022 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza in data 06/07/2021 del Tribunale di Lodi, condannava O.S.M. in ordine al delitto di cui agli artt. 81 cpv., 572 e 609-bis c.p. commessi in (omissis), alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione.
2. Avverso tale sentenza l'indagato propone, tramite il difensore di fiducia, ricorso per cassazione. In particolare:
2.1. Con il primo motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lettera c) in relazione all'erronea applicazione dell'art. 572 c.p., con specifico riferimento al requisito dell'abitualità della condotta;
2.2. Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lettera c) in relazione all'erronea applicazione dell'art. 609-bis c.p., con specifico riferimento, nel caso di specie, al requisito della assenza di consenso ai rapporti sessuali e alla sussistenza di rapporti sessuali regolari e volontari;
2.3. Con il terzo motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 609-bis, comma 3, c.p.;
2.4. Con il quarto motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis c.p..
Considerato in diritto
1. Preliminarmente, la Corte osserva come La Corte di appello ha, con motivazione immune da vizi di manifesta illogicità o contraddizioni, ritenuto attendibile la deposizione della parte offesa, moglie dell'imputato sia per la violenza sessuale e sia per gli altri reati (v. pag. 6 sentenza).
In tema di reati sessuali, poiché la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione circa l'attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene il modo di essere della persona escussa, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria. (Sez. 3, n. 3969 del 4/10/2022, dep. 2023, Di Pasquale, n. m.; Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006 - dep. 18/12/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
Nel caso di specie, il ricorrente neppure contesta la genuinità della deposizione della persona offesa, le cui dichiarazioni debbono quindi ritenersi attendibili.
2. Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Se infatti è vero che la Corte ritiene che ai fini della configurabilità del reato abituale di maltrattamenti in famiglia "è richiesto il compimento di atti che non siano sporadici e manifestazione di un atteggiamento di contingente aggressività, occorrendo una persistente azione vessatoria idonea a ledere la personalità della vittima" (Sez. 6, n. 6126 del 09/10/2018, Rv. 275033 - 01), è altrettanto vero che sia la sentenza di primo grado che quella di appello (che vanno lette congiuntamente trattandosi di "doppia conforme") hanno motivato in modo non manifestamente illogico o contraddittorio (v. pag. 4 della sentenza impugnata) in ordine alla reiterazione della condotta di maltrattamenti per un lungo arco temporale, culminati (e non certo esauriti) in sei episodi di percosse, fino a concludere che "gli atti denunciati, costituititi da percosse ingiurie, vessazioni e umiliazioni, hanno connotato l'intera convivenza e concretano quella sofferenza fisica e psichica capace di ledere fisica e psichica ed il patrimonio morale della vittima, che integra la condotta di maltrattamento" (pag. 5).
Tali vessazioni sarebbero state confermate (v. pag. 5 sentenza) dalle dichiarazioni testimoniali della vicina di casa, S.M. , dagli assistenti sociali C.L. e F.D. , nonché dalla conoscente R.M. .
Il motivo, che costituisce una pedissequa reiterazione del motivo di appello, disatteso da parte della Corte territoriale con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria, deve essere dichiarato inammissibile in quanto fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame e che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Del tutto priva di pregio appare poi la censura secondo cui i giudici di appello non hanno valutato l'allegazione difensiva secondo cui a volte i due coniugi si picchiavano vicendevolmente, posto che per costante giurisprudenza "in tema di maltrattamenti in famiglia, lo stato di inferiorità psicologica della vittima non deve necessariamente tradursi in una situazione di completo abbattimento, ma può consistere anche in un avvilimento generale conseguente alle vessazioni patite, non escludendo sporadiche reazioni vitali ed aggressive della vittima la sussistenza di uno stato di soggezione a fronte di soprusi abituali" (Sez. 3, n. 46043 del 20/03/2018, Rv. 274519 - 02).
Il ricorso, in sostanza, si limita a fornire una lettura "alternativa" degli elementi di prova rispetto a quella fornita dalla Corte di appello di Milano (e dal giudice di primo grado) per sostenere una diversa ricostruzione del "fatto", operazione esclusa nel giudizio di cassazione (sul punto v. Sez. 4, n. 24826, del 16/03/2021, Benenati, non massimata: "il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali"", che cita, in senso conforme, Sez.4, n. 5693, del 31.03.1999 rv 213798-01; Sez.1, n. 10528, del 12.07.2000, rv 217052-01).
Per costante giurisprudenza di legittimità (v., ex plurimis, Sez. 5, n. 186 del 13/09/2022, Bruscoli, non massimata), infatti, esula "dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944)".
3. Il secondo motivo è del pari inammissibile.
Secondo costante giurisprudenza della Corte (v., ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 22127 del 23/06/2016, Rv. 270500 - 01) "integra l'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona. (Fattispecie in tema di atti sessuali realizzati nei confronti di una persona dormiente)".
Ancora, si è affermato (Sez. 3, n. 12628 del 17/12/2019, dep. 2020, n. m.) che "non è ravvisabile in alcuna fra le disposizioni legislative introdotte a seguito dell'entrata in vigore della L. n. 66 del 1996, (...) un qualche indice normativo che possa imporre, a carico del soggetto passivo del reato (...) un onere, neppure implicito, di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella sua sfera di intimità sessuale, dovendosi al contrario ritenere (...) che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell'esclusione dell'offensività della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che quand'anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita (Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016, Rv. 268186 - 01)".
Tale interpretazione appare anche conforme alla succitata Convenzione di Istanbul, il cui art. 36 impegna gli Stati a punire qualsiasi "atto sessuale non consensuale con penetrazione vaginale, anale o orale" nonché "altri atti sessuali compiuti su una persona senza il suo consenso".
In sostanza, nei reati contro la libertà sessuale, il dissenso è sempre presunto, salva prova contraria (v. da ultimo Sez. 3, n. 19599 del 19/03/2023, Ceci, n. m.).
Inoltre, la Corte ritiene il mancato dissenso ai rapporti sessuali con il proprio coniuge, in costanza di convivenza, non ha valore scriminante quando sia provato che la parte offesa abbia subito tali rapporti per le violenze e le minacce ripetutamente poste in essere nei suoi confronti, con conseguente compressione della sua capacità di reazione per timore di conseguenze ancor più pregiudizievoli, dovendo, in tal caso, essere ritenuta sussistente la piena consapevolezza dell'autore delle violenze del rifiuto, seppur implicito, ai congiungimenti carnali (Sez. 3, n. 17676 del 14/12/2018, dep. 2019, Rv. 275947 - 01).
Nel caso di specie, a pagina 6 della sentenza la Corte territoriale dà conto della circostanza che la persona offesa - la cui piena attendibilità non costituisce, come visto, oggetto di censura - avesse in più occasioni "espresso il suo dissenso", affermazione che la Corte reputa sufficiente ai fini della prova del fatto ("perché a volte quando lui vuole fare l'amore con te se tu dici no lui vuole fare per forza perché ha detto che lui che è marito è lui che decide quello che vuole, che io non ho dovere di decidere niente in casa... c'erano a volte che lo non lo vuole ma lui vuole per forza e tiene le mie gambe o mie mani per fare l'amore con me per forza con le sue mani mi stringe così... lo provo a dire che non volevo... lo non posso chiamare. lo ho vergogna questa cosa o vergognoso chiamare i ragazzi così").
Del tutto generica e privo di pregio appare poi la censura secondo cui i due coniugi avessero avuto nel tempo anche rapporti consensuali, avendo la Corte ritenuto che tale prassi costituisca, al contrario, la manifestazione da parte della persona offesa di intrattenere, per il resto, una ordinaria relazione interpersonale (Sez. 3, n. 40607 del 16/06/2022, Parziale, n. m.), ma che certo non elide la necessità di raccogliere, di volta in volta, il consenso del partner per il compimento di rapporti sessuali.
Inoltre, per costante giurisprudenza della Corte, in tema di reati sessuali l'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima va esaminata non secondo criteri astratti e aprioristici, ma valorizzando in concreto ogni circostanza oggettiva e soggettiva, sicché essa può sussistere anche in relazione ad una intimidazione psicologica attuata in situazioni particolari tali (come nel caso di coniuge maltrattato) da influire negativamente sul processo mentale di libera determinazione della vittima, senza necessità di protrazione nel corso della successiva fase esecutiva (Sez. 3, n. 19611 del 4 marzo 2021; Sez. 3, n. 149085 del 24/01/2013, Rv. 2559022; Sez.3, n. 967 del 26/11/2014, dep.13/01/2015, Rv.2612637).
Perciò, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata.
Neppure è necessario che l'uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall'inizio fino al congiungimento: è sufficiente, invece, che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta (Sez. 3, n. 3141 del 25/02/1994 Ascari, Rv. 1989709; Sez. 3, n. 3969 del 04/10/2022, dep. 2023).
E il dissenso della vittima può essere desunto da una molteplicità di fattori anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (Sez.3, n. 249298 del 12/05/2010, Rv.2472877).
Per quanto sopra esposto, il motivo è pertanto manifestamente infondato.
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p., in quanto non era stato dedotto con l'atto di appello.
5. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In riferimento alle circostanze di cui all'art. 62-bis c.p., la Corte (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli) ritiene che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto dell'imputato, conseguente all'assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, De Crescenzo, Rv. 281590; inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all'art. 62 bis c.p., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l'indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell'ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all'art. 133 c.p., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; analogamente Cass., Sez. VI, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419: "la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell'art. 62-bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato").
Rileva altresì la Corte che "il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l'assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis, disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell'imputato (Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017,)".
Ancora, "la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull'accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell'imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell'istanza, l'onere di motivazione del diniego dell'attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio" (Sez. 3, n. 9836 del 9 marzo 2016).
Scendendo in concreto, il giudice di seconda cura condivide la valutazione effettuata dal primo giudice in ordine alla determinazione della pena, ritenendo che il trattamento sanzionatorio sia stato "correttamente determinato e non è suscettibile di ulteriore riduzione con la concessione delle attenuanti atipiche, richieste dall'appellante, non potendosi svolgere alcuna positiva valutazione in ordine alla acquisita consapevolezza dell'imputato in ordine all'illiceità dei suoi comportamenti e alla sofferenza procurata ai congiunti".
Tale motivazione, sia pure stringata, non appare porsi in contrasto con la disciplina relativa al diniego delle attenuanti in parola, avendo comunque i giudici chiarito quali elementi di segno negativo abbiano valorizzato nella decisione, così sottraendo il relativo scrutinio al perimetro di valutazione di questa Corte.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte d'Appello di Milano.