22/07/2022 free
Per la equivalenza dei titoli del pregresso ordinamento ( Podologo ) non sono sufficienti 216 ore di corso
Il provvedimento impugnato, sostanzialmente, applica quanto definito dal D.P.C.M. del 26 luglio 2011, con il quale sono stati stabiliti i criteri di valutazione del titolo di cui si chiede l’equivalenza, prevedendo che “ad ogni parametro, in relazione al suo valore, viene attribuito un punteggio ricavato dalle tabelle contenute nell’allegato A del presente Accordo” (comma 2) e che “Nella durata del corso di formazione si computano sia le ore di formazione teorica sia le ore di formazione pratica . Se non è raggiunto il limite minimo di durata di 750 ore annue complessive, il punteggio attribuito a questo parametro è ridotto, calcolando in proporzione al numero di ore di formazione svolte per singolo anno.”.
La Conferenza di servizi, posto che i titoli di podologo afferenti all’area sanitaria rilasciati in conformità della normativa precedente (d.m. 26 gennaio 1988, n. 30) erano triennali, ha stabilito il limite non inferiore di 250 ore annuali (750/3 = 250) per ritenere valutabile una formazioneai fini dell’equivalenza a un titolo universitario abilitante all’esercizio di una professione sanitaria; limite poi ridotto a 225 ore.
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Pubblicato il 07/07/2022
N. 09273/2022 REG.PROV.COLL.
N. 13580/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Stralcio)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 13580 del 2016, proposto da
...., rappresentato e difeso dall'avvocato Enrico Scoccini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via G.B. Vico, 31;
contro
Ministero della Salute, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Lazio, rappresentato e difeso dall'Maria Privitera, domiciliataria ex lege in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
per l'annullamento
del provvedimento del 17.10.2016 con il quale è stata dichiarata l'inammissibilità dell'istanza di riconoscimento dell'equivalenza del titolo di podologo ottenuta in forza del pregresso ordinamento ai titoli universitari dell'area sanitaria.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Salute e di Regione Lazio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 24 giugno 2022 la dott.ssa Claudia Lattanzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Ministero resistente con il quale è stata dichiarata l’inammissibilità della sua istanza volta al riconoscimento dell’equivalenza al titolo universitario di podologo, ai sensi dell’art. 4, comma 2, l. n. 42/1999, dell’attestato di frequenza di un corso professionale.
Il ricorrente ha dedotto i seguenti motivi: 1. Violazione di legge; violazione dell’art. 4, comma 2, l. 42/1999 e dell’art. 2 D.P.C.M. 26 luglio 2011. 2. Violazione di legge. Violazione dell’art. 4, comma 4, l. 42/1999. Eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione.
Sostiene il ricorrente:
- che il Ministero ha confuso l’ipotesi recata al 1° comma dell’art. 4 della l. n. 42 del 1999 stante il quale i titoli del pregresso ordinamento avevano efficacia immediata, con l’ipotesi del 2° comma in base al quale invece i titoli rilasciati dovevano essere integrati da apposita riqualificazione professionale;
- che non è stata valutata l’esperienza lavorativa;
- che doveva essere valutato nel merito il corso frequentato.
Il Ministero resistente si è costituito controdeducendo nel merito.
Alla pubblica udienza del 24 giugno 2022 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato
Anzitutto non sussiste la dedotta confusione tra la norma recata dall’art. 4, comma 1 e quella recata dal successivo comma 2 della legge n. 42 del 1999, atteso che la legge n. 42 del 1999, recante disposizioni in materia di professioni sanitarie disciplina, all’art. 4, l'equipollenza dei diplomi conseguiti sulla base della normativa anteriore a quella di attuazione dell'art. 6, comma 3 del d.lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni, con quelli universitari, le c.d. lauree brevi, sia ai fini dell’esercizio professionale che a quelli di accesso alla formazione post-base.
Come rilevato dalla giurisprudenza, “da una lettura sistematica del comma 1 e del comma 2 della citata norma deve desumersi che non tutti i titoli preesistenti possono essere riconosciuti come equipollenti nel senso testé indicato. Ed infatti, se al comma 1 i titoli pregressi da dichiarare equipollenti sono quelli che abbiano permesso l'iscrizione ai relativi albi professionali, ovvero l'esercizio dell'attività professionale in regime di lavoro dipendente o autonomo o, infine, che siano previsti dalla normativa concorsuale del Servizio Sanitario Nazionale o degli altri comparti del settore pubblico, il successivo comma 2 si occupa, in maniera specifica, dei titoli diversi da quelli indicati nel capoverso precedente, rispetto ai quali, e sulla base di determinati criteri, è demandato ad un decreto ministeriale il compito di individuare ulteriori - ed eventuali - ipotesi di equipollenza. Quest'ultima, pertanto, può operare in via automatica solo se il relativo diploma sia stato conseguito a seguito di un corso che, in base alla pregressa disciplina, fosse già stato riconosciuto quale uniforme ed equivalente, mentre, per gli altri casi, si attribuisce al Ministero della Sanità e dell'Istruzione il compito di individuare, con attività sicuramente a natura discrezionale, i titoli e gli attestati che rispondono all'esigenza di assicurare un grado di formazione professionale sufficiente ed omogeneo rispetto alla preparazione universitaria (Consiglio di Stato, sezione VI, 29 settembre 2010, n. 7192)” (TAR Lazio, sez. III, 3 marzo 2017, n. 3073).
È poi da rilevare che la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ha sancito l’Accordo tra Governo e Regioni, recepito con D.P.C.M. del 26 luglio 2011, con il quale sono stati stabiliti i criteri e le modalità per riconoscere come equivalenti ai diplomi universitari, i titoli conseguiti conformemente all’ordinamento in vigore anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali ai fini dell'esercizio professionale e dell'accesso alla formazione post-base di cui all’art. 4, comma 2, l. n. 42/1999, “Disposizioni in materie sanitarie”,
L’Accordo stabilisce, all’art. 2, comma 1, i criteri di valutazione del titolo oggetto della richiesta di equivalenza, individuati nella durata del corso di formazione regolarmente autorizzato dagli enti preposti allo scopo e nell’esperienza lavorativa.
Il comma 2 dell’articolo su citato stabilisce che “ad ogni parametro, in relazione al suo valore, viene attribuito un punteggio ricavato dalle tabelle contenute nell’allegato A del presente Accordo”, e il comma 3 stabilisce che “nella durata del corso di formazione si computano sia le ore di formazione teorica sia le ore di formazione pratica. Se non è raggiunto il limite minimo di durata di 750 ore annue complessive, il punteggio attribuito a questo parametro è ridotto, calcolando in proporzione al numero di ore di formazione svolte per singolo anno.”
Il ricorrente ha partecipato all’Avviso pubblico per la presentazione delle domande di riconoscimento dell’equivalenza dei titoli del pregresso ordinamento ai titoli universitari dell’area sanitaria di cui all’art. 6 comma 3, d.lgs. 502/92, indetto dalla Regione Lazio.
L’Amministrazione, con il provvedimento impugnato, ha negato il richiesto riconoscimento in quanto ha “giudicato negativamente l’attestato di frequenza di un corso professionale per Podologo rilasciato da un Centro di formazione autorizzato dal Consorzio Provinciale dell’Istruzione Tecnica di Roma, in data 13 aprile 1972. Ciò, in quanto la durata della formazione dell’attestato di frequenza in Suo possesso è stata valutata con 0 punti (durata corso 216 ore); dunque, non raggiungendo il limite minimo fissato all’unanimità nella Conferenza dei Servizi del 20 marzo 2014, in coerenza con l’art. 3, del D.P.C.M. 26.07.2011 e del relativo allegato A, la Conferenza dei Servizi dopo aver ascoltato il Rappresentante della Associazione Nazionale più rappresentativa di cui al D.D. 28 luglio 2014 ha ritenuto, all’unanimità, di non prendere in considerazione il titolo in esame in quanto non valutabile ai fini del riconoscimento dell’equivalenza al titolo universitario di Podologo di cui all'art. 4, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42”.
Il provvedimento impugnato, sostanzialmente, applica quanto definito dal D.P.C.M. del 26 luglio 2011, con il quale sono stati stabiliti i criteri di valutazione del titolo di cui si chiede l’equivalenza, prevedendo che “ad ogni parametro, in relazione al suo valore, viene attribuito un punteggio ricavato dalle tabelle contenute nell’allegato A del presente Accordo” (comma 2) e che “Nella durata del corso di formazione si computano sia le ore di formazione teorica sia le ore di formazione pratica . Se non è raggiunto il limite minimo di durata di 750 ore annue complessive, il punteggio attribuito a questo parametro è ridotto, calcolando in proporzione al numero di ore di formazione svolte per singolo anno.”.
La Conferenza di servizi, posto che i titoli di podologo afferenti all’area sanitaria rilasciati in conformità della normativa precedente (d.m. 26 gennaio 1988, n. 30) erano triennali, ha stabilito il limite non inferiore di 250 ore annuali (750/3 = 250) per ritenere valutabile una formazioneai fini dell’equivalenza a un titolo universitario abilitante all’esercizio di una professione sanitaria; limite poi ridotto a 225 ore.
Il ricorrente ha autodichiarato lo svolgimento di un percorso formativo bimestrale nell’anno 1972 per un monte ore complessivo di 216, con la conseguenza che il titolo di cui si chiede il riconoscimento non poteva essere valutato proprio in quanto la formazione è stata espletata per un monte ore complessivo non raggiunge il limite minimo fissato.
Il cursus studiorum poteva essere oggetto di valutazione, solo allorquando il ricorrente avesse avuto la durata minima stabilita dalle norme.
La mancata valutazione dell’esperienza professionale e del merito del corso frequentato deriva anch’essa dall’assenza del requisito della durata minima delle ore del corso frequentato, posto che il D.P.C.M. 26 luglio 2011, stabilisce espressamente, all’art. 2 comma 1 (criteri di valutazione) che “il titolo oggetto della richiesta di equivalenza ad un diploma universitario è valutato, in ogni caso, sulla base dei seguenti parametri: a) durata del corso di formazione regolarmente autorizzato dagli enti preposti allo scopo; b) esperienza lavorativa”.
Infatti, è stato rilevato che questo articolo ha fissato “una priorità per l'esame del titolo e successivamente, una volta valutatane la congruità con il nuovo ordinamento, di verificare che l'esperienza lavorativa sia riferibile ad una attività coerente o comunque assimilabile a quella prevista per la figura professionale per la quale si chiede l'equivalenza, come dal successivo comma 4 stabilito” (TAR Lazio, sez. III, 3 marzo 2017, n. 3073).
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Stante la particolarità della questione e avuto riguardo al momento della proposizione del ricorso le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Stralcio), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2022 con l'intervento dei magistrati:
Maria Cristina Quiligotti, Presidente
Claudia Lattanzi, Consigliere, Estensore
Silvia Piemonte, Referendario
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Claudia Lattanzi Maria Cristina Quiligotti