07.03.2005 free
CORTE di CASSAZIONE - sez. unite (appartiene alla cognizione del Giudice Ordinario la controversia dei medici specialisti in ordine alla richiesta di borse di studio , relative al periodo 1983/91)
§ - Sia nella ipotesi di pretesa fondata su un'applicazione retroattiva del d.l.vo n. 257 del 1991, ovvero sull'obbligo dello Stato di risarcire il danno derivante dalla mancata trasposizione viene fatto valere, in ogni caso, un diritto soggettivo. Spetta, quindi, al giudice ordinario verificare quale fosse l'esatta qualificazione giuridica del diritto fatto valere, seguendo le indicazioni date dalla Corte comunitaria, oltre a quelle rese in materia di risarcimento da mancato adempimento di obblighi derivanti da mancata o inesatta trasposizione di direttive.
Ne' può neppure ritenersi - come affermato dal Consiglio di Stato nella decisione 9 febbraio 2004, n. 445 - che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo perchè afferente ad un pubblico servizio, in relazione all'art. 7,lett. a), della legge 21 luglio 2000, n. 205, avendo la Corte Costituzionale, con sentenza del 6 luglio 2004, n. 204, dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale norma, ripristinando in materia i previgenti criteri di riparto della giurisdizione (www.dirittosanitario.net)
Cass. civ. Sez. Un. 4 febbraio 2005, n. 2203
Svolgimento del processo
1. Con citazione notificata il 27 dicembre 1994 GP.A. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Palermo l'Università degli Studi di Palermo e i Ministeri della Sanità, della Ricerca Scientifica e Tecnologica e del Tesoro e, premesso di essere laureato in medicina, chiedeva che, secondo le direttive comunitarie 75/363/CEE e 82/76/CEE, immediatamente vincolanti per gli Stati membri, e il d.l.vo 8 agosto 1991, n. 257, che vi aveva dato attuazione, gli fosse riconosciuta una borsa di studio per la frequenza della scuola di specializzazione dal 1990 al 1994, in misura non inferiore a lire 21.500.000 annue, con interessi e rivalutazione.
I Ministeri convenuti, costituitisi, deducevano il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e svolgevano difese nel merito. Il tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, rilevando la non immediata applicabilità delle citate direttive e qualificando, quindi, la posizione soggettiva fatta valere come interesse legittimo. La sentenza, impugnata dall'attore, veniva confermata dalla corte d'appello di Palermo con sentenza 13 luglio - 27 novembre 2001.
Osservava la corte di merito che le direttive comunitarie invocate dall' A. si limitavano a stabilire criteri di ordine generale sulla formazione dei medici e sull'adeguata retribuzione degli stessi, demandando agli Stati membri l'adozione di tutte le norme necessarie per l'attuazione delle stesse direttive.
Pur attribuendo il d.l.vo 8 agosto 1991, n. 257, una borsa di studio di lire 21.500.000 annue a coloro che siano stati ammessi ad una scuola di specializzazione, nei limiti definiti dalla programmazione di cui all'art. 2, 2 comma, tale ammissione presupponeva varie determinazioni discrezionali della competente autorità amministrativa (numero degli specialisti da formare, numero dei posti per ciascuna scuola, previsione di riserve per determinate categorie, adeguata copertura finanziaria). Inoltre la percezione del compenso era subordinata alla verifica del rispetto di taluni obblighi, prescrivendo l'art. 4 la formazione del medico specialista a tempo pieno, con partecipazione alla totalità delle attività mediche del servizio e esami di prova finali, e inibendo l'art. 5 l'esercizio di attività libero - professionali esterne alle strutture assistenziali. Pertanto, la fruizione della borsa di studio postulava, non una qualsiasi frequenza di un corso dispecializzazione, ma una frequenza connotata da particolari elementi che sostanzialmente finiscono con l'equiparare gli specializzandi al personale medico a tempo pieno del servizio sanitario e richiede, quindi, un'ammissione, che suppone determinazioni discrezionali da parte di vari organi, e in relazione al numero degli ammessi e all'adeguata copertura finanziaria, valutazioni che non possono essere attribuite al giudice ordinario. Non poteva, pertanto, riconoscersi consistenza di diritto soggettivo alla posizione giuridica fatta valere dall'appellante.
Nè, secondo la corte d'appello, poteva invocarsi la legge 19 ottobre 1999, n. 370, la quale riconosceva una borsa di studio annua di lire 13.000.000 ai medici iscritti alle scuole di 'specializzazione dall'anno accademico 1983/94 all'anno accademico 1990/91, destinataridi alcune sentenze del t.a.r. Lazio passate in giudicato, in quanto la stessa legge, richiedendo la formazione di un giudicato, puntualizzava inequivocabilmente la natura d'interesse legittimo della situazione vantata da tali soggetti. Tale trattamento non poteva considerarsi discriminatorio, in quanto gli specializzandi iscritti negli anni anteriori all'entrata in vigore del d.l.vo n. 257 avevano comunque dimostrato il possesso dei requisiti posti da tale decreto, infine, non poteva pretendersi l'indiscriminata estensione del giudicato a soggetti rimasti estranei al giudizio amministrativo, in difetto dell'esercizio, da parte dell'amministrazione, di un potere discrezionale di estensione.
Avverso tale sentenza GP.A. ha proposto ricorso per Cassazione, sulla base di cinque mezzi d'annullamento e di memoria. Hanno presentato controricorso l'Università degli Studi di Palermo,nonchè i Ministeri dell'Università e della Ricerca Scientifica, della Sanità e del Tesoro. p. 2. I motivi di ricorso. 2.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta l'erroneità della declaratoria di difetto di giurisdizione, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte d'appello, le direttive che regolano il rapporto dei medici specializzandi sono vincolanti e immediatamente applicabili dai giudici nazionali degli Stati membri, come riconosciuto dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia del 25 febbraio 1999 e 3 ottobre 2000, nelle quali i Giudici comunitari hanno affermato l'esistenza del diritto ad una adeguata retribuzione. Nelle stesse sentenze si precisa che le direttive non contengono norme incondizionate e sufficientemente precise per quanto attiene l'individuazione dell'organo tenuto al pagamento, nè sulladeterminazione della retribuzione dovuta, il che non esclude l'esistenza di un diritto perfetto alla retribuzione, anche se non liquido ed esigibile.
La questione svolta dalla corte di merito, secondo cui il decreto di trasposizione non sarebbe applicabile ai rapporti precedenti alla sua entrata in vigore, non atterrebbe alla giurisdizione, ma al merito della controversia. A tale impostazione non contraddicono le pronunce dei giudici amministrativi, nelle quali è stata affermata la giurisdizione di tale giudice in controversie riguardanti il trattamento degli specializzandi, in quanto tali giudizi avevano per oggetto l'impugnazione di atti amministrativi, e precisamente il decreto interministeriale del 17 dicembre 1991 concernente la determinazione del fabbisogno annuo dei medici specializzandi.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione delledirettive comunitarie 72/362, 75/363 e 83/76 ed errata declinatoria della giurisdizione, richiama la motivazione delle già citate sentenze della Corte di Giustizia, in forza delle quali dalle predette direttive discende il diritto degli specializzandi all'adeguata retribuzione, anche per i periodi anteriori al d.l.vo 8 agosto 1991, n. 257, emanato dopo che la Corte di Giustizia, con la sentenza 7 luglio 1987 in causa 49/86, aveva dichiarato che l'Italia era venuta meno all'obbligo di trasporre le direttive in questione.
L'obbligo di disapplicazione del diritto nazionale in contrasto col diritto comunitario, nell'interpretazione formulata dalla Corte di Giustizia, comporta l'applicazione delle direttive nella parte in cui esse contengono norme precise, da cui discende un diritto per i singoli e, quindi, l'applicazione del citato decreto dalla data in cui le direttive erano divenute esecutive.
Allo stesso risultato si perverrebbe, comunque, anche interpretandola normativa nazionale in modo conforme al diritto comunitario, secondo un principio affermato dalla Corte di Giustizia. 2.3. Col terzo motivo il ricorrente censura la declaratoria di difetto di giurisdizione, nella parte in cui è stata fondata sull'affermata mancanza di un diritto soggettivo tutelabile. Premesso che il possesso dei requisiti dovrebbe essere, comunque, verificato in relazione a quelli stabiliti dalla normativa all'epoca in vigore (nella specie, il d.p.r. 10 marzo 1982, n. 162, e particolarmente l'art. 11), il ricorrente rileva, comunque, che anche il preteso difetto dei requisiti non inciderebbe sulla giurisdizione.
2.4. Col quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazionedel decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, con riferimento ad erarat declinatoria della giurisdizione, il ricorrente deduce che i presupposti per la remunerazione, pur attinenti al merito della controversia, e non alla giurisdizione, erano comunque sussistenti. In particolare, come risultava dalla certificazione prodotta, la scuola frequentata, in termini di durata, di frequenza obbligatoria e di attività espletata, aveva tutti i requisiti previsti dalla disciplina comunitaria. Inoltre, il fatto che la prestazione sia stata effettuata a tempo ridotto non ostava - secondo la direttiva 82/76 - a riconoscere il diritto alla remunerazione.
2.5. Col quinto motivo il ricorrente denuncia - sempre ai fini della giurisdizione - violazione e falsa applicazione dei principi in tema di potere del giudice di qualificare i fatti posti a base delladomanda e violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., nonchè dei principi affermati dalla Corte di giustizia CE in materia di risarcimento dei danni da mancata trasposizione di direttive (sentenze 10 novembre 1991, Francovich, e 5 marzo 1996, Brasserie du Pecheur e Factortame). Richiamato il principio affermato dalla giurisprudenza comunitaria in tema di responsabilità dello Stato per il danno derivato al singolo dal mancato rispetto degli obblighi devianti dal Trattato CE (e, in particolare, dalla mancata trasposizione di un direttiva nel termine dalla stessa stabilito), il ricorrente deduce che, quand'anche si ritenesse inapplicabile retroattivamente il d.l.vo n. 257/91, la responsabilità debitoria delle amministrazioni convenute avrebbe dovuto essere, comunque, affermata al predetto titolo, una volta riconosciuta l'identità dei fatti posti a base della domanda, ecioè l'avvenuta frequentazione della scuola di specializzazione. Con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, la giurisdizione doveva considerarsi attribuita al giudice ordinario, in conformità al principio del petitum sostanziale, non essendo determinante la qualificazione data dalla parte, ma l'effettiva protezione data dall'ordinamento alla posizione giuridica fatta valere.
In riferimento a tale domanda non sussisterebbe il difetto di giurisdizione delle amministrazioni convenute, essendo le stesse, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, legittimate a rispondere dei danni subiti dal ricorrente.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso, i quali debbono essere congiuntamente esaminati in quanto svolgono, sotto diversi profili, questioni di giurisdizione, meritano accoglimento.
Come esattamente rilevato dal ricorrente, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nelle sentenze 25 febbraio 1999 in causa C - 131/97, Annalisa Carbonari e a. c. Università degli Studi di Bologna e a.; 3 ottobre 2000 in causa C - 371/97, Cinzia Gozza e a. c. Università degli Studi di Padova e a., ha affermato che dalle direttive del Consiglio 75/362/CEE (articoli 5 e 7); 75/353/CEE, (art. 2, n. 1, lett. c), e 82/76/CEE deriva l'obbligo incondizionato e sufficientemente preciso di retribuire la formazione del medico specializzando. L'adempimento di tale obbligo, ove lo Stato membro (come nel caso dell'Italia) non abbia adottato nel termine prescritto le misure di trasposizione delle direttive, deve essere assicurato mediante gli strumenti idonei previsti dall'ordinamento nazionale.
Nella sentenza Carbonari (punti da 48 a 53) la Corte di Lussemburgo ha indicato, quali modalità di adempimento di tale obbligo, l'applicazione retroattiva delle norme nazionali di trasposizione,attraverso un'interpretazione di tale norme conforme alle direttive e, ove tale applicazione non sia possibile, attraverso il risarcimento del danno da mancato adempimento, da parte dello Stato membro, degli obblighi derivanti dall'adesione al Trattato CE. Nella sentenza in causa C - 371/97 la Corte comunitaria ha inoltre affermato (punto 39) che un'applicazione retroattiva delle misure nazionali di trasposizione costituirebbe una misura sufficiente a garantire un adeguato risarcimento, salva la possibilità di dimostrare ulteriori danni. La natura incondizionata e sufficientemente precisa delle norme delle direttive, in quanto attribuiscono agli specializzandi un diritto perfetto ad una adeguata remunerazione, da tutelarsi in forma risarcitoria secondo i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia a partire dalla sentenza Francovich, è stata affermata dalle Sezioni Unitenella sentenza 10 aprile 2002, n. 5125 e dalla successiva sentenza della terza Sezione civile del 16 maggio 2003, n. 7630. Tale interpretazione - che recepisce quella della Corte di Giustizia nelle richiamate sentenze Carbonari e Gozza - deve essere condivisa, con le consequenziali statuizioni sul riparto della giurisdizione. Le Sezioni Unite si riportano alla motivazione delle sentenze di questa Suprema Corte sopra richiamate, con le ulteriori precisazioni che seguono.
Secondo il Collegio, la disamina compiuta dalla corte di merito non tiene conto dell'univoca indicazione derivante dalle citate decisioni della Corte di Giustizia, seguite alla sentenza del 7 luglio 1987 in causa 49/86, con la quale era stata dichiarato l'inadempimento della Repubblica Italiana all'obbligo di trasposizione della direttiva 82/76/CEE. La corte d'appello ha, infatti, errato sotto un duplice profilo: perchè si è soffermata sui procedimenti amministrativi,sfocianti in atti per lo più discrezionali, attraverso i quali viene costituito il rapporto giuridico tra specializzando e università, costituente la fonte dell'obbligo di remunerazione, senza porsi il problema della diritto ad essa relativo, scaturente direttamente dall'ordinamento comunitario. Nella specie, infatti, non viene sindacato l'esercizio di potestà organizzative della p.a.; perchè non ha considerato che, anche se dovesse ricostruirsi la disciplina interna in modo da subordinare l'erogazione del compenso a valutazioni discrezionali, tale disciplina sarebbe contraria al diritto comunitario, e dovrebbe, pertanto, essere disapplicata. Pur essendo indifferente all'ordinamento comunitario la tipologia delle situazioni soggettive, e in particolare la configurazione di quella conferita allo specializzando in relazione al trattamento economico, è evidente che la qualificazione della situazione come interesse legittimo confliggerebbe con le disposizioni delle direttive di cuiè stata riconosciuta l'immediata applicazione, in quanto la nascita del diritto verrebbe subordinata all'esercizio di poteri amministrativi discrezionali. In altri termini, la tutela giurisdizionale apprestata dall'ordinamento nazionale agli interessi legittimi, in quanto presuppone una scelta discrezionale dell'amministrazione, non sarebbe idonea ad assicurare una soddisfazione incondizionata del diritto nascente dalle direttive.
Con la domanda formulata dall'attore, comunque qualificata (e cioè, quale pretesa fondata su un'applicazione retroattiva del d.l.vo n. 257 del 1991, ovvero sull'obbligo dello Stato di risarcire il danno derivante dalla mancata trasposizione) veniva fatto valere, in ogni caso, un diritto soggettivo. Spettava, quindi, al giudice ordinario verificare quale fosse l'esatta qualificazione giuridica del diritto fatto valere, seguendo le indicazioni date dalla Corte comunitarianelle citate sentenze, oltre a quelle rese in materia di risarcimento da mancato adempimento di obblighi derivanti da mancata o inesatta trasposizione di direttive.
Nella ricostruzione ed interpretazione della domanda doveva, infatti, considerarsi anche tale profilo, in applicazione del principio, più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenze 14 dicembre 1995 in cause C - 312/93, Peterbroeck e C - 430, 431/93, Van Schijndel, nonchè 27 febbraio 2003 in causa C - 327/00, Santex s.p.a.) dell'obbligo del giudice nazionale di applicare anche d'ufficio il diritto comunitario, disapplicando, ove necessario, le norme nazionali che con esso siano in contrasto.
Infine non può neppure ritenersi - come affermato dal Consiglio di Stato nella decisione 9 febbraio 2004, n. 445 - che la controversia sia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo perchè afferente ad un pubblico servizio, in relazione all'art. 7,lett. a), della legge 21 luglio 2000, n. 205, avendo la Corte Costituzionale, con sentenza del 6 luglio 2004, n. 204, dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale norma, ripristinando in materia i previgenti criteri di riparto della giurisdizione. Nella specie si tratta di diritto soggettivo che, oltre a non essere inciso dall'esercizio di un potere discrezionale della p.a., non si ricollega ad un rapporto di concessione di pubblico servizio ed ha, comunque, ad oggetto un corrispettivo, per cui la controversia non può ritenersi devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 5 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
In conclusione, dovendo essere affermata la giurisdizione del giudiceordinario sulla domanda volta ad ottenere il pagamento di una adeguata remunerazione, la sentenza impugnata deve essere cassata, al pari di quella di primo grado, che aveva del pari declinato la giurisdizione, con rinvio al primo giudice, che deciderà anche sulle spese della presente fase. Restano fuori dall'oggetto del giudizio delle Sezioni Unite - che devono limitare il proprio esame alla questione di giurisdizione - tutte le altre questioni, quali l'esistenza dei requisiti che danno luogo secondo la disciplina comunitaria e quella nazionale con essa non confliggente - all'obbligo della remunerazione.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite; accoglie il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; cassa la sentenza impugnata e quella di primo grado e rinvia, anche per le spese di questa fase, ad una sezione del tribunale di Palermo diversa da quella che ha emesso la sentenza di primo grado.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 18 novembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2005