10/04/2021 free
Decorso della prescrizione del diritto di risarcimento da patologie conseguenti ad emotrasfusioni.
Per i danni lungolatenti, derivanti da patologie contratte in ambito sanitario e che richiedono un periodo di incubazione prima della manifestazione esterna e visibile anche solo medicalmente, è comunque necessario evitare che il danneggiante risulti esposto sine die a possibili azioni risarcitorie, di talché ai fini del decorso della prescrizione del diritto al risarcimento del danno deve essere preso in considerazione quale dies a quo quello dell'effettiva conoscenza da parte del soggetto leso della patologia e del nesso eziologico riconducibile (come nel caso di specie, avente ad oggetto la patologia virale dell'epatite C) all'emotrasfusione subita durante un ricovero.
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Tribunale Napoli sez. X, 08/02/2021 , n.1216
omissis
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
(...) ha adito questo Tribunale per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dall'infezione da epatite cronica HCV, che assume di aver contratto in seguito ad un ricovero presso l'Azienda Ospedaliera di Caserta, durato dal 16/5/2006 al 1/7/2006, dovuto ad un "Trauma cranico commotivo. Politrauma della strada"; deduceva infatti che, nel corso della degenza, veniva sottoposto a ripetute somministrazioni di sacche di plasma, come risulta dalla relativa cartella clinica, e che successivamente non ha avuto la necessità di ricorrere ad alcun ulteriore tipo di intervento chirurgico, né a terapie trasfusionali, né a qualsivoglia cura medica ovvero odontoiatrica, fino al 09/07/2012, allorquando veniva ricoverato presso il Presidio Ospedaliero di Piedimonte Matese (CE), a causa di una lesione alla spalla destra, per la prima volta risultando essere affetto da "Epatite cronica HCV correlata".
Sosteneva l'attore che il nesso di causalità che riconduce la contrazione della malattia alle trasfusioni subite presso l'Azienda Ospedaliera di Caserta, è provato dall'accoglimento del ricorso proposto ex art. 5 della legge n.210/1992, atteso che l'istruttoria ex lege n.210/1992 si è conclusa con l'affermazione della sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni praticate nel 2006 ed il contagio.
Il convenuto Ministero si costituiva eccependo preliminarmente la prescrizione ed il difetto di legittimazione passiva; nel merito deduce l'insussistenza della dedotta responsabilità civile.
Si costituiva altresì l'Azienda Ospedaliera di Rilevanza Nazionale "Sant'Anna e San Sebastiano" di Caserta, eccependo la prescrizione della domanda e l'insussistenza di una propria responsabilità.
1. Questione pregiudiziale di rito relativa alla legittimazione passava, intesa quale titolarità passiva del rapporto giuridico controverso
Va rilevato che nella fattispecie sussiste la unicamente la legittimazione passiva del convenuto Ministero della Salute.
Infatti, in materia di danno derivante da emotrasfusione, si era posta in dubbio la legittimazione passiva del Ministero in luogo di quella della struttura sanitaria presunta responsabile o dell'operatore sanitario che in concreto ha posto in essere la procedura trasfusionale.
La questione è ormai risolta: infatti, la giurisprudenza di merito e di legittimità afferma ormai pacificamente la legittimazione passiva del solo Ministero della Salute, individuando in esso il supremo ed esclusivo garante del sistema di trasfusioni e vaccinazioni sull'intero territorio nazionale. Dall'analisi del sistema normativo di rango primario e secondario si evince che le prerogative ministeriali restano, nel contesto alluvionale di regolamentazioni regionali e settoriali, il costante punto di riferimento sotto il profilo della pianificazione, del coordinamento, della vigilanza e della programmazione. È, infatti, di primaria importanza che l'assistenza sanitaria e la prevenzione epidemiologica mantengano uno standard elevato ed uniforme in ogni struttura sanitaria del Paese al fine di garantire la tutela della salute e l'uguaglianza di ogni cittadino (artt. 32 e 3 della Costituzione). Per tale imprescindibile motivo la riforma del Titolo V della Carta Fondamentale (in particolare con la nuova delimitazione delle sfere di competenza e la suddivisione delle potestà normative tra Stato e Regioni ex art. 117 Cost.) non ha inciso sulla determinazione di un livello omogeneo di assistenza sanitaria di portata nazionale e sulla corrispondente posizione apicale del Ministero della Salute. Oltre ai poteri specifici in materia di programmazione, del resto, il ruolo determinante è svolto anche, e soprattutto, in tema di controllo con la predisposizione del c.d. "piano sanitario nazionale".
Sussiste inconfutabilmente un ruolo primario del Ministero della Salute in materia di emotrasfusione tale da radicarne la legittimazione processuale: pertanto, in tema di patologie conseguenti ad infezione con i virus Hbv (epatite B), Hiv (Aids) e Hcv (epatite C), contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, già a partire dalla data di conoscenza del rischio del contagio dell'epatite B, comunque risalente ad epoca precedente all'anno 1978, in cui quel virus fu definitivamente identificato in sede scientifica, sussiste la responsabilità del Ministero della Salute, che era tenuto a vigilare sulla sicurezza del sangue e ad adottare le misure necessarie per evitare i rischi per la salute umana, anche per il contagio degli altri due virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo (Cass. 29/08/2011, n. 17685; Cass. 14/07/2011, n. 15453; Cass. 23/05/2011, n. 11301).
Da quanto innanzi chiarito deriva che il predetto dicastero è il soggetto legittimato passivamente rispetto alla pretesa risarcitoria azionata, mentre non sono passivamente legittimati né la struttura ospedaliera, né il primario del reparto.
In conclusione, la giurisprudenza di legittimità è ormai ferma nel ritenere che, in tema di patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV, HIV e HCV, contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, il Ministero della Salute va identificato come responsabile per i danni, provocati dall'omesso comportamento attivo di vigilanza e controllo in ordine alla effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio, di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante sangue infetto (Cass. 10/05/2018 n.11360; Cass. 29/08/2011, n. 17685).
Viceversa, in materia di emotrasfusione e contagio da virus HBV, HIV, HCV, non risponde per inadempimento contrattuale la singola struttura ospedaliera, pubblica o privata, inserita nella rete del servizio sanitario nazionale, che abbia utilizzato sacche di sangue, provenienti dal servizio di immunoematologia trasfusionale pubblico, preventivamente sottoposte ai controlli richiesti dalla normativa dell'epoca, esulando in tal caso dalla diligenza a lei richiesta il dovere di conoscere e attuare le misure attestate dalla più alta scienza medica a livello mondiale per evitare la trasmissione del virus, a meno che la struttura sanitaria non abbia provveduto direttamente con un proprio autonomo centro trasfusionale (Cass., 29/03/2018, n. 7884; Cass. 19/02/2016, n. 3261), ragion per cui nella fattispecie va rigettata la domanda proposta nei confronti della struttura ospedaliere e ritenuta invece ipotizzabile la prospettata responsabilità del Ministero della Salute.
1.2. Questione preliminare relativa all'eccezione di prescrizione.
Il convenuto Ministero si è tempestivamente costituito in giudizio eccependo la intervenuta prescrizione del diritto azionato.
Orbene, in materia di emotrasfusioni e delle relative conseguenze viene in rilievo l'interpretazione a livello giurisprudenziale, supportata da una cospicua letteratura scientifica, della tematica afferente ai c.d. "danni lungolatenti".
Il lungo lasso di tempo decorso tra la causa remota e l'evento dannoso (necessario perché la malattia si radichi per poi manifestarsi) ha da sempre posto il dilemma del decorso o meno del termine prescrizionale con conseguente paralisi delle eventuali pretese risarcitorie: ai sensi dell'art. 2947,1 co., c.c., infatti, il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale si prescrive in cinque anni dal "giorno in cui il fatto si è verificato" il che si tradurrebbe a tutto vantaggio di una condotta antigiuridica che, necessariamente, si è manifestata in un periodo risalente e nel quale la comunità scientifica ancora non era in grado di individuare con precisione le tipologie e le modalità di contagio di origine trasfusionale.
L'analisi deve, pertanto, essere condotta sotto un duplice aspetto: la durata del termine di prescrizione e l'inizio della sua decorrenza.
Da una lettura combinata dei commi 1 e 3 dell'art. 2947 c.c. si evince che l'ordinaria durata quinquennale della prescrizione in materia extracontrattuale si tramuta in un termine superiore qualora il fatto illecito produttivo del danno sia prevista dalla legge come reato e per questo sia stabilita una prescrizione più lunga, e tale principio deve trovare applicazione anche in caso di danno da emotrasfusione (Cass. 19/12/2013, n. 28464), ove però, almeno per il periodo in cui il pericolo di tale contagio per effetto di uso di sangue distribuito dalla strutture pubbliche, si potrebbe applicare il termine decennale solo configurando i reati di lesioni colpose plurime o di epidemia colposa ex art. 452 c.p. (prima delle modifiche intervenute proprio in materia di prescrizione in virtù delle quali, per effetto della legge 5 dicembre 2005 n. 251, il termine di prescrizione per entrambi i reati è stato abbassato a sei anni) che la non univoca giurisprudenza di merito e la consolidata giurisprudenza di legittimità tendono ad escludere. Infatti esulerebbero dalla fattispecie in oggetto sia il requisito della pluridiffusività che della potenzialità epidemica di una patologia, quale HCV, che non è soggetta ad un autonomo ed incontrollato sviluppo verso un indeterminato numero di soggetti. Inoltre, ricostruendo la legittimazione passiva del Ministero della Salute sub-specie di omessa vigilanza, controllo, organizzazione, pianificazione, etc., ne difetterebbe il requisito della necessaria prossimità con la fonte del potenziale fattore epidemiologico o lesivo plurimo.
Esclusa, quindi, la configurabilità di un termine prescrizionale decennale, si deve focalizzare l'attenzione sul termine iniziale di decorrenza della prescrizione quinquennale.
Punto di partenza deve essere la lettura in combinato disposto della norma speciale, con riferimento alle prescrizioni brevi, dell'art. 2947 c.c. e dell'art. 2935 c.c., che detta la regola generale in tema di prescrizione, secondo la quale, invece, "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere". Si è fatta in tal modo strada un'interpretazione che privilegia, quale dies a quo, il giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
Nel caso specifico dei danni lungolatenti si deve, di converso, evitare che il presunto danneggiante risulti esposto sine die alla possibile azione risarcitoria di danneggiati la cui percezione dell'illecito può essere temporalmente collocata in momenti anche molto eterogenei e distanti tra loro.
L'orientamento consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità ha privilegiato non solo il dato della palese constatazione dell'evento lesivo, ma anche e soprattutto quello della sua oggettiva riconoscibilità e percepibilità all'esterno. Ne discende che il termine di prescrizione decorre, nel caso dei danni lungolatenti (come nel caso specifico del danno da contagio post-trasfusionale di HCV) dal momento in cui può essere sperimentata la tutela: occorre non solo la conoscibilità dell'evento lesivo e del suo nesso eziologico con la condotta
antigiuridica, ma anche che il danno si palesi nella sfera giuridica di un soggetto determinato (Corte Cass. sent. n.5913 del 2000). Oltre, quindi, ad una dimensione oggettiva, si incentra l'analisi dell'interprete sull'aspetto soggettivo della percepibilità/percezione del danneggiato (Corte Cass, sentt. n. 2645 del 2003 e 685 del 1982).
In particolare, in fattispecie analoga a quella in esame, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che, in relazione ad azione risarcitoria per danni da emotrasfusione con sangue infetto da virus di epatite C, il termine della prescrizione decorre dall'effettiva conoscenza da parte del soggetto leso della patologia e della sua causa, che ben può essere fatta coincidere con la richiesta di indennizzo di cui alla legge 210 del 1992 (Cass. SS.UU. n.580 del 2008); la Suprema Corte ha poi affermato che la responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime): ne consegue che il diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, primo comma, cod. civ., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, da ritenersi coincidente non con la comunicazione del responso della Commissione medica ospedaliera di cui all'art. 4 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa, che attesta l'esistenza, in capo all'interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia (Cass. 19/12/2013, n. 28464; Cass. 22/08/2018, n. 20882).
La Suprema Corte ha anche precisato che, in tema di individuazione del decorso della prescrizione quinquennale della azione risarcitoria per contagio da emotrasfusione contro il ministero della Salute, commette un errore di sussunzione e, dunque, di falsa applicazione della norma dell'articolo 2935 del codice civile, il giudice del merito che ravvisi nel danneggiato la consapevolezza o la esigibilità della stessa riguardo alla ascrivibilità del contagio alla trasfusione e, dunque, il dies a quo della prescrizione, nel fatto che dal referto che abbia diagnosticato una malattia da contrazione di virus di Hcv risulti che in sede di anamnesi il medesimo abbia dichiarato di avere subito anni prima una trasfusione, qualora dal referto non emerga la indicazione da parte del medico redigente della ascrivibilità della malattia diagnosticata alla trasfusione e non risulti un grado di conoscenze mediche del danneggiato tale da giustificare la percepibilità di essa (Cass. 31/05/2018, n. 13745).
In conclusione, va affermato che, in tema di responsabilità per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi, la presentazione della domanda di indennizzo di cui alla l. n. 210 del 1992 attesta l'esistenza, in capo all'interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia e, pertanto, segna il limite temporale ultimo di decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., senza che ciò esclude la possibilità di collocare l'effettiva conoscenza della rapportabilità causale della malattia in un momento precedente, tenendo conto delle informazioni in possesso del danneggiato e della diffusione delle conoscenze scientifiche (Cass. 18/11/2015, n. 23635), dovendo però tenersi ben presente che, ai fini dell'individuazione dell'"exordium praescriptionis", una volta dimostrata dalla vittima la data di presentazione della domanda amministrativa di erogazione dell'indennizzo previsto dalla l. n. 210 del 1992, spetta alla controparte, cioè al Ministero, dimostrare che già prima di quella data il danneggiato conosceva o poteva conoscere, con l'ordinaria diligenza, l'esistenza della malattia e la sua riconducibilità causale alla trasfusione anche per mezzo di presunzioni semplici, sempre che il fatto noto dal quale risalire a quello ignoto sia circostanza obiettivamente certa e non mera ipotesi o congettura, pena la violazione del divieto del ricorso alle "praesumptiones de praesumpto", sicché il fatto noto non può essere desunto dalla mera preesistenza della malattia, al fine di stabilire il dies a quo della prescrizione, ma va individuato nella pregressa esecuzione di accertamenti sanitari e cure cliniche pertinenti con l'infezione (Cass. 28/06/2019, n. 17421; Cass. 12/06/2020, n. 11298).
Questo Giudice ritiene di aderire pienamente a tale consolidato orientamento di legittimità.
Nel caso in attenzione, si evince che l'attore risulta aver avuto certa conoscenza dell'avvenuta infezione solo il 9/7/2012, allorquando veniva ricoverato presso il Presidio Ospedaliero di Piedimonte Matese (CE), a causa di una lesione alla spalla destra, risultando dalle analisi ivi praticate essere affetto da "Epatite cronica HCV correlata"; con istanza presentata il 15/01/2014, (...) ha quindi chiesto i benefici di cui alla legge n. 210/1992, ritenendo di aver contratto danni epatici irreversibili post-trasfusionali, che veniva tuttavia respinta; avverso tale decisione, ha poi proposto ricorso ex art. 5 legge n. 210/1992, che è stato invece accolto, con riconoscimento della sussistenza del nesso di causalità tra le trasfusioni subite presso l'Ospedale di Caserta e l'epatite cronica HCV correlata.
Ha infine proposto la presente azione con citazione notificata al Ministero della Salute in data 4/1/2017; pertanto, la domanda è stata proposta prima del maturare del termine quinquennale di prescrizione, tenuto conto del fatto che la data certa di conoscenza dell'infezione va fissata al 9/7/2012 e che l'accertamento della riconducibilità alle trasfusioni è ancora successiva.
L'eccezione di prescrizione risulta dunque infondata.
2. Responsabilità, nesso di causalità, entità del danno.
2.1 An debeatur
Sussiste il nesso di causalità tra la condotta antigiuridica del Ministero convenuto e l'evento lesivo prodottosi nella sfera giuridica dell'attore, dal quale è scaturito un danno biologico.
Anzitutto, va precisato che la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che, in tema di responsabilità extracontrattuale per danno causato da attività pericolosa da emotrasfusione, la prova del nesso causale, che grava sull'attore danneggiato, tra la specifica trasfusione ed il contagio da virus HCV, ove risulti provata l'idoneità di tale condotta a provocarla, può essere fornita anche con il ricorso alle presunzioni (art. 2729 c.c.), allorché la prova non possa essere data per non avere la struttura sanitaria predisposto, o in ogni caso prodotto, la documentazione obbligatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso al singolo paziente, e cioè per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato (Cass. sez. un., 11/01/2008, n. 582). In materia di accertamento del nesso causale tra emotrasfusione e contagio, occorre dunque operare una scelta comparativa tra le ipotesi di possibile causa dell'infezione da epatite e tra queste individuare, poi, quella "più probabile che non", scegliendo, dunque, l'"ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili", così da valutare se "il comportamento omissivo del convenuto (per non aver compiuto gli accertamenti necessari sul donatore)" si presentava con maggiore probabilità eziologica rispetto ad altri elementi alternativi, se esistenti" (Cass. 29/03/2018, n. 7778); ciò che rileva ai fini del giudizio sul nesso causale è l'evento obiettivo dell'infezione e la sua derivazione probabilistica dalla trasfusione, a prescindere dalla specificazione della prima in termini di malattia tipica, sicché il rapporto eziologico tra la somministrazione del sangue infetto in ambiente sanitario e la specifica patologia insorta va apprezzato sulla base delle cognizioni scientifiche acquisite al tempo della osservazione (quindi con valutazione ex post), le quali hanno consentito di identificare e nominare le malattie tipiche (Cass. 31/01/2019, n. 2790).
In tale contesto, assume poi rilievo eminente la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, che a partire dalla sentenza n. 11609 del 2005, riconosce valenza probatoria dirimente alle certificazioni rilasciate dalle Commissioni mediche ospedaliere, da Istituti Universitari o da Organismi sanitari, sulla base della valutazione delle prove documentali addotte nell'istruttoria in sede amministrativa.
I più recenti pronunziamenti della Suprema Corte hanno infatti definitivamente chiarito che, in tema di danni da emotrasfusioni, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della salute, l'accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla Commissione di cui all'art. 4 della l. n. 210 del 1992, in base al quale è stato riconosciuto l'indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l'accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero (Cass. 15/06/2018, n. 15734; Cass. 20/03/2018, n. 6843).
Nella fattispecie, si rileva dagli atti che, a seguito di ricorso presentato dall'attore avverso il giudizio della C.M.O., è stato dichiarato sussistente il nesso causale tra le trasfusioni eseguite e la infermità da epatite cronica HCV, il che è sufficiente all'affermazione del nesso di causalità, peraltro confermato anche dalla c.t.u. espletata in corso di causa.
La condotta posta in essere dalla Pubblica Amministrazione convenuta può quindi qualificarsi come antigiuridica in quanto contraria alla normativa di rango primario e secondario che imponevano un obbligo di vigilanza e controllo sul meccanismo trasfusionale; viceversa, nonostante l'introduzione dei controlli volti ad impedire il rischio in questione sin dal DM n.107 del 21/7/1990, quanto innanzi dimostra che l'evento si è verificato e non può che essere stato causato dalla omissione degli opportuni controlli e delle necessarie cautele: si palesa, nello specifico, l'elemento soggettivo della colpa generica e specifica (già rilevanti sotto il profilo del dato oggettivo-fattuale) sub-specie di inosservanza del quadro normativo di riferimento e di imperizia, negligenza ed imprudenza che risultano ancora più palesi se posti in rapporto alla peculiare infettività dello strumento di contagio.
2.2. Quantificazione del danno; risarcimento spettante all'attore
Il danno alla salute patito è stato oggettivamente rilevato e scientificamente quantificato nella relazione di c.t.u., che - all'esito di approfondite valutazioni - lo ha indicato nella misura di dieci punti percentuali secondo i baremes del danno biologico permanente: tale conclusione viene pienamente condivisa e posta a base della decisione. La liquidazione va eseguita applicando le cd. "tabelle milanesi", le quali non hanno cancellato il danno morale, bensì provveduto ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale derivante da lesione permanente all'integrità psicofisica (danno biologico) e del danno non patrimoniale derivante dalla stessa lesione in termini di dolore e sofferenza soggettiva (danno morale); dette tabelle, cioè, pur tenendo ferma la distinzione concettuale tra danno biologico e danno morale, hanno provveduto alla liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di danno biologico standard, personalizzazione del danno biologico, danno morale, determinando il valore finale del punto utile al calcolo del danno (Cass. 27/04/2018, n. 10156; Cass. 31/10/2017, n. 25817).
Se, infatti, è ormai pacifico che al danno morale possa riconoscersi autonoma consistenza laddove esprima profili di pregiudizio non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, deve tuttavia ritenersi che, al fine di prospettare correttamente un'erronea pretermissione di tali profili, sia necessario che il ricorrente deduca di avere specificamente lamentato pregiudizi soggettivi non aventi diretta base organica e tali da comportare la necessità di una liquidazione ulteriore rispetto a quella risultante dall'applicazione delle c.d. tabelle milanesi (Cass. 17/10/2016, n. 20925).
Passando quindi alla concreta liquidazione del danno non patrimoniale alla luce del recente orientamento interpretativo contenuto nelle sentenze della Suprema Corte innanzi citate, tenuto conto del grado d'invalidità patito in relazione alla età, considerando le tabelle di liquidazione del Tribunale di Milano, il danno non patrimoniale da invalidità permanente va liquidato, applicando la personalizzazione massima, in Euro 29.760,00, cui va aggiunto il danno da invalidità temporanea, che sulla base della entità e durata indicate dal c.t.u. viene liquidato in Euro 4.165,00, per un totale complessivo di Euro 33.925,00.
Ciò posto, va però considerato che il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all'attribuzione indennitaria regolata dalla l. n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l'indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ("compensatio lucri cum damno"), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento, consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (Cass. 06/05/2020, n. 8532; Cass. 11/01/2008, n. 584); "la compensatio lucri cum damno" tra l'indennizzo corrisposto al danneggiato e il risarcimento del ministero per l'omessa adozione di misure di emovigilanza, integra un'eccezione rilevabile d'ufficio e proponibile per la prima volta anche in appello tuttavia, ma resta onere di chi la invoca dimostrarne il fondamento (Cass. 10/09/2019, n. 22528).
Nel caso di specie, risulta dagli atti che in data 30/5/2017 l'Avvocatura dello Stato ha depositato documento proveniente dal Ministero della Salute in cui si attesta l'avvenuta corresponsione in favore del (...), a titolo di indennizzo ex L.210/92, dell'importo complessivo di Euro 29.595,11.
Ne consegue che all'attore va riconosciuta la somma rappresentata dalla compensazione tra la liquidazione del danno innanzi espressa, pari ad Euro 33.925,00, e l'importo già erogato a titolo di indennizzo, pari ad Euro 29.595,11, ovvero la somma di Euro 4.329,89.
Detta somma rappresenta il risarcimento all'attualità, mentre il ritardo nella corresponsione dà luogo all'ulteriore credito risarcitorio per lucro cessante che, secondo il consolidato orientamento, non può realizzarsi automaticamente con l'attribuzione degli interessi compensativi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno rivalutata all'attualità, ma va riconosciuto sulla base dei mezzi di prova anche presuntivi e liquidato mediante l'utilizzazione di criteri equitativi.
In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, se la liquidazione viene effettuata per equivalente, e cioè con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito, espresso poi in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva (anche in sede di rinvio), è dovuto il danno da ritardo, cioè il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato. Tale prova può essere data e riconosciuta dal giudice mediante criteri presuntivi ed equitativi e quindi anche mediante l'attribuzione degli interessi; se il giudice adotta, come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, fissandone il tasso, mentre è escluso che gli interessi possano essere calcolati dalla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente, è consentito invece calcolare gli interessi con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto, secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma, equivalente al bene perduto, si incrementa nominalmente, in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria, ovvero ad un indice medio. Gli interessi non vanno calcolati né sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma computati sulla somma originaria rivalutata anno per anno, ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio; oppure, ancora, seguendo il criterio dell'attribuzione degli interessi legali dalla data del fatto sul capitale mediamente rivalutato (Cass. 24/05/2018, n. 12961; Cass.16/06/2014, n. 13653; Cass. 01/03/2007, n. 4791).
Infatti, il credito da risarcimento del danno è credito di valore, e come tale è sottratto al principio nominalistico e soggetto a rivalutazione monetaria; la rivalutazione deve considerarsi rilevante fino alla data della liquidazione, perché la natura del credito implica un aggiornamento del valore stimato in termini monetari attuali (al tempo della decisione). Alla sorte rivalutata non possono aggiungersi gli interessi legali se non in funzione del danno da ritardo determinativo del lucro cessante, altrimenti si determinerebbe la locupletazione del danneggiato. Da quanto precede, ne consegue che il danno da ritardo, può esser liquidato con la tecnica degli interessi, ma non sulla somma originaria ovvero su quella rivalutata al momento della liquidazione, sebbene sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero per identità di risultato, sulla semisomma (e cioè la media) tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all'epoca dell'illecito (Cass. 19/03/2020, n. 7466; Cass.13/02/2020, n. 3545).
Nella specie, in mancanza di una prova specifica del danno derivante dal ritardo nella corresponsione della somma dovuta ed in considerazione della svalutazione monetaria intercorsa dalla data dei fatti a quella odierna, dell'entità delle somme dovute, del tasso di interesse legale e dei tassi medi di interesse ricavabili con le più comuni forme di investimento, si stima equo riconoscere l'attribuzione degli interessi nella misura del 2,5% annuo a decorrere dalla data del fatto e da calcolare sulla somma media tra quella rappresentante il risarcimento dei danni spettante all'attualità, ovvero Euro4.329,89 e quella rappresentante il medesimo risarcimento devalutato all'epoca del fatto, che, tenuto conto degli indici Istat disponibili, risulta Euro 4.127,81: orbene, il valore medio (dato dalla somma dei precedenti divisa per due) risulta Euro 4.228,85; su questa ultima somma vanno quindi calcolati gli interessi al tasso del 2,5% a far data dal sinistro, e cioè dal 9/7/2012, fino alla data della presente sentenza.
Infine, verificandosi la liquidazione del danno e divenendo l'obbligo di pagamento obbligazione di valuta, spetteranno gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo.
3. Il regime delle spese.
In ordine al regime delle spese, rispetto al convenuto Ministero esse devono seguire la soccombenza e si liquidano come in dispositivo secondo i criteri di cui al D.M. 14/3/2014 n.55, tenendo conto della articolazione e durata delle fasi attraverso le quali si è svolto il procedimento, dell'effettivo valore, della natura e della complessità della controversia, del numero e dell'importanza delle questioni trattate, nonché di tutte le altre circostanze di fatto rilevanti a tal fine.
Tra l'attore e la convenuta struttura ospedaliera, tenuto conto del pregresso contrasto e dei recenti arresti della giurisprudenza, ricorrono i presupposti per la integrale compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza, difesa ed eccezione, così provvede:
1. dichiara il Ministero della Salute responsabile del danno da emotrasfusione cagionato a (...);
2. accoglie, nei limiti di quanto di ragione, la domanda risarcitoria e per l'effetto condanna il Ministero della Salute al pagamento in favore di (...) della somma di Euro 4.329,89, oltre interessi al tasso del 2,5% annuo calcolati sulla somma di Euro 4.228,85 a far data dal 9/7/2012 fino alla data di pubblicazione della presente sentenza, ed infine oltre interessi al tasso legale a far data dalla pubblicazione della presente sentenza e fino al soddisfo;
3. condanna il convenuto Ministero della Salute al pagamento in favore dell'attore delle spese processuali, che liquida in Euro 1.790,00 per esborsi (ivi comprese le spese di ctu, come già liquidate in corso di causa) ed Euro 4.835,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, nonché IVA e CPA come per
legge, con attribuzione in favore del difensore antistatario avv. (...);
4. compensa le spese di giudizio tra l'attore (...) e la _ convenuta Azienda Ospedaliera di Rilevanza Nazionale "Sant'Anna e San Sebastiano" di Caserta.
Così deciso in Napoli, l'8 febbraio 2021.
Depositata in Cancelleria l'8 febbraio 2021.