06/11/2020 free
Sono esclusi i domiciliari per il detenuto malato che rifiuta le cure
La prevalenza del divieto di custodia in carcere per i soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dal comma 4-bis dell'art. 275 cod. proc. pen., rispetto alla presunzione d'adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, nel caso di cui al precedente terzo comma dello stesso articolo, opera solo a condizione che risulti accertato il presupposto costituito dall'incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di detenzione, intendendosi per tale anche quello attuabile presso taluna delle "idonee strutture sanitarie penitenziarie" di cui è menzione nel comma 4-ter del citato art. 275.
(dott.ssa Maurizia Lanzano - www.dirittosanitario.net )
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Cassazione penale sez. VI, 11/06/2020 n.19117
omissis
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 17 dicembre 2019 il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato l'appello presentato ex art. 310 c.p.p. nell'interesse di C.T. avverso l'ordinanza emessa dalla Corte d'appello di Reggio Calabria il 22 ottobre 2019, con la quale veniva rigettata l'istanza di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere - alla quale è sottoposto per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p. in ragione della contestata partecipazione, con ruolo di vertice, all'omonima consorteria operante sul territorio di (OMISSIS) - con quella degli arresti domiciliari per incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime detentivo carcerario.
2. Avverso la suddetta decisione del Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore del C., deducendo, con un primo motivo, violazioni di legge ex art. 275 c.p.p., comma 4-bis, e vizi della motivazione in ordine alla ritenuta esclusione della situazione di incompatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, avuto riguardo agli elementi prospettati dalla difesa in sede di gravame, ove si evidenziavano importanti carenze nella gestione sanitaria e l'assenza di qualsiasi intervento chirurgico, anche solo programmato, per far fronte alla gravissima patologia di natura tumorale diagnosticata all'imputato. Ulteriore profilo di incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario è quello prospettato in relazione alla circostanza di fatto, parimenti evidenziata nell'istanza ex art. 299 c.p.p., attinente ad ustioni riportate dall'imputato: episodio che, da un lato, ha rivelato la mancanza di un'assistenza continuativa, dall'altro non risulta essere stato oggetto di un'adeguata motivazione da parte del provvedimento impugnato.
2.1. Analoghi vizi vengono dedotti con un secondo motivo, prospettato in relazione all'art. 299 c.p.p., comma 4-ter e art. 275 c.p.p., comma 4-bis e art. 220 c.p.p., per essere stato il provvedimento impugnato adottato senza il preventivo svolgimento di una perizia medico-legale sulle condizioni di salute dell'imputato, nonostante la gravità delle diverse patologie a suo carico riscontrate, che richiederebbero la predisposizione di un intervento chirurgico e di specifiche cure e trattamenti, specie nella fase post-operatoria, impossibili da prestare nell'ambito d i un istituto penitenziario.
3. Con requisitoria pervenuta nella Cancelleria di questa Suprema Corte il 22 maggio 2020 il P.G. ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. In data 4 giugno 2020 i difensori del C., Avv. Francesco Siclari e Avv. Francesco Albanese, hanno fatto pervenire in Cancelleria conclusioni scritte, replicando alle argomentazioni svolte dal P.G. e ribadendo la fondatezza dei motivi articolati nel ricorso, dei quali hanno chiesto l'accoglimento con il conseguente annullamento della ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito indicate.
2. Il provvedimento impugnato ha congruamente ritenuto, sulla base di argomentazioni logicamente esposte e sorrette da idonea base documentale, non incompatibili le condizioni di salute in cui versa l'imputato con il regime detentivo carcerario cui è allo stato sottoposto, richiamando in tal senso il conforme contenuto di una relazione sanitaria in atti del 1 ottobre 2019 (che a sua volta ne richiamava e confermava un'altra del 15 giugno 2019) e facendo altresì riferimento al fatto che il ricorrente aveva rifiutato, sebbene informato dei potenziali danni derivanti da tale atteggiamento, di sottoporsi alle cure ed agli esami (cd. "TURV" e "TAC") oggetto di un programma terapeutico al riguardo predisposto dalle strutture sanitarie.
Diversamente da quanto affermato nel ricorso, inoltre, la richiamata documentazione sanitaria poneva in rilievo le discrete condizioni generali di salute del paziente, ubicato in una cella per disabili e adeguatamente assistito per l'igiene personale e per tutti gli atti quotidiani dal personale paramedico, evidenziando il fatto: a) che nessuna conseguenza era derivata da una caduta accidentale del 4 luglio 2019 e da due piccole ustioni alle cosce, accidentalmente procuratesi in data 11 settembre 2019 e dal personale prontamente medicate; b) che proprio in relazione alla prospettata patologia legata ad una neoformazione vescicale era stata programmata l'esecuzione di un intervento di resezione endoscopica (il cd. "TURV") dal paziente rifiutato, benchè gliene fosse stata indicata la necessità di esecuzione.
Nessuna situazione di concreta ed effettiva incompatibilità con il regime detentivo è stata specificamente prospettata dal ricorrente, nè alcuna diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario è allo stato emersa dal contenuto delle relazioni sanitarie vagliate dall'impugnata ordinanza.
3. Coerente con le risultanze offerte da tale quadro clinico-sanitario deve pertanto ritenersi la decisione cui sono pervenuti i Giudici di merito nel ritenere non necessario, allo stato, l'affidamento di un incarico peritale.
Se, da un lato, è vero che in sede di appello cautelare, il giudice, pur essendo la sua cognizione limitata ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi di appello, conserva integri i propri poteri e può disporre accertamenti, anche di carattere sanitario, qualora li ritenga necessari ai fini della decisione (Sez. 1, n. 5379 del 14/12/2007, dep. 2008, Forestiero, Rv. 238944), dall'altro lato deve rilevarsi come il provvedimento impugnato abbia fatto, al riguardo, buon governo dei principii da questa Suprema Corte affermati in tema di misure cautelari, nel caso in cui il giudice ritenga di non accogliere immediatamente, sulla base della documentazione sanitaria acquisita, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere, fondata sulla prospettazione della particolare gravità delle condizioni di salute dell'indagato incompatibili con lo stato di detenzione (Sez. 1, n. 55146 del 19/12/2016, Macchi Di Cellere, Rv. 268930): il giudice, infatti, non è obbligato a nominare un perito se, come verificatosi nel caso in esame, non risulta formulata una diagnosi di incompatibilità o comunque non si prospetta una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere.
Invero, la prevalenza del divieto di custodia in carcere per i soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dall'art. 275 c.p.p., comma 4-bis, rispetto alla presunzione d'adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, nel caso di cui al precedente comma 3 dello stesso articolo, opera solo a condizione che risulti accertato il presupposto costituito dall'incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di detenzione, intendendosi per tale anche quello attuabile presso taluna delle "idonee strutture sanitarie penitenziarie" di cui è menzione nel citato art. 275, comma 4-ter (Sez. 6, n. 18891 del 24/01/2017, Policastri, Rv. 269889).
Ne consegue, in definitiva, che, in tema di revoca o sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere, la previsione di cui all'art. 299 c.p.p., comma 4-ter, impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile "fumus" e cioè se risulti formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque si prospetti una situazione patologica tale da non consentire la prestazione di adeguate cure in carcere (Sez. 2, n. 25248 del 14/05/2019, Ramondo, Rv. 276969).
4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria provvederà all'espletamento degli incombenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2020