29/09/2020 free
La valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto va effettuata sia in astratto sia in concreto
La valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita, con la conseguenza che la permanenza nel sistema penitenziario può essere deliberata dal giudice solo previo accertamento dell'esistenza di istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità, non potendosi rimettere tale accertamento all'autorità amministrativa.
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Cassazione penale sez. IV, 19/06/2020, n.19880
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FUMU Giacomo - Presidente -
Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -
Dott. TANGA Antonio Leonar - Consigliere -
Dott. CENCI Daniele - Consigliere -
Dott. PICARDI Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
B.L., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 29/01/2020 del TRIB. LIBERTA' di ROMA;
udita la relazione svolta dal Consigliere PICARDI FRANCESCA;
lette le conclusioni del PG TASSONE KATE.
RITENUTO IN FATTO
1. B.L., a mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Roma - Sezione Riesame con cui è stato respinto l'appello avverso il provvedimento della Corte di appello che ha rigettato l'istanza di sostituzione della misura di detenzione cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, lamentando 1) l'erronea applicazione degli artt. 275 e 299 c.p.p., all'esito di un non corretto bilanciamento tra le esigenze di cautela e quelle di trattamento umano del detenuto, atteso che queste ultime impongono di valutare non solo quelle patologie da cui discende, all'interno del carcere, un pericolo di vita, ma anche quelle che comportano un'esistenza al di sotto della soglia di dignità umana, come appunto la cecità del ricorrente, senza poter rinviare alla eventuale esistenza di altre strutture carcerarie adeguate; 2) la mancanza di motivazione in ordine all'attualità e concretezza delle esigenze cautelari, non avendo il Tribunale del Riesame risposto alla doglianza difensiva secondo cui il ricorrente non ha contatti con organizzazioni criminali che gli possano consentire di dirigere o ordinare ad altri soggetti l'esecuzione di reati.
2. Nel provvedimento impugnato si è precisato che il ricorrente non è affetto da cecità, ma da grave ipovisus bilaterale; che la nuova istanza di sostituzione è stata presentata in seguito all'eliminazione dell'assistenza del piantone ed al gesto anticonservativo compiuto dall'imputato a causa della sensazione di disperazione provata per la perdita dell'assistenza nella vita quotidiana; che "la Corte di appello..., nel rigettare la richiesta.... ha anche disposto che l'amministrazione penitenziaria adotti misure per garantire nell'ambiente carcerario l'incolumità dell'imputato anche mediante trasferimento dello stesso in ambienti detentivi privi di barriere architettoniche oppure in istituti ove vi è la disponibilità di personale o volontari che svolgano attività eseguite dal piantone".
3. La Procura Generale ha concluso per l'accoglimento del ricorso non avendo il provvedimento impugnato valutato quanto emerge dalla relazione del carcere del 22 ottobre 2019, in cui si legge che al momento non è possibile garantire l'incolumità del detenuto, date le sue condizioni di salute, e si richiedono misure alternative alla detenzione, e soprattutto non avendo verificato in concreto la possibilità di trasferimento del ricorrente in altra struttura idonea a garantire un regime carcerario adeguato alle sue condizioni.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso merita accoglimento, essendo fondata la prima censura, con cui si è denunciata l'erronea applicazione degli artt. 275 e 299 c.p.p., all'esito di un non corretto bilanciamento tra le esigenze di cautela e quelle di trattamento umano del detenuto.
2. Occorre ribadire che, in tema di concessione della detenzione domiciliare per grave infermità fisica, il giudice è sempre tenuto ad accertare, se del caso con l'ausilio di un perito, il reale stato patologico del detenuto, onde verificare se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità da eccedere il livello che, inevitabilmente, deriva dalla legittima esecuzione della pena e da rendere incompatibile la prosecuzione della carcerazione nel rispetto della dignità umana (Sez. 1, n. 1033 del 13/11/2018 Cc. - dep. 10/01/2019, Rv. 276158 - 01) e che deve effettuare un bilanciamento tra le istanze sociali correlate alla pericolosità del detenuto e le condizioni complessive di salute di quest'ultimo con riguardo sia all'astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici disponibili, sia alla concreta adeguatezza della possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto valutando anche le possibili ripercussioni del mantenimento del regime carcerario in termini di aggravamento del quadro clinico (Sez. 1, n. 37062 del 09/04/2018 Cc. - dep. 31/07/2018, Rv. 273699 - 01).
Va anche sottolineato che la prevalenza del divieto di custodia in carcere per i soggetti portatori di gravi malattie, quale previsto dall'art. 275 c.p.p., comma 4-bis, rispetto alla presunzione d'adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, nei casi di cui al precedente comma 3 dello stesso articolo, opera solo a condizione che risulti accertato il presupposto costituito dall'incompatibilità delle condizioni di salute del soggetto con lo stato di detenzione, intendendosi per tale anche quello attuabile presso taluna delle "idonee strutture sanitarie penitenziarie" di cui è menzione nel citato art. 275 c.p.p., comma 4-ter, (Sez. 6, n. 18891 del 24/01/2017 Cc. - dep. 19/04/2017, Rv. 269889 - 01).
3. Questa Corte, in tema di valutazione delle condizioni di salute incompatibili con lo stato detentivo e nell'intento di un opportuno bilanciamento tra le esigenze cautelari e la tutela del diritto alla salute, ha altresì posto la precisa regola di giudizio secondo la quale la valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità col regime carcerario deve essere effettuata sia in astratto, con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge, sia in concreto, con riferimento alla possibilità di effettiva somministrazione nel circuito penitenziario delle terapie di cui egli necessita. Ne consegue che, da un lato, la permanenza nel sistema penitenziario può essere deliberata se il giudice accerta che esistano istituti in relazione ai quali possa formularsi un giudizio di compatibilità, e, dall'altro, che tale accertamento deve rappresentare un prius rispetto alla decisione e non una mera modalità esecutiva della stessa, rimessa all'autorità amministrativa (v., da ultimo, Sez. 6, n. 4117 del 10/01/2018 cc. - dep. 29/01/2018, Rv. 272184 - 01; tra le tante, in una fattispecie analoga alla presente, cfr. Sez. 5, n. 16500 del 15/03/2006 cc. - dep. 15/05/2006, Rv. 234446 - 01). E' stato altresì spiegato che, in ossequio ai dettami dell'art. 32 Cost. e art. 27 Cost., comma 3, ed agli arresti della Corte di Strasburgo in tema di interpretazione dell'art. 3 della Convenzione Edu (tra le altre: Jalloh c. Germania ric. n. 54810/00; Coppola c.Italia, n. 50550/06), la valutazione sull'incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del recluso, ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente debilitata e/o ammalata costituisca trattamento inumano o degradante, va effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione ed implica un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle possibilità di cura ed assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto (Sez. 1, n. 30495 del 5/07/2011, Vardaro, Rv. 251478).
In altre parole, compete al giudice (eventualmente coadiuvato da soggetto in possesso delle necessarie conoscenze tecnico - scientifiche) e a nessun altro il compito di stabilire se, con riferimento a quel determinato detenuto, esistano nella rete carceraria italiana istituti caratterizzati da quelle condizioni che rendano compatibile il regime detentivo con lo stato di salute del predetto.
4. Alla luce di tali premesse, il primo motivo è fondato, in quanto i giudici di merito non hanno accertato in concreto la compatibilità del regime carcerario con le condizioni di salute del ricorrente, rimettendo tale accertamento all'Amministrazione penitenziaria, investita di adottare "misure per garantire nell'ambiente carcerario l'incolumità dell'imputato anche mediante trasferimento dello stesso in ambienti detentivi privi di barriere architettoniche oppure in istituti ove vi è la disponibilità di personale o volontari che svolgano attività eseguite dal piantone".
5. In conclusione, l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo giudizio.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma - Sezione Riesame per nuovo giudizio. Si provveda ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2020