07/09/2020 free
obbligo di informazione e terapia sclerosante
Tribunale Crotone, Sent., 22-06-2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CROTONE
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Crotone, Sezione Civile, in persona della dott.ssa Elisa Marchetto, in funzione giudice unico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Resa nella causa civile di primo grado, iscritta in data 22.05.2014 al n. 987/2014 del Ruolo Generale Affari Contenziosi, promossa presso l'Intestato Tribunale con notifica di atto di citazione
DA
C.M.C. (c.f. (...)), elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Giovanni Allevato, che la rappresenta e la difende, unitamente all'avv. Alessandra Liguori, giusta procura in calce all'atto di citazione
-attore-
CONTRO
L.A. (c.f. (...)), rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Attinà, del Foro di Reggio Calabria ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Paolo Primerano, del Foro di Crotone, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta
-convenuto-
E CONTRO
A.S.P. DI C., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. Luigi Gullo, del Foro di Cosenza, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Katiuscia Lucente, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta
-convenuta-
NONCHÉ CONTRO
U.S.A. S.P.A. (p.iva (...)), già F.S.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in giudizio dall'avv. Luigi Gullo, del Foro di Cosenza, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Katiuscia Lucente, giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta
-convenuta-
NONCHÉ NEI CONFRONTI DI
SOCIETÁ R.M.A. (c.f. (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Roberto Chiodo, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine della comparsa di costituzione e risposta
-terza chiamata-
Oggetto: responsabilità medica del sanitario e della struttura sanitaria - responsabilità contrattuale - attività intramoenia allargata - presunta lesione integrità fisica - assenza nesso di causa - diritto autodeterminazione - portata consenso informato
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato, C.M.C. evoca in giudizio dinnanzi all'Intestato Tribunale il dott. L.A., l'A. DI C. e U.S.A., quale Compagnia Assicuratrice di quest'ultima, per ottenerne la condanna solidale al risarcimento integrale, sia dei presunti danni alla persona patiti in conseguenza del trattamento sclerosante eseguito da novembre-dicembre 2010 a febbraio 2011 presso lo studio privato di Crotone del dott. L., in regime di intramoenia, sia dell'asserito pregiudizio da lesione del diritto di autodeterminazione, per non essere stata - a suo dire - posta nelle condizioni di prestare un consenso informato al trattamento sanitario in questione.
Nello specifico, nell'atto introduttivo, si espone:
- che nei mesi di novembre-dicembre 2010, ad esito di una visita clinica, il dott. L., dipendente-primario presso l'Ospedale di San Giovanni in Fiore (CS), riscontrata la presenza di alcuni piccoli capillari sulle gambe dell'attrice, suggeriva a quest'ultima una terapia sclerosante, da effettuarsi con sedute periodiche;
- che la C. si sottoponeva al trattamento di cui sopra presso lo studio privato in Crotone del convenuto sino all'8.02.2011;
- che, in data 13.02.2011, l'attrice, a seguito di uno spasmodico dolore e gonfiore della gamba sinistra, contattava il dott. L., il quale, dopo una visita di controllo, le comunicava che tale sintomatologia poteva essere riconducibile a fattori diversi rispetto alla terapia sclerosante;
- che, il giorno successivo, ossia il 14.02.2011, la C., a fronte della persistenza del dolore che le impediva il posizionamento eretto, si recava presso il P.S. dell'Ospedale di Crotone, riportando diagnosi di "tromboflebite in paziente con pregresso intervento" (cfr. doc. 6 attrice);
- che, pertanto, la C. si sottoponeva ad una serie di controlli strumentali ed a terapia eparinica, secondo quanto prescritto dai sanitari del nosocomio crotonese;
- che in data 2.03.2011 si osservava un lieve miglioramento, mentre in data 4.05.2011, stante la positività dei test di trombofilia, all'attrice veniva indicato l'uso di un tutore elastico (cfr. consulenza tecnica di parte a firma del dott. M.C. - doc. 7 attrice);
- che in data 9.11.2011 alla C. veniva formulata diagnosi di "esito di trombosi della vena gemella di sinistra" (cfr. c.t.p.- doc. 7 attrice);
- che l'attrice riferisce di un peggioramento della qualità della vita, "non potendo più espletare le attività ludiche e ginniche né attività motorie un po' superiori a quelle del tutto comuni, con ripercussioni anche di natura psichica" (cfr. c.t.p., p. 6 - doc. 7 attrice).
Di conseguenza, sulla base della c.t.p. medica a firma del dott. C., viene ipotizzata una prima responsabilità solidale degli odierni convenuti da inesatto adempimento nell'esecuzione del trattamento sanitario, in quanto: "è bene evidente che la paziente non ha semplicemente dovuto procedere alla routinaria applicazione del cerotto e poi della calza elastica per un mese soltanto, ma l'errore medico - concretizzatosi nella produzione di una flebite chimica eccessiva con sclerosi e flogosi esuberante - ha configurato gli estremi di una condotta imperita (per inadeguata somministrazione di farmaco chiaramente sproporzionata rispetto al dosaggio previsto) imprudente (poiché ha cagionato una trombosi importante delle vene gemelle dell'arto inferiore sinistro che ha costretto la paziente ad effettuare terapia sottocute e orale con anticoagulanti e vasoprotettori, ha costretto la paziente all'uso permanente di calza elastica per tempo indeterminato ricomprendente anche il periodo estivo, ha determinato un mancato riassorbimento completo del trombo poiché a distanza di mesi è stata documentata la presenza, seppure minima, di trombosi residua) e negligente (per aver trattato con leggerezza il caso e per non aver proceduto (nonostante la paziente avesse riferito disturbi algo-disfunzionali a seguito del sesto trattamento, ad approfondimenti diagnostici - dato che era in possesso di apparecchio ecografico che avrebbe consentito di rilevare e trattare tempestivamente la formazione di un trombo abnorme - poiché le complicanze stavano esponendo quest'ultima ad un rischio elevato di sviluppare una trombosi anche potenzialmente letale)...Si ravvedono pertanto gli estremi di una condotta colposa sia sotto il profilo commissivo che sotto il profilo omissivo tenuto conto del fatto che non solo la procedura terapeutica è stata effettuata in modo inappropriato ma anche per il fatto che dal momento in cui si sarebbe potuta formulare una corretta diagnosi, fino al momento in cui questa è stata effettivamente posta, è trascorso un lasso temporale in cui, con adeguate misure terapeutiche, la trombosi venosa delle vene gemelle della gamba sinistra avrebbe senz'altro avuto un'evoluzione diversa (...) In sostanza, non è possibile affermare che l'evento (persistenza della trombosi) si sarebbe o meno verificato, ma si può dire che la paziente ha perso, per effetto di tale inadempimento, delle chances che statisticamente aveva, specialmente per essersi rivolto a personale competente" (cfr. elaborato peritale di parte dott. C., pp. 8-10- doc. 7 attrice).
Inoltre, viene ipotizzata anche una lesione da parte dei convenuti del diritto all'autodeterminazione della paziente, in quanto C.M.C., non sarebbe stata informata in ordine alla natura del trattamento ed ai possibili rischi dello stesso.
Per tutte le suesposte ragioni, l'attrice chiede:
"accertare e dichiarare la responsabilità unica ed esclusiva per colpa medica professionale del dottor L. nella verificazione delle conseguenti lesioni partite dalla sig.ra C.M.C. e per l'effetto condannare in solido tra loro tutte le parti convenute a risarcire tutti i danni fisici e morali patiti e patiendi dalla parte attrice per i fatti esposti in narrativa, nella misura di Euro 22.000,00 o quella minore o maggiore ritenuta di giustizia, maggiorata di interessi e rivalutazione monetaria".
Instauratosi il contraddittorio, si costituisce in giudizio L.A., preliminarmente chiedendo di essere autorizzato alla chiamata in propria manleva di R.M.A. (cfr. raccomandata del 15.07.2014 e polizza - doc. 3 L.) e, nel merito, contestando integralmente la ricostruzione in fatto ed in diritto operata da parte attrice, sulla base dei seguenti rilievi:
- che nel novembre-dicembre 2010 C.M.C. si rivolgeva al convenuto richiedendogli espressamente l'effettuazione della terapia sclerosante, della quale la paziente già conosceva natura ed effetti, per esservi già stata sottoposta in precedenza, con buoni risultati;
- che il trattamento espletato sulla paziente, articolatosi in più sedute, era stato effettuato correttamente, con applicazione di fasciatura elastocompressiva per 48 ore e trattamento farmacologico idoneo;
- che, a distanza di pochi giorni dall'ultima seduta (avvenuta l'8.02.2011), a fronte del dolore lamentato dall'attrice al polpaccio sinistro, il dott. L. sottoponeva quest'ultima ad approfondita visita, nella quale, ad esito di manovre semeiotiche, Homans test e di ecocolordoppler venoso superficiale e profondo, non emergevano edemi o pastosità degne di nota, né patologie flebitico-trombotiche;
- che il presunto danno patito da controparte non sarebbe in ogni caso causalmente riconducibile alla terapia praticata dal convenuto nel pieno rispetto delle leges artis.
Per tutti i suesposti motivi, L.A., assumendo la propria totale assenza di responsabilità, insiste nel rigetto delle pretese avversarie.
Con comparse dal contenuto analogo, si costituiscono in giudizio l'A. DI C. ed U.S.A. S.P.A., eccependo preliminarmente il difetto di legittimazione passiva della struttura sanitaria (e della relativa Compagnia Assicuratrice), in quanto il trattamento medico di cui è causa sarebbe stato erogato dal professionista in regime di extramoenia, ossia al di fuori dell'orario di lavoro intramurario (cfr. dichiarazioni del 31.01.1996, del 3/02/1998 e del 22.08.2013 di scelta della modalità extramoenia dott. L. - docc. 4 e 6 A. e U.) e, quindi, ogni presunta ipotesi di malpractice sarebbe in ogni caso astrattamente addebitabile al solo sanitario e non alla struttura.
Nel merito, le convenute predette contestano integralmente quanto ex adverso dedotto ed eccepito e chiedendo la reiezione della domanda attorea, in quanto asseritamente infondata in fatto ed in diritto.
Con ordinanza del 2.12.2014 si autorizza il dott. L. a chiamare in causa R.M.A..
Quest'ultima si costituisce, eccependo preliminarmente la decadenza dal diritto alla manleva del dott. L. per presunta violazione da parte di quest'ultimo di quanto prescritto dall'art. 1913 c.c. e dall'art. 7 condizioni polizza (cfr. doc. 3 R.), in quanto l'assicurato sarebbe venuto a conoscenza del sinistro a mezzo missiva dell'A. datata 22.07.2013 (cfr. doc. 5 R.) ed avrebbe provveduto a notiziare la terza chiamata in ordine all'occorso solo in data 17.11.2014 (cfr. doc. 4 R.). Con tale comportamento, pertanto, a detta di R.M.A., il dott. L. avrebbe impedito alla Compagnia Assicuratrice di accertare con tempestività le cause del sinistro e l'entità dello stesso, determinando l'inoperatività della garanzia ex art. 1915, comma 1 c.c.
Nel merito, anche la terza chiamata insiste nel rigetto della domanda attorea, in quanto asseritamente infondata in fatto ed in diritto e comunque non provata.
La causa viene istruita documentalmente, stante il rigetto delle prove orali (cfr. ordinanza del 3.05.2016) e con espletamento di C.T.U. medico-legale col dott. Bruno Salerno.
Infine, all'udienza del 5 novembre 2019, le parti precisano le rispettive conclusioni nei termini surriportati, con concessione dei termini richiesti ex art. 190 c.p.c.
Va preliminarmente rigettata la richiesta attorea di rinnovo della c.t.u., atteso che, come già rilevato con ordinanza del 12.03.2019 (mai opposta dalla difesa C.), il dott. Salerno ha risposto in modo esaustivo e completo ai quesiti assegnatigli, prendendo specificamente posizione (nei chiarimenti del 10.01.2019) rispetto ai rilievi ritualmente formulati dalla difesa di parte attrice.
Passando ad un inquadramento preliminare, si osserva che, a livello legislativo e giurisprudenziale, la responsabilità medica, per quanto attiene alla posizione della struttura sanitaria, è sempre stata configurata come contrattuale; invece, orientamenti più ondivaghi si sono registrati per quanto attiene alla determinazione della natura della responsabilità dei sanitari, ritenuta contrattuale (seppure ricorrendo perlopiù alla figura del contatto sociale) ab inizio ed anche sotto la vigenza del decreto Balduzzi del 2012, fino alla legge Gelli Bianco del 2017.
Sul punto, la Suprema Corte ha precisato che: "Il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal S.s.n. o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo lato sensu alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell'art. 1218 c.c., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell'art. 1228 c.c., all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche "di fiducia" dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata affermata la responsabilità solidale con il chirurgo della società titolare della casa di cura, nella cui struttura era stato praticato ad una paziente l'intervento operatorio di liposuzione agli arti inferiori, al quale aveva fatto seguito un'infezione dannosa per la degente, così respingendo - siccome attinente a circostanze irrilevanti in diritto al fine di escluderne l'asserita responsabilità contrattuale - il motivo di impugnazione della stessa casa di cura con il quale era stato evidenziato che il chirurgo non svolgeva attività professionale alle sue dipendenze, che la clinica aveva fornito soltanto le attrezzature ed i servizi occorrenti per l'intervento chirurgico, ma non la sonda utilizzata dalla quale si era propagata l'infezione, e che i suoi dipendenti avevano agito sotto l'esclusiva sorveglianza del medico operatore, attuandone le disposizioni loro impartite)", cfr. Cass. civile, sez. III, 14/06/2007, n. 13953.
In virtù del contratto atipico, definito da taluni di "assistenza sanitaria" o "spedalità", la struttura deve quindi fornire al paziente una prestazione assai articolata, "che ingloba al suo interno, oltre alla prestazione principale medica, anche una serie di obblighi cd. di protezione ed accessori. La responsabilità mantiene la propria connotazione contrattuale, atteso che ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso" (in tal senso, fra le altre, Cass. civile, 19/04/2006, n. 9085).
Ne consegue che, in ogni caso, nell'ipotesi di accertamento in concreto di una forma di responsabilità per comportamento omissivo o commissivo colposo dei medici, perché negligente ed imperito, ne risponde comunque la struttura sanitaria che si avvale dell'opera del professionista e che eroga, per il suo tramite, una prestazione complessa di natura medico-sanitaria.
Inoltre, il riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria (pubblica o privata) implica in capo al paziente un onere probatorio agevolato, discendente dai postulati enunciati dagli artt. 2697 e 1218 c.c., così come interpretati dalla storica sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13533 del 2001.
In materia di inadempimento contrattuale e di inesatto adempimento, le SS.UU. da ultimo citate hanno affermato che, essendo il presupposto fattuale sempre lo stesso (l'inadempimento), il creditore, sia che agisca per l'adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, deve soltanto fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, oltre che dell'entità dei danni lamentati, mentre può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte; invece, il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo del diritto, id est l'avvenuto esatto adempimento ovvero la non imputabilità dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Tale principio è stato ritenuto applicabile anche alla ripartizione dell'onere probatorio nelle cause di responsabilità professionale medica, ove grava sull'attore in qualità di "paziente danneggiato che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento della prestazione sanitaria, oltre alla prova del contratto, anche quella dell'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie, nonché la prova del nesso di causalità tra l'azione o l'omissione del debitore e tale evento dannoso, allegando il solo inadempimento del sanitario, restando a carico del debitore l'onere di provare l'esatto adempimento, cioè di aver tenuto un comportamento diligente" (cfr. Cass. civile, n. 12362 del 2006; conformi: Cass. civile, 11.11.2005, n. 22894; Cass. civile, 28.05.2004, n. 10297; Cass. civile, 3.08.2004, n. 14812).
In ipotesi di responsabilità omissiva da mancata attuazione della condotta "dovuta" la sussistenza non può che essere ipoteticamente dedotta alla stregua di un criterio di prevedibilità oggettiva (desumibile da regole statistiche o leggi scientifiche), verificando se il comportamento omesso poteva o meno ritenersi idoneo - in quanto causalmente efficiente - ad impedire l'evento dannoso, con la conseguenza che deve escludersi dalla serie causale l'omissione di quella condotta che non sarebbe riuscita in alcun modo ad evitare l'evento (cfr. Cass. civile, SS. UU., 11.01.2008, n. 576; Cass. civile, sez. III, 8.07.2010 n. 16123).
Ancora di recente si è sostenuto che: "In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo invece a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante" (cfr. Cass. civile, 13.10.2017, n. 24073).
Tale ultima sentenza si colloca nel solco della prevalente giurisprudenza della Suprema Corte, che, a partire dalle Sezioni Unite del 2008, pone a carico dell'attore l'onere di allegare un "inadempimento qualificato" del convenuto (cfr. Cass. civile, sez. III, 30.09.2014, n. 20547; Cass. civile, sez. III, 12.12.2013, n. 27855; Cass. civile, 26.02.2013, n. 4792; contra, Cass. civile, sez. III, 20.10.2015, n. 21177).
Effettuate queste necessarie puntualizzazioni, con riferimento al danno da errata diagnosi/terapia, la Suprema Corte ha precisato come: "L'ente ospedaliero, gestore di un servizio pubblico sanitario, risponde a titolo contrattuale per i danni subiti da un privato a causa della non diligente esecuzione della prestazione medica da parte di un proprio dipendente; l'inadempimento del professionista in relazione alla propria obbligazione, che costituisce pur sempre obbligazione di mezzi e non di risultato, - e la conseguente responsabilità dell'ente ove questi presti la propria opera - deve essere valutato alla stregua del dovere di diligenza particolarmente qualificato inerente lo svolgimento della sua attività professionale; ne consegue che è configurabile un nesso causale tra il suo comportamento, anche omissivo, e il pregiudizio subito da un paziente, qualora, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l'opera del professionista, se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi" (cfr. Cass. civile, sez. III, 4/03/2004, n. 4400).
Si rileva, altresì, che nel caso di specie, la ricostruzione attorea (alla base delle richieste risarcitorie proposte nei confronti delle convenute) si connota sotto il duplice profilo della lesione alla persona per presunto inesatto adempimento della prestazione sanitaria dedotta in obbligazione, nonché della violazione del diritto all'autodeterminazione per asserita omissione di informazioni relative al trattamento.
Con riferimento all'onere di informazione del paziente da parte della struttura sanitaria e dei medici, la Suprema Corte ha chiarito che: "Il consenso informato - inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico - si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell'articolo 2 della Costituzione che ne tutela e promuove i diritti fondamentali e negli articoli 13 e 32, comma 2, della Costituzione, i quali stabiliscono, rispettivamente, che la libertà personale è inviolabile, e che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. L'obbligo del sanitario di acquisire il consenso informato del paziente costituisce legittimazione e fondamento del trattamento, atteso che, senza la preventiva acquisizione di tale consenso l'intervento del medico è - al di fuori nei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità - sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente. L'obbligo ha per oggetto la informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento prospettato e in particolare la possibilità del verificarsi, in conseguenza dello stesso, di un aggravamento delle condizioni di salutate del paziente, onde porre questo ultimo in condizione di consentire consapevolmente al trattamento medesimo. Il medico - quindi - ha il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell'intervento, nonché in ordine alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili" (cfr. Cass. civile, sez. III, 15/05/2018, n. 11749).
Infatti, come ulteriormente precisato dai giudici di legittimità: "Il diritto del paziente ad essere informato circa la natura dell'intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi e le possibili alternative terapeutiche è coessenziale all'esercizio del diritto alla salute dal momento che consente al titolare di questo ultimo di compiere una scelta consapevole in ordine alle conseguenze cui si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un'altra. Sussiste un inadempimento giuridicamente rilevante con conseguente diritto al risarcimento del danno solo se, a fronte di una omissione colpevole in ordine alle necessarie informazioni sulla natura, sui rischi e sulle conseguenze dell'intervento, sia impedito al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole. La prova da parte del medico e/o della struttura sanitaria di avere informato il paziente può essere fornito anche a mezzo di presunzioni ex art. 2727 c.c." (cfr. Cass. civile, sez. III, 27/03/2018, n. 7516).
Prima di passare alla disamina nel merito del caso di specie, va rigettata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva (o meglio di titolarità del rapporto dal lato passivo) formulata dalla difesa dell'A. di C. e di U.S.A. S.P.A., in quanto, come emerso da documentazione incontestata versata in atti dal dott. L. con la II memoria ex art. 183, comma VI c.p.c., il trattamento sclerosante di cui è causa è stato espletato in regime di attività intramoenia allargata, giusta autorizzazione dell'A. convenuta del 16.04.2008 prot. (...) (cfr. doc. 3 allegato alla memoria istruttoria dott. L.).
Tale circostanza si evince inequivocamente dalle ricevute emesse dal professionista per la prestazione eseguita rilasciate su bollettario A., le quali recano, per l'appunto, la dicitura "per attività libero professionale intramoenia" (cfr. ricevuta n. 7125 dell'11.01.2011 e ricevuta n. 7126 dell'8.02.2011 - docc. 1-2 allegati alla memoria istruttoria dott. L.).
Da quanto osservato consegue, pertanto, l'infondatezza dell'eccezione formulata (nel merito) dalla struttura sanitaria e dalla Compagnia Assicuratrice.
Per completezza, sempre sotto il profilo preliminare, va respinta l'eccezione di decadenza del dott. L. dalla copertura assicurativa formulata dalla difesa di R.M.A..
Infatti, con la missiva dell'A. del 22.07.2013, il dott. L. era stato reso edotto unicamente della richiesta di risarcimento avanzata dalla C. alla struttura sanitaria in relazione ad intervento eseguito dal professionista nel dicembre 2010; di conseguenza, in quel momento, il convenuto - anche in forza del tenore generico della comunicazione - non poteva avere sufficiente certezza che l'attrice avrebbe proposto domanda di risarcimento indirizzata solidalmente sia all'A., sia al sanitario.
Inoltre, come chiarito dalla Suprema Corte, "In tema di assicurazione contro i danni, l'inosservanza, da parte dell'assicurato, dell'obbligo di dare avviso del sinistro, secondo le specifiche modalità ed i tempi previsti dall'art. 1913 c.c. ed, eventualmente, dalla polizza, non può implicare, di per sé, la perdita della garanzia assicurativa, occorrendo a tal fine accertare se detta inosservanza abbia carattere doloso o colposo, dato che, nella seconda ipotesi, il diritto all'indennità non viene meno, ma si riduce in ragione del pregiudizio sofferto e provato dall'assicuratore, ai sensi dell'art. 1915 c.c., comma 2. l'onere di provare la natura, dolosa o colposa dell'inadempimento spetta all'assicuratore. Nel caso previsto dall'art. 1915 c.c., comma 1 dovrà provare il fine fraudolento dell'assicurato; in quello regolato dall'art. 1915, comma 2 dovrà invece dimostrare che l'assicurato volontariamente non ha adempiuto all'obbligo di dare l'avviso, nonché la misura del pregiudizio sofferto" (cfr. Cass. civile, sez. III, 30/09/2019, n. 24210).
Dunque, nel presente caso, per come sopra rilevato, in applicazione dei suesposti principii, non è ascrivibile in capo al L. alcun comportamento connotato da dolo o da colpa (stati soggettivi la cui prova avrebbe dovuto, in ogni caso, essere fornita dalla terza chiamata) e, pertanto, non può ritenersi che lo stesso sia colpevolmente decaduto (in tutto od in parte) dalla garanzia azionata.
Per quanto riguarda il dedotto inesatto adempimento della prestazione medica da parte del dott. L., esso si è dimostrato infondato, in quanto la consulenza tecnica del 27.10.2016 ed i successivi chiarimenti resi dal c.t.u. in data 10.01.2019 in risposta alle osservazioni attoree hanno smentito sia l'erroneità del trattamento praticato (per quanto attiene alla scelta ed all'effettuazione dello stesso), sia l'esistenza di postumi permanenti riconducibili con ragionevole probabilità alla terapia sclerosante effettuata dal sanitario convenuto.
Infatti, il dott. SALERNO ha ritenuto la correttezza della diagnosi e della scelta del trattamento ambulatoriale praticato dal dott. L., in quanto il più idoneo ed il meno invasivo rispetto agli altri possibili, secondo scienza ed esperienza, in quel dato momento storico (cfr. elaborato peritale del 27.10.2016, p. 15).
Di conseguenza, è lo stesso consulente tecnico ad escludere nel caso di specie un inadempimento ovvero un inesatto adempimento imputabile al dott. L., giungendo a negare la sussistenza del nesso di causa tra trattamento praticato e complicanze (ovvero prolungamento del fisiologico periodo di recupero post terapia) lamentate dall'attrice.
Al riguardo, il c.t.u. ha chiaramente precisato: "la paziente veniva sottoposta fino al giorno 8.2.2012 a seduta di scleroterapia su territorio venoso superficiale (dermo-epidermico) di gamba; in data 13.2.2012 doveva ricorrere alle cure del PS in quanto affetta da 'trombosi delle vene gemelle mediali a snx', una complicanza rara, ma possibile, solo nel trattamento dei grossi tronchi venosi, di grosse perforanti o della crosse; quasi impossibile nel trattamento delle teleangectasie e delle vene reticolari. Pertanto la paziente ricorreva alle cure del pronto soccorso per il verificarsi di una complicanza rara direttamente correlata all'eventuale trattamento di grossi trochi venosi, e non di distretti venosi superficiali, come nel caso della paziente. Pertanto il ricorso al pronto soccorso avveniva per evento dipendente dalla malattia venosa stessa della periziata, e non dal trattamento sclerosante al quale la paziente veniva sottoposta (...) Nel caso de quo deve esere precisato che l'evento trombosi venosa profonda riscontrata sulla paziente presso il pronto soccorso dell'ospedale di Crotone in data 13.2.2011 non risulta in nesso di causalità con le procedure scleroterapiche alle quali la stessa si sottoponeva precedentemente, in quanto la patologia è complicanza rara, ma possibile, solo nel trattamento dei grossi tronchi venosi, di grosse perforanti o della crosse; quasi impossibile nel trattamento delle teleangectasie e delle vene reticolari: a tal proposito si ricorda che la paziente era già affetta da malattia di insufficienza venosa ed assumeva contraccettivi orali, come da prescrizione di sospensione in data 14.2.2011" (cfr. chiarimenti del 10.01.2019 dott. Salerno, pp. 3-4).
È appena il caso di rilevare che il c.t.u., sulla base degli specifici accertamenti svolti, non ha rilevato alcun postumo permanente riconducibile ad una inesatta esecuzione da parte del sanitario della prestazione dedotta in obbligazione.
Al riguardo, il dott. Salerno ha precisato che: "effettivamente anche lo scrivente non può dare spiegazione al fatto che la paziente indossi una calza elastica, ritenendo che non presenti postumi, secondo la visita medica in corso di CTU (cfr. esame obiettivo della CTU), che agli atti non vi siano ulteriori prescrizioni mediche in merito (cfr. visita del 28.8.2015, dalla quale emergono solo controlli periodici), e che soprattutto cronologicamente dall'ultimo ecocolordoppler agli arti venga segnalato un miglioramento netto: si veda esame del 16.3.2011 (al quale non ne seguono altri !): "Al controllo odierno si conferma la pervietà delle vene soleali, tibiali anteriori, posteriori, e peroniere alla gamba di snx.
Le vene gemelle interne sono completamente compressibili nel tratto superiore di gamba, al 3 medio nel punto di massimo diametro una è quasi completamente compressibile e riperfusa, l'altra è poco compressibile con piccole aree di riperfusione" (cfr. chiarimenti del 10.01.2019 dott. Salerno, p. 2).
Pertanto, non essendo stati dimostrati né una malpractice ascrivibile al professionista, né la sussistenza di nesso eziologico tra il fatto del sanitario e la complicanza (intesa come prolungamento dei postumi temporanei occorsi), la richiesta di risarcimento del danno da diminuzione dell'integrità fisica lamentata dall'attrice va rigettata.
E' appena il caso di rilevare, altresì, che l'attrice non ha dimostrato né allegato sufficienti elementi dai quali desumere un significativo cambiamento del proprio precedente stile di vita ad esito del trattamento, atteso che, al riguardo, il c.t.u. ha recisamente escluso la sussistenza di postumi permanenti, anche minimi.
Per quanto attiene alla presunta violazione da parte del dott. L. dell'obbligo di informazione relativo alla terapia sclerosante praticata, si osserva che la stessa va esclusa sulla base delle risultanze istruttorie.
In generale può affermarsi, sulla base di consolidata giurisprudenza, che tale obbligo - incombente sui sanitari e sulla struttura - si atteggia con diversa pregnanza ed intensità a seconda dell'invasività dell'intervento, delle specifiche modalità con cui questo viene eseguito, della necessità dello stesso, dell'urgenza, dell'esistenza di alternative terapeutiche e delle conoscenze scientifiche largamente condivise al momento della scelta.
Tornando al caso di specie, l'esclusione di una lesione al diritto di autodeterminazione dell'attrice è motivata sulla base di una serie di evidenze tutte univocamente indirizzate.
In primo luogo, infatti, vi è la circostanza che il trattamento in questione - articolato in una pluralità di sedute - era scarsamente invasivo, largamente praticato in relazione a problematiche mediche di tipo analogo a quella sofferta dall'attrice ed ambulatoriale (ovvero senza anestesia totale o parziale), tant'è che - per come rilevato sopra - non risultano esservi state complicanze direttamente riconducibili allo stesso; in secondo luogo va sottolineato - ed è fatto incontestato - che la C. aveva già fatto precedentemente ricorso a tale terapia, dovendosi verosimilmente ritenere che la stessa fosse sufficientemente edotta delle caratteristiche della stessa, tanto dal richiederla espressamente al sanitario.
Sul punto si osserva che la Suprema Corte ha ritenuto come "In materia di responsabilità sanitaria, l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che sia dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute posto che, se nel primo caso l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia ex se una relazione causale diretta con la compromissione dell'interesse all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario, nel secondo l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - che, in applicazione del criterio generale di cui all'art. 2697 c.c., grava sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale sul presupposto che non solo gli attori non avevano allegato il presunto dissenso del congiunto, ma dalle risultanze istruttorie erano emersi elementi, come l'assenza di soluzioni terapeutiche alternative e il fatto che in precedenza il paziente si era sottoposto ad interventi analoghi, che deponevano per la presunzione di consenso al trattamento sanitario)" (cfr. Cass. civile, sez. III, 19/07/2018, n. 19199).
Quanto sostenuto risulta ulteriormente confortato da quanto rilevato dal c.t.u. SALERNO, il quale correttamente ha chiarito che: "le prime sentenze in merito all'importanza dell'informazione scritta da rendere al paziente riguardo la prestazione medico-chirurgico cui lo stesso si sta per sottoporre risalgono solo al 2012, con conferma delle stesse negli anni a venire. Si vuole ricordare, a tal proposito, che la vicenda risale al 2012, ed iniziava il suddetto trattamento nel novembre-dicembre 2010, allorquando le società scientifiche del settore ancora non avevano redatto linee guida in merito al consenso informato scritto del genere. Pertanto confermata la centralità dell'argomento sul rendere edotto il paziente sulla procedura chirurgica, su modalità di esecuzione, rischi e risultati, si vuole precisare che il tutto deve essere rapportato al momento storico della vicenda.
Nella giurisprudenza civile si è ormai radicato il principio per il quale il mancato o incompleto consenso del paziente causato da un'errata o incompleta informazione prestata dal medico cagiona la violazione degli artt. 3 e 32 della Cost. dando origine ad un'ipotesi di responsabilità medica per inadempimento, del tutto indipendente dalla correttezza di esecuzione dell'intervento terapeutico eseguito.
Ciò che infatti assume rilevanza è che il paziente, in conseguenza del difetto informativo, non sia stato posto nella condizione di approvare e/o negare il trattamento sanitario con una volontà consapevole delle sue implicazioni, producendo una evidente lesione della dignità.
Affinché possa condannarsi il personale sanitario è però necessario assolvere l'onere probatorio richiesto dalla procedura. Nell'ambito giurisprudenziale si sono sviluppati diversi orientamenti in merito, ma il principio cardine è quello in virtù del quale, ad eccezione delle ipotesi in cui una legge statale o il Codice di Deontologia Medica prescrivono la forma scritta (si tratta ad esempio dei casi di accertamenti di un'infezione da HIV; interruzione volontaria della gravidanza, procreazione medicalmente assistita, quando si dona o si riceve sangue; interventi chirurgici, procedure ad alta invasività; utilizzo dei mezzi di contrasto) non è imposto il rispetto di alcuna formalità per l'assunzione del consenso, anzi nella generalità dei casi sia l'informativa che il consenso vengono prestati verbalmente"(cfr. chiarimenti del 10.01.2019 dott. Salerno, p. 4).
Pertanto, non essendo risultata accertata alcuna lesione al diritto di autodeterminazione di C.M.C., la relativa richiesta risarcitoria va respinta.
Venendo ai provvedimenti ex art. 91 c.p.c., in applicazione del principio di soccombenza, parte attrice va condannata alla rifusione delle spese di lite sostenute dai convenuti.
Tali spese, tenuto conto di quanto previsto dal D.M. n. 55 del 2014 e ss.mm., sono liquidate come segue:
- in favore di L.A.: complessivi Euro 5.560,25, di cui Euro 4.835,00 per compensi ed Euro 725,25 per spese generali al 15%, oltre ad IVA e CPA come per legge;
- in favore di A. DI C. e di U.S.A. S.P.A la somma unitaria (da ritenersi comprensiva della liquidazione delle spese di lite sostenute da entrambe le convenute, attesa l'unitarietà della difesa di queste ultime) di complessivi Euro 3.697,25, di cui Euro 3.215,00 per compensi ed Euro 482,25 per spese generali al 15%, oltre ad IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario ex art. 93 c.p.c.
Va, invece, disposta la compensazione relativamente alle spese sostenute da R.M.A., atteso il rigetto dell'eccezione preliminare formulata dalla stessa in ordine alla decadenza del convenuto dalla manleva ed alla luce della ridotta portata dell'attività processuale della terza chiamata.
Infine, per quanto riguarda le spese relative alla C.T.U. del dott. SALERNO, esse sono poste definitivamente a carico di parte attrice.
P.Q.M.
Il Tribunale di Crotone in composizione monocratica nella persona del Giudice unico, dott.ssa Elisa Marchetto, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, così decide:
1) Rigetta la richiesta di rinnovazione della c.t.u. formulata da parte attrice.
2) Rigetta l'eccezione preliminare di carenza di titolarità passiva formulata dalla difesa congiunta dell'A. di C. e di U.S.A. S.P.A.
3) Rigetta l'eccezione preliminare di decadenza del dott. L. dal diritto alla manleva formulata da R.M.A..
4) Rigetta per infondatezza le richieste attoree di risarcimento del danno alla persona e da lesione del diritto all'autodeterminazione.
5) Condanna l'attrice alla rifusione delle spese di lite sostenute dai convenuti e liquidate nei termini che seguono:
- in favore di L.A.: complessivi Euro 5.560,25, di cui Euro 4.835,00 per compensi ed Euro 725,25 per spese generali al 15%, oltre ad IVA e CPA come per legge;
- in favore di A. DI C. e di U.S.A. S.P.A.: complessivi Euro 3.697,25, di cui Euro 3.215,00 per compensi ed Euro 482,25 per spese generali al 15%, oltre ad IVA e CPA come per legge, con distrazione in favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c.
6) Compensa integralmente le spese di lite di R.M.A..
7) Pone definitivamente le spese di C.T.U. in capo a parte attrice.
Così deciso in Crotone, il 21 giugno 2020.
Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2020.