29/03/2019 free
Le rivendite di tabacchi coinvolgono interessi sensibili della collettività come il diritto alla salute.
In materia di liberalizzazione della vendita di generi di monopolio, "la normativa di riferimento è dettata dall'art. 45 della L. n. 907 del 1942 (legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi), riguardo alla quale la Corte di Giustizia, con sentenza n. 387/1995, ha statuito che "gli artt. 5, 9, 30, 37 e 86 del Trattato di Roma non ostano ad una normativa nazionale che, come quella italiana, riserva la vendita al dettaglio dei tabacchi lavorati a rivenditori autorizzati dalla PA allorché questa non intervenga nelle scelte di rifornimento dei dettaglianti".
Ne consegue la piena legittimità delle contestate disposizioni in materia di distanze tra rivendite di tabacchi, non potendo quest'ultime "qualificarsi imprese equiparabili a tutti gli effetti alle altre attività economiche suscettibili della più ampia liberalizzazione, considerando che si tratta pur sempre di esercizi che cooperano all'espletamento di un servizio pubblico, che coinvolge interessi sensibili della collettività, come il diritto alla salute. Se ne trae conferma dalle premesse del D.M. n. 38 del 2013 (...) nelle quali, pur tenuto presente il principio della libera concorrenza, si ravvisa l'esigenza di realizzare una diffusione delle rivendite sul territorio che, lungi dal perseguire il massimo incremento dei ricavi del venditore, e dello stesso gettito fiscale, preservi un controllato equilibrio tra l'offerta e la domanda effettiva del consumatore".
T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., (ud. 30-01-2019) 28-02-2019, n. 117
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 384 del 2017, proposto da P.G., rappresentato e difeso dall'avvocato Viviana Valeriani, con domicilio eletto presso il T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;
contro
Ministero dell'Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio di Perugia, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Perugia, via degli Offici, 14;
nei confronti
C.P., nella qualità di legale rappresentante pro tempore della rivendita tabacchi n. 5, rappresentata e difesa dagli avvocati Pier Paolo Davalli e Aurelio Pugliese, con domicilio eletto presso lo studio del primo difensore in Perugia, via del Sole 8;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
C.B. di T. A. e P. M. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Manuel Petruccioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il T.A.R. Umbria in Perugia, via Baglioni, 3;
per l'annullamento
del provvedimento di rigetto, prot. n. (...), adottato dall'AAMS - Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Area Monopoli, Ufficio dei Monopoli per l'Umbria in data 17 luglio 2017, con il quale è stata rigettata la richiesta di autorizzazione avente ad oggetto domanda di trasferimento "fuori zona" della Rivendita Tabacchi n. 1 in Giano dell'Umbria (PG);
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di intervento ad adiuvandum di C.B. di T. A. e P. M. S.a.s.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Economia e delle Finanze, dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio di Perugia e di C.P.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2019 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. Con atto di ricorso (n.r.g. 384/2017) notificato al Ministero dell'Economia e delle Finanze e all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli - Ufficio di Perugia in data 20 settembre 2017, il sig. P.G. ha impugnato il provvedimento con il quale gli è stato negato il trasferimento "fuori zona" della propria Rivendita Tabacchi n. 1 in Giano dell'Umbria (PG), per "mancanza del rispetto della distanza minima regolamentare di m. 300, prevista dall'art. 2, comma 2, del D.M. n. 38 del 2013 (art. 10, comma 6 citato D.M. n. 38 del 2013)" (cfr. provv. imp.).
2. L'impugnativa è stata affidata ai seguenti motivi:
I. Violazione e falsa applicazione della L. 22 dicembre 1957, n. 1293; violazione e falsa applicazione del D.P.R. 14 ottobre 1958, n. 1074; eccesso di potere per carenza di motivazione ed illogicità manifesta: la normativa fondamentale in materia di Monopoli nulla contemplerebbe circa la distanza tra rivendite quale requisito per la concessione e/o il trasferimento.
II. Violazione e farsa applicazione del provvedimento direttoriale DAC/CRV/4126/2013 del 23 marzo 2013; violazione e falsa applicazione dell'articolo 190 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (così come modificato dalla L. 23 marzo 2016, n. 41, dal D.Lgs. 16 dicembre 2016, n. 257 e dal D.M. 20 dicembre 2016); eccesso di potere per carenza di istruttoria e di motivazione; eccesso di potere per contraddittorietà: il percorso pedonale più breve calcolato dalla Polizia Locale del Comune di Giano dell'Umbria (pari a mt. 245) non potrebbe essere preso a riferimento ai fini della determinazione della distanza minima tra rivendite in quanto avrebbe utilizzato un tratto di strada (pari a mt. 142) privo di marciapiede, ponendosi così in contrasto il disposto di cui all'art. 190 del Codice della Strada, rubricato "Comportamento dei pedoni", il quale dispone che: "I pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione. (...). I pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi. Quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l'attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri. È vietato ai pedoni attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali, qualora esistano, anche se sono a distanza superiore a quella indicata nel comma 2".
III. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella L. 14 settembre 2011, n. 148; violazione e falsa applicazione dell'articolo 83-bis, comma 17, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133; eccesso di potere per carenza di motivazione; eccesso di potere per carenza di istruttoria; eccesso di potere per illogicità manifesta: il limite previsto della distanza tra rivendite si porrebbe in contrasto con il principio della libertà di iniziativa economica.
IV. Violazione dell'art. 49 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea; violazione della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006 relativa ai servizi nel mercato interno, recepita con D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59; Eccesso di potere per contraddittorietà: l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Ufficio dei Monopoli per l'Umbria, avrebbe negato il trasferimento della Rivendita Tabacchi n. 1 del Comune di Giano dell'Umbria, omettendo di operare una valutazione di tutti gli interessi emergenti e valutabili, e in particolare di considerare che l'interesse all'iniziativa economica deve considerarsi primario rispetto agli altri interessi in gioco tra cui, e soprattutto, quello alla conservazione agli status acquisiti nel corso degli anni.
V. Violazione dell'articolo 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241; eccesso di potere per carenza di motivazione, illogicità e sviamento di potere: il diniego impugnato si baserebbe su dettati normativi inconferenti con il caso per il quale è stata chiesta l'istanza di trasferimento di sede, che è cosa diversa dalla normativa in tema di istituzione di rivendite di cui all'art. 2 del D.M. n. 38 del 2013 recante il contestato requisito di distanza tra rivendite.
3. Con atto di intervento ad adiuvandum notificato e depositato in data 20 marzo 2018, si è costituita in giudizio la società C.B. di T. A. e P. M. S.a.s., sostenendo di avere anch'essa interesse all'annullamento del diniego impugnato in via principale sotto il profilo del difetto di motivazione, in quanto "soggetto giuridico a cui era diretto il trasferimento della licenza Rivendita di Tabacchi n. 1 di Giano dell'Umbria".
4. La difesa erariale si è costituita in giudizio per resistere al ricorso principale ed al connesso atto di intervento ad adiuvandum, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e delle Finanze in ragione dell'imputabilità degli atti impugnati alla sola Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nonché il difetto di legittimazione attiva della società C.B. di T. A. e P. M. S.a.s., attesa l'impossibilità di configurare alcuna vicenda di tipo derivativo avente ad oggetto una rivendita di beni di monopolio in regime di concessione amministrativa.
4.1. Conclude nel merito la difesa erariale per l'infondatezza e dunque per il rigetto delle censure ex adverso svolte.
5. Si è altresì costituita in giudizio la sig.ra C.P., odierna controinteressata, in qualità di titolare della rivendita tabacchi n. 5, insistendo anch'essa per il rigetto del ricorso principale e dell'atto di intervento ad adiuvandum al ricorso medesimo.
6. In vista dell'udienza pubblica di discussione nel merito del ricorso, le parti in causa hanno depositato memorie di replica e controreplica insistendo nelle rispettive argomentazioni difensive.
7. Alla pubblica udienza del giorno 30 gennaio 2019, uditi i difensori, la causa è passata in decisione.
Motivi della decisione
1. È materia del contendere la legittimità del provvedimento con il quale l'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha negato il trasferimento "fuori zona" della Rivendita Tabacchi n. 1 in Giano dell'Umbria (PG), per "mancanza del rispetto della distanza minima regolamentare di m. 300, prevista dall'art. 2, comma 2, del D.M. n. 38 del 2013 (art. 10, comma 6 citato D.M. n. 38 del 2013)" (cfr. provv. imp.).
2. Ritiene in via preliminare il Collegio di poter prescindere dall'esaminare le eccezioni in rito sul difetto di legittimazione passiva del Ministero dell'Economia e delle Finanze e sul difetto di legittimazione attiva dell'interveniente ad adiuvandum, attesa l'infondatezza, nel merito, delle censure formulate avverso gli atti impugnati.
3. Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta l'illegittimità del diniego impugnato perché in contrasto con la normativa fondamentale in materia di monopoli che nulla contemplerebbe circa la distanza tra rivendite quale requisito per la concessione e/o il trasferimento.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Osserva infatti il Collegio che la normativa secondaria in tema di distanze tra rivendite ha come finalità quella di prevenire ed escludere il possibile sovradimensionamento ingiustificato della rete di vendita mediante l'equa e razionale dislocazione territoriale dei punti vendita di generi di monopolio, assicurando al contempo il perseguimento di fondamentali interessi di rilevanza costituzionale quali la tutela della salute e dei minori dell'età (cfr., in tal senso, Cons. St., sez. IV, 17 febbraio 2017, n. 725).
3.3. Ne consegue la piena legittimità del provvedimento impugnato in quanto adottato conformemente alla vigente normativa di settore di cui al D.M. 21 febbraio 2013, n. 38 (rimasto inoppugnato), che in tema di distanze prescrive che il trasferimento delle rivendite al pubblico di tabacchi è subordinato al rispetto della distanza minima di cui all'articolo 2, comma 2, del medesimo regolamento che, per i Comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti, come Giano dell'Umbria, deve essere pari o maggiore a 300 metri.
4. Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta che il percorso pedonale più breve calcolato dalla Polizia Locale del Comune di Giano dell'Umbria (pari a mt. 245), e risultato insufficiente rispetto alla distanza imposta dalla normativa, non potrebbe essere preso a riferimento ai fini della determinazione della distanza minima tra rivendite in quanto avrebbe utilizzato un tratto di strada (pari a mt. 142) privo di marciapiede in cui "il pedone, procedendo dal C.B. verso la rivendita n. 5 percorre via del Mercato sul lato destro della carreggiata, nello stesso senso di marcia dei veicoli" (cfr., pag. 12 del ricorso principale), ponendosi così in contrasto il disposto di cui all'art. 190 del Codice della Strada, rubricato "Comportamento dei pedoni", il quale dispone che: "i pedoni devono circolare sui marciapiedi, sulle banchine, sui viali e sugli altri spazi per essi predisposti; qualora questi manchino, siano ingombri, interrotti o insufficienti, devono circolare sul margine della carreggiata opposto al senso di marcia dei veicoli in modo da causare il minimo intralcio possibile alla circolazione. (...). I pedoni, per attraversare la carreggiata, devono servirsi degli attraversamenti pedonali, dei sottopassaggi e dei sovrapassaggi. Quando questi non esistono, o distano più di cento metri dal punto di attraversamento, i pedoni possono attraversare la carreggiata solo in senso perpendicolare, con l'attenzione necessaria ad evitare situazioni di pericolo per sé o per altri. È vietato ai pedoni attraversare diagonalmente le intersezioni; è inoltre vietato attraversare le piazze e i larghi al di fuori degli attraversamenti pedonali, qualora esistano, anche se sono a distanza superiore a quella indicata nel comma 2".
In applicazione della suesposta normativa dovrebbe pertanto essere preso a riferimento, ai fini dell'invocato trasferimento, il più lungo percorso pari a mt. 336 calcolato dalla perizia del ricorrente principale, in quanto rispettoso del Codice della Strada e delle prescrizioni di cui al decreto direttoriale dell'Agenzia e delle Dogane n. DAC/CRV/4126/2013 del 23 marzo 2013, a tenore del quale "per percorso pedonale si intende il tragitto ordinariamente percorribile mediante una normale deambulazione in relazione alla via che un pedone è autorizzato a percorrere senza violare le norme sulla circolazione viaria" e "il calcolo della distanza deve essere effettuato non computando gli ostacoli naturali o artificiali presenti lungo il percorso".
4.1. Anche tale doglianza è destituita di fondamento.
Osserva infatti il Collegio che nel concetto di "normale deambulazione" non può che rientrare la percorrenza di un tratto di strada privo di marciapiede o il non utilizzo di strisce pedonali; tali carenze infatti sono ben lontane dal precludere il diritto del pedone ad utilizzare il percorso, poiché il secondo periodo del primo comma dell'art. 190 del Codice stradale prende atto della possibilità che i marciapiedi non esistano o siano ingombri (o che le strisce pedonali manchino a siano lontane più di cento metri dal punto di attraversamento), essendo oggettivamente evidente in tal caso l'inapplicabilità dell'obbligo di avvalersi detti supporti.
Inoltre non è senza significato che, per giurisprudenza costante, il percorso pedonale più breve ex art. 2, comma 4, del D.M. n. 38 del 2013 deve essere calcolato sia partendo dalla nuova rivendita "sia partendo dalla rivendita preesistente. E ciò in quanto il contemperamento delle regole prescritte (uso dei passaggi pedonali se posti a meno di 100 ml, ma anche il punto di attraversamento del percorso lungo la carreggiata in assenza di marciapiedi in senso opposto a quello di marcia dei veicoli) può far pervenire a risultati diversi a seconda del punto di partenza o del punto di attraversamento considerato. Tali considerazioni: - per un verso, rendono meno possibili risultati irragionevoli, come nei casi in cui si riscontra che esercizi posti a breve distanza, attraverso un "giro vizioso", determinato da una applicazione formalistica (e poco riscontrabile in concreto) delle regole del Codice della Strada, risultano essere ubicati ben oltre il limite previsto dalla normativa di settore; - per altro verso, non si pongono in contraddizione con le prescrizioni del Codice della Strada in tema di "comportamento dei pedoni" (art. 190 D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 cit.), posto che, nel caso di specie, tali regole sono richiamate al fine di determinare una distanza tra esercizi a fini commerciali, non già al fine di verificare la correttezza del comportamento tenuto dal singolo pedone; ed a tali fini il "senso di marcia", cioè la direttrice "in avanti" tra un punto di partenza ed uno di arrivo diventa il dato determinate per la successiva applicazione delle regole citate" (Cons. St., sez. IV, 26 giugno 2016, n. 3333; nello stesso senso cfr. T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 2 agosto 2018, n. 1186).
4.2. Ne consegue che misurando la distanza tra i due punti vendita nella direzione inversa a quella indicata da parte ricorrente (nella specie partendo dalla rivendita n. 5 in direzione C.B.) emerge la possibilità per il pedone di percorrere il tragitto più breve preso in considerazione dall'amministrazione, nel caso in esame percorrendo la via del Mercato in senso opposto a quello di marcia delle automobili, e senza infrangere alcuna delle prescrizioni rivolte ai pedoni dall'invocato art. 190 del Codice della Strada.
4.3. Né a diverse conclusioni può condurre il fatto che il percorso che passa per la via del Mercato sarebbe più pericoloso rispetto a quello prospettato da parte ricorrente in quanto privo di marciapiedi, dovendo in tal caso il pedone comunque seguire il margine della carreggiata, conformemente alle succitate disposizioni del Codice della Strada.
5. Con i successivi motivi di ricorso (terzo e quarto) si lamenta la violazione della vigente legislazione in materia di liberalizzazione delle attività commerciali e del principio di matrice comunitaria sulla libertà di stabilimento.
5.1. Entrambi i motivi sono infondati e vanno respinti.
5.2. Osserva infatti il Collegio che in materia di liberalizzazione della vendita di generi di monopolio, "la normativa di riferimento è dettata dall'art. 45 della L. n. 907 del 1942 (legge sul monopolio dei sali e dei tabacchi), riguardo alla quale la Corte di Giustizia, con sentenza n. 387/1995, ha statuito che "gli artt. 5, 9, 30, 37 e 86 del Trattato di Roma non ostano ad una normativa nazionale che, come quella italiana, riserva la vendita al dettaglio dei tabacchi lavorati a rivenditori autorizzati dalla PA allorché questa non intervenga nelle scelte di rifornimento dei dettaglianti". Ne consegue la piena legittimità delle contestate disposizioni in materia di distanze tra rivendite di tabacchi, non potendo quest'ultime "qualificarsi imprese equiparabili a tutti gli effetti alle altre attività economiche suscettibili della più ampia liberalizzazione, considerando che si tratta pur sempre di esercizi che cooperano all'espletamento di un servizio pubblico, che coinvolge interessi sensibili della collettività, come il diritto alla salute. Se ne trae conferma dalle premesse del D.M. n. 38 del 2013 (...) nelle quali, pur tenuto presente il principio della libera concorrenza, si ravvisa l'esigenza di realizzare una diffusione delle rivendite sul territorio che, lungi dal perseguire il massimo incremento dei ricavi del venditore, e dello stesso gettito fiscale, preservi un controllato equilibrio tra l'offerta e la domanda effettiva del consumatore" (cfr., in termini, T.A.R. Umbria, 22 gennaio 2018, n. 55 e Cons. St., sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4811).
6. Con il quinto ed ultimo motivo del ricorso principale si lamenta che il diniego impugnato si baserebbe su dettati normativi inconferenti con il caso per il quale è stata chiesta l'istanza di trasferimento di sede, che è cosa diversa dalla normativa in tema di istituzione di rivendite di cui all'art. 2 del D.M. n. 38 del 2013 recante il contestato requisito di distanza tra rivendite.
6.1. La doglianza è priva di pregio e va disattesa.
6.2. Al riguardo è sufficiente rilevare che è proprio la norma in tema di trasferimento di sede di cui all'art. 10, comma 6, del D.M. n. 38 del 2013, a fare espresso rinvio ai criteri di popolazione e distanza posti dall'art. 2 del medesimo D.M. n. 38 del 2013 in materia di istituzione di rivendite, con conseguente applicazione in entrambe le fattispecie (istituzione e trasferimento) dei predetti criteri.
7. Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso principale e del connesso atto di intervento ad adiuvandum con cui si ribadisce il difetto di motivazione del diniego impugnato e per la cui infondatezza si rinvia a quanto esposto al paragrafo 5 e ss. della presente decisione.
8. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente principale nella misura indicata in dispositivo, mentre possono compensarsi in relazione all'interveniente ad adiuvandum in ragione del carattere meramente subordinato della pretesa vantata da quest'ultimo rispetto al ricorso principale.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso principale ed il connesso atto di intervento ad adiuvandium, li respinge.
Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio in favore delle amministrazioni resistenti e della controinteressata, che liquida forfettariamente in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre oneri ed accessori come per legge, mentre le compensa in relazione all'interveniente ad adiuvandum.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2019 con l'intervento dei magistrati:
Raffaele Potenza, Presidente
Paolo Amovilli, Consigliere
Enrico Mattei, Primo Referendario, Estensore