08/01/2019 free
Nessun risarcimento al marito, impegnato in una relazione extraconiugale, per la morte della moglie.
In termini generali, il fatto illecito costituito dalla uccisione di uno stretto congiunto appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello) dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare.
Siffatta presunzione semplice può tuttavia, come tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l'esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all'obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all'art. 143 c.c.).
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Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 luglio – 11 dicembre 2018, n. 31950
omissis
Fatti di causa
Con sentenza 27-4-2016 la Corte d'Appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado del tribunale di Matera, decidendo in ordine ad un sinistro stradale avvenuto in data (omissis) sulla strada (omissis) tra l'autovettura Volskwagen Polo condotta da Lu. Mo., deceduta in seguito allo stesso, ed il mezzo agricolo non assicurato condotto da Sa. Gi., ha ritenuto sussistente un concorso di colpa in pari misura del Giannantono e della Mo. e, per l'effetto, ha condannato la Generali SpA, procuratrice di INA Assitalia, impresa designata per il Fondo di garanzia per le Vittime della Strada, al risarcimento del danno subito dal padre, dai figli e dai fratelli della vittima; ha, invece, rigettato l'appello proposto da Si. Ru., marito della vittima, confermando quindi la statuizione del Tribunale di respingimento della sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale "iure proprio" subito in conseguenza del decesso del coniuge.
In particolare la Corte, per quanto ancora rileva, ha evidenziato, in ordine alla pari responsabilità, che il Gi. ebbe a circolare su strada pubblica, in condizioni di scarsa visibilità, con rimorchio non munito di dispositivi di illuminazione, mentre la Mo. ebbe a percorrere, pur se a velocità inferiore a quella massima consentita, la strada rettilinea, senza prestare adeguata attenzione alla presenza di un ostacolo ancora visibile per le sue significative dimensioni e senza indossare le cinture di sicurezza.
La Corte, inoltre, in ordine al rigetto della domanda risarcitoria del coniuge, ha evidenziato che la presunzione di sussistenza (tra coniugi non separati) di un progetto di vita in comune e di un vincolo affettivo era stata, nella specie, superata da elementi di segno contrario, atteso che il Ru. aveva avuto una relazione extraconiugale, dalla quale era nato un figlio tre mesi prima della morte della Mo.; l'attore, quindi, su cui incombeva la relativa prova, non aveva dimostrato, in presenza di una circostanza che -secondo comune esperienza- costituisce sintomo del deterioramento e della cessazione di un rapporto coniugale, la perdurante sussistenza tra i coniugi (benché non legalmente separati) di un vincolo affettivo.
Avverso detta sentenza Si. Ru. propone ricorso per Cassazione, sulla base di un motivo, illustrato anche da successiva memoria.
An., Pa. e Cl. Fi. (figli della vittima), Fr. Da. e Ma. Ro. Mo. (fratelli della vittima), tutti in proprio e quali eredi di Lu. e Pa. Mo. (padre della vittima, deceduto il 3-12-1999), nonché Ma. Sa., Pa. Mo. (nato l'11-6-1974) e Be. Gi. Mo. (quali eredi di Pa. Mo. e Vito Mo. (altro fratello della vittima, deceduto il 1-3-2011) propongono successivo ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Generali Italia SpA (già INA Assitalia SpA) resiste con controricorso, illustrato anch'esso da successiva memoria.
Sa. Gi. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso presentato da An., Pa. e Cl. Fi. (figli della vittima), Fr. Da. e Ma. Ro. Mo. (fratelli della vittima), tutti in proprio e quali eredi di Lu. e Pa. Mo. (padre della vittima, deceduto il 3-12-1999), nonché Ma. Sa., Pa. Mo. (nato l'11-6-1974) e Be. Gi. Mo. (quali eredi di Pa. Mo. e Vito Mo. (altro fratello della vittima, deceduto il 1-3-2011) va esaminato per primo per ragioni di ordine logico.
Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando -ex art. 360 n. 5 c.p.c.- violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2056 c.c. e 116 c.p.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia omesso di considerare il fatto decisivo costituito dall'ora del tramonto del sole alla data del 16 luglio 1998 (ore 20.07, come accertato dal CTU); fatto decisivo in quanto l'incidente, avvenuto intorno alle 20.45, si sarebbe verificato in assenza di qualsiasi residua visibilità, e quindi in condizioni tali da rendere impossibile alla Mo. la percezione del rimorchio che la precedeva, privo dei dispositivi di illuminazione.
Il motivo è inammissibile.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, il detto fatto (e cioè l'orario del tramonto del sole e la condizione di visibilità) è stato espressamente preso in considerazione dalla Corte territoriale, che, nel corretto esercizio del suo potere di valutazione delle prove, ha considerato che nel capoluogo di Regione in data 16 luglio il sole tramonta alle ore 8.24 (con altri 20-25 minuti prima del buio totale) ed ha ritenuto maggiormente attendibile l'indicazione di orario e la percezione delle condizioni di visibilità riferite dai testi Esposito e Pinto, i quali, sopraggiunti subito dopo l'incidente, ebbero a riferire che erano le 20.45 e che vi era ancora visibilità.
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc-violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, comma 2, 2056, 2727 c.c. e 116 c.p.c., si dolgono che la Corte, con un inammissibile ragionamento presuntivo, abbia accertato il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte della Mo. ed abbia ritenuto che siffatto mancato uso abbia contribuito al verificarsi dell'evento morte; da fatti noti, pacifici e non contestati dalle parti (lesioni al torace riportate dalla Mo. e danni alla parte bassa dello sterzo dell'autovettura da quest'ultima condotta) la Corte era arrivato al fatto ignoto (mancato uso della cintura di sicurezza) ed aveva poi ritenuto, con una inammissibile correlazione in senso induttivo tra due presunzioni semplici, che detto mancato uso della cintura avesse contribuito al verificarsi dell'evento morte (altro fatto ignoto).
Il motivo è inammissibile.
Come ripetutamente affermato da questa S.C. spetta, infatti, al giudice di merito valutare l'opportunità di fare ricorso a presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità.
Né può ritenersi che la Corte territoriale sia incorsa nel divieto di doppia presunzione (correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice), essendosi invece solo limitata a far discendere dai due su menzionati fatti noti (lesioni al torace e danni alla parte bassa dello sterzo) il fatto ignoto del mancato uso delle cinture, valutando poi conseguenzialmente tale mancato uso delle cinture in nesso causale con l'evento morte.
Con l'unico motivo di ricorso il Ru., denunziando -ex art. 360 n. 3 cpc-violazione e falsa applicazione degli artt. 2059, 2729, 2697 e 143 c.c. e 116 c.p.c., si duole che la Corte territoriale, sulla sola base di una relazione extraconiugale e della conseguente nascita di un figlio naturale, abbia ritenuto insussistente il legame affettivo tra i coniugi al momento dell'incidente, ed abbia quindi rigettato, per mancanza di prova, la richiesta di risarcimento per il subito pregiudizio morale da perdita del rapporto parentale; siffatti elementi (relazione extraconiugale e nascita di un figlio naturale) non sono elementi univoci rispetto all'insussistenza delle sofferenze morali subite in conseguenza della morte del coniuge; la relazione sentimentale extraconiugale non può costituire grave e preciso elemento utile a ritenere cancellato totalmente il legame affettivo esistente con il coniuge deceduto e negare qualsiasi forma di ristoro del pregiudizio morale; inopinatamente la Corte ha equiparato il deterioramento alla cessazione del rapporto affettivo.
Il motivo è infondato.
Correttamente la Corte territoriale ha rilevato che, in termini generali, il fatto illecito costituito dalla uccisione di uno stretto congiunto appartenente al ristretto nucleo familiare (genitore, coniuge, fratello) dà luogo ad un danno non patrimoniale presunto, consistente nella sofferenza morale che solitamente si accompagna alla morte di una persona cara e nella perdita del rapporto parentale e conseguente lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che ordinariamente caratterizza la vita familiare.
Si tratta, pertanto, di un danno presunto, dovendosi ordinariamente ritenere sussistente tra detti stretti congiunti un intenso vincolo affettivo ed un progetto di vita in comune; nella normalità dei casi, pertanto, in virtù di detta presunzione, il soggetto danneggiato non ha l'onere di provare di avere effettivamente subito il dedotto danno non patrimoniale.
Siffatta presunzione semplice può tuttavia, come tale, essere superata da elementi di segno contrario, quali la separazione legale o (come nel caso di specie) l'esistenza di una relazione extraconiugale con conseguente nascita di un figlio tre mesi prima della morte del coniuge (relazione extraconiugale che costituisce evidente inadempimento all'obbligo di fedeltà tra coniugi di cui all'art. 143 c.c.).
Detti elementi non comportano, di per sé, l'insussistenza del danno non patrimoniale in capo al coniuge superstite, ma impongono a quest'ultimo, in base agli ordinari criteri di ripartizione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. (essendo stata, come detto, superata la presunzione), di provare di avere effettivamente subito, per la persistenza del vincolo affettivo, il domandato danno non patrimoniale.
Nella specie la Corte territoriale, con valutazione in fatto (come tale non sindacabile in sede di legittimità), ha ritenuto che il Ru. non avesse fornito detta prova e, correttamente, ha rigettato la domanda risarcitoria.
In conclusione, pertanto, vanno rigettati entrambi i ricorsi (quello principale e quello successivo incidentale).
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 115/2002, poiché i ricorsi sono stati presentati successivamente al 30-1-2013 e sono stati rigettati, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principali e di quelli incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovute per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis del cit. art. 13.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; condanna il ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di Generali Italia SpA e di Sa. Gi., che si liquidano per ciascuno in Euro 3.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti principale e di quelli incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale.