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Trasformazione del contratto di lavoro "precario" presso la ASL (realizzatosi con i reiterati contratti o contratti con proroghe) in contratto a tempo indeterminato
Sarebbe stato necessario, nella specie, che la parte ricorrente avesse indicato le specifiche direttive ricevute, al fine di provare il vincolo della etero-direzione, posto che la mera e generica indicazione di aver svolto attività inserita nell'articolazione funzionale dell'Azienda e sotto il controllo della Direzione non può essere intesa come sufficiente a condurre alla diversa qualificazione del rapporto invocata in giudizio. In questi termini, è stato affermato che "In tema di contratto di collaborazione coordinata e continuativa, l'elemento idoneo ad escludere l'autonomia della prestazione consiste nell''assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; il primo non può esplicarsi in semplici direttive di carattere generale, compatibili con altri tipi di rapporto, ma deve manifestarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa; il secondo non può consistere in un semplice coordinamento, ma deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale"
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Tribunale Isernia Sez. lavoro, Sent., 16-03-2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ISERNIA
Il Giudice Unico del Tribunale di Isernia in funzione di Giudice del Lavoro Dr. Mario Ciccarelli ha pronunciato all'esito della camera di consiglio successiva alla udienza del 16 marzo 2018 la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 335/2015 R.G.L. e vertente
TRA
L.P.S., rappresentato e difeso, giusta procura alle liti al margine del ricorso, dagli Avv.ti Nicola Gasbarro e Francesco Domenico Crescente, elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Campobasso alla via Ferrari n. 13;
-RICORRENTE-
E
AZIENDA SANITARIA REGIONALE MOLISE - ASREM (C.F.: (...)), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in virtù di procura in atti dall'Avv.to Salvatore Fratangelo, elettivamente domiciliata presso lo studio dell'Avv.to Francesco Di Lauro in Venafro (Is) alla via delle Milizie n. 5;
-RESISTENTE -
Oggetto: accertamento natura subordinata rapporto di lavoro
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 21.07.2015, L.P.S. ha convenuto in giudizio l'Azienda resistente rassegnando le seguenti conclusioni: "- Accertare e dichiarare la fittizietà e/a invalidità e/o illegittimità del contratto di collaborazione intercorso tra le parti e delle relative proroghe e per effetto, dichiarare che tra le parti si è instaurato sin dall'01.11.2011 o dalla diversa data che il Giudice riterrà di giustizia un rapporto di lavoro subordinato e, quindi, accertare e dichiarare il diritto del Sig. L.P.S. al relativo giusto inquadramento e disporre comunque, il mantenimento in servizio dello stesso, in virtù della trasformazione del contratto di lavoro "precario" (realizzatosi con i reiterati contratti o contratti con proroghe), in contratto a tempo indeterminato, in guanto in possesso della anzianità di servizio prevista ex art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368 del 2001;- Accertare e riconoscere che il ricorrente ha prestato, continuativamente ed ininterrottamente, attività lavorativa quale rapporto di lavoro alle dipendenze dell'azienda sanitaria; in subordine, disporre il mantenimento in servizio dello stesso, nelle more dell'espletamento delle procedure di stabilizzazione e/o di reclutamento riservato, al fine di non subire alcun nocumento e/o pregiudizio nella partecipazione al processo di stabilizzazione di cui in narrativa; - per l'effetto dichiarare che i contratti di lavoro (con annesse proroghe) stipulati tra il ricorrente e l'ASREM, sono di tipo subordinato; - dichiarare che il rapporto di lavoro di cui sopra debba considerarsi a tempo indeterminato a partire dal compimento dei 36 mesi, ex art. 5, comma 4 bis D.Lgs. n. 368 del 2001; - in subordine, dichiarare la nullità del termine apposto ai contratti, nonché alle successive proroghe e conseguenzialmente il diritto ad ottenere il risarcimento del danno per violazione di norma imperativa di legge, oltre che il mantenimento in servizio fino al 31/12/2018, fatte salve eventuali, successive disposizioni normative più favorevoli; - per l'effetto ordinare all'ASREM di Campobasso di mantenere in servizio la ricorrente, con ogni conseguenza di legge; - conseguentemente, condannare l'ASREM - Azienda Sanitaria Regionale Molise - al pagamento delle somme dovute a titolo di differenze retributive, secondo i titoli indicati, oppure a quelle maggiori o minori che dovessero risultare in causa, e comunque ritenute di giustizia, oltre ad interessi e rivalutazione monetaria; - condannare l'ASREM - Azienda Sanitaria Regionale Molise - al risarcimento del danno per violazione di norma imperativa di legge".
A fondamento della pretesa, la parte ha addotto in fatto di aver prestato attività di collaborazione coordinata e continuativa, nell'ambito di un progetto sperimentale, in forza di provvedimenti datoriali, cui seguiva la sottoscrizione del relativo contratto, via via rinnovati con conseguenti proroghe del contratto nei termini analiticamente indicati in ricorso.
Secondo la prospettazione difensiva fornita, il rapporto di lavoro, benchè formalmente connotato da margini di autonomia nel perseguimento del progetto, era stato di fatto caratterizzato dal vincolo di subordinazione al datore di lavoro, attesa la sussistenza di tutti gli indizi caratterizzanti detto vincolo. Inoltre, la ripetuta proroga dell'incarico era illegittima perché contrastante con i limiti temporali di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001.
Con memoria difensiva si è costituita l'Asrem, in persona del l.r., invocando il rigetto integrale della domanda.
L'Azienda resistente ha evidenziato che i diversi contratti di collaborazione coordinata e continuativa erano stati stipulati in osservanza delle disposizioni di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ed avevano identificato in modo chiaro l'oggetto della prestazione ed il progetto in forza del quale era stato assegnato l'incarico. Le proroghe dei contratti, poi, erano state espressamente richieste dai responsabili del progetto e adottate al fine di non compromettere la continuità degli adempimenti in atto, come evidente dalle relative delibere del Direttore Generale. In ogni caso, ha contestato la sussistenza dei profili di subordinazione, rimarcando l'autonomia caratterizzante la prestazione fornita dalla parte. Infine, ha eccepito che, comunque, l'art. 36 del D.Lgs. n. 165 del 2001 non consentiva alcuna conversione del rapporto alle dipendenze della p.a.
Espletata la prova orale, la controversia è giunta alla odierna udienza per la discussione.
Il ricorso è infondato e va rigettato per le motivazioni che seguono.
1. L'accertamento della sussistenza del rapporto di lavoro tra le parti
In via preliminare, va dato atto della sussistenza del rapporto di lavoro tra le parti, giusta contratti di collaborazione richiamati negli scritti difensivi, secondo le modalità e per la durata ivi indicata.
La circostanza, oltre che fornita di supporto documentale (cfr. doc. n. 1, 2, 3, 4 e 5 produzione parte ricorrente), rinviene fondamento nel principio di non contestazione di cui all'art. 115 comma I c.p.c., come novellato dalla L. n. 69 del 2009.
2. L'elaborazione giurisprudenziale in materia di contratto di collaborazione coordinata e continuativa nel pubblico impiego
Venendo al merito della pretesa, ragioni di opportunità inducono a premettere un accenno alla elaborazione giurisprudenziale ed alla normativa applicabile al caso di specie in materia di contratto di collaborazione coordinata e continuativa intercorso con della p.a., sul rilievo che all'azienda resistente va conferita detta natura giuridica.
Come è noto, il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è caratterizzato dall'autonomia del lavoratore, dal coordinamento organizzativo operato dal committente, dalla natura prevalentemente personale della prestazione, dalla continuità/costanza nel tempo della collaborazione.
In forza di dette caratteristiche, la prestazione fornita è caratterizzata, quindi, da autonomia operativa, inquadrata, però, in un rapporto unitario e continuativo con il committente. Il lavoratore, quindi, fa parte dell'organico della struttura aziendale e opera in tutti i processi, anche quelli produttivi, residuando al committente il potere di coordinamento dell'attività del lavoratore per armonizzarle con le procedure e i bisogni dell'organizzazione dell'impresa o dell'ente.
Quanto all'accertamento della natura subordinata del rapporto, la Suprema Corte, con orientamento costante e granitico, ha precisato che "L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse" (tra le tante, Cass. Civ., Sez. L., 08/04/2015, n. 7024; Sez. L, Sentenza n. 5645 del 09/03/2009).
Anche la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità ha ribadito che ai fini di una corretta qualificazione del rapporto in termini di subordinazione, appare di primaria importanza l'accertamento della c.d. "eterodirezione". Allorquando il carattere della subordinazione non sia immediatamente percepibile per la particolarità delle mansioni svolte e per il concreto atteggiarsi del rapporto, il giudice può, però, ricorrere a criteri complementari e sussidiari, rispetto a quelli della sottoposizione del lavoratore al potere gerarchico e disciplinare del datore ex artt. 2084 e 2086 c.c., da valutare complessivamente come indizi del rapporto subordinato: "gli indici sintomatici della "subordinazione", sono costituiti dalla messa a disposizione di energie lavorative in favore del datore di lavoro, con assunzione del relativo rischio in capo a quest'ultimo e dall'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, di controllo e gerarchico del datore di lavoro, il quale, nell'impartire direttive, sebbene di carattere programmatico, interferisce nella definizione delle modalità e dei tempi della prestazione di lavoro e nel suo contenuto (c.d. eterodeterminazione della prestazione). Al contrario appaiono meramente indiziari e/o sussidiari, rispetto all'unico elemento avente valore determinante rappresentato dalla dimostrazione dell'esistenza della subordinazione, gli altri elementi comunemente individuabili in tale materia, quali la collaborazione, l'assenza di rischio economico, la natura della prestazione che si configura come un'obbligazione di mezzi e non come un'obbligazione di risultato nella quale il relativo rischio ricade sullo stesso lavoratore, la continuità della stessa prestazione o anche detta "disponibilità funzionale del prestatore", la forma della retribuzione, l'osservanza di un orario di lavoro, il coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro" (Tribunale Napoli sez. lav., 24 novembre 2011, n. 30771); e, ancora, "l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo risiede nel vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia e inserimento nell'organizzazione aziendale. Tuttavia gli altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione, idonei anche a prevalere sull'eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l'assetto previsto dalle stesse" (Tribunale Milano sez. lav., 16 gennaio 2012, n. 128).
3. L'accertamento della natura subordinata del rapporto
L'applicazione al caso di specie dei canoni ermeneutici che precedono determina l'infondatezza della addotta natura subordinata del rapporto di lavoro.
Invero, non è stata acquisita alcuna prova in ordine al potere direttivo e disciplinare in capo al datore di lavoro; in altre parole, non vi è prova della etero-direzione del lavoratore.
Segnatamente, con riferimento alla etero-direzione, la parte ha chiesto di provare al cap. n. 5 e n. 6 del ricorso lo svolgimento di attività con subordinazione gerarchica, oltre che il potere di controllo esercitato dal datore di lavoro. In proposito, i testi escussi A.P. e F.R. (cfr. verbale di udienza del 19.07.2017) non hanno fornito alcun contributo istruttorio, avendo affermato di non essere a conoscenza di dette circostanze.
Ciò posto, alla luce delle circostanze che hanno trovato riconoscimento in sede istruttoria, non può dirsi provata la natura subordinata del rapporto: l'inserimento in una organizzazione aziendale, con un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, il rispetto della normativa applicabile ed il controllo dell'attività prestata, implica di per sé che la prestazione fornita sia gestita e si inserisca nel complesso dell'attività istituzionale dell'Ente; da ciò discende pertanto il corollario del necessario coordinamento dell'attività del singolo con quella aziendale ed impone di dimostrare che nello specifico il rapporto abbia assunto connotati diversi rispetto a quelli che pure caratterizzano il lavoro autonomo. Non a caso, con orientamento condivisibile, si è osservato che "Non vi è dubbio che l'eterodirezione sia destinata a manifestarsi in modo differente a seconda della posizione ricoperta dal lavoratore nell'ambito dell'organizzazione aziendale e, soprattutto, delle diverse tipologie di organizzazioni nelle quali il lavoratore è inserito. Pare tuttavia evidente che semplici direttive generali e programmatiche, così come un generale controllo estrinseco sull'attività lavorativa, costituiscano elementi compatibili anche con la prestazione di lavoro autonomo" (Trib. Milano Sez. lavoro, 13-02-2017).
È per questo motivo che sarebbe stato necessario, nella specie, che la parte ricorrente indicasse le specifiche direttive ricevute, al fine di provare il vincolo della etero-direzione, posto che la mera e generica indicazione di aver svolto attività inserita nell'articolazione funzionale dell'Azienda e sotto il controllo della Direzione non può essere intesa come sufficiente a condurre alla diversa qualificazione del rapporto invocata in giudizio. In questi termini, è stato affermato che "In tema di contratto di collaborazione coordinata e continuativa, l'elemento idoneo ad escludere l'autonomia della prestazione consiste nell'l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; il primo non può esplicarsi in semplici direttive di carattere generale, compatibili con altri tipi di rapporto, ma deve manifestarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa; il secondo non può consistere in un semplice coordinamento, ma deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale"
Neppure rilevano le specifiche mansioni svolte dalla parte ricorrente e la modalità della loro effettuazione (cfr. capitolo n. 7), poiché esse sono suscettibili di svolgimento anche nell'ambito del rapporto di collaborazione.
Restano a questo punto irrilevanti le risultanze istruttorie inerenti all'orario di lavoro (cap. 3), o alla firma di un registro delle presenze in ingresso e in uscita (cap. 4), o alle richieste di autorizzazione ad allontanarsi dal posto di lavoro (cap. n. 10). In tutti questi casi si tratta, infatti, di elementi non solo sussidiari rispetto a quelli caratterizzanti tipicamente la subordinazione (come in precedenza indicati), ma anche astrattamente compatibili con una qualificazione del rapporto in termini di collaborazione coordinata e continuativa, posto che essi ben si spiegano anche con la generale necessità dell'azienda di conoscere le risorse di lavoro (subordinato e/o autonomo) disponibili giorno per giorno, al fine di una ottimale gestione delle proprie risorse e dello svolgimento delle proprie attività.
Ad ogni buon conto, anche in ordine a tali circostanze, i testi escussi non hanno fornito un contributo dirimente, se solo si considerino i numerosi capitoli di prova sui quali è stato affermato "Nulla so".
Non si trascura che, ad avviso della S.C., alcuni lavori non possono che svolgersi con modalità di subordinazione, essendosi affermata (da Sez. L, Sentenza n. 58 del 07/01/2009), con riferimento alle prestazioni rese da un lavoratore come cameriere ai tavoli di un ristorante, la rilevanza, quali indici di subordinazione, dell'assenza di rischio economico per il lavoratore, dell'osservanza di un orario e dell'inserimento nell'altrui organizzazione produttiva, specie in relazione al coordinamento con l'attività degli altri lavoratori, aspetti questi peraltro connaturati al lavoro di cameriere. Tuttavia, la prestazione resa dalla parte nel caso in esame è ben compatibile con il connotato della para-subordinazione proprio perché inerente professionalità elevate e specializzate.
Sulla scorta delle ragioni che precedono, non può dirsi accertata la natura subordinata del rapporto istaurato tra le parti, con ogni conseguenza anche in ordine alla pretesa azionata a titolo di pagamento delle somme dovute per differenze retributive.
4. La violazione della disciplina del rapporto a termine
La parte istante ha impugnato le fonti del proprio rapporto di lavoro anche sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, chiedendo la conversione del rapporto o, in via subordinata, il risarcimento del danno.
Anche detta domanda è infondata.
Entrambe le pretese risultano destituite di fondamento alla luce della più recente giurisprudenza, secondo la quale "In caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, il lavoratore non può mai conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all'art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale" (Cass. Civ., Sez. L, Sentenza n. 3384 del 08/02/2017).
E' stato condivisibilmente sostenuto nella pronuncia richiamata che, "...il tratto fondamentale che distingue il rapporto di pubblico impiego dal rapporto nel settore privato concerne la mancata applicazione della sanzione della conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come precisa il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5. Le norme imperative vanno individuate nella regola generale imposta dall'art. 97 Cost., che prevede che il concorso pubblico costituisce la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, anche degli enti locali (Corte Cost. n. 180 del 2015, 134/2014, 277/2013; Cass. SSUU 4685/2015; Cass. 24808/2015, 25165/2015), e che ammette deroghe solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, individuate dal legislatore nell'esercizio di una discrezionalità non irragionevole, che trova il proprio limite specifico nella necessità di meglio garantire il buon andamento della Pubblica Amministrazione (C. Cost. n. 134 del 2014, 217/2012, 310/2011, 9/2010, 293/2009, 215/2009, 81/2006, 190/2005). Alla regola costituzionale del pubblico concorso si è conformata la disciplina statale che l'ha trasfusa nel D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 36, e, quindi, nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, sia pure consentendo, in via di eccezione, il ricorso a procedure concorsuali "semplificate" per alcune categorie di mansioni o di profili di contenuto professionale più modesto... Deve quindi ritenersi che dall'eventuale qualificazione come subordinato, in sede giudiziale, di un rapporto di lavoro intercorrente con la P.A. non potrebbe comunque conseguire l'acquisizione di un posto di ruolo da parte del prestatore, ma la sola possibilità di un ristoro pecuniario ex art. 2126 c.c.. Difatti, la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, secondo cui la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si riferisce a tutte le assunzioni avvenute al di fuori di una procedura concorsuale. Nè tale disciplina viola - come affermato dalla sentenza n. 89 del 2003 della Corte costituzionale - alcun precetto costituzionale in quanto il principio dell'accesso mediante concorso rende palese la non omogeneità del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori privati e giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle norma imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali (in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati); nè contrasta, infine, con il canone di ragionevolezza, avendo la stessa norma costituzionale individuato nel concorso, quale strumento di selezione del personale, lo strumento più idoneo a garantire, in linea di principio, l'imparzialità e l'efficienza della pubblica amministrazione (cfr. Cass. n. 11161 del 2008, n. 14350 del 2010, n. 19371 del 2013)" (Cass. Civ., Sez. L., 08/02/2017 n. 3384, cit.).
Nel caso che ci occupa, ferma l'inapplicabilità della conversione del rapporto, l'accertata insussistenza dei profili della subordinazione e, pertanto, la natura autonoma del rapporto di lavoro, non consente di dare ingresso neppure alla tutela meramente risarcitoria rivendicata dalla parte in via subordinata.
5. Diritto alla stabilizzazione e al mantenimento in servizio
Infine, la parte ha chiesto disporsi il mantenimento in servizio nelle more dell'espletamento delle procedure di stabilizzazione, nonché l'accertamento del diritto alla stabilizzazione stessa.
Anche detta domanda è infondata.
Invero, il rapporto di lavoro di collaborazione coordinata e continuativa è stato posto in essere in forza del progetto e del raggiungimento di specifici obiettivi.
L'incarico, come emerge dai contratti di lavoro, è necessariamente temporaneo.
Ora, nonostante l'incarico, previa richiesta della Struttura e consenso dell'interessato, sia stato via via prorogato al fine di non compromettere la continuità degli adempimenti in atti, è e resta legato alle esigenze sottese al progetto sul quale si fonda, nonché alle risorse finanziarie.
Pertanto, la durata del rapporto di collaborazione è legata a specifiche esigenze ed a presupposti di esistenza, validità ed efficacia che sono necessariamente temporanei e che non consentono, pertanto, di riconoscere un diritto al mantenimento in servizio.
Del pari, alcun diritto alla stabilizzazione può rivendicare la parte.
Le diverse fonti richiamate in ricorso che si sono susseguite in proposito danno la stura a una procedura che l'amministrazione è, previa individuazione dei relativi posti nella pianta organica, facoltizzata e non obbligata a seguire per assumere a tempo indeterminato personale già in servizio per un certo arco temporale, in deroga alla normativa generale della copertura del posto tramite procedura di evidenza pubblica e con norme, perciò, di stretta interpretazione.
Come è stato correttamente sostenuto, "In tema di impiego pubblico privatizzato, i processi di stabilizzazione (tendenzialmente volti ad eliminare il precariato venutosi a creare in violazione delle prescrizioni di cui all'art. 36 D.Lgs. n. 165 del 2001) sono effettuati nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle disposizioni in tema di dotazioni organiche e di programmazione triennale dei fabbisogni; la deroga alle ordinarie regole per le assunzioni concerne il carattere di assunzione riservata e non aperta, ma non il requisito del possesso del titolo di studio per l'accesso dall'esterno alle singole qualifiche previsto dai sistemi di classificazione e neppure la regola dell'accesso tramite procedure selettive, necessarie nell'ipotesi che il personale da stabilizzare di personale non abbia sostenuto procedure selettive di tipo concorsuale, con esclusione soltanto delle assunzioni obbligatorie o mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento" (Cassazione civile sez. un. 22 febbraio 2012 n. 2568).
Le ragioni che precedono determinano, in definitiva, il rigetto della domanda.
6. Spese di lite
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate, come in dispositivo, a mente del D.M. n. 55 del 2014, sulla scorta del valore della controversia e dell'effettiva attività processuale espletata, con l'applicazione del valore minimo delle fasi 3 e 4.
P.Q.M.
il Tribunale di Isernia, in composizione monocratica, nella persona del Dr. Mario Ciccarelli in funzione di Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da L.P.S. contro l'Asrem, in persona del l. r. p.t., con ricorso iscritto al R.G.L. n. 335 del 2015, disattesa ogni contraria istanza, conclusione e difesa, così provvede:
rigetta la domanda;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in favore della resistente in Euro 1.984,00 (millenovecentoottantaquattro/00) per compenso professionale, oltre spese generali al 15%; iva e cpa, se dovute, come per legge.
Così deciso in Isernia, il 16 marzo 2018.
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2018.