02/03/2018 free
Dirigente farmacista : l'intento discriminatorio va adeguatamente provato in giudizio
Si intende per "mobbing" "una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio.
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App. Roma Sez. lavoro, Sent., 24-01-2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D'Appello di Roma
II SEZIONE LAVORO
La Corte nelle persone dei seguenti magistrati:
Dott. Maria Rosaria Marasco - Presidente
Dott. Maria Pia Di Stefano - Consigliere
Dott. Maria Vittoria Valente - Consigliere rel.
all'udienza del 16/01/2018 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 5492/2014
tra
P.A., con domicilio in VIA X. M. 81 80027 F. (N.), rappresentato/a e difeso/a dall'avv. VITALE ANDREA
Appellante
contro
A.F., con domicilio in P. C. VIA F. 2/A 03100 F., rappresentato/a e difeso/a dall'avv. PULCIANI PAOLO
Appellata
OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Cassino, sezione lavoro, n. 203 del 2014
Svolgimento del processo
Con la sentenza in oggetto il Tribunale di Cassino ha respinto il ricorso proposto da P.A. volto ad ottenere la condanna della A.F. al risarcimento del danno patito a causa dei comportamenti assunti dall'Azienda volti a dequalificarne la professionalità nonché per effetto del mobbing subito, oltre che l'accertamento del diritto all'indennità di trasferta per effetto dell'illegittimo provvedimento di assegnazione ad una nuova sede di lavoro.
Aveva, in particolare, dedotto la ricorrente nel ricorso introduttivo di essere dipendente con contratto a tempo determinato a far tempo dal 19.6.2006 della A.F. quale Dirigente Farmacista e di aver lavorato sino al 19.2.2007 presso la Farmacia dell'Ospedale Scolastica di Cassino; di essere stata inopinatamente trasferita con nota del 5.3.2007 presso la sede di Pontecorvo, in ragione dei requisiti di cui alla L. n. 104 del 1992 di cui era titolare; di non aver mai percepito alcuna indennità di missione in ragione del trasferimento subito; di aver chiesto la revoca del provvedimento ma che la A. comunicava che non vi era alcuna documentazione comprovante l'invocato beneficio, rilevando - contrariamente a quanto in precedente affermato nel Provv. del 5 marzo 2007 - che il trasferimento era relativo a provvisori motivi di servizio; di essere rimasta, nel periodo in cui aveva prestato servizio presso la Farmacia dell'Ospedale Scolastica di Cassino, priva di una propria stanza; che a far tempo dal suo trasferimento presso la Farmacia di Pontecorvo - in collaborazione con il dottor C. - le venivano sottratte alcune funzioni e mansioni, quale quella di movimentare farmaci stupefacenti; che sin dall'inizio della propria attività a Pontecorvo veniva apostrofata dai colleghi con parole ed espressioni volgari e denigratorie e che il dottor C. - dirigente farmacista ivi in servizio - aveva posto in essere un comportamento volto a boicottare ed a ostacolare la sua prestazione lavorativa; di aver denunciato tale comportamento alla Dirigenza ma che nulla era stato fatto per contrastare tali comportamenti; di essere stata costretta in due occasioni a ricorrere alle cure del Pronto Soccorso e che la descritta situazione aveva minato il suo equilibrio psico-fisico, vivendo ormai in uno stato ansiogeno.
Il Tribunale, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che la ricorrente non avesse dimostrato l'interno discriminatorio del trasferimento di cui al Provv. del 5 marzo 2007, né la sussistenza dello stato di handicap di cui alla L. n. 104 del 1992; che il suddetto provvedimento costituiva un trasferimento privo di quel carattere di provvisorietà denunciato in ricorso, con conseguente insussistenza del diritto alla invocata indennità di trasferta; che neanche sussisteva la dedotta sottrazione di compiti e mansioni presso la Farmacia di Pontecorvo, avendo l'Azienda con il Provv. del 5 marzo 2007 disposto una mera ripartizione di competenze tra i due farmacisti in servizio presso detta Farmacia; che, infine, quanto agli alterchi avuti con il dottor C., non è comunque configurabile una responsabilità datoriale, in mancanza di prova di una colpevole inerzia da parte del datore di lavoro.
Avverso la sentenza ha proposto appello P.A. lamentando l'erronea valutazione da parte del Tribunale della prova testimoniale nonché della documentazione in atti.
Si è costituita la A.F. chiedendo respingersi l'appello.
Motivi della decisione
L'appello non merita accoglimento.
Lamenta in primo luogo l'appellante l'erronea valutazione della documentazione in atti da parte del giudice di primo grado, ritenendo di aver provato - con il doc. n. 7 allegato al proprio fascicolo di parte - il proprio stato di handicap.
Sul punto il Collegio rileva come il doc. 7 prodotto dalla P. attesta che la stessa, in data 25.8.2004, è stata riconosciuta dalla commissione medica di verifica di Latina invalida civile nella misura del 67% ma non che la medesima si trovi nelle condizioni di handicap di cui all'art. 3 della L. n. 104 del 1992, condizioni che, peraltro, debbono essere accertate dalle apposite commissioni previste dall'art. 4 della medesima legge (integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le usl).
Nessun profilo di illegittimità del trasferimento operato dalla A.F. nei confronti della odierna appellante - sotto il profilo della violazione della L. n. 104 del 1992 - può, dunque, profilarsi, come già rilevato dal Tribunale.
Né, quanto alla domanda prospettata in primo grado dalla P. ed avente ad oggetto l'accertamento del diritto alla indennità di missione - che, ex art. 11 del D.P.R. n. 384 del 1990 (la cui applicazione è stata invocata da quest'ultima) spetta solo nelle ipotesi di mobilità provvisoria e non in quelle di mobilità ordinaria del personale del comparto del SSN - può sostenersi che il trasferimento del 5.3.2007 avesse carattere provvisorio e non definitivo, alla luce della successiva nota A. del 10.4.2007; con la nota del 5.3.2007, invero, la A.F. trasferiva in via definitiva la P. presso la sede di Pontecorvo, come si evince in maniera inequivoca dal contenuto della nota stessa ("...si dispone che la dott.ssa A.P., a far data dal 7.3.2007, svolga il proprio servizio presso la sede di Pontecorvo e collabori con il dott. L.C......" ).
A seguito della richiesta di revoca del suddetto trasferimento avanzate dalla P. - la quale invocava i benefici della L. n. 104 del 1992 - la A. rispondeva che non risultava documentazione attestante l'invocato beneficio e, a seguito di ulteriore richiesta di revoca del trasferimento (sempre per i benefici della L. n. 104 del 1992), con nota del 10.4.2007 la A.F. ancora evidenziava la mancanza di idonea documentazione confermando, in attesa di ulteriori chiarimenti, l'operato trasferimento (v. doc. 9, 10, 11 e 12 della ricorrente); non può, sul punto, attribuirsi alla circostanza che in tale ultima nota la A. rilevava che il trasferimento era per provvisori e necessari motivi di servizio il valore di una revoca da parte della A. del precedente Provv. del 5 marzo 2007 (secondo la tesi prospettata dall'appellante), avendo tale ultima nota solo un carattere interlocutorio, tenuto conto che la A. chiariva di rimanere "in attesa di ulteriori chiarimenti" (quanto alla sussistenza di documentazione relativa ai benefici della L. n. 104 del 1992) con conferma, altresì, del precedente trasferimento.
Quanto, poi, alla dedotta sottrazione da parte della A. di mansioni tipiche della figura del farmacista (la movimentazione dei farmaci stupefacenti) correttamente il Tribunale, alla luce del contenuto della nota del 5.3.2007, ha rilevato come non fosse stata operata dalla A. convenuta alcuna sottrazione di mansioni nei confronti della P., bensì solo una ripartizione di compiti tra i due farmacisti che avrebbero operato presso la Farmacia di Pontecorvo.
Con misura di carattere organizzativo la A. disponeva, invero, contestualmente all'operato trasferimento della dott.ssa P. - la quale continuava a mantenere le prerogative legate al suo ruolo - che il dottor C. avrebbe continuato a gestire la movimentazione degli stupefacenti (con sostituzione in tale servizio da parte della P., in caso di sua assenza) e che quest'ultima si sarebbe , invece, occupata della produzione dei Reports dei consumi e della quantificazione delle spese dei beni sanitari (v. nota del 5.3.2007 in atti).
Si è trattato, quindi, di una mera suddivisione dei compiti tra i due farmacisti addetti all'Ospedale di Pontecorvo, non ravvisandosi alcun demansionamento in danno della dottoressa P., tenuto conto che la movimentazione di farmaci stupefacenti costituisce solo uno delle molteplici mansioni specifiche proprie della professione del farmacista.
Quanto, poi, alla valutazione della prova testimoniale svolta, osserva la Corte come quanto emerso dalla stessa sia inidoneo a concretare la sussistenza di una condotta avente i caratteri del lamentato "mobbing", posta in essere dai colleghi di lavoro in danno della P., dovendosi intendere per "mobbing" "una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio" (Cass. sent. n. 3785 del 2009).
Si premette, in primo luogo, che la dottoressa P. nel ricorso introduttivo nulla ha allegato in ordine all'evento lesivo della salute che il dedotto mobbing le avrebbe causato; non è stata, invero, indicata la sussistenza di alcuna patologia causalmente riconnessa ai fatti descritti in ricorso, né prodotta alcun certificato attestante la sussistenza di una lesione alla propria integrità psico-fisica, eziologiamente da ricollegarsi alla (asserita) condotta del datore di lavoro.
Manca, quindi, ogni allegazione in ordine alla sussistenza del danno di cui si chiede, in maniera apodittica e generica, il risarcimento.
Né - poi - quanto riferito dal teste Abatecola può dimostrare l'esistenza di una condotta di tipo persecutorio o vessatorio posta in essere dal collega dottor C. nei confronti della P., ritenendo la Corte come le testimonianze raccolte non sono tuttavia tali da provare la sussistenza di un intento vessatorio nei confronti della lavoratrice.
Abatecola Patrizio ha, invero, confermato che il dottor C. a volte apostrofava la dott.ssa P. come "matta" o "pazza" ma ha altresì riferito di essere stata anche lui a volte insultato dal dottor C. e che per tale motivo aveva chiesto di essere trasferito (dalla farmacia di Pontecorvo).
La testimonianza, quindi, pur evidenziando l'esistenza di contrasti tra i dipendenti in servizio presso la Farmacia di Pontecorvo, non dimostra uno specifico intento persecutorio e discriminatorio posto in essere nei confronti della P..
A ciò si aggiunga che non è stata in alcun modo censurata dall'appellante la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha evidenziato come non può configurarsi, nel caso in esame, alcuna responsabilità del datore di lavoro quanto agli alterchi intervenuti tra i colleghi della farmacia, in difetto di dimostrazione di una colpevole inerzia del datore di lavoro.
Al riguardo evidenzia il Collegio come la P. nulla ha prodotto in ordine ad eventuali denunce scritte inoltrate all'Azienda.
Per contro dalla prova per testi è emerso che la dott.ssa F.G.T., Dirigente Responsabile della Struttura Complessa, a seguito di una telefonata in cui la P. le comunicava di essersi recata al pronto soccorso, aveva avviato una apposita istruttoria interna, raccogliendo testimonianze scritte dei colleghi di lavoro, dalle quali, però, non era emerso nulla (v. testimonianza resa da F.G.T.).
Per tutto quanto sopra esposto, conclusivamente, l'appello deve essere respinto.
Le spese di lite - liquidate come in dispositivo - seguono le regole della soccombenza; deve darsi altresì atto che sussistono le condizioni richieste dall'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione.
P.Q.M.
-Rigetta l'appello;
-Condanna l'appellante alla rifusione delle spese di lite, che liquida in Euro 3.307,00, oltre spese forfettarie al 15%, da distrarsi ex art. 93 c.p.c.;
-Dà atto che sussistono le condizioni richieste dall'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per l'impugnazione.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2018.
Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2018.