23.06.03 free
CASSAZIONE - ( borse di studio, medici specialisti 1983/91; sul riconoscimento del diritto al risarcimento del danno, per omissione imputabile allo Stato)
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione terza civile
SENTENZA n. 7630/03 sul ricorso proposto da: Repubblica italiana , in persona del Presidente del Consiglio p.t., contro Gronchi Luca Svolgimento del Processo Con atto notificato in data 20.6.1995, il dottore in medicina Luca Gronchi conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Firenze, la Repubblica Italiana, onde sentirla condannare al risarcimento del danno a lui derivato dalla mancata attuazione delle direttive CEE 16.6.1975 n. 363 e 26.1.1982 n. 76, con le quali la Comunità Europea aveva disciplinato e reso obbligatorio per tutti gli Stati membri l'istituzione di corsi di specializzazione medica con previsione di adeguata retribuzione per i partecipanti. Esponeva che le direttive suddette, che dovevano essere recepite nella legislazione nazionale dei singoli Stati entro e non oltre il 31.12.1983, erano state in effetti attuate dalla Repubblica italiana soltanto a decorrere dall'anno accademico 1991-1992; che egli, dopo aver conseguito il diploma di laurea in medicina, aveva frequentato con successo un corso di specializzazione in malattie dell'apparato respiratorio presso l'Università di Pisa dal 1986 al 1989, senza peraltro aver ricevuto alcun emolumento; che, a causa dell'inadempienza dello Stato italiano nell'attuazione tempestiva delle direttive in questione, era stato privato della possibilità di frequentare il corso di specializzazione secondo le regole comunitarie e di conseguire la retribuzione da esse prevista. Chiedeva quindi la condanna della Repubblica italiana al risarcimento del danno, che indicava nella complessiva somma di lire 48.450.000, pari alle tre annualità del corso valutate in lire 16.150.000 al valore della moneta nel novembre 1986, ragguagliato all'importo stabilito per legge al momento della domanda (lire 21.500.000). La Repubblica italiana si costituiva chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale adito rigettava la domanda con sentenza 8.8.1996, osservando che la direttiva 82/76 non aveva affermato il generale diritto alla remunerazione del medico specializzando, ma aveva previsto questa solo in via incidentale, giacché il risultato effettivamente perseguito consisteva nella sostanziale parificazione della preparazione specialistica dei medici della Comunità. Osservava ancora che la predetta remunerazione doveva compensare l'impegno esclusivo e continuativo dello specializzando, previsto dalla direttiva in questione, ma introdotto in Italia solo a far tempo dall'anno accademico 1991/92, e non quindi vigente all'epoca in cui l'attore aveva seguito il corso di specializzazione. Gronchi impugnava la sentenza ribadendo che l'illecito omissivo del legislatore italiano era stato per lui causa di danno risarcibile ex art. 1223 C.C. ed affermando di aver seguito il corso di specializzazione in maniera esclusiva e continuativa. Lo Stato italiano chiedeva il rigetto dell'impugnazione affermando essere applicabile alla fattispecie la normativa precedente il D. Lgs. 8.8.91 n. 257; normativa che non contemplava gli obblighi e i divieti imposti in attuazione della direttiva CEE. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza 14.10.1997, in accoglimento del gravame, condannava la Repubblica italiana al pagamento, in favore dell'appellante, della somma di lire 48.450.000 oltre interessi legali e rivalutazione dai singoli ratei bimestrali di pagamento, a titolo di risarcimento del danno. Osservava che la pretesa risarcitoria del Gronchi trovava pieno fondamento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che aveva statuito essere gli Stati membri della Comunità responsabili dei danni arrecati ai singoli per effetto di violazioni del diritto comunitario, anche ove tali violazioni fossero ascrivibili al legislatore nazionale ed aveva affermato, per tale ipotesi, il diritto del singolo al risarcimento del danno. Avverso tale sentenza lo Stato italiano ha proposto ricorso con tre motivi. Resiste il Gronchi con controricorso. Le parti hanno prodotto memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo di gravame la Repubblica italiana ha denunciato la violazione delle norme in tema di giurisdizione, nonché la violazione dell'art. 2043 C.C. Ha definito improponibile la domanda essendo l' attore titolare di una posizione di interesse legittimo in conseguenza del largo margine di discrezionalità con il quale lo Stato italiano era investito del compito di dare attuazione alle direttive del consiglio CEE. Da ciò derivava la inapplicabilità della norma dell’ art. 2043 C.C., in considerazione della mancata violazione di un diritto soggettivo L’ eccezione è stata sottoposta ex art. 374 c.p.c. all'esame delle Sezioni Unite di questa Corte che, con .sentenza 14.2.2002 n. 5125, ne hanno ritenuto l'infondatezza ed hanno trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione ad una sezione semplice per l'esame degli altri motivi di gravame. Le S.U. hanno osservato che, nonostante la prospettazione della violazione di norme sulla giurisdizione, il ricorrente aveva dedotto una questione di diritto sostanziale, consistente nella configurabilità della responsabilità civile, della P.A., ai sensi dell' art. 2043 C.C., per il risarcimento del danno derivato dalla lesione di un interesse legittimo, e, riportandosi alla sentenza Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500, hanno affermato che la domanda del Gronchi, proposta con atto 20.6.1995 e quindi prima delle innovazioni apportate con il d.lgs. N. 80 del 1998, appartiene alla giurisdizione ordinaria, essendo indifferente se il diritto al risarcimento attenga alla violazione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. Ciò detto, si osserva che nella seconda parte della censura, il ricorrente desume l'improponibilità della domanda della mancata impugnazione dei decreti interministeriali 17.12.91 e 28.12.91 e quindi afferma la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Tale assunto è infondato. I suddetti decreti ebbero per tema la determinazione del fabbisogno annuo dei medici specialisti dal 1° novembre 1991 e per i due anni accademici successivi, nonché il numero di laureati in medicina, con le relative borse di studio, da assegnare alle singole scuole di specializzazione e furono impugnati avanti al giudice amministrativo da medici in corso di specializzazione al momento di emanazione dei decreti, al fine di ottenere l' accesso ai benefici in essi previsti (borsa di studio e speciale punteggio} . I ricorrenti chiedevano quindi che il TAR del Lazio dichiarasse illegittima la distinzione tra corsi iniziati e non conclusi e corsi di futura attivazione, con conseguente annullamento dei decreti in quanto disciplinanti soltanto i corsi non ancora iniziati. Diversa era invece la posizione del Gronchi, il .quale non aveva interesse alcuno all'annullamento dei citati decreti, dal momento che egli aveva concluso nel 1989 il corso di specializzazione e quindi non poteva trarre alcun beneficio dall'annullamento della distinzione tra corsi in itinere e corsi futuri. Né la domanda da lui proposta era diretta all'attuazione della Direttiva in suo favore, ma era invece volta ad ottenere il risarcimento del danno per non aver potuto seguire il corso come previsto dalla Direttiva a causa del colpevole ritardo dello Stato italiano nella attuazione della stessa. Del resto la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento non ha ragione di coesistere con il nuovo orientamento che esclude, in tema di responsabilità aquiliana, la necessità del requisito della violazione di un diritto soggettivo ,essendo sufficiente anche la lesione di un interesse legittimo (vedi Cass. S.U. n. 500/99) e stante il disposto dell'art. 29 d.lgs. N. 80/1998, che ha conferito al giudice ordinario il potere di disapplicare, in via incidentale, gli atti amministrativi presupposti, se illegittimi. Vero è che la giurisprudenza ebbe ad affermare, nel passato, la citata pregiudizialità, ma ciò era allora necessitato dal superato orientamento che limitava l'applicazione del principio del neminem laedere alla sola ipotesi della violazione di un diritto soggettivo. Con il secondo motivo di gravame lo Stato italiano denuncia la violazione dell'art. 177 del Trattato della Comunità Europea, affermando che in ottemperanza a tale norma, i giudici di merito avrebbero dovuto sospendere il giudizio ed investire la Corte di Giustizia delle Comunità Europee della interpretazione delle direttive n. 363/75 e n. 76/82, come effettuato dal Tribunale di Padova in causa analoga. Il ricorrente rileva che il predetto Tribunale ha enunciato i seguenti quesiti: 1) se la direttiva 82/76 abbia attribuito ai medici specializzandi un diritto perfetto nei confronti degli Stati di appartenenza; 2) ove tale diritto sia ritenuto sussistente, quali siano i criteri di determinazione della «adeguata remunerazione», per gli specializzandi tanto a tempo pieno, quanto a tempo ridotto. Quindi il ricorrente si riporta, facendole proprie, alle osservazioni prodotte dallo Stato italiano alla Corte di Giustizia in quel giudizio per negare fondamento alla pretesa risarcitoria avanzata dal Gronchi. Afferma quindi il principio generale di diritto comunitario secondo cui la direttiva determina obblighi a carico degli Stati membri, ma non regola direttamente i rapporti giuridici tra detti Stati e i soggetti da essi amministrati, con la sola eccezione della direttiva self-executing, che è di immediata applicabilità in senso verticale (tra Stato e cittadino), purché sia incondizionata e sufficientemente precisa, tanto da non presupporre per la sua attuazione ulteriori previsioni e disposizioni da parte dello Stato membro. Osserva ancora il ricorrente che, nella fattispecie, i suddetti requisiti non sussistono giacche solo attraverso la fissazione di modalità e condizioni da parte del legislatore nazionale è fruibile lo svolgimento del corso nel senso tracciato dalla direttiva e la corresponsione dell'adeguata retribuzione. Deriva da ciò, secondo il ricorrente, che la direttiva, in mancanza di emanazione di norme specifiche nazionali, non ha efficacia diretta e non attribuisce allo specializzando il diritto al compenso. La censura non merita accoglimento. Il giudice nazionale, non di vertice, non ha l'obbligo di rivolgere istanza di interpretazione di una direttiva comunitaria alla Corte di Giustizia Europea. L'art. 177 del Trattato prevede tale ricorso come facoltativo e non già obbligatorio, cosicché in ragione all'omessa richiesta di interpretazione da parte della Corte di Appello di Firenze non può rilevarsi alcun vizio giustificante il ricorso per Cassazione. Ma devesi comunque rilevare la differenza sostanziale tra la fattispecie in oggetto e quella prospettata avanti al Tribunale di Padova, all'esame del quale, secondo quanto si legge nel ricorso (pag. 14}, è stata posta la domanda diretta ad ottenere la condanna dello Stato al pagamento della borsa di studio. In tal caso trova giustificazione l'indagine circa la natura autoesecutiva o meno della direttiva dedotta in lite, giacché il pagamento richiesto presuppone ovviamente l'esecuzione della direttiva da parte dello Stato italiano. Non così nella presente fatti specie ove la domanda presuppone invece l' omissione dell' attuazione della direttiva autoesecutiva o non, quale presupposto necessario a sostenere la pretesa risarcitoria. Del resto l'interpretazione della normativa disciplinante la fattispecie in oggetto appare incontrovertibile nei suoi aspetti essenziali, in virtù dell'ormai consolidato orientamento assunto dalla giurisprudenza comunitaria, costituzionale e ordinaria. Non è inutile ricordare l'assetto che la giurisprudenza costituzionale ha dato al tema dei rapporti tra diritto costituzionale e diritto nazionale. Ì Ad una antica impostazione (Corte Cost. sent. 14/1964) secondo cui il diritto comunitario era assimilato alla legge nazionale, è succeduta una svolta con la sentenza 183/73 della Corte Costituzionale, a mezzo della quale è stata affermata l'efficacia obbligatoria e la diretta applicabilità dei regolamenti comunitari in tutti gli Stati membri, sulla base dei criteri di riparto fissati dal Trattato CEE. Anche la Corte Comunitaria, con la nota sentenza Simmenthal, proclamava l'obbligo del giudice nazionale di garantire l'applicazione del diritto comunitario anche previa disapplicazione del diritto nazionale, ove con quello contrastante, senza dover attendere un qualsiasi intervento del legislatore nazionale. E' questo il principio della preminenza dei regolamenti comunitari sulle norme di diritto interno dei singoli Stati, nell'ipotesi di irriducibile incompatibilità tra i due ordini di norme. Principio che è stato ripreso e nuovamente affermato dalla Corte Costituzionale con le sentenze 8.6.1984 n. 170 e 23.4.1985 n. 113. Rilevante è quanto affermato da quest'ultima sentenza: «la norma comunitaria entra e permane in vigore, nel nostro territorio, senza che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello Stato; e ciò tutte le volte che essa soddisfa il requisito della immediata applicabilità. Questo principio vale non soltanto per la disciplina prodotta dagli organi della CEE mediante regolamento, ma anche per le statuizioni risultanti dalle sentenze interpretative della Corte di giustizia Europea». Ora, se è vero che la sentenza della Corte Europea fa stato soltanto nella controversia in cui è stata emessa, è altrettanto vero che essa ha comunque efficacia di precedente, cui può ben farsi riferimento nella decisione di questioni analoghe, e che pertanto i principi così affermati dalla giurisprudenza comunitaria superano i limiti del giudizio in cui sono stati pronunciati. Ciò è naturale corollario, dal punto di vista sistematico, della ratio della norma dell'art. 177 del Trattato, che affida alla Corte Europea l'interpretazione delle norme comunitarie, ed essendo evidente, secondo comune razionalità, che il contenuto interpretativo della sentenza comunitaria, pur emesso per il caso concreto, abbia effetto per la fattispecie astratta in cui questo si inquadra. A tale principio, secondo cui la decisione interpretativa della Corte di Giustizia Europea trascende il caso specifico, si è adeguata anche la giurisprudenza di legittimità, che con recenti sentenze (Cass. Sez. Lav. N. 10617/95, N. 5946/98 e N. 5249/01) si è riportata alla giurisprudenza comunitaria in tema di danno subito dal cittadino per effetto della mancata attuazione di una direttiva CEE. Tra tali decisioni rileva la sentenza 19.11.91 della Corte di Giustizia, resa nelle cause riunite C-6/90 e C-9/90 (Francovich-Bonifaci c. Repubblica Italiana) . La Corte di Giustizia, dopo aver negato l'efficacia immediata della direttiva non autoesecutiva, per la quale lo Stato membro non abbia emanato i necessari provvedimenti attuativi, ha però enunciato l'ulteriore principio secondo cui lo Stato che, non abbia tempestivamente adottato i predetti provvedimenti, è obbligato al risarcimento del danno da ciò derivato al singolo, allorché si verifichino le seguenti condizioni: a) che la direttiva preveda l'attribuzione di diritti ai sin- goli; b) che tali diritti possano essere individuati in base alle disposizioni della direttiva; c) che sussista il nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il pregiudizio subito dal soggetto leso. La Corte ha altresì rilevato che l'obbligo di risarcire tale danno trova il suo fondamento negli artt. 5 e 189 del Trattato, dai quali esso discende in conseguenza della violazione del diritto comunitario. Si tratta quindi di obbligazione che trova il suo fondamento nella normativa del Trattato, ma che deve essere eseguita nell'ambito del diritto nazionale e con le regole e le condizioni da esso previste. La Corte ha infine stabilito che le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento del danno) non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano pretese analoghe di natura interna. I suddetti principi sono stati nuovamente affermati dalla Corte di Giustizia con le sentenze successive, rese in data 5.3.1996 nelle cause riunite C-46/93 e C-48/93 (Brasserie de Pecheur e Factoram), in data 26.3.1996 nella causa C-393/93 (British Tel.) e in data 8.10.1996 nelle cause riunite C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94 (Dillenkofer e altri) . Consegue da ciò la risarcibilità del danno subito dal singolo in conseguenza di violazione delle norme comunitarie da parte del legislatore per mancata attuazione di direttiva non autoesecutiva, in ambedue le ipotesi di lesione un diritto soggettivo o di un interesse legittimo. Con l'ultima censura il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2697 C.C. e 115 C.p.C., nonché l'omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia. Osserva che la Corte di merito non ha motivato in ordine alla sussistenza dei tre requisiti indicati dalla Corte di Giustizia per l'ottenimento del risarcimento che il Gronchi non è stato soggetto agli obblighi previsti per il corso di specializzazione secondo la direttiva CEE (esclusività e continuità), ai quali era connessa l'adeguata retribuzione; che spettava comunque al Gronchi provare di aver osservato il cd. "tempo pieno" e di non aver svolto, durante il corso, attività di libera professione. La censura non merita accoglimento. Quanto al primo punto della censura basterà osservare che la Corte di Firenze ha evidenziato a sufficienza, con adeguata ricognizione della direttiva ed anche con riferimento alla motivazione della decisione del TAR del Lazio, la sussistenza sia della giuridica possibilità di desumere il diritto vantato dal Gronchi, sia la identificazione in equivoca dello stesso nella direttiva CEE. In ordine poi all'asserito difetto di prova circa la esclusività e la continuità del corso effettuato dal Gronchi devesi poi rilevare trattarsi di contestazione cui il Gronchi non è in grado di rispondere proprio a .causa dell'inadempienza dello Stato. Del resto rimane il fatto che a causa di tale inadempienza il Gronchi è stato costretto a seguire un corso di specializzazione privo delle regole previste nella direttiva CEE. In considerazione della natura della causa e della ragionevole disputabilità delle opposte posizioni, si reputa equo disporre la compensazione delle spese del giudizio di Cassazione. PQM La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di Cassazione. Così deciso in Roma, addì 16.10.2002. Depositata in cancelleria il 16.5.2003