15/09/2017 free
Richiesta risarcitoria per percentuale di arsenico contenuto nelle acque destinate al consumo umano superiore ai valori limite stabiliti dal Consiglio dell'Unione Europea.
Il ricorrrente premesso di essere intestatario di bollette relative al consumo di acqua potabile ha convenuto la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiedendo che il Giudice di Pace di Civita Castellana accogliesse la sua domanda e condannasse parte convenuta al risarcimento del danno conseguente alla violazione della Direttiva 98/83CE del 3.11.1998.
Premessa della controversia il fatto che la percentuale di arsenico contenuta nell'acqua del Comune era altissima e superiore ai valori limite stabiliti dal Consiglio dell'Unione Europea, (valore limite di 10 mg/1 (rectius: µg/1) per l'arsenico contenuto nelle acque destinate al consumo umano.
Il giudice di II grado, nel ribaltare la sentenza, ed alla luce della istruttoria compiuta, in virtu' della proroga richiesta dal Governo e la relativa deroga concessa dalla Commissione, escludeva
che nel periodo compreso fra la scadenza della seconda proroga (31.12.2009) e la decisione della Commissione del 22.3.2011, il livello di concentrazione di arsenico in Italia dovesse rispettare il limite di 10 µg/l, valendo piuttosto il limite autorizzato di 20 µg/l, entro il quale non vi era violazione.
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Tribunale Roma, sez. II, 06/07/2017, (ud. 27/06/2017, dep.06/07/2017), sentenza n. 13695
omissis
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Dandosi atto - preliminarmente - della sostituzione del precedente Giudice al precedente istruttore, la presente sentenza viene redatta senza la concisa esposizione dello svolgimento del processo e con una motivazione consistente nella succinta enunciazione dei fatti rilevanti della causa e poi delle ragioni giuridiche della decisione, così come previsto dagli arti. 132 n. 4 c.p.c. e 118 di.o. att. c.p.c. nel testo introdotto rispettivamente dagli arti. 45 e 52 della L. n. 69 / 2009, trattandosi di disposizioni applicabili in parte qua.
Con atto di citazione ritualmente notificato nel 2014, proposto dinanzi al Giudice di Pace di Civita Castellana, I.L. premesso di essere intestatario di bollette relative al consumo di acqua potabile per l'immobile sito in Corchiano (VT) Via D'Annunzio 10, codice utente 810, ha convenuto la Presidenza del Consiglio dei Ministri chiedendo che il Giudice di Pace di Civita Castellana accogliesse la domanda dell'attore e condannasse parte convenuta al risarcimento del danno conseguente alla violazione della Direttiva 98/83CE del 3.11.1998.
Premessa della controversia il fatto che la percentuale di arsenico contenuta nell'acqua del Comune era altissima e superiore ai valori limite stabiliti dal Consiglio dell'Unione Europea, con direttiva 98/83/CE del 3.11.1998, (valore limite di 10 mg/1 (rectius: µg/1) per l'arsenico contenuto nelle acque destinate al consumo umano. Che lo Stato italiano, al fine di uniformarsi a tale direttiva, aveva chiesto alla Commissione Europea, con lettera del 2.2.2010, una deroga temporanea al suddetto limite per le forniture di acqua in alcuni Comuni, tra i quali quello di interesse, con innalzamento dello stesso a 50 µg/1; che la Commissione Europea, con decisione del 28.10.2010, aveva rigettato tale richiesta, ritenendo che il superamento del limite fissato fosse rischioso per la salute.
Si costituiva in primo grado la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendo il rigetto della domanda sulla base delle ragioni evidenziate in comparsa.
Incardinata in tal modo la causa, istruita la stessa nei termini, con sentenza 586/2016 del Giudice di Pace di Viterbo, ( accorpante il Giudice di Pace di Civita Castellana) depositata in data 11.11.2015 la Presidenza del Consiglio dei Ministri veniva condannata al risarcimento del danno richiesto corrispondente alla spesa forfettaria sostenuta da una famiglia media italiana per l'acquisto di bottiglie di acqua minerale, ovvero per ricorrere a rimedi casalinghi di depurazione dell'acqua, e comunque a titolo di danno non patrimoniale determinato dallo stato di ansia, stress e patema d'animo, o nella misura minore ritenuta di giustizia.
Proponeva appello la difesa erariale, con atto di citazione proposto dinanzi al Tribunale di Roma notificato ritualmente in data 23.06.2016, sostenendo nell'ordine:
a) l'erroneità della sentenza del Giudice di Pace per aver deciso secondo equità e non secondo diritto, in violazione degli articoli 10 e 113 comma II c.p.c.
b) L'erroneità della sentenza del Giudice di primo grado nella frazione in cui aveva riconosciuto la legittimazione passiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri in luogo dell'esclusiva legittimazione del Comune di residenza dell'attore e/o dell'ATO Lazio Nord - Viterbo 1 e/o di TALETE S.p.a. a norma degli articoli 11, 12, 13, 14 del D.lgs. 2/2/2001 n. 31, degli articoli 4, 5, 8, 9, 11 della Legge 5/1/1994 n. 36, degli articoli 142, 147, 148, 149, 150, 151, 152 del D.lgs 3/4/2006 n. 152 della Legge Regionale del Lazio 22.01.1996 n. 6 (artt. 1 e segg.) modificata ai sensi della Legge Regionale 4.11.1999 n. 31; in subordine ai sensi dell'articolo 339 comma 3 c.p.c. per violazione norme processuali. (artt. 99, 100, 112 c.p.c.) sulla qualificazione della domanda; violazione dei principi regolatori della materia gestione risorse idriche e sull'assetto delle competenze.
c) La violazione - in subordine - dell'articolo 339 comma 3 sulla base delle medesime considerazioni sopra articolate per: violazione norme processuale, poiché i fatti dedotti in giudizio dalla controparte e l'oggetto della domanda erano compatibili con la qualificazione - in termini contrattuali - della responsabilità; violazione dei principi regolatori della materia gestione risorse idriche, ed in particolare dell'assetto delle competenze di settore della citata Legge Regione Lazio 22 Gennaio 1996 art 6. d) In ulteriore subordine, chiedeva la riforma della sentenza di primo grado per violazione della Direttiva 98/83/CE del 3.11.1998 delle decisioni della Commissione Europea del 28.10.2010 e del 22/3/2011 del D.lgs 2/2/2001 n 31 dell'articolo 2697 c.c.; in subordine, ai sensi dell'articolo 339 comma 3 c.p.c. violazione delle norme comunitarie e delle norme comunitarie sull'assolvimento dell'onere della prova. L'infondatezza della domanda di risarcimento del danno per mancanza di prova;
la violazione degli artt 1226 e 2056 c.c. nonché degli artt 115 e 116 c.p.c.; in subordine ai sensi dell'articolo 339 comma 3 c.p.c. e per violazione delle norme processuali sull'assolvimento dell'onere della prova del danno, e sui limiti della valutazione equitativa ( artt 115 - 116 c.p.c. e 1226, 2697 2056 c.c.).
Incardinata in tal modo la causa di appello, la causa veniva rinviata all'udienza del 21.06.2017, ed in assenza di richieste istruttorie, non comparsa la parte appellata, la causa veniva trattenuta in decisione.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
In ordine al primo motivo di gravame, si premette, così rigettando il primo motivo di appello, che la causa è stata correttamente decisa dal Giudice di pace secondo equità.
Trattasi, invero, di causa di valore determinato sicuramente non eccedente i millecento euro (il valore è stato esplicitamente contenuto nell'importo di E 900,00) e non derivante da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all'art. 1342 c.c., in quanto la domanda attorea è fondata non già sull'inadempimento del contratto di fornitura di acqua, ma sull'inadempimento da parte dello Stato italiano della direttiva n. 98/83/CE del Consiglio del 3.11.1998 (concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano). Non contrasta la conclusione la semplice premessa dell'attore di avere agito quale intestatario di bolletta per l'uso di acqua potabile, avente lo scopo, come dal medesimo chiarito, di provare la titolarità della pretesa risarcitoria azionata. L'appello è quindi ammissibile, dunque, nelle limitate ipotesi contemplate dall'art. 339, comma 3, c.p.c. ossia "per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia". Nella specie, le contestazioni sollevate dall'appellante sono in parte riconducibili alle categorie della violazione di norme comunitarie e della violazione dei principi regolatori della materia, per le quali l'appello è ammissibile anche per tali sentenze, come dedotto, in via subordinata, nell'atto di appello, ai motivi nn. 2), 3) e 4).
Anche il secondo motivo di appello, attinente alla legittimazione passiva, appare infondato. Come correttamente affermato nella sentenza impugnata, Is. Lu. ha inteso avanzare domanda di risarcimento del danno da mancata attuazione di una direttiva comunitaria, rispetto alla quale va riconosciuta la sola legittimazione passiva dello Stato Italiano, rappresentato in giudizio dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, organo istituzionale che rappresenta lo Stato rispetto all'attività legislativa di recepimento delle direttive europee (art. 3 D.Lgs. n. 303/1999).
Merita invece accoglimento il terzo motivo di appello. Con riferimento alle criticità più rilevanti derivanti dalla presenza in falda dei minerali presenti nel sottosuolo vulcanico del territorio italiano, essendo ormai entrati in vigore i nuovi valori dei parametri di inquinamento, il Governo italiano ha attivato due periodi di deroga di tre anni ciascuno e successivamente ha chiesto alla Commissione Europea di avvalersi della possibilità, prevista per casi eccezionali, di un terzo periodo di deroga, anch'esso di durata triennale, ai sensi dell'art. 9, comma 2, della direttiva 98/83/CE, per giungere al periodo massimo di nove anni di deroga. In particolare, con più decreti ministeriali adottati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare congiuntamente al Ministero della salute, le Regioni e le Province autonome coinvolte sono state autorizzate ad avvalersi della facoltà di deroga nazionale ai valori massimi di arsenico stabiliti dal D.Lgs. n. 31/2001, prima per il triennio 2004-2006 e poi per il triennio 2007-2009. La Regione Lazio, servendosi di tale potere, per i primi due trienni ha stabilito deroghe ai valori di parametro dell'arsenico entro i limiti massimi ammissibili fissati con i suddetti decreti (50 µg/l). Al termine del secondo periodo di deroga, il Ministero della salute, di
concerto con il Ministero dell'ambiente, ha formulato istanza di ulteriore proroga per il triennio 2010-2012 per un valore massimo ammissibile di arsenico di 50 p..g/l, ravvisando le circostanze eccezionali nel completamento dei numerosi interventi finalizzati a stabilire la conformità dell'acqua nel lungo periodo, che richiedevano una generale riorganizzazione del sistema di distribuzione pubblico con sostituzione e/o integrazione delle risorse da destinare ad uso potabile.
Con decisione del 28.10.2010 n. 7605 la Commissione Europea (doc. 4 fasc. primo grado PCM), rilevato, con riguardo all'arsenico, che "le prove scientifiche nei documenti indicati in riferimento negli orientamenti dell'Organizzazione mondiale della sanità e nel parere del comitato scientifico dei rischi sanitari e ambientali consentono deroghe temporanee fino a 20 pg/l, mentre valori di 30 40 e 50 ug/l determinerebbero rischi sanitari superiori, in particolare talune forme di cancro" (considerando 5), non ha concesso le deroghe richieste dall'Italia per valori superiori a 20 µg/l. A fronte di tale provvedimento lo Stato italiano ha reiterato l'istanza di terza deroga alla Commissione Europea, limitando però il valore di concentrazione massima dell'arsenico a 20 m/l.
Nel frattempo il Ministero della salute, con ordinanza del 30.12.2009 (Misure urgenti in materia di approvvigionamento idrico-potabile), recepita dalla Regione Lazio con decreto del Presidente n. TO 902 del 30.12.2009 (doc presenti al fasc di parte del giudizio di primo grado), dopo avere acquisito il parere favorevole dell'Istituto Superiore di Sanità, ha esteso la validità dei decreti ministeriali con cui erano state stabilite deroghe ai valori di parametro, aventi scadenza al 31.12.2009, fino al pronunciamento definitivo della Commissione Europea in ordine alla richiesta di ulteriore deroga, che doveva intervenire entro tre mesi ex art. 9, comma 2, direttiva 98/83/CE.
Con decisione del 22.3.2011 n. 2014 la Commissione Europea ha concesso una deroga temporanea fino al 31.12.2012 per la presenza di valori di arsenico fino a 20 µg/l, fissando, all'art. 2, condizioni aggiuntive rispetto agli obblighi fissati con la direttiva 98/83/CE (doc. 13 fasc. primo grado PCM).
La sentenza appellata, accogliendo la prospettazione attorea, ha ritenuto che nell'anno 2010, a causa della mancata concessione della terza deroga alla presenza di concentrazione di arsenico nell'acqua destinata all'uso umano fino a 50 µg/l seguita alla decisione della Commissione Europea del 28.10.2010, lo Stato Italiano si fosse venuto a trovare in una situazione di inadempimento rispetto al recepimento della direttiva n. 98/93/CE, non essendosi conformato all'obbligo, dalla stessa previsto, di mantenere il livello massimo a 10 µg/l.
Ha ritenuto che l'autorizzazione a destinare al consumo umano acque con una concentrazione di arsenico fino a 20 µg/l sarebbe stata introdotta solo dalla decisione della Commissione europea del 22.3.2011, la quale, in assenza di una precisa indicazione di retroattività, avrebbe provveduto soltanto per il periodo successivo, lasciando operante per l'anno 2010 il limite dei 10 µg/1, non rispettato dall'Italia.
E sulla base indicata ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da violazione del diritto comunitario, in applicazione dei principi stabiliti dalla Corte di Giustizia (v. cause riunite C-6/90 e C- 9/90 Franovich; cause riunite C-46/93 e C-48/93 Brasserie du Pécheur), secondo cui tale diritto spetta allorché: (lo si ripete per mero tuziorismo difensivo) 1) la norma violata stabilisca diritti in capo ai singoli; 2) tali diritti possano essere individuati in base alle disposizioni della medesima; 3) sussista un nesso di causalità diretto tra la violazione dell'obbligo e il pregiudizio subito.
La pronuncia non è corretta, condividendosi sul punto quanto sostenuto dalla difesa erariale circa l'insussistenza dell'inadempimento. Ed infatti, dalla lettura delle decisioni della Commissione Europea si evince che il limite dei 20 µg/l non è stato autorizzato per la prima volta con la decisione del 22.3.2011, ma lo era già con quella del 28.10.2010. Quest'ultima, infatti, non ha concesso la deroga nelle zone di cui all'Allegato II (compreso il Comune di residenza dell'attore) per il solo fatto che l'Italia aveva chiesto di autorizzare un valore di parametro pari a 50 µg/l per l'arsenico, ritenendo nel contempo accettabili, tranne che per l'acqua destinata al consumo dei neonati e dei bambini fino a tre anni di età, valori più elevati, fino al limite massimo di 20 µg/l, per un periodo di tempo limitato, riconosciuto privo di rischi per la salute umana, in base ai risultati delle prove scientifiche contenute negli orientamenti dell'Organizzazione mondiale della sanità delle acque potabili del 2008 e nel parere del Comitato scientifico dei rischi sanitari e ambientali del 16.4.2010 (considerando 3 e 5).
La Commissione Europea, dunque, nel rigettare l'istanza, ha definito esattamente i confini di ammissibilità della terza proroga alla luce della normativa vigente e degli studi scientifici esistenti. Può ritenersi quindi, che la deroga concessa con la decisione del 22.3.2011 è confermativa di un principio già desumibile da quella del 28.10.2010, ossia che la concentrazione di arsenico può arrivare fino a 20 µg/l, salvo casi particolari, senza rischi per la salute. Ciò trova riscontro proprio nella decisione del marzo 2011 e, in particolare, nella "Relazione tecnica" (Allegato III - Part. 1), che ha ribadito il principio affermato nella precedente decisione. Va quindi escluso, quindi, che nel periodo compreso fra la scadenza della seconda proroga (31.12.2009) e la decisione della Commissione del 22.3.2011, il livello di concentrazione di arsenico in Italia dovesse rispettare il limite di 10 µg/l, valendo piuttosto il limite autorizzato di 20 µg/l, entro il quale non vi era violazione. Dato atto di ciò, l'attore non ha assolto all'onere, sul medesimo incombente, ai sensi dell'art. 2697 c.c., di provare il superamento nel Comune di Corchiano del limite da ultimo indicato e la conseguente violazione della normativa comunitaria.
L'accoglimento del terzo motivo di appello, rende superfluo l'esame del quarto motivo di appello. La conseguenza è l'accoglimento della domanda di riforma della sentenza del Giudice di Pace meglio identificata in epigrafe. Ragioni di opportunità, originate dalla natura della causa e dalle questioni sottoposte in giudizio, orientano ai sensi dell'articolo 92 c.p.c. alla compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Giudice monocratico, in funzione di giudice di appello, nella persona del dr Claudio Patruno, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al numero 37002/2016 tra:
Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del P.d.C.M pro tempore, contro Is. Lu., per la riforma della sentenza del Giudice di Pace di Viterbo (accorpante il Giudice di Civita Castellana) nr. 586/2016 emessa nel procedimento R.G.N.R. 42/2014 il 6.11.2015 e depositata in data 11.11.2015
A) in totale riforma della sentenza impugnata del Giudice di Pace di Viterbo nr. 585/2016 emessa nel procedimento R.G.N.R. 42/2014 il 6.11.2015 e depositata in data 11.11.2015 accoglie l'appello proposto e rigetta le domande proposte dalla parte attrice.
B) Compensa le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Roma il 27/06/2017
Depositata in cancelleria il 06/07/2017.