23.06.03 free
TAR VENETO – ( sulla facolta’ di opzione per l’iscrizione all’albo degli odontoiatri , ex lege 471/88; sulla prova attitudinale prevista dal Dl.vo 386/98 e sulla inesistenza di un “diritto quesito” alla svolgimento della professione di odontoiatra)
Ric. n. 2342/2002 Sent. n. 3276/03
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, con l’intervento dei signori:
Stefano Baccarini Presidente
Angelo De Zotti Consigliere
Fulvio Rocco Consigliere, estensore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso R.G. 2342/2002 proposto da Faben Mario, rappresentato e difeso dall'Avv. Marco Colpani e dall’Avv. Giovanna Rizzo, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultima in Venezia - Mestre, Via Altobello n. 11/F,
contro
• l’Azienda Unità locale socio-sanitaria n. 21 di Legnago (Verona), in persona del Direttore Generale pro tempore, non costituitosi in giudizio;
• l’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Verona, in persona del suo Presidente pro tempore;
• il Ministero della salute, in persona del Ministro pro tempore, il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, in persona del Ministro pro tempore e l’Università degli Studi di Verona, in persona del Rettore pro tempore, tutti costituitisi in giudizio, nonché tutti rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Venezia, San Marco n. 63,
per l'annullamento
della nota Prot. 510 dd. 1 ottobre 2002 a firma del Referente per il Corso di Laurea specialistica in odontoiatria e protesi dentaria per l’Università di Verona e del Responsabile di Sede per l’Università medesima, recante la comunicazione di inizio del Corso di formazione per medici odontoiatri di cui al D.L.vo 13 ottobre 1998 n. 386.
VISTO il ricorso, notificato il 31 ottobre 2002 – 7 novembre 2002 e depositato il 12 novembre 2002, con i relativi allegati;
VISTO l'atto congiunto di costituzione in giudizio del Ministero della Salute, del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, nonché dell’Università degli Studi di Verona;
VISTI gli atti tutti della causa;
UDITI alla camera di consiglio del 27 novembre 2002, convocata a’ sensi dell’art. 21 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come integrato dall’art. 3 della L. 21 luglio 2000 n. 205 (relatore il consigliere Fulvio Rocco) l'Avv. G. Rizzo per il ricorrente e l'Avvocato dello Stato Gasparini per il Ministero della salute, il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, nonché per l’Università degli Studi di Verona;
RITENUTO a’ sensi dell’art. 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034 così come integrato dall’art. 9 della L. 21 luglio 2000 n. 205 e a scioglimento della riserva espressa al riguardo, di poter decidere la causa con sentenza in forma semplificata;
RICHIAMATO IN FATTO quanto esposto nel ricorso e dalle parti nei loro scritti difensivi;
CONSIDERATO quanto segue.
1. Il ricorrente, dott. Mario Faben, espone di aver conseguito la laurea in medicina e chirurgia in data 15 luglio 1991 presso l’Università degli Studi di Verona e di essersi iscritto all’Albo professionale dei medici chirurghi della Provincia di Verona in data 30 dicembre 1991 e all’Albo professionale degli odontoiatri della Provincia di Verona parimenti in data 30 dicembre 1991 (cfr. doc. 1 di parte ricorrente).
Il Faben precisa che l’iscrizione a quest’ultimo Albo è avvenuto a’ sensi della L. 31 ottobre 1988, n. 471, recante norme concernenti l'opzione, per i laureati in medicina e chirurgia, per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri e secondo il quale - per l’appunto – “i laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea negli anni accademici 1980-1981, 1981-1982, 1982-1983, 1983-1984, 1984-1985, abilitati all'esercizio professionale”, erano legittimati ad esercitare, entro la data del 31 dicembre 1991, la “facoltà di optare per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri ai fini dell'esercizio dell'attività di cui all'art. 2 della legge 24 luglio 1985 n. 409”, ossia quella di odontoiatra, descritta a sua volta dall’articolo di legge testè richiamato come inerente “alla diagnosi ed alla terapia delle malattie ed anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione ed alla riabilitazione odontoiatriche”, con possibilità, per gli odontoiatri medesimi, di “prescrivere tutti i medicamenti necessari all'esercizio della loro professione”.
Giova sin d’ora rilevare che la L. 409 del 1985 è stata emanata in attuazione della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/CEE, concernente il riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli di dentista e comportante l’adozione di misure destinate ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, il cui art. 19 dispone che “dal momento in cui l’Italia prenderà le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva, gli Stati membri riconosceranno … i diplomi, certificati ed altri titoli di medico rilasciati in Italia a persone che hanno iniziato la loro formazione universitaria di medico al più tardi dopo diciotto mesi dalla notifica della presente direttiva” – ossia il 28 gennaio 1980 - “insieme ad un attestato, rilasciato dalle competenti autorità italiane, che certifichi che queste persone si sono effettivamente e lecitamente dedicate in Italia a titolo principale alle attività … (di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie dei denti) … per un periodo di almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio dell’attestato e che tali persone sono autorizzate ad esercitare dette attività alle medesime condizioni dei titolari del diploma (di dentista rilasciato in Italia) …”.
In relazione alla disciplina testè riportata, l’art. 19 della L. 409 del 1995 dispone, a sua volta, che “in applicazione della direttiva comunitaria n. 78/686/CEE, il Ministero della sanità, previ gli opportuni accertamenti, rilascia a coloro che hanno iniziato in Italia la loro formazione di medico anteriormente al 28 gennaio 1980 l'attestato che dichiara che si sono effettivamente e lecitamente dedicati nel nostro Paese, a titolo principale, all'attività professionale di odontoiatra per un periodo di almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio dell'attestato, e che sono pertanto autorizzati ad esercitare la predetta attività alle medesime condizioni dei titolari dei diplomi di cui all'allegato B, lettera f). Ai fini degli accertamenti preliminari al rilascio del suddetto attestato, il Ministero della sanità si avvale della collaborazione degli Ordini dei medici-chirurghi e degli odontoiatri e delle associazioni professionali competenti. Previa acquisizione della necessaria documentazione, e nei confronti di coloro che hanno compiuto con successo studi di almeno tre anni in campo odontoiatrico, il Ministero della sanità rilascia inoltre il relativo attestato, valido ai fini della dispensa dalla pratica triennale di cui al primo comma del presente articolo”.
Con sentenza 1 giugno 1995, emessa nella causa C-40/93 proposta a’ sensi dell’art. 169 del Trattato CEE all’epoca vigente (ora art. 227) dalla Commissione delle Comunità Europee, la Sez. V della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha affermato che, “prorogando, con L. 31 ottobre 1988 n. 471, fino all’anno accademico 1984 – 1985, nei confronti dei laureati in medicina e chirurgia, il termine stabilito dall’art. 19 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/CEE … la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi del detto articolo e dell’art. 8, n.1 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per le attività di dentista”, secondo il quale – a sua volta – l’Italia era tenuta ad adempiere alla resezione della direttiva medesima entro sei anni dalla sua notificazione, ossia entro il 28 luglio 1984.
Con D.L.vo 13 ottobre 1998 n. 386, recante ulteriori “disposizioni in materia di esercizio della professione di odontoiatra, in attuazione dell'articolo 4 della L. 24 aprile 1998, n. 128”, il legislatore italiano si è conformato alla testè citata sentenza della Corte di Giustizia della Comunità, abrogando in via espressa, all’art. 2, la L. 471 del 1988 e stabilendo- all’art. 1 - che “i laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea negli anni accademici 1980-1981, 1981-1982, 1982-1983, 1983-1984 e 1984-1985, in possesso dell'abilitazione all'esercizio professionale, possono iscriversi all'albo degli odontoiatri previo superamento” di un’apposita “prova attitudinale … ripetibile una volta” e consistente “nella valutazione del curriculum accademico e professionale e delle conoscenze teorico pratiche al fine di verificare il possesso di: a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fonda l'odontoiatria, nonché una buona comprensione dei metodi scientifici e in particolare dei princìpi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all'analisi dei dati; b) adeguate conoscenze della costituzione, della fisiologia e del comportamento di persone sane e malate, nonché del modo in cui l'ambiente naturale e sociale influisce sullo stato di salute della persona, nella misura in cui ciò abbia rapporti con l'odontoiatria; c) adeguate conoscenze della struttura e della funzione dei denti, bocca, mascelle e dei relativi tessuti, sani e malati, nonché dei loro rapporti con lo stato generale di salute ed il benessere fisico e sociale del paziente; d) adeguate conoscenze delle discipline e dei metodi clinici che forniscono un quadro coerente delle anomalie, delle lesioni e delle malattie della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché dell'odontologia sotto l'aspetto preventivo, diagnostico e terapeutico; e) adeguata esperienza clinica acquisita sotto opportuno controllo. … Con decreto del Ministro della sanità da emanarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore” del medesimo decreto legislativo “di concerto con il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica, sentita la federazione nazionale dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, è disciplinata l'organizzazione” della prova anzidetta “che, comunque, in prima applicazione, dovrà tenersi entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore” del già ripetuto decreto legislativo. “In via transitoria, fino alla conclusione della procedura indicata” dall’anzidetto decreto interministeriale “i beneficiari della L. 31 ottobre 1988, n. 471, che abbiano fatto domanda di partecipazione alla prova” anzidetta, “mantengono l'iscrizione all'albo degli odontoiatri. L'esito negativo per due volte della prova comporta, per i beneficiari” del sopradescritto regime transitorio, “la cancellazione dall'albo”.
In attuazione del D.L.vo 386 del 1998 è stato dapprima emanato il decreto interministeriale dd. 19 aprile 2000, che contemplava l’esecuzione della prova anzidetta mediante la risoluzione di quiz a risposta multipla e, quindi, il decreto interministeriale 6 agosto 2001, innovativo del precedente e secondo il quale la valutazione dei candidati è preceduta da un apposito corso di formazione per medici odontoiatri, da attivarsi presso talune Facoltà di medicina e chirurgia, "a frequenza obbligatoria” - essendo a tale riguardo "ammesse assenze per malattie o per gravi motivi familiari, opportunamente documentate, per un massimo di ore corrispondente al 20% del totale” - e con "un monte ore minimo di trecentosessanta ore, di cui centottanta di teoria e altrettante di pratica, per un periodo massimo di sei mesi. L’attività didattico-formativa, di tipo teorico-pratico, si sviluppa secondo moduli di non meno di quindici ore, fino ad un massimo di trentasei, con non più di cento partecipanti … Ogni modulo si conclude con la valutazione dei risultati effettuati dal coordinatore del modulo. Il partecipante che non ottiene la valutazione è tenuto a seguire nuovamente il modulo ed ottenere la relativa valutazione” (cfr. il decreto interministeriale dd. 6 agosto 2001 cit.).
Il Faben espone quindi di aver ricevuto, a mezzo di mera posta prioritaria, la nota Prot. 510 dd. 1 ottobre 2002, a firma del Referente per l’Università degli Studi di Verona e del Responsabile di Sede per la medesima Università – Corso di Laurea specialistica in odontoiatria e protesi dentaria, del seguente tenore: "Agli iscritti al Corso di Formazione per Medici Odontoiatri, D.L. 386 del 1998. Egregio Collega, in relazione al corso di formazione, per il quale Lei ha scelto la sede universitaria di Verona, Le comunichiamo che le lezioni si svolgeranno di venerdì e sabato dalle ore 8.30 alle 12.30 e dalle ore 13.30 alle ore 17.30, nei seguenti giorni: 15-16-22-23-29 e 30 novembre, 06-07-13-14-20 e 21 dicembre 2002, 10-11-17-18-24-25 e 31 gennaio, 01-07-08-14 e 15 febbraio 2003. Per quanto riguarda la parte pratica, inizierà, presumibilmente, il 13 gennaio 2003 e la frequenza avverrà presso la Sezione di Chirurgia Maxillo-Facciale e Odontostomatologia di codesta (sic!) Università, secondo turni che verranno presentati successivamente. E’ possibile che per gli iscritti all’Ordine dei Medici di Vicenza possa essere convenzionata l’Azienda Ospedaliera di Vicenza. Per quanto concerne la parte burocratica relativa all’iscrizione ed al pagamento del corso, troverà in allegato: bando per il corso di formazione; domanda di iscrizione; quietanza di pagamento con la quale potrà effettuare il versamento di 1.250.- Euro, comprensivo dell’attestato di idoneità e del premio per l’assicurazione infortuni …” (cfr. doc. 8 di parte ricorrente).
In allegato alla surriportata nota il ricorrente produce copia del predetto bando concorsuale, recante la data dell’1 ottobre 2002, promulgato dal Rettore dell’Università nonché dai predetti Responsabile e Referente e recante in forma più diffusa le informazioni citate nella nota medesima, i nominativi dei docenti e l’avvertenza che la prova finale consisterà "nella presentazione e discussione di un caso clinico”.
2. Tutto ciò premesso, il Faben, dopo aver premesso di ritenersi "a brevissimo termine ablato del proprio diritto all’esercizio della professione odontoiatrica” nell’ipotesi di mancato superamento del Corso di cui trattasi, esposto in ogni caso "al pericolo di totale sviamento della clientela all’atto di comunicare la partecipazione al corso di formazione” e costretto a’ sensi dell’art. 5, comma 1, lett. d), del vigente Accordo per i medici di medicina generale a sospendere l’espletamento della propria attività professionale in tale ambito (cfr. pagg. 3 e 4 dell’atto introduttivo del presente giudizio), chiede l’annullamento dell’anzidetta nota Prot. 510 dd. 1 ottobre 2002, deducendo al riguardo violazione di legge sotto più profili, eccesso di potere sotto altrettanto diversi profili, nonché violazione dei principi di ordine generale discendenti dagli artt. 3, 35, 36 e 97 Cost.
2. Si sono costituiti in giudizio il Ministero della Salute, il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, nonché l’Università degli Studi di Verona, concludendo concordemente per la reiezione del ricorso.
3. Non si sono, per contro, costituiti in giudizio i pur intimati Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Verona e Azienda Unità locale socio-sanitaria n. 21 di Legnago.
4.1. Ciò posto, il ricorso va respinto.
4.2. Secondo il Faben, il provvedimento che dispone la sua partecipazione al corso di cui trattasi, e alla conseguente prova di idoneità finale, risulterebbe illegittimo per illegittimità derivata dal presupposto D.L.vo 386 del 1998, a sua volta asseritamente illegittimo per difformità rispetto ai principi contenuti nell’art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice Civile, non potendosi concettualmente ammettere la circostanza che all’interessato sia consentito, nelle more della frequentazione del corso medesimo, l’esercizio provvisorio della professione per la quale pur dovrebbe acquisire la specializzazione.
Logica vorrebbe, quindi – sempre secondo il ricorrente – che l’attuazione nel nostro ordinamento avvenisse non già mediante tali e ben poco lineari accorgimenti, ma con la scelta drastica tra la cancellazione dall’Albo di tutti coloro che ebbero a conseguire l’iscrizione a’ sensi della L. 471 del 1988 al di fuori della previsione contenuta nella fonte comunitaria, e la (asseritamente più corretta) salvaguardia di tutte le posizioni acquisite prima dell'emanazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea: salvaguardia che, nel caso di specie, dovrebbe ritenersi acquisita, stante quanto disposto dall’art. 19 della L. 21 dicembre 1999 n. 526, attuativo della direttiva 98/5/CE.
Il ricorrente lamenta, inoltre, che a fronte della sua forzata frequenza del corso, gli odontoiatri pur iscritti quali studenti di medicina nelle università dall’anno accademico 1980-1981 all’anno accademico 1984-1985 ma laureatisi dopo il 31 dicembre 1991 hanno ottenuto dal T.A.R. per il Lazio, Sez.I-bis sent. 10704 dd. 30 novembre 2000 e dal Consiglio di Stato, A.P. 9 gennaio 2002 n. 1, una statuizione per effetto della quale doveva essere attivato entro novanta giorni da quest’ultima pronuncia il procedimento di indizione del corso e della conseguente prova, per l’appunto identificantisi con quanto comunicato con la qui impugnata nota Prot. 510 dd. 1 ottobre 2002.
Il ricorrente, altresì, rileva la difformità tra la disciplina qui contestata e contemplante l’anzidetta prova di idoneità professionale e la disciplina viceversa contenuta nell’art. 8 del D.L.vo 27 gennaio 1992 n. 115, recante a sua volta l’attuazione della direttiva n. 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, laddove si contempla l’espletamento, ai fini dell’iscrizione all’albo professionale, di una mera prova attitudinale consistente in un esame volto ad accertare le conoscenze professionali e deontologiche ed a valutare la capacità all'esercizio della professione, tenendo conto che il richiedente il riconoscimento è un professionista qualificato nel Paese di origine o di provenienza”.
Il ricorrente, inoltre, evidenzia – da un lato - la pretesa assurdità del “sistema” normativo per effetto del quale, a suo dire, "chi s’è iscritto all’Università prima del fatidico 1980 – 1985 e, però, si laurei solo oggi … non verrà mai sottoposto ad alcun esame” (cfr. pag. 9 dell’atto introduttivo del presente giudizio), e – dall’altro – la fondatezza della tesi per la quale sussisterebbe nei suoi riguardi un “diritto quesito” all’esercizio della professione, affermato non soltanto dalla Risoluzione Comune del Parlamento n. 7/00962 del 27 settembre 2000, ma anche dalla giurisprudenza e, segnatamente, dall’ordinanza di T.A.R. Catania, Sez. III, 13 ottobre 2000 n. 2180, nonché dalla sentenza di Cass., Sez. III, 22 novembre 2000 n. 15078, laddove afferma che l’odontoiatria è branca della medicina e che la laurea in medicina è condizione necessaria e sufficiente per esercitare l’odontoiatria medesima.
Il ricorrente, altresì, muovendo dalle considerazioni contenute nel parere di Cons. Stato, Sez. I, 153/2001 dd. 1 marzo 2001, secondo le quali deve escludersi che una fonte pattizia di diritto internazionale possa collocarsi in posizione pariordinata rispetto alla nostra Costituzione, conclude nel senso dell’inapplicabilità – alla specie – dell’art. 249 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, trattandosi di fonte pattizia asseritamente contraria agli artt. 3, 24, 35 e 36 Cost.
Con le susseguenti censure di eccesso di potere il ricorrente contesta, viceversa, le previsioni contenute nell’art. 1 del decreto interministeriale 5 agosto 2001, sostitutivo dell’art. 1 del decreto interministeriale dd. 19 aprile 2000, laddove:
a. pone a carico del candidato il costo del corso e dell’esame finale;
b. conferisce valenza selettiva all’esame finale;
c. risulterebbe ambiguo in ordine ai riferimenti testuali sulla “formazione continua in medicina” e “sull’organizzazione, programmazione e pianificazione dei corsi”;
d. introdurrebbe un apodittico barrage del 20% del totale delle ore di corso, agli effetti dell’ammissione alla prova finale, alle ore di assenza effettuabili nel massimo dagli allievi;
e. concentrerebbe il corso in modo eccessivo, articolandolo in pochi mesi di frequenza;
f. imporrebbe illogicamente una valutazione parziale per ogni modulo in cui il corso si articola, impedendo a coloro che non ottengono un giudizio positivo la frequenza al modulo susseguente, ma consentendo la frequenza alternativa del modulo, ripetibile una sola volta, presso altra sede;
g. consentirebbe che il discente sia comunque valutato, in sede di prova finale, anche da concorrenti professionali del discente medesimo;
Il ricorrente rimarca anche una pretesa disparità di trattamento tra coloro che in occasione dell’iscrizione al corso potrebbero utilizzare titoli di esperienza e culturali acquisiti in precedenza e coloro che tali titoli non hanno acquisito, né potrebbero ora acquisire anche in dipendenza della medio tempore intervenuta soppressione delle scuole di specialità; e censura, in ogni caso, la circostanza che i professionisti ante L. 471 del 1978 sono esonerati dalla frequenza del corso-esame, nel mentre non lo sono i professioni post L. 471 del 1978.
Il ricorrente contesta pure che l’organizzazione del corso sia avvenuta, asseritamente, "in piena estate” (cfr. pag. 21 dell’atto introduttivo del giudizio), con imposizione dell’iscrizione "ad horas” mediante mera lettera di posta prioritaria datata 1 ottobre 2002 con termine ultimo per adempiere fissato per il giorno 13 dello stesso mese.
Il Faben nega pure che l’autorità comunitaria abbia imposto, nella specie, l’effettuazione di una “prova attitudinale”, stante il fatto che le direttive comunitarie non potrebbero in ogni caso introdurre nell’ordinamento di uno Stato membro norme dettagliate e prive di connessione con la legislazione ivi vigente: norme che, nella specie, comunque impongono per l’esercizio dell’odontoiatria il possesso della laurea in medicina e chirurgia.
Il D.l.vo 386 del 1998 avrebbe, altresì - ad avviso del ricorrente - del tutto eluso il profilo delle pur ben possibili responsabilità del professionista nei confronti dei terzi, gravanti sia a’ sensi dell’art. 2229 cod. civ., sia a’ sensi degli artt. 1218, 2043 e 1461 dello stesso Codice, e risulterebbe violare gli artt. 3, 35, 36 e 97 Cost.
L’art. 3 Cost. sarebbe segnatamente violato per effetto della retroattività dello stesso D.L.vo 386 del 1998, nonché dalla circostanza per la quale l’inadempimento dello Stato italiano nei confronti degli obblighi da esso assunti con l’Unione Europea verrebbe sanato con un nuovo inadempimento dello Stato medesimo nei riguardi dei propri cittadini, beneficiari di una precedente legge.
Il ricorrente evidenzia, inoltre – e sempre sotto tale profilo – che il D.L.vo 386 del 1998 irragionevolmente esenta coloro che si sono iscritti all’Università prima del 1980, e indipendentemente dall’anno in cui hanno conseguito il diploma di laurea, dalla verifica di professionalità a lui - per contro – richiesta; e reputa che tale discriminazione sia contraria anche agli stessi principi affermati dalla giurisprudenza comunitaria (cfr., ad es., Corte Giustizia CE, 29 ottobre 1998, 16 ottobre 1997 e 27 novembre 1989, citate dal ricorrente medesimo), ed apprezzata pure dalla nostra giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. I, parere 9 aprile 1997 e Sez. IV, 15 marzo 2000 n. 1407).
Altrettanto palese risulterebbe la violazione degli artt. 35 e 36 Cost., posto che il professionista forzatamente e retroattivamente inserito nel sopradescritto esercizio “transitorio” della propria attività sarebbe naturalmente esposto allo sviamento della propria clientela e al mutamento delle obbligazioni assunte, stante il suo obbligo deontologico di informare i propri pazienti del suo sopravvenuto status di soggetto sottoposto a verifica sulla sua professionalità.
Da ultimo, il D.L.vo 386 del 1998 violerebbe pure l’art. 97 Cost., in quanto asseritamente difforme ai canoni generali del buon andamento, dell’imparzialità e della correttezza dell’azione amministrativa, laddove – soprattutto – contempla un sindacato di idoneità, senza limitazione alcuna, nei confronti di soggetti già ritenuti idonei ignorandone la pregressa competenza medico-scientifica nonchè, nella specie, tredici anni di esercizio della professione, e laddove consentirebbe che gli interessati restino privi di notizie sulle modalità di espletamento dell’esame, sulle materie oggetto della prova, sui criteri di valutazione dei candidati e sulla composizione delle commissioni giudicatrici.
4.3.1. Il Collegio, per parte propria, rileva innanzitutto che il surriportato insieme di argomenti spesi dal ricorrente a sostegno della propria tesi si impernia, in buona sostanza:
a) sull’esistenza di un proprio “diritto quesito” all’esercizio della professione, ricavabile sia dall’ordinamento interno, sia dall’ordinamento comunitario e insuscettibile – in quanto tale – di essere ablato dalla legislazione comunitaria e dalla legislazione italiana;
b) sulla pretesa difformità del D.L.vo 386 del 1998 rispetto alla sovrastante disciplina comunitaria ovvero, in subordine, su di una pretesa disapplicabilità della fonte comunitaria ove ritenuta difforme alla disciplina di diritto interno, da ritenersi pertanto prevalente;
c) su eccezioni di incostituzionalità del D.L.vo 386 del 1998 per asserito contrasto con gli artt. 3, 35-36 e 97 Cost.
4.3.2. Ciò posto, il Collegio reputa innanzitutto necessario esaminare il problema, di carattere generale, posto dal ricorrente sul rapporto che intercorre tra l’ordinamento interno e la disciplina comunitaria.
A tale proposito, va immediatamente smentita la tesi del ricorrente secondo la quale, muovendo dalle considerazioni contenute nel parere di Cons. Stato, Sez. I, 153/2001 dd. 1 marzo 2001, dovrebbe escludersi che una fonte pattizia di diritto internazionale possa collocarsi in posizione pariordinata rispetto alla nostra Costituzione, con la conseguenza dell’inapplicabilità – alla specie – dell’art. 249 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, trattandosi di fonte pattizia asseritamente contraria agli artt. 3, 24, 35 e 36 Cost.
Il Collegio rileva, in tal senso, che l’anzidetto parere del Consiglio di Stato concerne una fattispecie del tutto estranea all’economia di causa, in quanto reso a suo tempo – prima dell’entrata in vigore della L. Cost. 23 ottobre 2002 n. 1, avente per oggetto la cessazione degli effetti dell’art. XII, primo e secondo comma, delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione – in ordine all’affermata impossibilità che princìpi ricavabili dall’esegesi delle fonti di diritto internazionale possano dispiegare effetti precettivamente abroganti nei riguardi di disposizioni normative contenute nella Costituzione.
Nel caso di specie, la fonte normativa (e, anche, giudiziale) “esterna” all’ordinamento italiano non si pone per certo come disposizione abrogante di norme costituzionali interne a quest'ultimo, ma come fonte che, a’ sensi dell’attuale art. 249 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea e della stessa, incontrovertibile giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr., ex multis, Corte Cost, 22 febbraio 1985 n. 47), impone non soltanto al giudice, ma anche alla pubblica amministrazione, la disapplicazione della fonte legislativa primaria interna con essa incompatibile: e ciò, anche – e soprattutto – in osservanza a quanto disposto dall’art. 11 Cost., ossia di quella specifica disciplina appartenente alla nostra Grundnorm che ha reso possibile la partecipazione dell’Italia al “sistema” ordinamentale dell’Unione Europea e alla conseguente rinuncia di proprie prerogative sovrane a favore degli organi legislativi, amministrativi e giurisdizionali dell’Unione medesima.
4.3.3. Chiarito ciò, va pure smentito l’assunto della parte ricorrente secondo i quali il D.L.vo 386 del 1988 risulterebbe, di per sé, comunque difforme rispetto alla sovrastante disciplina comunitaria.
La difesa del Faben fa discendere tale assunto da taluni postulati di fondo, alcuni dei quali sono, in linea di principio, del tutto condivisibili (le direttive comunitarie non possono in ogni caso introdurre nell’ordinamento di uno Stato membro norme dettagliate e prive di connessione con la legislazione ivi vigente), nel mentre altri risultano, come si vedrà appresso, manifestamente infondati.
Per quanto attiene al possibile contenuto delle direttive comunitarie, va ricordato che la giurisprudenza, pur mantenendo fermo il postulato di fondo da cui muove il ricorrente circa l’incompetenza della direttiva ad introdurre discipline di dettaglio nell’ambito dei singoli ordinamenti statuali (cfr., ad es., Corte di Giustizia CEE 6 ottobre 1970, in causa 9/70), ha da tempo individuato la categoria delle direttive cc.dd. self executing, ossia non abbisognevoli dell’intermediazione di un’ulteriore fonte normativa statuale al fine di trovare diretta applicazione negli ordinamenti degli Stati membri allorquando la relativa disciplina risulta obiettivamente priva di particolari implicazioni organizzative per la sua applicazione da parte degli Stati medesimi (cfr., ad es., Corte di Giustizia CEE, 1 febbraio 1977, in causa 51/76), ovvero rechi nei riguardi di questi ultimi l’obbligo di tenere un comportamento di carattere negativo (cfr. ibidem),
Nel caso di specie, peraltro, il problema scaturisce da un’originaria e del tutto pacifica difformità della disciplina contenuta nella fonte normativa interna all’ordinamento italiano rispetto a quella introdotta dalla sovrastante fonte comunitaria.
Come si è visto innanzi, l’art. 19 della direttiva del Consiglio 25 luglio 1978 n. 78/687/CEE impone che “dal momento in cui l’Italia prenderà le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva, gli Stati membri riconosceranno … i diplomi, certificati ed altri titoli di medico rilasciati in Italia a persone che hanno iniziato la loro formazione universitaria di medico al più tardi dopo diciotto mesi dalla notifica della presente direttiva” – ossia il 28 gennaio 1980 – “insieme ad un attestato, rilasciato dalle competenti autorità italiane, che certifichi che queste persone si sono effettivamente e lecitamente dedicate in Italia a titolo principale alle attività … (di prevenzione, diagnosi e cura delle malattie dei denti) … per un periodo di almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni che precedono il rilascio dell’attestato e che tali persone sono autorizzate ad esercitare dette attività alle medesime condizioni dei titolari del diploma (di dentista rilasciato in Italia) …".
Per contro, in forza della L. 471 del 1988, “i laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea negli anni accademici 1980-1981, 1981-1982, 1982-1983, 1983-1984, 1984-1985, abilitati all'esercizio professionale”, erano legittimati ad esercitare, entro la data del 31 dicembre 1991, la “facoltà di optare per l'iscrizione all'albo degli odontoiatri ai fini dell'esercizio dell'attività di cui all'art. 2 della legge 24 luglio 1985 n. 409”: e proprio tale disposizione è stata, dunque, ritenuta contraria alla disciplina comunitaria dalla predetta sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, laddove aveva prorogato fino al 31 dicembre 1991 il termine – pacificamente inderogabile - del 28 luglio 1984, ricavato dai sei anni decorrenti dalla notificazione della medesima direttiva del Consiglio 25 luglio 1978 n. 78/686/CEE (cfr. art. 24, § 1, direttiva cit.: “Gli Stati membri prendono le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il termine di 18 mesi, a decorrere dalla sua notifica e ne informano immediatamente la Commissione. Tuttavia, l’Italia prende tali misure entro il termine di 6 anni e, in ogni caso, al momento in cui essa adotta quelle necessarie per conformarsi alla direttiva 76/687/CEE”).
In tale contesto, l’art. 1 del D.L.vo 386 del 1998 si configura quale imprescindibile strumento di ripristino della conformità dell’ordinamento interno rispetto al sovrastante ordinamento comunitario: ripristino realizzato, per quanto detto innanzi, mediante la sottoposizione dei laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea negli anni accademici 1980-1981, 1981-1982, 1982-1983, 1983-1984 e 1984-1985 e in possesso dell'abilitazione all'esercizio professionale, ad una prova attitudinale ai fini dell’iscrizione all’albo degli odontoiatri.
Non risulta che la disciplina contenuta nell’articolo testè citato sia difforme al precetto contenuto nell’art. 19 della direttiva 76/686/CEE, essendo rimasto il legislatore italiano del tutto libero di individuare i mezzi attraverso i quali pervenire all’adeguamento del nostro ordinamento alla norma comunitaria che impone ciò entro la data del 28 luglio 1984; e risulta altrettanto evidente che, trattandosi di un “ripristino” della conformità tra diritto comunitario e diritto interno, ciò non poteva che avvenire mediante la formale abrogazione ex tunc delle disposizioni di diritto interno ritenute dal giudice comunitario incompatibili con la stessa direttiva 76/686/CEE.
4.3.4. In tal senso, quindi, il legislatore italiano ha per certo dovuto derogare al principio – peraltro notoriamente costituzionalizzato per le sole norme penali sfavorevoli al reo (cfr. art. 25 Cost.) – dell’irretroattività della legge (cfr. art. 11 disp. prel. cod. civ.): ma ciò è avvenuto introducendo una disciplina intrinsecamente ragionevole e garantista per tutti gli interessati.
Avendo riguardo a tale specifico profilo, non può, innanzitutto, sostenersi che il ricorrente sia titolare di un “diritto quesito” all’esercizio della professione di odontoiatra, in quanto - come si è visto - ciò è pacificamente escluso dalla disciplina comunitaria della materia e, quindi, anche dall’ordinamento interno italiano che ad essa deve conformarsi.
Pertanto, la rimozione ex tunc della L. 471 del 1988 – ossia del presupposto normativo sul quale si fondava il riconoscimento precedentemente accordato al Faben – non può costituire lesione rilevante sotto questo specifico profilo.
Né, del resto, tale preteso diritto risulta affermato dalla giurisprudenza.
A parte l’isolato caso dell’ordinanza di T.A.R. Catania, Sez. III, 13 ottobre 2000 n. 2180, citata dalla difesa del Faben e secondo la quale dovrebbe ravvisarsi un diritto quesito in capo a coloro che hanno comunque iniziato la formazione universitaria prima “della presa di effetti” della direttiva comunitaria (tesi, questa, non condivisa dal Collegio, in quant, proprio secondo la prospettazione di quel T.A.R., comunque elusiva dell’anzidetto termine del 28 luglio 1984 fissato dalla fonte normativa comunitaria), la sussistenza di un diritto quesito non trova rispondenza nella giurisprudenza comunitaria, sempre citata dalla difesa del ricorrente (Corte Giustizia CE, 29 ottobre 1998, 16 ottobre 1997 e 27 novembre 1989), in quanto riguardante casi del tutto estranei alla tematica oggetto della presente causa né nella giurisprudenza italiana.
Infatti, le sentenze citate dall’anzidetta difesa (cfr., ad es., Cass. Civ., Sez. III, 22 novembre 2000 n. 15076) non affrontano il tema oggetto della presente causa, ma soltanto la possibilità, per i medici stranieri, di iscriversi in Italia, a determinate condizioni, all’Albo degli odontoiatri, o addirittura contraddicono la tesi dello stesso ricorrente, allorquando affermano, previa disapplicazione della L. 471 del 1988, che non hanno diritto a essere iscritti nell’Albo degli odontoiatri i laureati in medicina e chirurgia abilitati, non specialisti in odontoiatria, immatricolati al corso di laurea negli anni accademici tra il 1980-1981 e il 1984-1985, in quanto la norma nazionale che lo consente confligge con le prescrizioni delle direttive comunitarie emanate in materia di esercizio della professione di dentista (cfr. Cass., SS.UU., 11 novembre 1997 n. 11131).
Va anche rilevato che la decisione di Cons. Stato, Sez. IV, 15 marzo 2000 n. 1407, citata dalla difesa del ricorrente, riguarda il parimenti inconferente tema del conferimento degli incarichi convenzionali di medico di medicina generale presso le Unità sanitarie locali, a’ sensi del D.P.R. 22 luglio 1996 n. 484, e – soprattutto - che il parere di Cons. Stato, Sez. I, dd. 9 aprile 1997 rientra – per contro – nell’economia di causa, ma con una portata del tutto opposta rispetto a quella sostenuta dalla difesa del Faben.
In tale pronuncia, infatti, richiesta dal Ministero della Sanità proprio al fine dell’emanazione del D.L.vo 386 del 1998, si afferma:
a) che le sentenze di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea integrano tanto la normativa comunitaria quanto quella interna dei singoli Stati membri;
b) che il potere di disapplicazione del provvedimento legislativo interno contrario alla normativa comunitaria - spettante agli organi amministrativi o giurisdizionali degli Stati membri - sussiste non solo in presenza di pronunce di condanna della Corte di giustizia della Comunità europea, ma, in via astratta, ogni qual volta la norma interna confligge con la direttiva immediatamente efficace (direttiva c.d. self executing);
c) che l'atto o il provvedimento amministrativo emesso in contrasto con la normativa comunitaria (come, del resto, con i principi costituzionali) è illegittimo ab origine;
d) che il principio secondo il quale l'illegittimità di una norma di legge dichiarata dalla Corte costituzionale travolge (ad esclusione delle vicende giuridiche già esaurite) gli atti o i provvedimenti adottati sulla base della disposizione censurata, deve valere - alla luce del canone di uguaglianza stabilito dall'art. 3 Cost. - anche in presenza di atti dichiarati illegittimi dalla Corte di giustizia della Comunità europea a seguito di rimessione dell'interpretazione delle norme del Trattato da parte del giudice dello Stato membro, chiamato a risolvere una specifica controversia;
e) che la semplice non conformità a legge di un provvedimento amministrativo comporta l'annullamento dell'atto nel solo caso in cui le situazioni ad esso sottese non siano ancora consolidate; pertanto, negli altri casi il provvedimento di autotutela deve essere sorretto da autonome ragioni di pubblico interesse, che non possono esaurirsi sulla sola esigenza di ripristinare la legalità che si assume violata;
f) che, pertanto, l'eventuale cancellazione dall'Albo degli odontoiatri dei laureati in medicina e chirurgia immatricolati al relativo corso di laurea dall'anno accademico 1980-81 al 1984-85 - non titolari di diplomi conformi alla normativa comunitaria, ai quali la L. 471 del 1988 ha dato la possibilità di accedere alla professione di dentista mediante l'esercizio, entro il 31 dicembre 1991, della opzione per l'iscrizione al detto Albo - è subordinata alla sussistenza di preminenti ed attuali ragioni di pubblico interesse con riferimento a valutazioni da effettuarsi caso per caso, in relazione alle peculiari caratteristiche ed alle modalità dell'attività professionale concretamente svolta da ogni singolo iscritto, anche alla luce della relativa competenza dimostrata.
Orbene, proprio quest’ultima esigenza evidenziata dal Consiglio di Stato in sede consultiva - ossia, l’accertamento in concreto della competenza professionale di ciascuno degli interessati – sta alla base della scelta del legislatore di introdurre, a’ sensi del medesimo D.L.vo 386 del 1998, la “prova attitudinale … ripetibile una volta” che, dopo l’entrata in vigore del decreto interministeriale 6 agosto 2001, risulta - a differenza di quanto sostenuto dal Faben - intrinsecamente assimilabile proprio alla prova attitudinale di cui all’art. 8 del D.L.vo 115 del 1992, recante a sua volta l’attuazione della direttiva n. 89/48/CEE.
Né può sottacersi che l’impegno di frequenza alle lezioni richiesto agli interessati, proprio in forza della sua concentrazione nella parte finale della settimana, risulta obiettivamente conciliabile con il concomitante esercizio della professione e, per quanto segnatamente attiene alla posizione del ricorrente, non impone – a differenza di quanto da lui sostenuto – la sospensione della sua attività di medico convenzionato di medicina generale (cfr., al riguardo, l’art. 5, comma 1, lett. d), del vigente Accordo per i medici di medicina generale approvato con D.P.R. 28 luglio 2000 n. 270, prodotto in copia quale doc. 10 dallo stesso ricorrente, laddove considera quale presupposto per la sospensione la frequenza di corsi “diversi da quelli obbligatori” a’ sensi dell’Accordo medesimo soltanto se di “durata complessiva superiore a 30 giorni consecutivi”: e, nel caso di specie, la frequenza al corso di cui trattasi non comporta tale consecutività).
Inoltre, non può essere censurata la determinazione di far pagare il costo del corso e dell’esame agli interessati, trattandosi – comunque – di formazione professionale impartita nel loro specifico interesse; né le ulteriori modalità di organizzazione e di comunicazione dell’inizio dei corsi possono dirsi, nella specie, lesive per gli interessi del ricorrente, al quale è stato lasciato un congruo termine per redistribuire nell’arco di ogni settimana i propri impegni professionali.
4.3.5. Come è stato a ragione rilevato da T.A.R. Lazio, Sez. I – bis, 28 novembre 2001 n. 10354, resa su omologa fattispecie, in sede di interpretazione del diritto comunitario deve essere utilizzato il principio dell’effetto utile del diritto medesimo, secondo il quale, nei limiti del possibile, l’interpretazione deve conseguire alla norma di raggiungere il suo scopo, dovendo essere sempre preferita quell’interpretazione, anche del diritto interno, che consente alla norma comunitaria di produrre i maggiori effetti.
Ciò induce a ritenere, tra l’altro, del tutto irrilevante la disparità di trattamento che il ricorrente introduce tra coloro che si sono iscritti all’università negli anni accademici considerati dal D.L.vo 386 del 1998 e che hanno conseguito la laurea in dipendenza delle relative immatricolazioni e coloro che si sono viceversa iscritti antecedentemente agli anni accademici considerati dal D.L.vo 386 del 1998, che magari a tutt’oggi non sono ancora laureati e che, allorquando lo saranno, comunque non dovranno essere assoggettati alla speciale verifica di professionalità nell’ipotesi di loro iscrizione all’Albo degli odontoiatri.
Tale apparente discrasia ordinamentale risulta, infatti, giustificata dal diverso ordinamento didattico rispettivamente applicato nei due casi, a nulla rilevando – quindi – l’epoca in cui la laurea è stata conseguita: e ciò, del resto, ben si coglie proprio dal complessivo impianto della predetta sentenza di Cass., SS.UU. 11 novembre 1997 n. 11131, che – come si è detto – ebbe a disapplicare la L. 471 del 1998 ancor prima della sua abrogazione per effetto del D.L.vo 386 del 1998 in funzione non già della data di conseguimento della laurea da parte degli interessati, ma in funzione dell’anno di immatricolazione dei medesimi.
Da ultimo, vanno respinte le eccezioni di incostituzionalità dello stesso D.L.vo 386 del 1998 prospettate dalla difesa del ricorrente, in quanto (cfr., sul punto, la già citata sentenza di T.A.R. Lazio, Sez. I – bis, 28 novembre 2001 n. 10354):
a. non sussiste, per quanto testè rilevato, una discriminazione nei confronti dei laureati immatricolatisi in epoca antecedente al 1980 e non assoggettati alla prova attitudinale, in considerazione della circostanza che è la stessa fonte comunitaria ad introdurre il limite temporale anzidetto, in una logica di transizione;
b. no n è sottratta agli interessati, sempre per quanto detto ìnnanzi, la disponibilità di tempo convenientemente necessaria per l’esercizio della professione medica;
c. la prova di idoneità professionale richiesta non priva, di per sé, i sanitari interessati della loro capacità reddituale, né viola il principio della giusta e proporzionata retribuzione di cui all’art. 36 Cost., configurandosi nel caso un mero onere di verifica della professionalità che consente la prosecuzione del percorso professionale già intrapreso nella necessaria equiparazione del percorso medesimo alla sovrastante disciplina comunitaria.
5. Le spese e gli onorari del giudizio possono essere, peraltro, integralmente compensati tra le parti.
P. Q. M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo rigetta .
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio del 27 novembre 2002.