27/07/2017 free
Lecite le limitazioni temporali all’ esercizio del gioco tramite gli apparecchi e congegni automatici
L’idoneità dell’atto impugnato a realizzare l’obiettivo perseguito deve essere apprezzata, tenendo presente che scopo dell’ordinanza comunale non è quello di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco (anche quelle generate da gratta e vinci, lotto, superenalotto, giochi on line, etc.), obiettivo che travalicherebbe la sfera di attribuzioni del Comune, ma solo quello di prevenire, contrastare, ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco.
La riduzione degli orari di funzionamento degli apparecchi in esame è solo una delle molteplici misure che le autorità pubbliche possono adottare per combattere il fenomeno della ludopatia, che ha radici complesse e rispetto al quale non esistono soluzioni di sicuro effetto.
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TAR Piemonte, sez. II, sentenza 31 maggio – 11 luglio 2017, n. 839
omissis
Fatto
1) Con il ricorso in epigrafe la sig.ra L.M., in proprio e in qualità di amministratore unico di Euro Slot s.r.l., ha impugnato l’ordinanza del Sindaco di Verbania n. 32 del 27/10/2016 avente ad oggetto: “Limitazioni temporali all’esercizio del gioco tramite gli apparecchi e congegni automatici da gioco e intrattenimento di cui all’art. 110 commi 6° e 7° del T.U.L.P.S. all’interno delle sale gioco, delle sale scommesse, degli esercizi pubblici e commerciali, dei circoli privati e di tutti i locali pubblici od aperti al pubblico”.
Di tale provvedimento ha chiesto l’annullamento formulando censure di violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili.
2) Per resistere al ricorso si è costituito in giudizio il Comune di Verbania.
3) Nella camera di consiglio del 12 gennaio 2017 questo Tribunale, con l’ordinanza n. 32, ha respinto la domanda cautelare formulata dalla parte ricorrente.
4) Le parti hanno depositato scritti difensivi in vista dell’udienza del 31 maggio 2017, in cui la causa è passata in decisione.
Diritto
Premessa
1) La “ludopatia” è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità come “patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro” (in tal senso si esprimeva l’art. 5 comma 2 del D.L. n. 158 del 2012, ora abrogato, che aveva esteso i livelli essenziali di assistenza alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione delle persone affette da tale patologia).
2) Il legislatore nazionale è in anni recenti ripetutamente intervenuto nella materia, peraltro in modo disorganico.
Nella sentenza 11 maggio 2017 n 108 la Corte Costituzionale ha ricordato che il citato D.L. 13 settembre 2012 n. 158 ha previsto all’art. 7, commi 4 e seguenti, “una serie di disposizioni intese a contrastare l’insorgenza di detta patologia”; ciò ha fatto (comma 10) con particolare riferimento alla “progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del TULPS – ossia con le cosiddette slot machines – che risultino ubicati in prossimità di luoghi “sensibili” (in specie, istituti di istruzione primaria e secondaria, strutture sanitarie e ospedaliere, luoghi di culto, centri socio-ricreativi e sportivi)”. Il tutto nell’ambito di “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” (questo il titolo del decreto-legge citato).
È successivamente intervenuta la legge 11 marzo 2014 n. 23 (“Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”) che, all’art. 14 (intitolato “Giochi pubblici”) ha delegato il Governo “ad attuare, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, riordinando tutte le norme in vigore in un codice delle disposizioni sui giochi, fermo restando il modello organizzativo fondato sul regime concessorio e autorizzatorio, in quanto indispensabile per la tutela della fede, dell'ordine e della sicurezza pubblici, per il contemperamento degli interessi erariali con quelli locali e con quelli generali in materia di salute pubblica, per la prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose, nonché per garantire il regolare afflusso del prelievo tributario gravante sui giochi” (comma 1). Ciò anche allo scopo di corrispondere “all'esigenza di prevenire i fenomeni di ludopatia ovvero di gioco d'azzardo patologico e di gioco minorile” (comma 2 lett. a).
Con la legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di stabilità 2016) è stato infine disposto (art. 1 comma 936): “Entro il 30 aprile 2016, in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 88 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definite le caratteristiche dei punti di vendita ove si raccoglie gioco pubblico, nonché i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, al fine di garantire i migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori e di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. Le intese raggiunte in sede di Conferenza unificata sono recepite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Commissioni parlamentari competenti”.
3) Come evidenziato nella citata sentenza della Corte Costituzionale n. 108/2017 nessuna delle disposizioni precedentemente citate ha avuto finora attuazione. Risulta che in sede di Conferenza unificata è da tempo in discussione una bozza di accordo che dovrebbe portare a compimento il procedimento di cui alla normativa più recente, il cui perfezionamento è però evidentemente condizionato dalla pluralità di interessi (corposi e confliggenti) in gioco.
4) In questo quadro tuttora fluido numerose Regioni hanno adottato leggi organiche in materia di prevenzione e contrasto del gioco d’azzardo patologico (GAP o ludopatia). Tra queste, la Regione Piemonte, che ha approvato la legge regionale 2 maggio 2016 n. 9, intitolata “Norme per la prevenzione e il contrasto alla diffusione del gioco d’azzardo patologico”. Tale legge prevede che il Consiglio regionale approvi (art. 3) un “Piano integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio della dipendenza dal gioco d’azzardo patologico”; e disciplina, tra l’altro, la “collocazione degli apparecchi per il gioco lecito” (art. 5) e le “limitazioni all’esercizio del gioco” (art. 6).
5) A valle, sono poi intervenuti numerosi Comuni del Piemonte che, attraverso ordinanze sindacali o regolamenti adottati dall’organo consiliare, hanno dettato specifiche norme riguardanti la disciplina in ambito locale delle sale giochi e degli apparecchi utilizzati per i giochi consentiti ai sensi dell’art. 110 del TULPS.
Si può in effetti affermare che la realtà regionale piemontese è caratterizzata da una accentuata propensione delle amministrazioni comunali ad affrontare e disciplinare, a livello locale, un fenomeno (quello del gioco d’azzardo patologico o ludopatia) la cui rilevanza e pericolosità a livello sociale e sanitario non può essere seriamente messa in discussione, se non altro tenuto conto dalla particolare attenzione che il legislatore statale e quelli regionali vi hanno riservato. E sempre in attesa che lo Stato faccia la sua parte, adottando una disciplina organica della materia che copra l’intero territorio nazionale, così da garantire quella uniformità di indirizzo che è ragionevolmente auspicabile.
6) Alla luce di queste premesse si può procedere all’esame del ricorso in epigrafe.
Il ricorso proposto dalla sig.ra L. M., in qualità di amministratore unico di Euro Slot s.r.l.
7) La ricorrente agisce in proprio e in quanto titolare di autorizzazioni rilasciate dal Questore della provincia del Verbano-Cusio-Ossola, ai sensi dell’art. 88 del TULPS, per l’attività di raccolta del gioco attraverso l’installazione di apparecchi VLT in due esercizi siti in Verbania. Chiede l’annullamento dell’ordinanza n. 32 del 27/10/2016, adottata dal Sindaco di quel Comune ai sensi dell’art. 50 comma 7 del TUEL, con cui è stato stabilito il seguente orario di funzionamento degli apparecchi e congegni per il gioco di cui all’art. 110 commi 6 e 7 del T.U.L.P.S. all’interno delle sale gioco, delle sale scommesse, degli esercizi pubblici e commerciali, dei circoli privati e di tutti i locali pubblici o aperti al pubblico:
- dalle ore 14:00 alle ore 18:00 e dalle ore 20:00 alle ore 24:00 di tutti i giorni, compresi i festivi.
8) Queste, in sintesi, le censure formulate nel ricorso:
a) violazione dell’art. 50 comma 7 del TUEL (il Sindaco ha adottato il provvedimento impugnato senza che il Consiglio comunale esprimesse i necessari indirizzi);
b) violazione degli artt. 7, 8, 9, 10 della legge n. 241/1990 (è mancata la necessaria partecipazione procedimentale della ricorrente e/o di un’associazione rappresentativa della categoria degli imprenditori del settore, mentre sono stati sentiti soggetti portatori di interessi opposti e privi di specifiche competenze in materia);
c) irragionevolezza e disparità di trattamento (il provvedimento impugnato colpisce in sostanza solo le slot-machines, senza intervenire, ad esempio, sul gioco on-line o sul gratta e vinci; e non differenzia tra gli apparecchi presenti nelle sale dedicate e quelli posizionati in altri esercizi commerciali);
d) contraddittorietà tra motivazione e dispositivo; illogicità e incoerenza (il provvedimento impugnato finisce con il colpire irragionevolmente le attività svolte all’interno delle strutture più specializzate e controllate tra tutte);
e) difetto di istruttoria e di motivazione (il provvedimento impugnato è viziato da un palese e macroscopico difetto di istruttoria);
f) difetto di proporzionalità (in relazione alla drastica riduzione dell’orario di funzionamento degli apparecchi in questione);
g) violazione del legittimo affidamento (le autorizzazioni rilasciate alla ricorrente sono state sostanzialmente svuotate, con grave pregiudizio per i consistenti investimenti operati, in violazione dell’affidamento legittimamente vantato dalla predetta);
h) violazione dell’art. 41 Cost. (il provvedimento impugnato contrasta, per la sua intrinseca irragionevolezza e sproporzione, con il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41);
i) illegittimità costituzionale dell’art. 6 della L.R. n. 9/2016 per violazione degli artt. 117 comma 3, 3 e 41 Cost.
9) Il primo motivo di ricorso è infondato.
9.1) Dispone l’art. 50 comma 7 del D. Lgs. n. 267/2000: “Il sindaco, altresì, coordina e riorganizza, sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla regione, gli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici, nonché, d'intesa con i responsabili territorialmente competenti delle amministrazioni interessate, gli orari di apertura al pubblico degli uffici pubblici localizzati nel territorio, al fine di armonizzare l'espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti”.
Che l’ordinanza sindacale di cui all’art. 50 comma 7 TUEL possa essere utilizzata dalle amministrazioni comunali per disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature per il gioco è stato confermato di recente dalla Corte Costituzionale con sentenza 18 luglio 2014 n. 220; ha osservato la Corte che “così come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa di legittimità e di merito, proprio la disposizione censurata [art. 50 comma 7 TUEL] può fornire un fondamento legislativo al potere del sindaco di disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali sono installate le apparecchiature per il gioco...”.
In particolare, la Corte ha richiamato l'evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di legittimità sia di merito, la quale "ha elaborato un'interpretazione dell'art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, compatibile con i principi costituzionali evocati, nel senso di ritenere che la stessa disposizione censurata fornisca un fondamento legislativo al potere sindacale in questione": ciò, nel senso che, in forza della generale previsione dell'art. 50, comma 7, cit., "il sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale".
9.2) La ricorrente lamenta che, nel caso di specie, l’ordinanza sindacale impugnata non sia stata preceduta dall’approvazione degli indirizzi da parte del consiglio comunale, così come previsto dall’art. 50 comma 7 TUEL.
La censura non può essere condivisa, dal momento che, secondo condivisibili principi giurisprudenziali, la mancata approvazione di indirizzi da parte del consiglio comunale non paralizza l'attività del Sindaco: il Sindaco, infatti, ha il potere di regolare gli orari degli esercizi indipendentemente dal previo atto di indirizzo consiliare, posto che l'art. 50 co. 7 d.lgs. n. 267 del 2000 impone un vincolo di conformità all'ordinanza del Sindaco solo laddove gli indirizzi del consiglio comunale siano già stati espressi, ma non subordina l'esercizio del potere di fissare gli orari alla previa adozione di un atto di indirizzo del consiglio comunale.
E’ stato affermato, a questo riguardo, che “Un'ordinanza sindacale, avente ad oggetto gli orari di apertura delle sale da gioco, non deve essere necessariamente adottata «sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio comunale e nell'ambito dei criteri eventualmente indicati dalla Regione», come previsto dall'art. 50 comma 7, t.u. 18 agosto 2000, n. 267, atteso che, per quanto riguarda i criteri regionali, la suddetta norma, con l'inciso «eventualmente indicati» ha testualmente escluso la tassatività e obbligatorietà di tali criteri regionali, con la conseguenza che non ha alcun rilievo giuridico la loro mancanza; inoltre la mancata approvazione di indirizzi espressi dal Consiglio comunale non paralizza l'attività del Sindaco, titolare del relativo potere di ordinanza, ma comporta per lui un legittimo e più ampio esercizio della propria discrezionalità nell'individuazione delle misure ritenute più efficaci per il perseguimento delle finalità perseguite, senza previa fissazione di vincoli da parte del Consiglio” (Consiglio di Stato sez. V, 01 agosto 2015 n. 3778; T.A.R. Venezia sez. III 16 luglio 2015 n. 811; T.A.R. Lazio-Roma sez. II 02 aprile 2010 n. 5619).
10) Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’ordinanza sindacale impugnata si configura come atto amministrativo generale. Trova quindi applicazione l’art. 13 della legge n. 241/1990, che al primo comma statuisce che le norme sulla partecipazione “non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione” (in tal senso, in un caso analogo, si è recentemente espresso il TAR Latina nella sentenza 16 settembre 2015 n. 616).
L’Amministrazione resistente non aveva dunque nessun obbligo di confrontarsi preventivamente con le associazioni di categoria degli operatori del settore, né tantomeno con i singoli soggetti interessati, quale il ricorrente.
11) Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
La ricorrente ha dedotto vizi di eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di trattamento, nonché di contraddittorietà e incoerenza, sul rilievo che l’ordinanza impugnata sarebbe caratterizzata da un approccio parcellizzato alla tematica del contrasto alla ludopatia, finendo per colpire solo talune tipologie di giochi (le slot machines), senza però toccare tutte le altre (es. gioco online, gratta e vinci); il che non solo creerebbe una immotivata disparità di trattamento tra le diverse tipologie di giochi, ma produrrebbe un effetto palesemente irragionevole nella misura in cui, anziché contrastare il gioco compulsivo, determinerebbe l’unico effetto di indurre soggetti ludopatici a rivolgersi ad altre tipologie di giochi, per di più meno controllate e controllabili, e quindi più rischiose.
La censura non può essere condivisa.
Intanto, va osservato che l’ordinanza sindacale impugnata, nel sottoporre a limitazioni temporali l’utilizzo degli apparecchi da gioco con vincita in denaro di cui all’art. 110 commi 6 e 7 del TULPS, e non altre tipologie di giochi, ha dato legittima applicazione alla legge regionale piemontese n. 9/2016, il cui art. 6 ha previsto l’introduzione da parte dei comuni di limitazioni temporali con specifico riferimento all’esercizio del gioco “tramite gli apparecchi di cui all’art. 110 commi 6 e 7 del TULPS”; sicchè censure di disparità di trattamento potrebbero essere formulate, tutt’al più, sotto forma di eccezioni di incostituzionalità della citata legge regionale – in disparte ogni considerazione sulla loro fondatezza – ma certamente non hanno alcun fondamento giuridico se formulate, come nel caso di specie, nei confronti del solo provvedimento sindacale applicativo della legge regionale.
In ogni caso, il principio di uguaglianza impone discipline eguali per situazioni eguali e discipline diverse per situazioni diverse, con il limite generale di proporzionalità e ragionevolezza. In relazione alla disciplina dei giochi leciti, la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo più volte di affermare la più elevata pericolosità, ai fini del rischio di determinare forme di dipendenza patologica, dei giochi cui si riferisce il provvedimento impugnato, evidenziando che gli apparecchi a ciò destinati, “per la loro ubicazione, modalità, tempistica, danno luogo - più di altre - a manifestazioni di accesso al gioco irrefrenabili e compulsive, non comparabili, per contenuti ed effetti, ad altre forme di scommessa che possono anch'esse dare dipendenza, ma in grado ritenuto (ragionevolmente) dal legislatore di gravità ed allarme sociale assai minore e, perciò, non necessitante di apposita e più stringente tutela preventiva mirata” (TAR Trento, sez. I, 10 luglio 2013, n. 221; TAR Milano, sez. I, 13 marzo 2015, n. 706 e 8 luglio 2015, n. 1570; TAR Venezia, sez. III, 27 settembre 2016, n. 1081)
E’ stato sottolineato, in particolare che, tra i giochi leciti con vincita in denaro, "slot machine e videolottery paiono i più insidiosi nell'ambito del fenomeno della ludopatia, in quanto, a differenza dei terminali per la raccolta delle scommesse, implicano un contatto diretto ed esclusivo tra l'utente e la macchina, senza alcuna intermediazione umana volta a disincentivare, per un normale meccanismo psicologico legato al senso del pudore, l'ossessione del gioco, specie nella fase iniziale del processo di dipendenza patologica" (così TAR Venezia, sez. III, 27 settembre 2016 n. 1081; TAR Lombardia, Milano, Sez. I, 13 marzo 2015, n. 706; Id., 8 luglio 2015, n. 1570).
La maggiore pericolosità di tali tipi di apparecchi è supportata da fonti scientifiche: fra i numerosi contributi merita di essere segnalato lo studio "Dipendenze Comportamentali/Gioco d'azzardo patologico: progetto sperimentale nazionale di sorveglianza e coordinamento/monitoraggio degli interventi" curato dal Ministero della Salute, nel quale si afferma, tra l’altro, che “le lotterie istantanee, per le loro caratteristiche legate alla “velocità”, “facilità” e “diffusione” nei contesti quotidiani (supermercati, bar, tabacchi, ecc.), fanno parte dei cosiddetti “giochi hard”, cioè a più rischio di creare un legame di dipendenza, e maggiormente capaci di intercettare fasce di popolazione finora più estranee al gioco d’azzardo (bambini, casalinghe, anziani, famiglie)”.
Infondata è anche la censura di disparità di trattamento formulata con riferimento al gioco on-line, non intaccato dai provvedimenti impugnati, tenuto conto che l’amministrazione comunale non ha il potere di intervenire su tale tipologia di gioco e che la parità di trattamento invocata dalla parte ricorrente si risolverebbe, assurdamente, nell’impossibilità per le amministrazioni comunali di arginare il fenomeno del gioco patologico a tutela delle fasce più esposte della comunità locale, anche con riferimento alle tipologie di gioco per le quali la legge riconosce loro facoltà di intervento.
Da ultimo, l’uniformità di regolamentazione oraria stabilita dall’amministrazione comunale per le sale giochi dedicate e gli altri pubblici esercizi con attività promiscua appare ragionevolmente giustificata dall’intento di prevenire la trasmigrazione degli utenti dall’una all’altra tipologia di esercizi, fenomeno che verosimilmente si verificherebbe in caso di diversificazione degli orari.
12) Il quinto motivo di ricorso è infondato.
La censura con cui la ricorrente deduce il difetto d’istruttoria, per non avere l’amministrazione effettuato specifiche o, comunque, adeguate indagini in ordine all’incidenza del fenomeno della ludopatia sul territorio comunale, non merita condivisione.
Nell’attuale momento storico, la diffusione del fenomeno della ludopatia in ampie fasce della popolazione costituisce un fatto notorio o, comunque, una nozione di fatto di comune esperienza, come attestano le numerose iniziative di contrasto assunte dalle autorità pubbliche a livello europeo, nazionale e regionale.
Possono qui richiamarsi, in sintesi: la raccomandazione 2014/478/UE del 14 luglio 2014, sui principi per la tutela dei consumatori e degli utenti dei servizi di gioco d’azzardo on line; il decreto legge n. 158 del 2010, che ha introdotto numerose misure di contrasto al gioco d’azzardo on line e off line; l’art. 14 della legge n. 23 del 2014, recante la delega al Governo per il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici volta a prevedere disposizioni per la tutela dei minori e per contrastare il gioco d’azzardo patologico; la legge n. 190 del 2014, che ha trasferito presso il Ministero della Salute l’Osservatorio per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo ed il fenomeno della dipendenza grave; le numerose leggi regionali, inclusa la legge regionale piemontese n. 9 del 2016, che demandano agli enti locali l’adozione di misure di prevenzione, contrasto e riduzione del rischio della dipendenza da gioco d’azzardo patologico.
Nella specie, i dati forniti dal Dipartimento delle dipendenze della ASL V.C.O. (richiamati nel provvedimento impugnato) evidenziano, in ogni caso, la crescita del fenomeno della ludopatia nel tempo a livello locale (n. 48 giocatori patologici in carico al Ser. D nell’anno 2015); il leggero calo riscontrato nel 2016 (n. 45 assistiti) non cambia il quadro complessivo; ed è verosimile ritenere che il numero reale delle persone affette da ludopatia sia assai maggiore, poiché una parte significativa del fenomeno resta sommerso (cosiddetta “cifra oscura”), in quanto molti soggetti ludopatici non si rivolgono alle strutture sanitarie e ai servizi sociali.
L’ordinanza impugnata, in disparte ogni considerazione in ordine alla sua natura di atto generale, è adeguatamente motivata con riferimento all’esigenza di tutela della salute pubblica e del benessere individuale e collettivo.
13) Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Come è noto, il principio di proporzionalità trova origine nella giurisprudenza costituzionale ed amministrativa tedesca ed è stato successivamente fatto proprio dalla Corte di Giustizia UE, specialmente in materia di sanzioni, di aiuti di Stato, di deroghe alle regole della concorrenza, assurgendo così a principio generale dell’ordinamento comunitario.
Se le origini del principio di proporzionalità sono da ricondurre al diritto tedesco, è stato in particolare attraverso l’opera della giurisprudenza della Corte di giustizia UE che lo stesso si è poi diffuso anche all’interno di altri ordinamenti nazionali dell’area comunitaria.
Nel diritto pubblico italiano, il principio di proporzionalità è stato progressivamente applicato in modo estensivo anche per fattispecie prive di diretta rilevanza per il diritto europeo, per effetto della previsione di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, come modificata nel 2005.
Esso impone all’amministrazione che adotta un provvedimento limitativo nei confronti di privati un giudizio fondato su tre criteri: idoneità, necessarietà ed adeguatezza della misura prescelta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2015 n. 964).
L’idoneità esprime il rapporto tra i mezzi impiegati ed il fine che si vuole perseguire. Sulla base di tale criterio, vanno scartate tutte le misure che non sono in grado di realizzare il fine. La necessarietà rappresenta la conformità dell’azione amministrativa alla regola del mezzo più mite, e cioè l’obbligo per l’amministrazione di mettere a confronto le misure ritenute idonee ed orientare la scelta sulla soluzione comportante il raggiungimento dell’obiettivo attraverso il minimo sacrificio degli interessi incisi dal provvedimento. Infine, l’adeguatezza è strettamente collegata alla necessarietà e si pone come vincolo quantitativo della scelta e “misuratore” del grado di soddisfazione degli interessi meritevoli di tutela, in particolare, degli interessi deboli per quanto riguarda l’aspetto del giusto equilibrio in sede di bilanciamento.
Secondo la giurisprudenza comunitaria ed amministrativa, pertanto, il principio di proporzionalità impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato. Ne consegue che, nel caso in cui l’azione amministrativa coinvolga interessi diversi, è doverosa un’adeguata ponderazione delle contrapposte esigenze, al fine di trovare la soluzione che comporti il minor sacrificio possibile: in questo senso, il principio di proporzionalità rileva quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale, in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi.
Date tali premesse, la proporzionalità non deve essere considerata come un canone rigido ed immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa e, in ultima analisi, la sua rispondenza alla razionalità ed alla legalità (Cons. Stato, sez. V, 21 gennaio 2015 n. 284).
Nella fattispecie in esame, l’impugnata disciplina comunale limitativa degli orari di funzionamento degli apparecchi e congegni per il gioco di cui all’art. 110 commi 6 e 7 del TULPS, che consente un esercizio giornaliero degli apparecchi in questione pari a otto ore complessive, appare al Collegio adeguata e proporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti: la prevenzione, il contrasto e la riduzione del gioco d’azzardo patologico.
L’amministrazione ha realizzato un ragionevole contemperamento degli interessi economici degli imprenditori del settore con l’interesse pubblico a prevenire e contrastare i fenomeni di patologia sociale connessi al gioco compulsivo, non essendo revocabile in dubbio che un’illimitata o incontrollata possibilità di accesso al gioco accresca il rischio di diffusione di fenomeni di dipendenza, con conseguenze pregiudizievoli sia sulla vita personale e familiare dei cittadini, che a carico del servizio sanitario e dei servizi sociali, chiamati a contrastare patologie e situazioni di disagio connesse alle ludopatie (cfr., in questi termini: Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2016 n. 2519; TAR Veneto, sez. III, 3 maggio 2017 n. 434).
L’idoneità dell’atto impugnato a realizzare l’obiettivo perseguito deve essere apprezzata, tenendo presente che scopo dell’ordinanza comunale non è quello di eliminare ogni forma di dipendenza patologica dal gioco (anche quelle generate da gratta e vinci, lotto, superenalotto, giochi on line, etc.), obiettivo che travalicherebbe la sfera di attribuzioni del Comune, ma solo quello di prevenire, contrastare, ridurre il rischio di dipendenza patologica derivante dall’utilizzo di apparecchiature per il gioco.
La riduzione degli orari di funzionamento degli apparecchi in esame è, in altre, parole, solo una delle molteplici misure che le autorità pubbliche possono adottare per combattere il fenomeno della ludopatia, che ha radici complesse e rispetto al quale non esistono soluzioni di sicuro effetto.
14) Il settimo motivo di ricorso è infondato.
La ricorrente ha dedotto la lesione del principio del legittimo affidamento ingenerato negli operatori privati dal rilascio delle autorizzazioni, a cui hanno fatto seguito i cospicui investimenti economici effettuati nelle rispettive aziende.
La censura non può essere condivisa.
La Corte Costituzionale, con sentenza 31 marzo 2015 n. 56, ha chiarito che il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili, dal momento che interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l’unico limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico della salute.
Nel caso di specie, il regolamento impugnato è stato adottato dall’amministrazione comunale sulla base di fatti e di normative sopravvenute al rilascio delle autorizzazioni e all’avvio delle attività (la diffusione sempre più capillare del gioco d’azzardo sul territorio comunale; l’aumento del numero di persone affette da ludopatia; la L.R. Piemonte 2 maggio 2016 n. 9, la quale ha disposto che i comuni adottino entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge provvedimenti limitativi dell’esercizio del gioco tramite gli apparecchi di cui all’art. 110 commi 6 e 7 del TULPS, per esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica).
Rispetto al primario interesse alla tutela della salute pubblica, il limite del rispetto dei rapporti economici e dei vincoli contrattuali assume un carattere palesemente recessivo (TAR Venezia, 3 maggio 2017, n. 434; TAR Brescia, II, 8 marzo 2017, n. 2017; TAR Liguria, n. 1230/2016).
La stessa giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all’attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purchè ispirate da motivi imperativi di interesse generale (Corte di Giustizia UE, sez. VIII, 30 giugno 2011, n. 212).
Resta da valutare la proporzionalità del sacrificio imposto, che nel caso di specie sussiste, come si è detto.
15) L’ottavo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 41 della Costituzione afferma il principio della libertà dell’iniziativa economica privata, ma stabilisce che la stessa “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
La violazione della norma è prospettata nel ricorso in termini generici, sostanzialmente quale conseguenza di vizi evidenziati in precedenti motivi. In altre parole: l’irragionevolezza, la disparità di trattamento, il difetto di proporzionalità, la violazione del legittimo affidamento caratterizzanti il (o conseguenti al) provvedimento impugnato comporterebbero anche lo “svuotamento” della libertà di iniziativa economica privata del ricorrente.
Così non è. La riconosciuta insussistenza (per le ragioni illustrate ai punti precedenti) dei vizi più sopra enunciati comporta che il provvedimento impugnato si configura come legittimo esercizio dei poteri attribuiti all’Amministrazione comunale; ne consegue che non possono ritenersi illegittimi i limiti imposti all’attività del ricorrente per effetto dell’adozione dell’atto in questione, limiti che risultano compatibili con i principi enunciati dall’art. 41 Cost.
D’altra parte si deve sottolineare che gli interventi in materia di contrasto del gioco d’azzardo patologico sono ispirati in via preminente a finalità di tutela della salute (in tal senso si è espressa la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 108 del 2017, ampiamente richiamata in premessa); e allora vale quanto condivisibilmente affermato dal TAR Napoli, sez. III, nella sentenza 3 maggio 2017 n. 2347 secondo cui è in rapporto a tale preminente esigenza, tutelata dall’art. 32 Cost., che va valutata l’estensione della libertà di iniziativa economica: e in questo rapporto la libertà di cui all’art. 41 Cost. si trova in una “posizione di subordinazione rispetto al diritto alla salute”.
16) Il nono e ultimo motivo di ricorso è infondato.
L’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della L.R. n. 9/2016 viene prospettata:
a) in relazione all’art. 117 comma 3 Cost., in quanto la norma regionale risulterebbe in contrasto con i principi del D.L. n. 158/2012 (cd. decreto Balduzzi) perché si limita a un intervento mirato contro le slot-machines, mentre i principi di cui sopra impongono interventi organici e integrati a 360°;
b) in relazione all’art. 3 Cost., perché la norma regionale risulterebbe irragionevole e discriminatoria in danno delle slot-machine e, all’interno di questa categoria, in danno delle sale gioco professionali, favorendo il fenomeno dei c.d. “vasi comunicanti”, ossia lo spostamento fisiologico dell’utenza ludopatica dai giochi oggetto di limitazioni a tutti gli altri;
c) in relazione all’art. 41 Cost., perché la norma regionale imporrebbe un limite irragionevole e sproporzionato alla libertà di iniziativa economica dei gestori di slot, avendo previsto un numero minimo di ore interdette al gioco (a tutela della salute dei giocatori) ma non un numero massimo (che sarebbe stato a tutela degli operatori del settore); con la conseguenza di pregiudicare la stessa sopravvivenza delle imprese, a causa della drastica riduzione dell’orario di accensione degli apparecchi stabilita dalle amministrazioni comunali.
16.1) Non sussiste il prospettato contrasto con l’art. 117 comma 3 Cost. in quanto il decreto Balduzzi non vincola affatto il potere legislativo concorrente delle Regioni a intervenire in maniera globale sul fenomeno della ludopatia. Né potrebbe farlo, perché non è nel potere delle Regioni, ad esempio, limitare la vendita dei “gratta e vinci” o intervenire sul gioco d’azzardo on-line. In attesa (come rilevato nelle premesse) di un’organica disciplina nazionale, le Regioni (e ancor più i Comuni) intervengono nei limiti delle loro competenze. E, d’altra parte, l’intervento sulle slot-machines è giustificato anche dalla circostanza che tali apparecchiature sono quelle che, per le modalità di gioco (veloce e solitario) e per il volume di denaro impiegato, presentano maggiore attitudine a indurre dipendenza.
Tali conclusioni trovano conforto nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che nella sentenza n. 220 del 2014 ha riconosciuto che - in forza della generale previsione dell'art. 50 comma 7, del TUEL - il sindaco può disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò può fare per esigenze di tutela della salute, della quiete pubblica, ovvero della circolazione stradale; e il ragionamento applicato dalla Corte al contenuto proprio delle ordinanze sindacali tanto più resterà valido a fronte di un intervento legislativo regionale.
Inoltre, che le Regioni abbiano competenza in materia è stato chiaramente affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 108 del 2017 - di cui sono già stati riportati in premessa i passaggi salienti – e, precedentemente, nella sentenza n. 300 del 2011; tale competenza si giustifica alla luce della pertinenza della disciplina alla materia della salute, essendo volta alla prevenzione delle patologie da dipendenza da gioco d’azzardo, e si giustifica tanto più in un contesto di sostanziale inerzia del legislatore nazionale, come evidenziato dalla stessa Corte nella sua più recente pronuncia.
Si deve infine osservare che l’assenza, allo stato, di criteri generali dettati da una legge dello Stato non preclude l’esercizio della potestà normativa da parte delle Regioni, anche alla luce di quanto previsto dall’ art. 1 comma 3 della legge “La Loggia” 5 giugno 2003 n. 131, secondo cui “Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'àmbito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti”.
16.2) Per le ragioni appena illustrate non si ravvisa alcun contrasto della norma regionale con l’art. 3 Cost., né la pretesa irragionevolezza del citato art. 6 può derivare dalla mancata differenziazione tra sale dedicate e non, perché si tratta di un profilo non riconducibile a una scelta del legislatore regionale, che non ha precluso alle amministrazioni locali la possibilità di determinarsi autonomamente in proposito. Né è ravvisabile la prospettata disparità di trattamento, posto che l’esercizio dell’attività di gioco lecito non è paragonabile a generiche attività commerciali (per le quali, a tacer d’altro, non sono necessarie autorizzazioni di polizia), mentre non è censurabile l’azione dell’amministrazione o del legislatore regionale per il fatto di non regolamentare fenomeni (quali il gioco on line o il gioco illecito) che oggettivamente esulano dal loro ambito di controllo e disciplina.
16.3) Non sussiste neppure la prospettata violazione dell’art. 41 Cost.
Premesso che l’art. 6 si limita a stabilire una limitazione temporale “per una durata non inferiore a tre ore nell’arco dell’orario di apertura previsto…”, si osserva che proprio la circostanza che non sia stato previsto un tetto massimo di ore interdette al gioco impedisce di valutare la lesione asseritamente sproporzionata inferta dalla norma regionale agli interessi degli operatori del settore, che andrà semmai valutata rispetto ai concreti provvedimenti adottati dalle amministrazioni locali in applicazione della norma regionale.
La norma contempera in modo adeguato gli interessi privati degli operatori del settore (la cui attività si prevede possa essere soggetta a limitazioni temporali, non impedita del tutto) e l’utilità sociale (rappresentata dalle esigenze di tutela della salute pubblica), a cui l’attività di impresa deve sempre essere funzionale ai sensi dell’art. 41 Costituzione.
17) In conclusione, risultano infondate tutte le censure formulate nel ricorso, che va conseguentemente respinto.
Le spese possono essere compensate tra le parti, tenuto conto che nella materia si registrano contrastanti orientamenti giurisprudenziali e che la relativa disciplina è ancora in attesa di una definizione organica e complessiva (come evidenziato nella premessa).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.TAR Piemonte,