16/03/2017 free
La produzione di sostanze a base di cannabis non è riservata in via esclusiva allo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze
Il decreto del Ministro della Salute del 9 novembre 2015 in realtà non si limita ad attribuire al solo Stabilimento farmaceutico militare la competenza alla produzione di sostanze a base di cannabis, atteso che esso si affianca ad altri soggetti che siano autorizzati ai sensi dell’art. 27 del Testo Unico di cui al d.P.R. n. 309 del 1990 a coltivare tale pianta per uso medico, i quali, se in possesso dell’autorizzazione, possono altresì procedere alla raccolta, alla detenzione e che nello specifico, come precisato dall’art. 1 del decreto “consegnano il materiale vegetale a base di cannabis nei tempi e nei modi definiti nel provvedimento di autorizzazione alla coltivazione all’Ufficio centrale stupefacenti, che provvede alla destinazione del materiale stesso alle officine farmaceutiche autorizzate per la successiva trasformazione in sostanza attiva o preparazione vegetale, entro 4 mesi dalla raccolta”.
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Pubblicato il 03/03/2017
N. 03074/2017 REG.PROV.COLL.
N. 01563/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1563 del 2016, proposto da ...
contro
Ministero della Salute, Ministero della Difesa in persona dei Ministri legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12 ex lege domiciliano;
Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare, Agenzia Industrie Difesa in persona dei loro legali rappresentanti p.t.;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Radicali Italiani, Partito Radicale Transnazionale, Associazione LAPIANTIAMO in persona dei loro legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'avv. Angioletto Calandrini ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma, Via Amiterno, n. 2;
per l'annullamento
del decreto del Ministro della Salute del 9 novembre 2015 avente per oggetto: “Funzioni di organismo statale per la cannabis previsto dagli articoli 23 e 28 della Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961, come modificata nel 1972” incluso il suo “Allegato tecnico per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis”;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Salute e di Ministero della Difesa;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2016 la dott.ssa Pierina Biancofiore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con ricorso notificato ai soggetti in epigrafe indicati in data 29 gennaio 2016 e depositato il successivo 5 febbraio, l’Associazione ricorrente unitamente ad un destinatario delle cure mediante farmaci a base di cannabis, esposti i profili della rispettiva legittimazione a ricorrere e l’evoluzione del quadro normativo sulla materia, rammentano che in data 30 aprile 2014, in occasione della discussione sulla legge di conversione del d.l. n. 36 del 2014 alla Camera dei Deputati sono stati approvati una serie di ordini del giorno finalizzati ad impegnare il Governo a porre in essere concrete iniziative in materia di farmaci a base di cannabis terapeutica al fine di facilitarne l’uso da parte di malati cui tali farmaci fossero prescritti.
Ed in questi ordini del giorno si metteva in evidenza anche la possibilità che nell’immediato si utilizzasse lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze e si auspicava la conclusione di un accordo in tal senso tra il Ministero della Salute ed il Ministero della Difesa.
L’accordo veniva stipulato in data 18 settembre 2014 ed era finalizzato all’avvio di un Progetto Pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis da svolgere presso il suddetto stabilimento Militare secondo le modalità di un protocollo operativo da definirsi da parte di un apposito gruppo di lavoro.
L’Associazione veniva invitata dal Ministero della salute a collaborare al gruppo di lavoro e in data 19 febbraio 2015 inviava un contributo tecnico in materia di cannabis, redatto da un autorevole esperto.
2. Senonchè il Ministero della Salute emanava il D.M. del 9 novembre 2015 avverso il quale dunque deducono: 1) violazione degli articoli 2, 17, 27, 28 29, 30, e 31 del d.P.R. n. 309 del 1990; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; perplessità, contraddittorietà; carenza di istruttoria, mancanza di motivazione; 2) Incompetenza, carenza di potere; violazione degli articoli 2, 17, 27, 28 29, 30, e 31 del d.P.R. n. 309 del 1990 sotto altro profilo; violazione delle norme e dei principi generali in materia di autorizzazione per i farmaci desumibili dal d.lgs. 24 aprile 2006, n. 219; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto; carenza di istruttoria, mancanza di motivazione; 3) Violazione dei principi della libertà di cura e della ricerca scientifica desumibili dagli artt. 32 e 33 Cost.; eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria, illogicità e mancanza di motivazione.
Concludono con istanza cautelare e per l’accoglimento del ricorso.
3. Il Ministero della Salute si è costituito in giudizio contestando tutte le deduzioni di parte ricorrente e rassegnando conclusioni opposte a quelle di parte ricorrente.
4. Alla Camera di Consiglio dell’8 marzo 2016 l’istanza cautelare è stata rinviata ad altra data.
5. Si sono costituiti con atto di intervento ad adiuvandum i Radicali Italiani, il Partito Radicale Transnazionale e l’Associazione LAPIANTIAMO, condividendo le deduzioni dei ricorrenti, anche riprendendole nell’atto di intervento, hanno concluso anch’essi per l’accoglimento del gravame.
6. Previo scambio di memorie tra le parti alla Camera di Consiglio del 22 marzo 2016 è stata disposta un’istruttoria volta ad ottenere chiarimenti sulle modalità di individuazione dei soggetti per la coltivazione della cannabis a fini terapeutici.
7. In vista dell’udienza pubblica l’Associazione ha prodotto in giudizio la sentenza della Corte Federale di Vancouver del 24 febbraio 2016 a sostegno ulteriore delle proprie posizioni.
8. Eseguito l’incombente sia a cura del Ministero della Salute sia a cura del Ministero della Difesa il ricorso è stato infine trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 2 dicembre 2016.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto, alla luce delle compiute relazioni del Ministero della difesa e del Ministero della salute, appositamente compulsate al riguardo.
2. Col gravame l’Associazione ricorrente, promotrice del libero accesso ai farmaci cannabinoidi, della regolamentazione della cd. “auto coltivazione” cioè della coltivazione da parte del paziente-coltivatore a esclusivi fini personali unitamente ad un paziente affetto da sclerosi multipla abbisognevole di cure mediante cannabis hanno impugnato il decreto del Ministero della Salute con il quale si è concentrata sullo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze la produzione di medicinali carenti sul mercato nazionale o europeo tra cui la cannabis, e con il quale, secondo i ricorrenti si va molto oltre quanto disposto dall’Accordo di collaborazione del 18 settembre 2014:
- istituendo una sorta di monopolio esclusivo dello Stato attraverso lo Stabilimento Militare nella coltivazione della cannabis a scopo terapeutico;
- ponendo una illegittima regolamentazione di carattere generale dell’uso terapeutico della cannabis;
- basandosi su pregiudizi ideologici più che su nozioni scientifiche circa l’uso della cannabis medica, decreto che, dunque, finisce per limitare l’uso in modo illogico e contrario agli studi scientifici maggiormente accreditati e al principio della libertà di cura e di ricerca scientifica.
2.1 Con la prima censura i ricorrenti osservano che laddove gli articoli 2, 17, 27, 28 29, 30, e 31 del d.P.R. n. 309 del 1990 indicati in rubrica stabiliscono che il Ministero della Salute ha il potere di concedere le autorizzazioni per la coltivazione, la produzione, l’esportazione, l’importazione, il transito, l’acquisto e la vendita delle sostanze stupefacenti e psicotrope, non abbia inteso limitarla ad alcuni soggetti soltanto, come invece ha effettuato il Ministero. Il decreto poi anziché limitarsi a regolare la sola cd. produzione nazionale detta una regolamentazione con efficacia generale e quindi risulta applicabile a tutti i soggetti che dovessero essere autorizzati nel futuro oltre lo Stabilimento militare con violazione dell’Accordo intercorso.
2.2 Con la seconda lamentano che il decreto si presenta illegittimo anche per violazione delle stesse norme sopra indicate, perché in base ad esse il Ministero si sarebbe dovuto limitare a disciplinare la sola autorizzazione alla coltivazione e fabbricazione e non anche a stabilire le caratteristiche essenziali dei farmaci. Così facendo il Ministero ha esercitato una competenza che, in base ai principi generali dell’ordinamento desumibili dagli articoli 6 e segg. del d.lgs. n. 291/2006 spetta all’AIFA secondo le procedure da dette norme previste.
2.3 Infine sostengono che il decreto limita in maniera irrazionale l’uso medico dei farmaci contenenti cannabis escludendo importanti e gravi patologie per le quali la ricerca scientifica ne ha già dimostrato l’utilità, tanto che tali patologie risultano tra le indicazioni terapeutiche in numerosi Stati. Sono state escluse invece molte patologie riconosciute nella letteratura medica tra le quali epilessia resistente alle altre terapie, Parkinson, Alzheimer, Morbo di Crohn, SLA, Epatite C, cancro. Il decreto poi illegittimamente subordina, per le patologie ammesse, l’uso medico della cannabis alla condizione dell’inefficacia di altri trattamenti, senza che tuttavia nell’Allegato tecnico si rinvenga alcuna motivazione a supporto della scelta di condizionare detto uso all’inefficacia di trattamenti tradizionali/convenzionali. Il decreto è poi illegittimo nella parte in cui limita irragionevolmente la somministrazione del farmaco alle sole modalità del “decotto” e della via inalatoria escludendo qualsiasi altra modalità alternativa di somministrazione.
3. La principale questione proposta e che cioè si sarebbe costituito una sorta di monopolio dello Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze nella coltivazione e produzione di cannabis per uso medico, non può essere condivisa.
In primis è da rilevare che, a seguito della eseguita istruttoria, parte ricorrente ha “chiarito” la propria posizione specificando che “il ricorso non è stato proposto per ottenere l’annullamento in quanto tale del Decreto impugnato, ma per ottenerne l’annullamento nella parte in cui limita – a nostro avviso illegittimamente – l’uso medico della cannabis”. (pag. 4 della memoria depositata il 31 ottobre 2016). Con tale memoria, ad ulteriore sostegno delle loro posizioni gli interessati producono la sentenza del 24 febbraio 2016 con la quale la Corte Federale di Vancouver ha concluso che i limiti imposti dal Canada all’uso medico della cannabis erano ingiustificati e incidevano in modo irrazionale sulla libertà individuale e soprattutto sulla libertà di scelta delle cure mediche.
Tale ricostruzione non appare proprio conforme alle norme.
Il decreto in questione in realtà non si limita ad attribuire al solo Stabilimento farmaceutico militare la competenza alla produzione di sostanze a base di cannabis, atteso che esso si affianca ad altri soggetti che siano autorizzati ai sensi dell’art. 27 del Testo Unico di cui al d.P.R. n. 309 del 1990 a coltivare tale pianta per uso medico, i quali, se in possesso dell’autorizzazione, possono altresì procedere alla raccolta, alla detenzione e che nello specifico, come precisato dall’art. 1 del decreto “consegnano il materiale vegetale a base di cannabis nei tempi e nei modi definiti nel provvedimento di autorizzazione alla coltivazione all’Ufficio centrale stupefacenti, che provvede alla destinazione del materiale stesso alle officine farmaceutiche autorizzate per la successiva trasformazione in sostanza attiva o preparazione vegetale, entro 4 mesi dalla raccolta”.
Per il resto esso si inquadra nell’ambito della Convenzione unica sugli stupefacenti di New York ratificata a Ginevra nel 1972 e resa esecutiva in Italia con la legge 5 giugno 1974, n. 412, stante il cui art. 28 rubricato “Controllo sulla cannabis” è previsto che se una nazione autorizza la coltivazione della cannabis deve predisporre gli stessi controlli che sono attuati per la coltivazione del papavero da oppio e indicati dall’art. 23 e cioè mediante l’istituzione di un organismo statale che deve svolgere le funzioni di individuare le aree destinate alla coltivazione delle piante di cannabis, importare esportare e distribuire ovvero autorizzare l’importazione l’esportazione delle piante o di materiale vegetale a base di cannabis, determinare le quote di importazione e di esportazione e che appunto è stato individuato col decreto in parola nell’Ufficio centrale stupefacenti presso il Ministero della salute.
La prima conseguenza di tali superiori osservazioni è che a meno di non impugnare nelle sedi opportune la norma dell’anzidetto Testo Unico di cui al d.P.R. n. 309/1990 e cioè l’art. 27 che prevede la coltivazione e la trasformazione della cannabis solo a cura dei soggetti autorizzati, il cui elenco è stato di recente ridefinito con DM 28 ottobre 2016 che comprende lo Stabilimento Farmaceutico insieme a numerose altre ditte autorizzate, l’attività in parola non può essere affidata né essere svolta da soggetti singoli, come peraltro emerge pure dal precedente art. 26.
Peraltro, come pure posto in evidenza dalla relazione del Ministero della salute, la Corte Costituzionale con sentenza 20 maggio 2016 n. 109 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 75 del Testo Unico sugli stupefacenti, articolo che sanziona in via amministrativa condotte commesse per l’abuso di sostanze stupefacenti, sollevata dalla Corte di Appello di Brescia nella parte in cui - secondo un consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità - non include tra le condotte punibili con sole sanzioni amministrative, ove finalizzate in via esclusiva all'uso personale della sostanza stupefacente, anche la coltivazione di piante di cannabis, rimanendo dunque confermato che tale coltivazione può essere effettuata esclusivamente dalle ditte autorizzate, come individuate di volta in volta dal Ministero.
Sotto questo profilo, dunque, il decreto impugnato si pone in linea con le richiamate disposizioni del Testo Unico ed anche la sentenza della Corte Federale di Vancouver non consente di fare raggiungere alla censura lo scrutinio favorevole auspicato da parte ricorrente.
Ma che con il decreto in parola non è stato affatto costituito, come sostiene parte ricorrente, un monopolio a favore dello Stabilimento farmaceutico militare, è pure dimostrato dalla circostanza che tale istituzione fa parte del Progetto Pilota per la produzione nazionale di cannabis ad uso medico in base ad un accordo siglato in data 18 settembre 2014.
Per quanto è dato leggere nell’Accordo, ai fini della realizzazione del Progetto Pilota, era istituito un gruppo di lavoro che doveva elaborare il protocollo operativo per la programmazione delle operazioni da compiere, la quantificazione dei fabbisogni in relazione alle patologie da trattare, la fitosorveglianza e le verifiche da effettuare, elaborato il quale doveva essere trasmesso al CSS per ottenere il competente parere in merito alle proposte sullo svolgimento delle attività, sui risultati attesi e sull’appropriatezza prescrittiva, sulle condizioni patologiche che possono essere trattate con tali medicinali, nonché le avvertenze e precauzioni di uso, le eventuali controindicazioni ed effetti indesiderati.
Al gruppo di lavoro partecipava anche l’Associazione ricorrente che ora non si può dolere se nel decreto il Ministero non prende in considerazione tutte le possibili patologie che potrebbero trovare cura o giovamento dall’uso della cannabis, quando dalla relazione depositata in quella sede, oltre a segnalare gli aspetti sociologici del ritardo nella prescrivibilità della cannabis come legata a retaggi culturali arcaici, in realtà poi fa riferimento esclusivamente a due patologie che possono giovarsi delle proprietà del ridetto vegetale (sclerosi multipla in età pediatrica, tumori polmonare, della mammella e cerebrale).
Al contrario il decreto giustifica l’uso medico della cannabis “in considerazione delle evidenze scientifiche fino ad ora prodotte e che dovranno essere aggiornate ogni due anni” il che pertanto non impedisce che l’elenco delle malattie o dei sintomi che possono essere curati con la cannabis e recati al punto 4.1. dell’Allegato tecnico non possa andare a comprendere, nel prosieguo, anche altre patologie allo stato da esso non annoverate. E comunque odiernamente l’uso medico della pianta ridetta già comprende gli effetti della sclerosi multipla e lesioni del midollo spinale, la sindrome da dolore cronico, gli effetti della chemioterapia e della radioterapia, gli effetti collaterali in pazienti affetti da anoressia e da AIDS, gli effetti del glaucoma e gli effetti in pazienti affetti da sindrome di Gilles de la Tourette.
Sicchè appare del tutto priva di dimostrazione l’affermazione che il Ministero, col decreto in esame, avrebbe stabilito le caratteristiche essenziali dei farmaci e per di più avrebbe escluso senza motivazione molte patologie riconosciute nella letteratura medica tra le quali “epilessia resistente alle altre terapie, Parkinson, Alzheimer, Morbo di Crohn, SLA, Epatite C, cancro,” curabili mediante cannabis, essendo l’elenco dal decreto recato suscettibile di aggiornamento ed essendo per di più basato su evidenze scientifiche definitive aggiornate al 2015 e menzionate al primo capoverso del punto 4.1 citato.
Quanto all’assenza di alcuna motivazione a supporto della scelta di condizionare detto uso all’inefficacia di trattamenti tradizionali/convenzionali essa è chiaramente indicata sempre al punto 4.1. e consiste nella considerazione che “l’uso della cannabis non può essere considerato una terapia propriamente detta, bensì un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard, quando questi ultimi non hanno prodotto effetti desiderati, o hanno provocato effetti secondari non tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti collaterali e nella indicazione delle patologie sopra riportate viene appunto specificato il motivo dell’uso della cannabis in assenza di utili trattamenti standard; ad esempio per curare: “la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard.”.
In ordine infine al solo uso inalatorio consentito dal decreto in esame va rilevato che la relazione del Farmaceutico ha chiarito come la somministrazione di cannabis per via inalatoria garantisce gli standard di sicurezza da contaminazione microbica, atteso che le infiorescenze raccolte devono essere sottoposte ad un trattamento fisico per abbattere o ridurre la presenza di inquinanti di natura microbiologica in modo che rientrino nei limiti previsti dalla farmacopea europea.
Deve dunque essere conclusivamente osservato che, oltre a quanto sopra chiarito in ordine alle inesistenti difformità del decreto impugnato dalle norme di legge che disciplinano la materia, nella misura in cui i ricorrenti ed anche gli intervenienti ad adiuvandum sostengono la manifesta perplessità ed irragionevolezza del provvedimento impugnato oltre che la sua carenza di motivazione, peraltro non dedotta in maniera abnorme, non riescono tuttavia, per quanto sopra contestato, a raggiungerne una valida dimostrazione, sicchè quel sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica che essi, in sostanza, hanno attivato col gravame in esame non può condurre ad alcun esito favorevole, atteso che il giudice amministrativo, quando viene sollecitato da simili istanze, non può mai sostituirsi alla Amministrazione, a meno, appunto, di non rinvenire nel suo operato quella abnorme contraddittorietà ed illogicità sopra richiamate, come da costante giurisprudenza sull’argomento: TAR Liguria, Genova, sez. I, 18 maggio 2016, n. 499, TAR Campania, Napoli, sez. IV, 12 aprile 2016, n. 1773, TAR Sicilia, Palermo, III, 15 gennaio 2015, n. 113, per citarne alcune.
4. Per le superiori considerazioni il provvedimento impugnato va trovato scevro dalle dedotte censure ed il ricorso va di conseguenza respinto.
5. La particolarità delle questioni trattate consente di ritenere giustificati i motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari ai sensi degli articoli 26 c.p.a. e 92, comma 2 c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2016 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Sapone, Presidente
Pierina Biancofiore, Consigliere, Estensore
Alfredo Storto, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Pierina Biancofiore Giuseppe Sapone