02.09.2004 free
CONSIGLIO di STATO - (Esiste il diritto del medico, specializzatosi nel periodo 1983/91, ad ottenere la borsa di studio, nella misura ed alle condizioni indicate dall'art. 11 della Legge 370/99 ; sui limiti della eccezione di prescrizione avanzata dalla Amministrazione)
Massima:
§ - La discrezionalità dell’Amministrazione va riconosciuta per l’organizzazione, la programmazione e la gestione dei corsi di specializzazione, ma non può riguardare il limite temporale di applicazione delle direttive che dalle norme nazionali di recepimento viene fissato ai corsi di specializzazione iniziati nell’anno accademico 1991/92, senza considerare quelli iniziati prima e in corso di svolgimento.
§ - Va respinto il rilievo della Amministrazione - secondo il quale, in difetto di atti interruttivi, il diritto a percepire somme sostitutive dell’adeguata remunerazione prevista dalle direttive CEE dovrebbe ritenersi soggetto alla prescrizione quinquennale o decennale, laddove non vengono forniti elementi precisi, circa l’asserita inesistenza di atti interrutivi da parte dell’istante, anteriormente alla proposizione dell’originario gravame, non indicando la esatta avvenuta decorrenza del termine prescrizionale che si assume genericamente, non rispettato (www.dirittosanitario.net)
SENTENZA N.4945/04
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n. 6920 del 2003 proposto da ..
contro
il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato presso i cui Uffici è per legge domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n.12; per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III bis, n. 5948/02 del 27 giugno 2002, resa tra le parti; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio e vista la memoria dell’Amministrazione appellata; Visti gli atti tutti delle causa; Alla pubblica udienza del 30 marzo 2004, relatore il Cons. Domenico Cafini, uditi l’avv. Vitale e l’avv. dello Stato Nicoli; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
1. Con ricorso proposto davanti al TAR del Lazio l’istante - premesso di essere medico chirurgo abilitato all'esercizio della professione ed ammesso a scuole di specializzazione universitarie medico chirurgiche conformi alle direttive 82/76/CEE e 75/363/CEE in un periodo compreso tra l'a.a. 1983/1984 e l'a.a. 1990/1991 - chiedeva sostanzialmente l’annullamento: del silenzio serbato dall'intimato Ministero sulle istanze di corresponsione delle borse di studio, ai sensi e per gli effetti dell'art. 11 della L. n. 370 del 1999, per la frequenza di scuole di specializzazione in medicina negli anni accademici anteriori all'a.a. 1991/1992; del decreto in data 14 febbraio 2000 del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, pubblicato sulla G.U. n. 72 del 27.3.2000, nella parte in cui riconosce quali aventi diritto alla corresponsione di dette borse di studio solo i destinatari di sentenze del T.A.R. Lazio (Sez. I bis) passate in giudicato; dell’anzidetto decreto laddove prevede, in contrasto con l’allegato alla Direttiva 75/363/CEE, introdotto dalla Direttiva 82/76/CEE, il diritto alla corresponsione di borse di studio solo per i medici che non abbiano espletato, durante il loro svolgimento, qualsiasi attività libero professionale o lavorativa ed esclude la corresponsione stessa a favore di: coloro che non hanno partecipato alla totalità delle attività mediche (dedicando ad esse tutta la loro attività professionale per tutta la durata della settimana lavorativa e per tutto l'anno); di coloro che non abbiano dichiarato il mancato svolgimento di dette attività; di coloro che abbiano percepito per tutti gli anni del corso borse di studio a qualsiasi titolo; e, infine, di coloro che non abbiano concluso i corsi di specializzazione o non abbiano recuperato i periodi di sospensione ex art. 5, III c., del D.Leg.vo 8 agosto 1991, n. 257, o per altri motivi.
Chiedeva, altresì, parte ricorrente la disapplicazione delle disposizioni contenute nell'art. 11 della L. 19 ottobre 1990, n. 370, nelle parti contrastanti con le disposizioni di cui alle Direttive 82/76/CEE e 75/363/CEE, nonché l'accertamento del diritto alla percezione di un adeguato compenso, ai sensi e per gli effetti delle sopra indicate Direttive CEE (ora trasfuse nella Direttiva 93/16/CEE), per aver frequentato corsi di specializzazione post- universitari di medicina e chirurgia nel periodo tra l'a.a. 1983/1984 e 1990/1991 ed, inoltre, il risarcimento dei danni subiti a causa della mancata ottemperanza da parte dello Stato Italiano all'obbligo imposto a tutte le normative degli Stati della CEE di prevedere entro e non oltre il 31.12.1983 che tutti i corsi di specializzazione dovessero svolgersi, di regola, a tempo pieno con adeguata retribuzione
Infine, sollecitava, in via subordinata, (ritenuta non infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della L. 19 ottobre 1999, n. 370, per violazione degli artt. 3, 10, 11 , 35 e 97 della Costituzione), la remissione degli atti e del procedimento alla Corte Costituzionale.
1.1. A sostegno del gravame l’istante, nel dedurre varie censure di violazione di legge e di eccesso di potere, chiedeva, essenzialmente, l’applicazione nei propri confronti della nuova disciplina dettata dalla normativa comunitaria per i corsi di specializzazione, con retribuzione per l’intera durata legale del corso e con assegnazione al titolo di specializzazione conseguito di uno specifico punteggio, ritenendo la normativa anzidetta, in quanto contenente disposizioni incondizionate e sufficientemente precise, immediatamente applicabile e comportante il superamento della normativa nazionale, che prevede invece il beneficio dell’assegnazione di borsa di studio e di riconoscimento di autonomo punteggio al titolo, solo a decorrere dell’a.a. 1991-1992, con esclusione dei medici ammessi alla frequenza nei corsi negli anni accademici precedenti o che erano in via di svolgimento al momento della operatività della normativa comunitaria.
1.2. Si costituiva l’Amministrazione intimata che si opponeva al ricorso concludendo per il rigetto, attesa la sua inammissibilità e comunque, nel merito, la sua infondatezza.
1.3. Con la sentenza in epigrafe il TAR adito dichiarava inammissibile il ricorso.
2. Contro tale sentenza è proposto l’odierno appello, affidato ai seguenti motivi di diritto, in massima parte analoghi a quelli già prospettati nel giudizio di primo grado:
I. violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e 7 della Direttiva 76/363/CEE, così come modificati dagli art. 10 e 12 della Direttiva 82/76/CEE; eccesso di potere per disparità di trattamento, contraddittorietà, illogicità e manifesta ingiustizia; e ciò in quanto il D.M. del MURST sopra specificato, oltre che ad essere in contrasto netto con le richiamate direttive CEE, determinerebbe una disparità di trattamento nel riconoscere il diritto di percepire la borsa di studio soltanto ai medici specialisti destinatari delle sentenze passate in giudicato del TAR Lazio e non anche a tutti i gli altri medici che sono stati ammessi alle scuole di specializzazione nel periodo compreso tra gli a.a. 1983-84 e 1990-91, così come espressamente stabilito dalle indicate norme comunitarie;
II. eccesso di potere per travisamento ed erronea presupposizione di fatto, contraddittorietà, illogicità e manifesta ingiustizia; violazione e falsa applicazione di legge con particolare riferimento alla normativa comunitaria (art.13 della Direttiva 82/76/CEE ed allegato aggiunto alla Direttiva 75/363 modificati dagli artt.10 e 12 Direttiva n.82/76), giacché il D.M. impugnato e la presupposta legge sarebbero in contrasto con la normativa comunitaria in epigrafe indicata in quanto escludono dalla corresponsione della borsa di studio i medici che non hanno ottemperato a quanto richiesto dal citato art.13 n.2 del contestato D.M.; la direttiva 82/76/CEE avrebbe, infatti, imposto a tutti gli Stati membri di riconoscere, in via generale e dalla data del 31.12.1982, ai medici specializzandi in discipline conformi alla normativa comunitaria una formazione a tempo pieno ed una retribuzione adeguata all'attività lavorativa svolta, mentre non prevede divieti simili a quelli innanzi richiamati.
III. violazione e falsa applicazione dell’art.3 Direttiva n.75/363 sostituito dall’art.10 Direttiva 82/76 e dal punto 2 allegato Direttiva 75/363 aggiunto alla direttiva 82/76; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, per disparità di trattamento e ingiustizia manifesta; e ciò perché il TAR Lazio, Sez. I bis, con sentenza n.279/1994 avente efficacia di giudicato, ha già disapplicato e dichiarato illegittimo il D.Lgs. n.257/1991 nella parte in cui non prevede che vengano assegnate borse di studio ai medici ammessi a frequentare negli anni anteriori al 1991-92 le scuole di specializzazione di cui al D.P.R. 10.3.1992, in quanto la norma è in contrasto con le Direttive CCE n.75/363 e 82/76 (le quali imponevano allo Stato italiano i criteri ai quali attenersi nell’emanazione della normativa nazionale riguardante l’accesso dei neo-specialisti, facendo obbligo di prevedere sin dal 31.12.1982 che i corsi di specializzazione si svolgono con frequenza a tempo pieno e devono essere oggetto di adeguata retribuzione ed in via eccezionale con frequenza a tempo ridotto, sempre dietro adeguata motivazione);
IV. in via gradata: diritto ad ottenere il risarcimento dei danni patiti a causa della mancata attuazione delle direttive comunitarie n. 82/76/CEE e n. 75/363/CEE, nell'ipotesi che non possano ritenersi attuate da parte dell'Ordinamento italiano le disposizioni contenute nelle direttive in questione, dovendosi riconoscere a parte ricorrente il diritto al risarcimento dei danni patiti a causa della mancata esecuzione nei propri confronti delle disposizioni comunitarie, in presenza delle condizioni dichiarate necessarie e sufficienti dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea per la loro attuazione;
V. illegittimità costituzionale dell'art. 11 della L. n. 370 del 1999 e del D.M. 14 febbraio 2000, pubblicato sulla G.U. 27.3.2000, in relazione agli artt. 3, 10, comma 1, e 35 della Costituzione - nell'ipotesi che dovesse essere ritenuta la normativa dettata dal legislatore italiano in esecuzione delle direttive comunitarie n. 82/76 e n. 93/16 riferita solo ai destinatari delle sentenze del TAR Lazio - dovendosi ritenere nella specie compromesso il principio di pari dignità e uguaglianza, oltre quello per il quale l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale e quello relativo alla tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.
2.1. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca che ha eccepito la inammissibilità del ricorso nonché la prescrizione del diritto da parte dell’istante a percepire le somme richieste, in difetto di precedenti atti interruttivi, e, comunque, nel merito, l’infondatezza dell’appello, concludendo per il suo rigetto.
3. Chiamato alla pubblica udienza del 30 marzo 2004, il ricorso in appello è stato, infine, assunto in decisione.
DIRITTO
1. Con l’appello odierno la parte ricorrente - medico chirurgo abilitato all'esercizio della professione ed ammesso a scuole di specializzazione universitarie medico chirurgiche conformi alle direttive 82/76/CEE e 75/363/CEE in un periodo compreso tra l'a.a. 1983/1984 e l'a.a. 1990/1991 - ha chiesto l'annullamento della sentenza in epigrafe, con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III bis, ha dichiarato inammissibile il suo gravame diretto essenzialmente all’annullamento del decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica del 14 febbraio 2000, meglio sopra specificato, e degli atti connessi, oltrechè alla declaratoria del diritto al pagamento di un adeguato compenso (ai sensi e per gli effetti delle direttive 82/76 CEE e 75/362/CEE poi trasfuse nella direttiva 93/16/CEE) per avere frequentato corsi di specializzazione post-universitari di medicina e chirurgia nel periodo sopra specificato.
2. Prima di esaminare nel merito il ricorso occorre pronunciarsi sulle eccezioni dedotte dall’Amministrazione appellata con le quali si rileva, da una parte, che l’odierno ricorso in appello sarebbe inammissibile, essendo privo dell’indispensabile esposizione in fatto e in diritto, necessaria ad identificare la materia del contendere e, dall’altra, che il diritto alla borsa di studio oggetto del gravame sarebbe prescritto.
2.1. La prima eccezione è infondata.
Il ricorso in appello presenta, infatti, nella sua articolazione, elementi di fatto e di diritto idonei ad individuare l’esatta materia del contendere e, anche se con richiamo quasi integrale alle censure mosse nel giudizio di primo grado, presenta rilievi sufficienti a sostegno della richiesta riforma della sentenza impugnata, richiamando al riguardo anche la giurisprudenza della Sezione resa in fattispecie analoga.
2.2. Quanto alla altra eccezione - secondo la quale, in difetto di atti interruttivi, il diritto a percepire somme sostitutive dell’adeguata remunerazione prevista dalle direttive CEE dovrebbe ritenersi soggetto alla prescrizione quinquennale o quanto meno a quella decennale - il Collegio deve osservare che, a supporto di essa, l’Amministrazione non fornisce elementi precisi in ordine alla fattispecie in esame e, in particolare, circa l’asserita inesistenza di atti interrutivi da parte dell’istante anteriormente alla proposizione dell’originario gravame e, quindi, non indica la esatta avvenuta decorrenza del termine prescrizionale che nella fattispecie, genericamente, si assume non rispettato.
Anche tale eccezione, pertanto, non può essere accolta.
3. Nel merito - premesso che nel giudizio di primo grado (anche se sono state formalmente chieste sia la declaratoria di illegittimità di un comportamento, consistente nel silenzio formatosi sulla diffida alla erogazione delle somme spettanti in relazione alla frequenza di corsi di specializzazione, che l'accertamento del diritto alla corresponsione delle somme stesse) il petitum è riferito in effetti alla declaratoria del diritto soggettivo alla retribuzione del periodo durante il quale è stata frequentata la scuola di specializzazione - ritiene il Collegio che debba ritenersi corretta, innanzitutto, la statuizione del TAR il quale ha considerato inammissibile la richiesta di annullamento del silenzio rifiuto formulata nella specie, in quanto nei confronti della posizione di diritto soggettivo fatta valere può essere esperita la tutela giurisdizionale attraverso la richiesta di una pronuncia di accertamento, senza necessità di promuovere la formazione del silenzio rifiuto.
Quest’ultimo, infatti, come evidenziato dai primi giudici, può formarsi esclusivamente in riferimento ad una attività ad emanazione vincolata di contenuto discrezionale e quindi necessariamente incidente su posizioni di interesse legittimo, non valendo l'esperimento della procedura del silenzio rifiuto a trasformare il giudizio di accertamento in giudizio di impugnazione.
4. Ciò posto, il Collegio deve subito rilevare che, in relazione ad analoghi ricorsi proposti contro lo stesso decreto impugnato sopra specificato, la Sezione, in effetti, ha già avuto occasione di pronunciarsi con le decisioni 12.12.2002, n.6802 e 22.1.2004, n.165 e n. 166. Pertanto, anche in ordine al gravame in trattazione il Collegio non può che ribadire, nell’esposizione che segue, le argomentazione generali svolte in occasione di tali pronunce.
4.1. Ed invero, contrariamente a quanto emerge dalla pronuncia impugnata, la disciplina comunitaria non lascia margini discrezionali per differenziare tra corsi già iniziati e quelli di futura attivazione, relativamente all’obbligo dell’Amministrazione di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione tanto a tempo pieno quanto a tempo parziale dei medici specialisti. In proposito, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, nella sentenza in data 25.2.1999 (causa C-131/97), si è pronunciata sull’interpretazione dell’art. 2, n. 1, lett. c), nonché del punto 1 dell’allegato della direttiva 75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, che prevedono un’adeguata remunerazione della formazione svolta a tempo pieno, ed ha quindi fornito ai giudici nazionali tutti gli elementi necessari alla soluzione di tale tipo di controversia. In particolare, la Corte ha accertato che la normativa comunitaria impone agli Stati membri, per quanto riguarda i medici legittimati a fruire del sistema del reciproco riconoscimento, di retribuire i periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche ove esse rientrino nell’ambito d’applicazione della direttiva e che detto obbligo è, in quanto tale, incondizionato e sufficientemente preciso.
La stessa Corte, nella successiva sentenza in data 3.10.2000 (causa C-371/97) - resa con riguardo ad un caso in cui, diversamente di quanto verificatosi nel periodo precedente, i ricorrenti frequentavano corsi di specializzazione a tempo ridotto e non a tempo pieno - ha rilevato anche che l’analisi contenuta nella precedente sentenza del 1999, per quanto riguarda la formazione a tempo pieno, è pienamente applicabile all’ipotesi di una formazione di medico specialista svolta a tempo ridotto, come emerge tanto dallo scopo quanto dalla lettera della normativa comunitaria. In particolare, ha ritenuto la Corte di Giustizia che l’art. 3, n. 2, nonché il punto 2 dell’allegato della direttiva “coordinamento”, come modificata dalla direttiva 82/76, prevedono che la formazione a tempo ridotto deve anch’essa essere oggetto di una “adeguata remunerazione” e tale remunerazione, attribuita come ricompensa e riconoscimento del lavoro svolto, è destinata ai medici specialisti che partecipano a tutte le attività mediche del dipartimento in cui si svolge la formazione, in relazione al fatto che i soggetti in questione dedicano a tale formazione pratica e teorica tutta la loro attività professionale durante l’intera durata della settimana lavorativa, oppure, nel caso dello specialista in formazione a tempo ridotto, una buona parte di essa.
Alla stregua di quanto precede, debbono essere disattese, dunque, per l’interpretazione che delle direttive in questione è stata fornita dal giudice comunitario, le argomentazioni addotte dal giudice di prime cure in favore della tesi della non incondizionata ed immediata applicabilità delle direttive stesse nell’ordinamento interno. L’orientamento giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, è, peraltro, nel senso che la discrezionalità dell’Amministrazione va riconosciuta per l’organizzazione, la programmazione e la gestione dei corsi di specializzazione, ma non può riguardare il limite temporale di applicazione delle direttive che dalle norme nazionali di recepimento (legge n. 428 del 1990 e D.L.vo n. 257 del 1991) viene fissato ai corsi di specializzazione iniziati nell’anno accademico 1991/92, senza considerare quelli iniziati prima e in corso di svolgimento (cfr. C.d.S., Sez. IV, 25 agosto 1997, n. 909 e 10 agosto 2000, n. 4442; Sez. VI, 29 marzo 2001, n. 1872).
Né, a tal fine, può fondatamente sostenersi che il riconoscimento di emolumenti in favore dei frequentatori dei corsi di specializzazione (con partecipazione esclusiva alle attività del servizio) assuma un carattere strumentale rispetto alla formazione specialistica, come sarebbe dimostrato dalla circostanza che l’art. 7 della direttiva 75/363/CEE, nel testo sostituito dall’art. 12 della direttiva 82/76/CEE, prevede, in via transitoria, che le disposizioni che stabiliscono una formazione specialistica a tempo ridotto (non retribuita) possano continuare ad essere applicate ai candidati che abbiano iniziato la loro formazione di medici specialisti al più tardi il 31.12.1983.
Come osservato dalla Sezione IV e da questa Sezione nelle sentenze sopra citate, la norma comunitaria, infatti, non prevede l’ultrattività, nella fase di avvio del nuovo ordinamento, delle vecchie disposizioni per un certo periodo o per corsi di specializzazione già iniziati, ma solo la possibilità di continuare ad applicarle ai candidati la cui formazione sia stata già iniziata; si tratta, perciò, di disposizioni dettate nell’interesse ed a richiesta di questi candidati, come si evince anche dalla considerazione che la norma comunitaria, nel comma 2 del citato art. 7, qualifica costoro come “beneficiari della deroga”, e tali non potrebbero essere qualificati se la deroga non fosse prevista a loro richiesta e vantaggio. Peraltro, la deroga è prevista per i candidati che abbiano iniziato la loro formazione di medici specialisti al più tardi il 31 dicembre 1983, mentre, anche nella fattispecie in esame, parte ricorrente è stata iscritta a corsi iniziati in epoca successiva.
4.2. Circa l’ulteriore questione che attiene alla determinazione concreta dell’importo della remunerazione, giova poi considerare che, secondo quanto osservato dalla Corte di giustizia nelle summenzionate sentenze, l’obbligo di retribuzione - se è incondizionato e sufficientemente preciso nella parte in cui richiede, affinché un medico specialista possa avvalersi del sistema di reciproco riconoscimento istituito dalla direttiva 75/362, che la sua formazione si svolga a tempo pieno o a tempo ridotto e sia retribuita - non consente, peraltro, di per sé, al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata né di individuare l’importo della stessa, fermo restando l’obbligo di quest’ultimo, quando applica disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa. Consegue a ciò, facendo applicazione alla fattispecie in esame dei suesposti criteri ermeneutici, che, stante il contenuto non incondizionato e non sufficientemente preciso, per tale aspetto, delle direttive comunitarie, la pretesa di parte appellante di percepire una retribuzione di £ 13.000.000 annue non appare contrastante con la vigente disciplina.
Trova applicazione, infatti, nei suoi confronti - sussistendone tutti i presupposti oggettivi ed i requisiti soggettivi - l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, che, al primo comma, ha disposto la corresponsione di una borsa di studio annua onnicomprensiva di lire 13.000.000 ai medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991, destinatari delle sentenze passate in giudicato del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione I-bis), nn. 601 del 1993 e 279, 280, 281, 282, 283 del 1994. Come per questi ultimi, il diritto degli appellanti alla corresponsione delle borse di studio deve essere, tuttavia, subordinato all’accertamento da parte dell’Amministrazione - nel rispetto dei termini prescrizionali di legge - delle condizioni previste dal secondo comma del citato art. 11 (frequenza di un corso di specializzazione in base alla normativa prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, per l’intera durata legale del corso di formazione; impegno di servizio a tempo pieno, attestato dal direttore della scuola di specializzazione; mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione di qualsiasi attività libero-professionale esterna, nonché attività lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il Servizio sanitario nazionale).
5. Quanto al profilo risarcitorio, subordinato nel giudizio di primo grado e in effetti non espressamente ripreso in appello, il Collegio deve ritenere, infine, che nella specie mancano comunque le condizioni per la configurabilità di un danno risarcibile. Non risultano, infatti, provate dall’interessato né la sussistenza né l’entità né la lesione effettivamente subite; manca inoltre nel caso in questione una precisa individuazione e intimazione dell’Amministrazione tenuta a soddisfare la pretesa avanzata. D’altra parte, non è configurabile nella specie nemmeno un indebito arricchimento da parte dell’Università, che ha remunerato le prestazioni dello specializzando sulla base delle norme vigenti nel relativo periodo di svolgimento.
6. In relazione alle considerazioni sopra svolte, vanno, dunque, ribadite dal Collegio nell’attuale giudizio le statuizioni contenute nelle citate decisioni nn.165-166/2004 e n.6802/2002 di questa Sezione, con cui, tra l’altro, si riconosce la necessità del previo accertamento da parte dell’Amministrazione delle condizioni in esse specificate e sopra riportate ai fini della concreta attribuzione del beneficio richiesto da parte ricorrente. In conclusione, nei sensi e limiti sopra indicati, il ricorso in appello è da ritenersi fondato e può essere accolto per quanto di ragione, con conseguente annullamento della gravata pronuncia e con conseguente declaratoria del diritto di parte appellante a percepire la borsa di studio nell’importo e alle condizioni e limiti sopra specificati.
Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti in causa, le spese e gli onorari di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie, nei limiti indicati in motivazione, il ricorso in appello specificato in epigrafe e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, dichiara, in tali sensi, il diritto della parte ricorrente a percepire la borsa di studio dallo stesso reclamata.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 30 marzo 2004 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Claudio VARRONE Presidente Giuseppe ROMEO Consigliere Francesco D’OTTAVI Consigliere Rosanna DE NICTOLIS Consigliere Domenico CAFINI Consigliere Est.