07/06/2016 free
gravemente colpevole il medico che non si sia attenuto alle linee guida?
L'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012 si riferisce espressamente alle ipotesi colpose delle fattispecie penali cui possono incorrere i medici, sia nel settore pubblico che i liberi professionisti, nell'esercizio della professione sanitaria.
La norma in esame afferma che il medico non risponde penalmente per la colpa lieve se si attiene: " ... a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica ...".
Secondo la prospettazione attorea questa disciplina distinguerebbe tra colpa lieve e colpa grave, ritenendo normativamente sussistente quest'ultima in caso di mancata osservanza delle linee guida e dei consueti protocolli di approccio al paziente.
In altri termini l'ipotesi accusatoria, enunciata in atto di citazione, induce a ritenere gravemente colpevole il medico che non si sia attenuto a dette linee guida, facendo sorgere, di fatto, in maniera automatica, la dimostrazione dello stato soggettivo minimo per la perseguibilità in sede contabile unicamente a seguito alla semplice inosservanza di dette raccomandazioni.
A giudizio del Collegio questo paradigma non può essere condiviso, per una serie di ragioni.
In primo luogo l'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012 introduce nell'Ordinamento Giuridico un'esimente che vale solamente nell'ambito della responsabilità penale e unicamente per le fattispecie colpose (tra le altre quelle previste dagli artt. 589 e 590 c.p.), maggiormente frequenti nella professione sanitaria.
In questo senso spetta al medico cui sia attribuita una responsabilità penale colposa allegare le linee guida alle quali la sua condotta si sarebbe conformata, al fine di consentire al giudice nel processo penale di verificare la correttezza e l'accreditamento presso la comunità scientifica delle pratiche mediche indicate dalla difesa, e l'effettiva conformità ad esse della condotta tenuta dal medico nel caso di specie (Cass. Pen., 18.12.2014, n. 21243).
La funzione delle linee guida, quindi, si manifesta sul piano meramente difensivo, nel senso che esse possono costituire un valido argomento per far attivare, sempre nel caso di un procedimento penale, l'esimente di cui all'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012.
E' dunque opinione del Collegio che detta esimente possa operare solamente sul piano della responsabilità penale, e possa essere invocata unicamente dal sanitario cui sia imputato un reato colposo conseguente all'esercizio della professione medica (come, ad esempio, il reato di lesioni colpose di cui all'art. 590 c.p.) onde contrastare la pretesa punitiva del P.M. ordinario.
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C. Conti Emilia-Romagna Sez. giurisdiz., Sent., 07-04-2016, n. 49
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
composta dai seguenti magistrati:
Marco PIERONI - Presidente f.f.
Massimo CHIRIELEISON - Consigliere
Alberto RIGONI - Consigliere relatore
VISTI il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 ed il D.L. 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 gennaio 1994, n. 19;
VISTI gli atti e i documenti di causa;
UDITI nella pubblica udienza del giorno 23 marzo 2016, con l'assistenza del segretario Dott.ssa Lucia Caldarelli, il relatore Consigliere Alberto Rigoni, il Pubblico Ministero S.P.G. Quirino Lorelli, gli Avv.ti L. Bernardini per G.R. e S. Priolo per T.L.;
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n 44310 proposto ad istanza del Procuratore Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna della Corte dei conti nei confronti di G.R. e T.L.;
Svolgimento del processo
Con atto di citazione regolarmente notificato la Procura Regionale cita in giudizio G.R. e T.L., il primo Dirigente Medico presso il reparto di Ortopedia e la seconda Dirigente Medicopresso il reparto di Radiologia dell'Ospedale di OMISSIS, per sentirli condannare, a titolo di responsabilità amministrativa, al risarcimento del danno erariale pari ad Euro 10.000,00 da ripartirsi in misura del 60% per G. e del 40% per T., oltre rivalutazione, interessi e spese di giustizia. In subordine la Procura chiede la condanna dei convenuti nella quota pari ai sessantadue giorni di maggiore inabilità parziale patiti dalla paziente OMISSIS e riconosciuti a titolo di risarcimento del danno agli eredi.
La Procura riferisce che era stata conclusa una transazione il 7.10.2008 tra l'A.U.S.L. di OMISSIS e gli eredi della paziente OMISSIS per Euro 20.000,00 quale integrale e definitivo risarcimento dei danni per colpa medica. Tale somma sarebbe stata poi pagata al 50% e cioè nella misura di Euro 10.000,00, dall'A.U.S.L. di OMISSIS alla compagnia assicuratrice.
La paziente OMISSIS era incorsa in un incidente domestico il 19.02.2005 e per tale motivo si era recata al pronto soccorso dell'Ospedale di OMISSIS dove venne sottoposta ad esami radiologici il cui referto escluse la presenza di segni di fratture e la successiva visita ortopedica si concluse con la diagnosi: "trauma distorsivo dell'anca sinistra con stiramento degli adduttori" e dimessa con prognosi di dieci giorni.
A causa del perdurare di disturbi, la paziente fu ricoverata presso l'Ospedale di OMISSIS il 17.03.2005, e in quella circostanza veniva diagnosticata una frattura del femore sinistro che richiese un intervento di artroprotesi cervico-diafisaria.
L'attrice riferisce che era stata presentata una querela alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di OMISSIS per il reato di cui all'art. 590 c.p., a seguito della quale il Pubblico Ministero ordinario aveva disposto una consulenza tecnica di parte, da cui sarebbe emersa una responsabilità dei convenuti medici intervenienti presso il pronto soccorso dell'Ospedale di OMISSIS per la mancata diagnosi di frattura del femore sinistro.
Si giungeva a una transazione con gli eredi della paziente, nel frattempo deceduta, per Euro 20.000,00, di cui Euro 10.000,00 a carico dell'Azienda.
La Procura Contabile ritiene sussistente la responsabilità amministrativa dei convenuti G.R. e T.L. a titolo di colpa grave e/o negligenza inescusabile, che nascerebbe dall'omessa diagnosi della frattura, rilevabile, a suo dire, con la semplice lettura dell'esame radiografico.
La Procura richiama la disciplina di cui all'art. 2236 c.c. in tema di responsabilità professionale medica, e riprende le conclusioni della consulenza del Pubblico Ministero ordinario, laddove si stigmatizza il comportamento dell'ortopedico che avrebbe dimesso la paziente pur in presenza di una sintomatologia importante.
Contesta la negligenza e imperizia dei convenuti, che, non avendo o non sapendo individuare la frattura, avevano operato con grave colpa poiché l'attività diagnostica non presentava alcun profilo problematico.
L'attrice ritiene che nella fattispecie non vi siano scusanti a fronte della mancata diagnosi di frattura, specie perché l'incrinatura era bene evidenziata nella prima radiografia o in una risonanza che poteva essere eseguita in alternativa.
La Procura contabile si riporta alle linee guida delle S.I. e il Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale dell'Anziano con frattura di femore dell'ARESS Piemonte del 2011 che confermerebbero le risultanze della consulenza.
In citazione il Pubblico Ministero contabile riporta ampi stralci delle predette linee guida affermando che le principali accortezze ivi richieste non sarebbero state poste in essere dai convenuti. A tal fine si riporta alla consulenza chiesta dalla Procura Regionale alla Dott.ssa OMISSIS dell'A.U.L.S. di OMISSIS, che rileva come sulla base del referto radiologico negativo l'ortopedico consigliò solamente un periodo di riposo, scambiando la sintomatologia dichiarata dalla paziente per uno stiramento degli adduttori.
Ritiene quindi il Pubblico Ministero contabile che vi sia stata approssimazione e superficialità nel trattamento della paziente che sarebbe sfociata nella colpa grave per il mancato rispetto dei protocolli di trattamento dei pazienti anziani in caso di cadute casalinghe.
L'attrice richiama l'art. 3 L. n. 189 del 2012 che recita : "L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve".
Sulla base di detta norma, la Procura deduce che, non avendo rispettato le linee guida, si possa configurare la colpa grave in capo al medico o ai medici intervenuti nella cura del paziente.
Per quanto attiene al nesso causale, parte attrice si sofferma sulla giurisprudenza della Corte di Cassazione in tema di condotta omissiva, affermando che nella fattispecie non vi sarebbero scusanti, atteso che nella prima radiografia la frattura era ben evidenziata. Inoltre la Procura contesta ai convenuti una serie di esami non eseguiti, quali la risonanza magnetica o la scintigrafia ossea o nuove radiografie dopo un intervallo di 24/48 ore e con proiezioni aggiuntive, che avrebbero potuto far emergere la frattura, con ciò omettendo esami diagnostici e connotando la propria condotta con colpa gravissima.
In conclusione chiede la condanna di G.R., Dirigente Medico U.O. Ortopedia e Traumatologia dell'Ospedale di OMISSIS e di T.L., all'epoca dei fatti Dirigente Medico U.O. Radiologia Medica dell' Ospedale di OMISSIS, nella misura di Euro 10.000,00, corrispondenti all'importo che l'A.U.S.L. ha versato alla propria compagnia assicuratrice in conseguenza della transazione conclusa con gli eredi di OMISSIS, ovvero, in via gradata, nella quota pari ai soli giorni di maggiore inabilità parziale (62 giorni) patiti dalla paziente e riconosciuti a titolo di risarcimento del danno agli eredi, oltre alle spese legali riconosciute e pagate.
Si è costituita in giudizio T.L., rappresentata e difesa dall'Avv. S. Priolo di Rimini, con domicilio eletto presso l'Avv. G. Delucca di Bologna, osservando che la tesi accusatoria si fonda esclusivamente sulla consulenza tecnica disposta dal P.M. ordinario, a proposito della quale chiede sia dichiarata inutilizzabile nel presente processo contabile in quanto atto di parte, nel processo penale, effettuato senza contraddittorio, e come tale privo di alcun valore probatorio.
Osserva la convenuta che nessuna ipotesi di responsabilità è mossa, nella predetta consulenza, a carico della T., ma solo nei confronti dell'ortopedico.
Citando i protocolli diagnostici terapeutici per il paziente anziano, la convenuta rileva che l'esame radiologico è individuato dal medico del Pronto Soccorso inviante. Rileva anche che al medico radiologo non spettano, sulla base dei citati protocolli, poteri decisionali in merito alla scelta di eseguire ulteriori accertamenti oltre a quelli radiodiagnostici prescritti dall'ortopedico, aspetto peraltro evidenziato anche nella consulenza tecnica citata dalla Procura attrice.
La convenuta T. sostiene che non vi sia alcuna dimostrazione di un suo errore diagnostico, ravvisando una superficialità nella consulenza del P.M. penale laddove si sostiene che dai radiogrammi sarebbe stato possibile rilevare una frattura del collo femorale con conferma da parte di specialisti non identificati dal consulente.
Afferma che la visibilità di fratture dal semplice esame radiografico non è così immediata anche sulla base della letteratura, che indica in un 90 % della sensibilità dell'esame radiografico, con ciò rendendo difficile rilevare fratture ingranate (non scomposte).
Va altresì aggiunto che l'esame radiografico può essere fuorviato dalla marcata diminuzione del tono calcico nei pazienti anziani.
Ritiene che se dall'esame radiografico del 16.03.2005, e quindi a distanza di quasi un mese dall'infortunio, è emersa una frattura scomposta della regione basi-cervicale del femore, questo fatto rientra nella normale casistica ospedaliera e pertanto non vi sarebbe colpa grave dei convenuti.
La convenuta T. ritiene apodittiche le affermazioni della Procura laddove si afferma che la diagnosi di frattura femorale fosse di facile formulazione, non avendo il P.M. contabile alcuna competenza in materia.
Contesta la sussistenza dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave in quanto non vi sarebbe stato un comportamento anomalo o inadeguato da parte del medico radiologo, né una devianza macroscopica dai canoni di diligenza e perizia tecnica, tanto che i medici dell'Ospedale di OMISSIS hanno dovuto effettuare nuovi esami per individuare la frattura.
Per quanto attiene al nesso eziologico, la convenuta T. osserva che in base alla stessa giurisprudenza della Suprema Corte citata da parte attrice, la semplice verosimiglianza non sia sufficiente a fondare un nesso di causalità, circostanza che secondo il consulente del P.M. penale si sarebbe verificata nell'errata diagnosi della frattura ad opera dell'ortopedico.
Addentrandosi in valutazioni medico-radiologiche che esulano dalla competenza del Procuratore Regionale, l'attrice insiste che già con la prima radiografia la frattura sarebbe stata evidente, circostanza che non sarebbe supportata da evidenze di fatto.
Né, a detta della convenuta T., la Procura Contabile riuscirebbe ad offrire la certezza processuale che è presupposto indefettibile della sussistenza del nesso eziologico.
Critica il quantum del danno contestato, che si sarebbe dovuto, al limite, ridurre in ordine ai 62 giorni di invalidità temporanea totale per un importo di Euro 42,00 al giorno, con ciò limitando ad Euro 2.604,00 l'eventuale valore del danno in questione.
Si costituisce in giudizio G.R. con memoria depositata via PEC il 16.03.2016, rappresentato e difeso dall'Avv. L. Bernardini del Foro di Rimini, ed elettivamente domiciliato in Bologna presso lo studio legale dell'Avv. G. Muccio, rilevando che il danno risarcito in transazione non ammonta ad Euro 20.000,00, come sostenuto in atto di citazione, bensì in Euro 10.000,00, ed allega la quietanza di pagamento. Ritiene quindi di poter essere chiamato a rispondere solamente del 50% di tale somma, ovvero per Euro 5.000,00.
Eccepisce il fatto che la consulenza tecnica del P.M. penale non si è formata nel contraddittorio tra le parti, e come tale non può esser posta a fondamento della richiesta della Procura Contabile.
Richiama la consulenza della Dott.ssa OMISSIS del Servizio di Medicina Legale dell'A.U.S.L. di OMISSIS, richiesta dalla Procura Regionale, dalla quale si evince che la linea di frattura era sottile e che la visione ex post della radiografia è condizionata dalla conoscenza degli sviluppi e della diagnosi. Non ci sarebbe quindi riconoscimento di malpractice medica.
Contesta la ricostruzione scientifica della vicenda ad opera della Procura attrice, affermando che la stessa non avrebbe dimostrato la violazione dei protocolli citati.
Ritiene insussistente il presupposto della gravità della colpa, atteso che la lettura del radiogramma del 20.02.2005 non evidenziava una linea di frattura utile al ricovero e all'approfondimento diagnostico essendo la sintomatologia lamentata dalla paziente compatibile con uno stiramento degli adduttori.
Conclude chiedendo il rigetto della domanda attorea o, in subordine, la riduzione dell'addebito.
All'udienza del 23.03.2016 erano presenti per la Procura Regionale il S.P.G. Quirino Lorelli, mentre per il convenuto G.R. era presente l'Avv. L. Bernardini del Foro di Rimini, che si è costituito in udienza, mentre per T.L. era presente l'Avv. S. Priolo del Foro di Rimini, già costituitasi in Segreteria della Sezione.
Il P.M. si è opposto alla costituzione in giudizio del convenuto G., ritenendola tardiva.
L'Avv. Bernardini ha osservato come la costituzione in giudizio possa avvenire prima dell'apertura del dibattimento, sia pure con le decadenze previste dall'art. 171, II comma c.p.c., che richiama l'art. 167 c.p.c..
Le parti si sono riportate alle rispettive conclusioni contenute in atti.
Motivi della decisione
Oggetto del presente giudizio è la richiesta di risarcimento del danno erariale, avanzata dalla Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale per l'Emilia Romagna, quantificato in via definitiva in Euro 10.000,00 e corrispondente all'effettivo esborso dell'A.U.S.L. di OMISSIS in conseguenza di una transazione tra gli eredi della paziente OMISSIS in relazione ad un presunto caso di malasanità, cagionato da un'omessa diagnosi di frattura del femore sinistro con un primo esame medico del 19.02.2005, poi invece riscontrata in un secondo controllo del 17.03.2005, conclusosi con un intervento chirurgico per artoprotesi cervico-diafisaria.
Per quanto attiene la quantificazione del danno erariale di cui la Procura Contabile chiede il risarcimento, il Collegio prende atto di quanto dichiarato dal P.M. all'udienza del 23.03.2016, che determina in definitivi Euro 10.000,00 la richiesta nei confronti dei due convenuti, secondo le percentuali specificate in citazione.
Vanno inizialmente affrontate le questioni sollevate in via preliminare dalle parti.
L'eccezione d'inammissibilità della costituzione del convenuto G.R. poiché tardiva, sollevata dalla Procura Contabile, è infondata.
E' ben vero che l'art. 166 c.p.c., applicabile al processo avanti alle Sezioni Giudicanti della Corte dei conti in virtù del rinvio dinamico operato con l'art. 26 R.D. 13.08.1933, n. 1038, prevede che il convenuto si costituisca almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'apposito decreto presidenziale. Tuttavia, in caso di ritardata costituzione della parte, trova applicazione l'art. 171, secondo comma, c.p.c., che consente, in caso di regolare costituzione dell'attore, al convenuto di costituirsi fino alla prima udienza, con la conseguenza delle decadenze previste dall'art. 167 c.p.c.. La Sezione osserva che, come giustamente affermato dal difensore durante la discussione orale, la difesa del G. non propone con la propria comparsa alcuna domanda riconvenzionale né solleva eccezioni processuali o di merito che non siano rilevabili d'ufficio, richieste che non sarebbero ammissibili se formulate, ma si limita ad una difesa tecnica nel merito. Pertanto non si ravvisano profili d'inammissibilità nella menzionata costituzione in giudizio, a tutti gli effetti valida e rispondente ai criteri di cui al codice di rito.
Sempre in via preliminare la Sezione deve pronunciarsi sull'utilizzabilità, nel presente giudizio, della consulenza del P.M. penale esperita nel procedimento N. 6938/04 R.G.N.R. aperto avanti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di OMISSIS, ed effettuata dal Dott. OMISSIS ai sensi dell'art. 359 c.p.p..
Entrambe le difese costituitesi nel presente giudizio sollevano perplessità sull'utilizzabilità della predetta consulenza, trattandosi di atto di parte non formatosi nel contraddittorio tra le parti. In particolare T.L. chiede che sia dichiarata l'inutilizzabilità in questo processo contabile, proprio per la mancanza di contraddittorio che lo renderebbe privo di alcun valore probatorio.
Sul punto il Collegio osserva che la consulenza del Dott. OMISSIS non è una consulenza tecnica d'ufficio proprio perché si tratta, come detto, di una consulenza di parte del P.M. penale nel procedimento aperto a seguito di querela per il reato d cui all'art. 590 c.p. in danno della paziente OMISSIS, che vedeva indagato, peraltro, il solo G.R..
Per tale motivo la consulenza del Dott. OMISSIS è un atto di parte, ordinato dal P.M. penale ad un esperto di sua fiducia, ed elaborato in assenza di qualsivoglia contraddittorio proprio in virtù della connotazione di parte (pubblica, ma sempre parte) del pubblico ministero.
Tale documento, quindi, non può minimamente assumere il valore chiarificatore e probatorio della perizia esperita in dibattimento penale, dopo il rinvio a giudizio, avanti al Collegio giudicante ai sensi degli artt. 220 c.p.p., ove vige la possibilità per entrambe le parti (sia per il P.M. che per l'imputato) di nominare propri consulenti ai sensi dell'art. 225 c.p.p..
Né la consulenza tecnica in questione, disposta durante le indagini preliminari, può avere lo stesso valore probatorio che nel processo civile assume una C.T.U., proprio per la strutturale mancanza di contraddittorio che, invece, si avrebbe nella consulenza d'ufficio disposta ai sensi degli artt. 191 e ss. c.p.c..
Il Collegio, dopo aver chiarito l'esatta natura del documento in questione, osserva, tuttavia, che la relazione, esperita a seguito della predetta consulenza, possa comunque essere liberamente valutata dalla Sezione giudicante, secondo prudente apprezzamento ai sensi dell'art. 116, primo comma, c.p.c., quale allegazione probatoria di parte da cui poter trarre elementi di giudizio.
Per tali motivi non si ritiene di dichiarane l'inutilizzabilità, sanzione che colpisce le prove acquisite in violazione di uno specifico divieto probatorio (che nel diritto processuale penale trova una specifica disciplina nell'art. 191 c.p.p., mentre nel diritto processuale civile consegue a gravi condotte della parte che l'allega, come ad esempio la tardiva produzione), ma di consentirne la valutazione, secondo il principio del libero convincimento, quale prova atipica, atteso che la stessa non consente l'ingresso illegittimo nel processo di elementi di prova non altrimenti ammessi (Cass. Civ., Sez. II, n. 5440/2010).
Va altresì affrontata l'eccezione, sollevata da entrambi i convenuti, di mancata partecipazione alla transazione che ha portato all'erogazione della somma di Euro 10.000,00 agli eredi della paziente OMISSIS, e che costituisce il quantum della contestazione del danno erariale.
I medici G. e T. sostengono, infatti, di non aver mai partecipato alle trattative intervenute tra la compagnia assicuratrice (che agiva in nome e per conto dell'azienda sanitaria riminese) e i beneficiari del risarcimento civile, né di essere mai stati sentiti per esporre le proprie ragioni o per consentire, in quella fase, una sorta di difesa pre-processuale.
Si ritiene, infatti, pacificamente idonea la transazione tra l'ente o l'amministrazione di appartenenza del dipendente pubblico e i terzi danneggiati a costituire il fondamento di un'azione di danno erariale nei confronti del dipendente che, con la sua condotta, abbia generato il presupposto di fatto che ha portato alla transazione medesima, anche se sia rimasto estraneo alla fase delle trattative o ad un eventuale processo civile tra il danneggiato e l'amministrazione pubblica (cfr. Corte dei conti, Sez. Calabria, n. 111/2015; Sez. Emilia Romagna, n. 124/2014).
La fattispecie attualmente sottoposta all'attenzione del Collegio costituisce una tipica ipotesi di responsabilità per danno indiretto, che nasce dal risarcimento di un danno patito da un terzo per il quale la pubblica amministrazione abbia provveduto al risarcimento in osservanza dei presupposti di cui all'art. 28 Cost..
Nel caso di specie spetta alla Corte giudicare autonomamente il comportamento dei pubblici dipendenti convenuti con una valutazione sull'effettiva sussistenza degli elementi della responsabilità amministrativa sia sotto il profilo soggettivo (sussistenza o meno della colpa grave o del dolo), sia sotto il profilo oggettivo, previa definizione del nesso causale tra le pretese della paziente OMISSIS (o dei suoi eredi) e la condotta tenuta dai due medici nella valutazione diagnostica in occasione del ricovero del 19.02.2005.
Non ritiene il Collegio che l'eventuale assenza dei convenuti alla fase procedimentale, durante la quale l'amministrazione di appartenenza, sia pure attraverso la compagnia di assicurazione, è giunta a un accordo transattivo, possa, di per sé, generare l'inammissibilità dell'azione della Procura Regionale, posto che in questa sede ai convenuti sono riconosciute tutte le garanzie di natura processuale per assicurare un perfetto contraddittorio con la parte pubblica nel rispetto dei principi costituzionali della difesa in giudizio (Corte dei conti, Sez. Emilia Romagna, n. 114/2015).
Esaurite le questioni preliminari, va ora affrontato il merito della questione.
Il Collegio ritiene che la Procura regionale non abbia dimostrato l'esistenza della responsabilità amministrativa dei convenuti sia sotto il profilo dell'elemento soggettivo della colpa grave, sia sotto il profilo del nesso causale.
Appare opportuno premettere alcune considerazioni di principio, che nascono dall'impostazione dell'impianto accusatorio.
L'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012 si riferisce espressamente alle ipotesi colpose delle fattispecie penali cui possono incorrere i medici, sia nel settore pubblico che i liberi professionisti, nell'esercizio della professione sanitaria.
La norma in esame afferma che il medico non risponde penalmente per la colpa lieve se si attiene: " ... a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica ...".
Secondo la prospettazione attorea questa disciplina distinguerebbe tra colpa lieve e colpa grave, ritenendo normativamente sussistente quest'ultima in caso di mancata osservanza delle linee guida e dei consueti protocolli di approccio al paziente.
In altri termini l'ipotesi accusatoria, enunciata in atto di citazione, induce a ritenere gravemente colpevole il medico che non si sia attenuto a dette linee guida, facendo sorgere, di fatto, in maniera automatica, la dimostrazione dello stato soggettivo minimo per la perseguibilità in sede contabile unicamente a seguito alla semplice inosservanza di dette raccomandazioni.
A giudizio del Collegio questo paradigma non può essere condiviso, per una serie di ragioni.
In primo luogo l'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012 introduce nell'Ordinamento Giuridico un'esimente che vale solamente nell'ambito della responsabilità penale e unicamente per le fattispecie colpose (tra le altre quelle previste dagli artt. 589 e 590 c.p.), maggiormente frequenti nella professione sanitaria.
In questo senso spetta al medico cui sia attribuita una responsabilità penale colposa allegare le linee guida alle quali la sua condotta si sarebbe conformata, al fine di consentire al giudice nel processo penale di verificare la correttezza e l'accreditamento presso la comunità scientifica delle pratiche mediche indicate dalla difesa, e l'effettiva conformità ad esse della condotta tenuta dal medico nel caso di specie (Cass. Pen., 18.12.2014, n. 21243).
La funzione delle linee guida, quindi, si manifesta sul piano meramente difensivo, nel senso che esse possono costituire un valido argomento per far attivare, sempre nel caso di un procedimento penale, l'esimente di cui all'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012.
E' dunque opinione del Collegio che detta esimente possa operare solamente sul piano della responsabilità penale, e possa essere invocata unicamente dal sanitario cui sia imputato un reato colposo conseguente all'esercizio della professione medica (come, ad esempio, il reato di lesioni colpose di cui all'art. 590 c.p.) onde contrastare la pretesa punitiva del P.M. ordinario.
Inoltre spetta alla parte che le allega dimostrare che le linee guida di cui si chiede la valutazione e l'applicazione alla fattispecie concreta siano accreditate presso la comunità scientifica, e, nel caso in cui sia il pubblico ministero contabile ad allegarle al fascicolo del procedimento, questi deve necessariamente dimostrare, già in citazione, che le guidelines che ritiene siano state violate appartengano effettivamente alla categoria di quelle accreditate presso la comunità scientifica, che siano provenienti da fonti autorevoli, che siano conformi alle regole della migliore scienza medica e che non siano ispirate ad esclusiva logica commerciale (Cass. Pen., Sez. IV, 11.07.2012, n. 35922).
Pertanto appare illogico che l'esimente di cui all'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012, sia invocata a contrariis per affermare una responsabilità non solo di contenuto diverso da quello penalistico, ma per confermarne positivamente l'esistenza, da parte della pubblica accusa, laddove detta esimente non possa operare.
In altri termini il P.M. contabile non può invocare l'esistenza della responsabilità amministrativa utilizzando, unicamente, detta norma per affermare positivamente la sussistenza della colpa grave per la sola presunta violazione di linee guida, quando invece lo scopo della norma è creare un'esimente in favore del medico laddove lo stesso ritenga di aver seguito le migliori regole della scienza medica, per contrastare la pretesa accusatoria.
Spetta dunque alla parte pubblica nel processo contabile l'onere di dimostrare la responsabilità del convenuto provando, punto per punto, tutti gli elementi della responsabilità amministrativa, ovverosia il rapporto di servizio, la condotta dannosa, l'elemento soggettivo e il nesso causale.
Ne consegue che nel caso della responsabilità amministrativa per danno sanitario va dimostrata la colpa grave del convenuto nel caso specifico, e pertanto vanno indicati gli elementi di prova in base ai quali, sul caso concreto, l'accusa ritiene che vi sia stata violazione delle buone pratiche mediche.
Non appare, dunque, corretto ritenere che l'esistenza di particolari linee guida che si pongono, in astratto, in contrasto con la condotta del medico nel fatto che ha determinato una lesione al paziente sia di per sé sufficiente a dimostrare che la condotta del sanitario è stata sicuramente connotata da colpa grave.
In secondo luogo va evidenziato che il concetto di colpa grave si differenzia tra l'ambito penalistico (dove per l'esimente in parola viene in rilievo la sola imperizia, non estendendosi anche ad errori diagnostici per negligenza o imprudenza; Cass. Pen. 27.04.2015, n. 26996) e l'ambito giuscontabile (dove la colpa grave del medico sussiste per errori non scusabili per la loro grossolanità o l'assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione o il difetto di un minimo di perizia tecnica e ogni altra imprudenza che dimostri superficialità; Sez. III App., n. 601/2004), con ciò introducendo una valutazione ad ampio spettro dell'elemento soggettivo nella responsabilità medica sul piano erariale.
In terzo luogo, ai fini della valutazione del nesso causale tra la condotta dei sanitari e il danno indiretto per malpractice medica, non è sufficiente contestare una condotta difforme dalle linee guida prodotte in giudizio dalla parte pubblica (nel caso in cui si dimostri che le stesse sono accreditate presso la comunità scientifica), ma spetta al Pubblico Ministero la dimostrazione positiva che le scelte diagnostiche e chirurgiche operate nel caso concreto si sono poste quale causa efficiente diretta del disagio arrecato al paziente, o ai pazienti, che ha portato alla richiesta di risarcimento del danno liquidato dalla struttura aziendale pubblica.
Infatti, si riconosce al medico un ruolo primario nella scelta delle modalità di approccio alla patologia evidenziata dallo stato clinico a lui sottoposto, nonché la facoltà di effettuare l'intervento farmacologico o chirurgico che ritiene necessario per la risoluzione dello stato patologico, anche mediante condotte che si pongono in antitesi con linee guida o protocolli di orientamento terapeutico, proprio per la caratteristica spiccatamente relativistica delle stesse, tanto che l'accreditamento presso le migliore dottrina scientifica deve essere dimostrato da chi intende valersene per ottenere l'esimente di cui all'art. 3, primo comma, L. n. 189 del 2012.
In altri termini, la sola condotta difforme alle linee guida che il P.M. indica come violate o non rispettate appieno, non è sufficiente per sostenere che vi sia nesso causale tra il loro mancato rispetto e l'evento dannoso. Tale dimostrazione, invece, deve essere calata nel caso concreto di cui si discute, ove la semplice difformità tra linee guida allegate in atto di citazione e la condotta tenuta dal medico o dai suoi collaboratori non basta a ritenere sussistente un valido nesso causale ma può, al più, ritenersi un indice rivelatore che va corroborato con altre risultanze di fatto da verificarsi nell'evento storico che ha determinato la fattispecie dannosa.
Alla luce delle considerazioni che precedono, non sembra, a giudizio del Collegio, che si sia giunti ad una dimostrazione di tutti gli elementi della responsabilità amministrativa, per danno indiretto in ambito medico-sanitario, in capo ai convenuti G.R. e T.L..
La lettura di una lastra radiografica per individuare una frattura ossea non è di facile lettura, come si sostiene in atto di citazione, ma rientra in un'attività diagnostica particolarmente complessa che dipende da molteplici fattori (età del paziente, nitidezza dell'immagine, algia persistente, ecc...) che incidono sulla valutazione della gravità della colpa.
Non vi è motivo di dubitare che da una prima analisi del referto radiografico del 19.02.2005 la linea di incrinatura del collo femorale, rilevata dal Dott. OMISSIS nella relazione del 15.10.2005, consulente tecnico del P.M. penale, fosse in realtà poco visibile, tanto che la T., medico radiologo, ritenne di non rilevare alcuna frattura. Detta circostanza appare confermata in primo luogo dalla stessa relazione del Dott. OMISSIS, in cui si afferma che molto probabilmente fu la paziente OMISSIS che, muovendosi, determinò l'aggravamento della lesione, e, in secondo luogo, anche dalla relazione, richiesta dalla Procura Contabile, della Dott.ssa OMISSIS, che sottolinea come il consulente tecnico del P.M. penale abbia riscontrato detta linea di frattura, osservando, nel contempo, che "...la visione ex post di un radiogramma è sempre in qualche misura influenzata dalla conoscenza degli sviluppi del caso e della diagnosi...". La valutazione della consulente del P.M. contabile ammette la possibilità che il dolore potesse indurre l'ortopedico, sulla base del referto radiologico negativo proprio per la sua difficile intelligibilità, a consigliare un periodo di riposo e una terapia prettamente medica, con una diagnosi di stiramento degli adduttori del tutto compatibile con l'infortunio domestico riferito dalla paziente, nonché ritiene possibile che la frattura si sia scomposta in un periodo successivo al ricovero del 19.02.2005.
Entrambe le relazioni ammettono, quindi, che l'aggravamento possa essere dovuto a comportamenti della paziente non coerenti con la prescrizione di assoluto riposo, con ciò rendendo scomposta la frattura e quindi visibile solo in seguito, come si evince dagli esami radiologici effettuati presso l'Ospedale di OMISSIS il 17.03.2005.
Ritiene pertanto il Collegio che, seppure presente la frattura del femore sinistro della paziente, non si possa imputare la colpa grave ai due medici convenuti, bensì, al limite, la forma colposa più lieve che non consente la declaratoria di responsabilità amministrativa per danno erariale indiretto, nonché l'assoluta carenza del nesso causale per i motivi in precedenza esposti.
In conclusione va rigettata la domanda attorea, e conseguentemente i convenuti G.R. e T.L., vanno assolti dagli addebiti di responsabilità amministrativa loro ascritti, liquidando nel dispositivo della presente sentenza l'ammontare degli onorari e dei diritti per le difese costituite.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, definitivamente pronunciando,
ASSOLVE
G.R. e T.L. da ogni addebito di responsabilità amministrativa formulato a loro carico in atto di citazione.
Liquida forfettariamente in favore di ciascuna difesa dei predetti convenuti, da porre a carico dell'A.U.L.S. di OMISSIS, l'importo di Euro 2.000,00 per onorari e diritti, oltre accessori di legge se dovuti, e fermo restando il parere di congruità dell'Avvocatura dello Stato.
Non luogo a provvedere per le spese di giudizio.
Il Collegio, ravvisati gli estremi per l'applicazione dell'art. 52 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, avente ad oggetto "Codice in materia di protezione di dati personali", dispone che, a cura della segreteria venga apposta l'annotazione di omissione delle generalità e degli altri dati identificativi dei convenuti e, se esistenti, del dante causa e degli aventi causa.
Manda alla Segreteria per i conseguenti adempimenti.
Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio del 23 marzo 2016.
Depositata in Cancelleria 7 aprile 2016.