16.07.2015 free
Corte di Cassazione - Rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche e presunzione di paternità naturale
Nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale, stante il tenore letterale dell'art. 269, co. 2, c.c., il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche - nella specie opposto dal preteso padre - anche in mancanza di prova dell'esistenza di rapporti sessuali fra le parti, costituisce un comportamento valutabile da parte dei giudice, ex art. 116, co. 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da potere, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 maggio – 6 luglio 2015, n. 13885
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 1519/2012, depositata il 19.4.2012, il Tribunale di Verona dichiarava F.L. figlia naturale di S.R. , compensando tra le parti le spese di lite.
2. L'appello proposto avverso tale decisione dallo S. veniva, altresì, rigettato dalla Corte di Appello di Venezia con sentenza n. 2237/2013, depositata l'1.10.2013.
2.1. Con tale pronuncia, il giudice di secondo grado, facendo applicazione della giurisprudenza di questa Corte in tema di rifiuto del preteso padre di sottoporsi ad esami ematologici, riteneva comprovata, in presenza del rifiuto opposto dallo S. di sottoporsi alle prove ematiche, ed anche alla stregua delle deposizioni testimoniali assunte e della mancata prestazione dell'interrogatorio formale da parte dell'appellante, la qualità di figlia naturale dello S. in capo alla F. .
3. Per la cassazione della sentenza n. 2237/2013 ha proposto, quindi, ricorso S.R. nei confronti di F.L. , affidato a tre motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c.. La resistente ha replicato con controricorso.
Considerato in diritto
1. Con i tre motivi di ricorso, che - per la loro evidente connessione - vanno esaminati congiuntamente, S.R. denuncia la violazione degli art. 269 e 2697 c.c., nonché l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, co. 1, nn. 3 e 5 c.p.c..
1.1. Avrebbe errato la Corte di Appello - a parere del ricorrente - nel ritenere che il contegno processuale dello S. , concretatosi nel rifiuto di sottoporsi ad esami ematologici finalizzati ad accertare o ad escludere la reclamata paternità, in difetto di ulteriori elementi probatori certi desumibili dalle deposizioni testimoniali in atti, potesse costituire prova a favore della pretesa figlia naturale.
1.2. Nessuno dei testi escussi avrebbe, invero, confermato che la relazione amorosa tra S.R. e F.G. , madre dell'odierna resistente, si fosse protratta fino alla nascita di quest'ultima. Sicché, in difetto di prove certe in ordine alla sussistenza di detta relazione fino all'epoca del concepimento di F.L. , la Corte territoriale - ad avviso dei ricorrente - non avrebbe potuto confermare la decisione di prime cure, favorevole alla istante.
2. Le censure suesposte sono infondate.
2.1. Questa Corte ha - per vero - costantemente affermato che, nel giudizio promosso per l'accertamento della paternità naturale, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l'accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale, stante il tenore letterale dell'art. 269, co. 2, c.c., il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche - nella specie opposto dal preteso padre - anche in mancanza di prova dell'esistenza di rapporti sessuali fra le parti, costituisce un comportamento valutabile da parte dei giudice, ex art. 116, co. 2, c.p.c., di così elevato valore indiziario da potere, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (cfr. Cass. 386/1999; 8677/2000; 5116/2003; 12971/2012; 11223/2014; 6025/2015).
2.2. Da tale affermazione di principio non deriva, peraltro, né una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l'uso dei dati nell'ambito del giudizio solo a fini di giustizia, laddove il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali (Cass. 11223/2014).
2.3. Ne discende che la mancanza della prova certa circa la sussistenza di una relazione tra la madre della F. e lo S. e, quindi, dell'esistenza di rapporti sessuali tra gli stessi, non comporta - sotto il profilo della denunciata violazione degli artt. 269 e 2697 c.c. - che debba ritenersi insussistente la prova in ordine alla paternità naturale dell'odierna resistente in capo al ricorrente e, perciò, inadempiuto il relativo onere gravante sulla parte che reclama tale paternità.
2.3.1. Va tenuto conto, difatti, del disposto di cui al co. 4 dell'art. 269 c.c., che evidenzia - ben al contrario di quanto sostiene lo S. - l'insufficienza, sul piano probatorio, della sussistenza di rapporti fisici tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento. È, pertanto, del tutto evidente che, seppure tali rapporti fossero stati comprovati, anche fino alla data del concepimento di F.L. , la paternità naturale di quest'ultima in capo a S.R. avrebbe dovuto essere, comunque, fondata su ulteriori elementi di prova.
2.3.2. Devesi, peraltro, rilevare che - nel caso concreto - la Corte territoriale ha correttamente ritenuto di poter trarre elementi indiziari e presuntivi, in ordine ai rapporti tra la madre della resistente ed il preteso padre, dalle dichiarazioni dei testi escussi, dalle quali era emersa la sussistenza di una relazione affettiva tra i due e la conseguente nascita della figlia (teste B.L. ), ovvero il fidanzamento tra la madre della resistente ed il ricorrente, la successiva gravidanza della donna e le discussioni che ne erano conseguite nella famiglia di S.R. (teste Fi.Ga. ). Per cui, anche sotto tale profilo, deve ritenersi insussistente la violazione del disposto degli artt. 269 e 2697 c.c., da parte del giudice di seconde cure.
2.4. Per quanto concerne, poi, il denunciato vizio di motivazione ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., va rilevato che lo S. si duole, nella sostanza, dell'omessa considerazione, da parte della Corte di Appello, del fatto che nessuna delle deposizioni testimoniali assunte in prime cure, in ordine alla sussistenza della relazione affettiva tra l'odierno ricorrente e la madre della resistente, aveva confermato la coincidenza temporale tra tale relazione e l'epoca del concepimento di F.L. , nonché dell'incongrua considerazione del contegno processuale tenuto dallo stesso S. , nel rifiutare di sottoporsi alle indagini ematologiche.
2.4.1. Orbene, va osservato, al riguardo, che l’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. - riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n. 134 del 2012 - introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne discende che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, co. 1, n. 6, e 369, co. 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. 8053 e 8054/2014; Cass. 25216/2014; 2498/2015).
2.4.2. Nel caso di specie, per contro, le censure dello S. si incentrano - come dianzi detto - esclusivamente sull'omessa, o addirittura insufficiente, considerazione delle risultanze istruttorie suindicate, per cui, anche sotto il profilo del vizio motivazionale, le censure devono considerarsi infondate.
2.3. Per tali ragioni, dunque, i motivi di ricorso in esame non possono che essere disattesi.
3. Il ricorso proposto da S.R. deve essere, di conseguenza, integralmente rigettato.
4. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13.