14.06.2004 free
CORTE di CASSAZIONE - Assistenza Primaria - (sul diritto ad essere indennizzati per prestazioni rese in favore di assistiti oltre il massimale; sulla necessita' di fornire, da parte del medico, la prova rigorosa anche della "utilitas" della prestazione)
Massima:
Il medico specialista che in regime di convenzione con una Azienda sanitaria, chieda ex articolo 2041 Cc l'indennizzo per prestazioni effettuate su pazienti eccedenti il limite numerico previsto dalla convenzione stessa, deve provare, oltre che la propria " diminuzione patrimoniale" e l'oggettivo vantaggio (in termini economici) per la controparte delle prestazioni rese, anche l'accertamento da parte della azienda pubblica della loro utilìtà, in termini di effettiva e concreta corrispondenza di dette prestazioni alle esigenze del servizio pubblico.(www.dirittosanitario.net)
sentenza n. 7640 del 10 dicembre 2003-21 aprile 2004
Svolgimento del processo
Con la sentenza di cui in epigrafe, e qui impugnata, il Tribunale di Cassino rigettava l'appello proposto dalla Regione Lazio avverso la sentenza del Pretore di Cassino resa il 2 novembre 1998. Aveva ritenuto il primo giudice il difetto di legittimazione passiva dell'Azienda Usl di Frosinone e aveva accolto la domanda proposta dal dott. ....contro la detta Regione, costituitasi in corso di primo grado a seguito di chiamata in causa da parte dell'Azienda, autorizzata dal Pretore, e diretta alla corresponsione, oltre accessori, del compenso relativo a soggetti assistiti in esubero rispetto al massimale.
Osservava, in sintesi, il Tribunale: l'articolo 2041 Cc era stato correttamente applicato dal Pretore sul presupposto che sussisteva sia l'utilizzazione della prestazione da parte della Pa, oggettivamente integrante il requisito dell'arricchimento in mancanza di manifestazione di volontà contraria della medesima amministrazione; per contro era la stessa Regione Lazio ad accettare le scelte degli assistiti in soprannumero così come a cancellare assistiti deceduti o trasferiti, con obbligo, nella specie non adempiuto, dì segnalare ai medici convenzionati, che volessero ricusarli, quelli che superavano il numero limite; né era necessaria la prova delle spese concretamente sostenute per ogni effettiva prestazione sanitaria in favore dell'assistito in soprannumero. Ricorre per cassazione la Regione Lazio affidandosi ad unico, articolato, motivo di censura. . .. si è costituito con controricorso. L'Azienda Usl di Frosinone non si è costituita.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo di ricorso la Regione Lazìo denunzia violazione e falsa applicazione dell'articolo 2041 Cc, in relazione agli articoli 7 del Dpr 30 agosto 198 l; 7 del Dpr 882/84; 12 del Dpr 289/87; 13 del Dpr 314/90, decreti tutti di approvazione dell'Accordo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell'articolo 48 della legge 833/78, e 2697 Cc in materia di onere della prova.
Si sostiene nel ricorso, in sintesi: avendo i medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale l'obbligo legislativamente espresso (norma transitoria n. 3 in riferimento al Dpr 13 agosto 198 1) di rientrare nei limiti del massimale dei loro assistiti in un periodo di poco oltre il biennio con graduali ricusazioni volontarie, tutte le argomentazioni del giudice di appello presupponenti carenze organizzative della Pa sulle comunicazioni degli aggiornamenti degli assistiti e sul consenso di fatto delle prestazioni oltre il massimale, non avevano rilevanza alcuna; né esisteva un principio generale di efficacia dei silenzio della Pa; i medici, peraltro, erano a conoscenza della modifica della consistenza dei propri assistiti, dovendo periodicamente comunicare, a richiesta, tale consistenza, sicché le prestazioni in soprannumero erano di fatto consapevoli e volontarie; l'azione di cui all'articolo 2041 Cc presupponeva deduzione, allegazione e prova dei fatti costitutivi della domanda, e cioè dell'arricchìmento di una parte e del correlativo depauperamento dell'altra; nella specie, nulla di tanto risultava agli atti.
Il ricorso è fondato. Va preliminarmente rilevato la inammissibilità dell'eccezione sollevata con il controricorso circa la mancata invocazione nel corso del giudizio dell'articolo 3 del Dpr 13 agosto 198 1, non essendo contemporaneamente indicato il fine della detta eccezione e quali fossero gli (eventuali) accertamenti di fatto da essa coinvolti.
L'azione di indebito arricchimento, esclusa in un primo tempo in dottrina nei confronti della Pa perché ciò avrebbe potuto comportare una indebita ingerenza nei riguardi delle interna corporis della amministrazione, è stata riconosciuta invece in giurisprudenza anche se a specifiche condizioni. La circostanza che l'azione in esame sia sovente esercitata in relazione a rapporti tra privati e la Pa che, pur dovendo assumere uno specifico contenuto o essere assistiti dalla forma scritta - richiesta per consentire i controlli da parte degli organi a ciò deputati e, più in generale, per esigenze di trasparenza e di buona funzionalità della Pa si svolgono in assenza dei presupposti (formali o sostanziali) legittimanti la prestazioni rese dal privato, ed ancora la considerazione, evidenziata da più parti, che l'azione di indebito arricchimento non possa essere invocata attraverso il principio della sua sussidiarietà per sottrarsi più o meno direttamente o tortuosamente all'applicazione delle leggi, hanno indotto la giurisprudenza di questa Corte a differenziare nell'ambito della generale azione ex articolo 2041 Cc i casi in cui la domanda viene azionata nei riguardi della Pa.
Ed invero, mentre in generale la comune azione di indebito arricchimento richiede come condizioni dell'azione (o come elementi integrativi della fattispecie) una diminuzione patrimoniale di una parte, cui fa riscontro un arricchimento, che risulta privo di una giusta causa, la necessità di esaminare il requisito dell'indebito arricchimento in un ottica non esclusivamente patrimonialistica per la natura degli interessi coinvolti, ha portato la giurisprudenza a scrutinare con particolare severità i requisiti legittimanti l'azione in esame.
Nella giurisprudenza è stato, così, affermato il principio, ormai in via di consolidamento e già patrocinato da autorevole dottrina amministrativistica secondo cui nell'arricchimento senza giusta causa, quando è parte nel giudizio la Pa, finisce per assumere un rìlievo aggiuntivo il riconoscimento della utilitas dell'opera o della prestazione per le quali viene chiesto l'indennizzo, sicché la domanda si incrementa di questo ulteriore elemento costitutivo (cfr. in motivazione Cassazione, Su, 4712/96 cui adde, in epoca più recente, Cassazione 4633/02; 4633/02; 9690/99). La Corte ritiene che un tale indirizzo dei giudici di legittimità (con le necessarie puntualizzazioni che si andranno ad esplicitare) debba stante la rilevanza degli interessi in gioco e l'esigenza di tutelare nel migliore dei modi la salute dei cittadini (articolo 32 Costituzione) essere seguito in tutte le fattispecie, come quella in esame, in cui si controverta sul diritto dei medici ad ottenere l'indennizzo ex articolo 2041 Cc per prestazioni sanitarie specialistiche che, pur non contemplate nel rapporto convenzionale, siano state ugualmente eseguite dal professionista.
E' giurisprudenza costante che il riconoscimento dell'utilitas dell'opera o dell'attività svolta dalla parte privata possa avvenire oltre che in modo esplicito, e cioè con un atto formale, anche come più spesso accade in modo implicito, e cioè con una concreta e materiale utilizzazione della cosa, dell'opera o della prestazione eseguita dal privato (cfr.in tali sensi tra le altre: Cassazione 1897/79, e tra le tante, in epoca meno risalente, Cassazione 1884/02 cit.; 9690/99 cit.). Il suddetto riconoscimento deve, però, concretizzarsi in un valutazione, cosciente e consapevole, seppure discrezionale della Pa (per Cassazione 9694/01 e 9690/99 cit. degli organi rappresentativi dell'ente), la quale è la sola legittimata ad esprimere il relativo giudizio, che presuppone come è stato osservato il ponderato apprezzamento circa la rispondenza diretta o indiretta della cosa o della prestazione al pubblico interesse.
Come è stato ancora puntualmente evidenziato sul punto, tale ponderato apprezzamento non può essere sostituito da un accertamento del giudice ordinario, il quale verrebbe indebitamente "a sovrapporsi alla valutazione della Pa circa l'utilità di un bene in senso lato in vista del raggiungimento dei suoi fini pubblici istituzionali" (cfr. in questi precisi termini: Cassazione 1884/02 cit.). Consegue da quanto sinora detto la necessità da parte del giudice ordinario chiamato a giudicare della fondatezza della domanda ex artìcolo 2041 Cc di procedere ad accertare in modo rigoroso che la Pa abbia valutato anche l'utilitas dell'opera o del servizio. Detto accertamento non può, ovviamente, concretizzarsi nel silenzio della amministrazione né in una sua condotta inerte o omissiva né può ritenersi insito nella natura stessa di una prestazione, in quanto oggettivamente necessaria o utile, perché l'esistenza di una utilità oggettiva della prestazione "è ontologicamente un requisito differente" dal riconoscimento di detta utilità, poiché quest'ultimo presuppone la prima, ma non si identifica con la stessa (cfr in tali termini: Cassazione 4633/02 cit.).
Per concludere, l'accertamento che si richiede per legittimare il diritto all'indennizzo ex articolo 2041 Cc richiede un riconoscimento o espresso o, anche, implicito, sempre che in quest'ultimo caso la condotta della Pa non si traduca nella mera presa d'atto dell'oggettivo vantaggio patrimoniale derivante dall'opera o dalla prestazione resa, ma comporti anche una valutazione della sua effettiva utilità che ne certifichi il ponderato apprezzamento circa la rispondenza, diretta o indiretta della cosa o della prestazione, al servizio pubblico. Detto accertamento, che funge da ulteriore elemento costitutivo del diritto all'indennizzo, va nel rispetto dei principi fissati dall'articolo 2697 Cc provato da colui che chiede il riconoscimento del suddetto diritto.
Alla luce delle argomentazioni svolte può dunque fissarsi il seguente principio di diritto " Il medico specialista che in regime di convenzione con una Azienda sanitaria, chieda ex articolo 2041 Cc l'indennizzo per prestazioni specialistiche rese al dì fuori dell'oggetto della convenzione stessa perché effettuate su pazienti eccedenti il limite numerico previsto dalla convenzione stessa, deve provare, oltre che la propria " diminuzione patrimoniale" e l'oggettivo vantaggio (in termini economici) per la controparte delle prestazionì rese, anche l'accertamento da parte della azienda pubblica della loro utilìtà, in termini di effettiva e concreta corrispondenza di dette prestazioni alle esigenze del servizio pubblico". Ne consegue che il ricorso della Regione Lazio, argomentato sostanzialmente nel rispetto dei principi sopra indicati, va, sul punto, accolto.
Né per andare in contrario avviso vale l'assunto del giudice di appello secondo cui il suddetto riconoscimento era insito nel comportamento della Regione e della Asl, che erano obbligate sulla base della legge e della convenzione a tenere gli elenchi degli iscritti con l'indicazione analitica delle competenze ed i relativi progetti di liquidazione. Circostanze fattuali, queste, che non concretizzano un cosciente e ponderato apprezzamento dell'utilitas delle prestazioni rese, atteso che il superamento da parte del medico del massimale imposto dalla convenzione sul logico presupposto di una incompatibilità tra una doverosa diligente (e personale) assistenza dei pazienti ed un alto numero degli stessi imponeva una valutazione sul concreto soddisfacimento pur in tale specifico contesto delle esigenze del servizio pubblico.
Accertamento che nel caso di specie risulta carente e che, comunque, il medico ricorrente, su cui gravava il relativo onere, non ha provato o chiesto dì provare. L'accoglimento del ricorso comporta, non essendo necessari ulteriori acc'ertamenti di fatto, la pronuncia della causa nel merito ai sensi dell'articolo 384 Cpc, e il rigetto della originaria domanda proposta con l'atto introduttivo del giudizio. Ragioni di equità giustificano la compensazione delle spese per l'intero processo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da ... con ricorso depositato il 30 dicembre 1993; dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell'intero processo.