28.01.2015 free
Corte di Cassazione – Civile (Farmacista: indennità di maternità e criteri di calcolo)
Il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste, con riferimento alla disciplina vigente anteriormente all'emanazione della L. n. 289 del 2003 e pur in considerazione della stessa, è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda; esso trova applicazione a prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l'attività professionale e anche quando il reddito conseguito abbia natura mista, professionale e di impresa.
La Cassazione non ha accolto la tesi dell’ENPAF, secondo cui ai fini della determinazione dell'indennità deve essere preso in considerazione soltanto il reddito derivante dall'attività autonoma di farmacista e non anche quelli di diversa natura, quale la partecipazione in società esercente attività di impresa.
Ha, invece, sostenuto che la utilizzazione, nella relazione alla proposta di legge di modifica del D. Lgs. n. 151 del 2001 art. 70, della locuzione "si intende chiarire" non si è tradotta nell'emanazione di una norma di espressa portata retroattiva, né di natura interpretativa della normativa preesistente. Si tratta di una disposizione modificativa, destinata a produrre i propri effetti per il tempo successivo alla sua entrata in vigore e proprio la circostanza che sia stata emanata una norma modificativa testimonia l'esistenza di un progresso diverso regime, che il legislatore ha inteso mutare.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, Sentenza del 7 novembre 2014, n. 23809
(Presidente Roselli – Relatore Napoletano)
La Corte di Appello di Catania, confermando la sentenza del Tribunale di Modica, accoglieva la domanda di A.M. - titolare di farmacia ed iscritta all'ordine dei farmacisti -- proposta nei confronti dell'ENPAF avente ad oggetto la condanna del predetto ente, a cui era iscritta, al pagamento delle differenze per indennità di maternità ai sensi della L. n. 379 del 1990, art. 1, comma 2, rispetto a quanto erogatole in applicazione del comma 3 del medesimo articolo.
I giudici di appello ritenevano che il dato testuale non permetteva di desumere una differenziazione a seconda delle forme in cui era stata svolta l'attività professionale, considerato che anche il reddito d'impresa era soggetto al prelievo fiscale e doveva intendersi come reddito ai fini fiscali; inoltre l'interpretazione accolta risultava coerente con la ratio della legge, di tutela della maternità per le libere professioniste.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale 1 ENPAF ricorre in cassazione sulla base di due motivi cui resiste la parte intimata.
Motivi della decisione
Con il primo motivo l'Istituto deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 379 del 1990, art. 1, commi 2 e 3, come sostituito dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
Allega in proposito che questa Corte con sentenza n. 12260/05 modificando il precedente orientamento, su cui si fonda la sentenza della Corte di Appello, ha ritenuto, richiamando anche quale parametro interpretativo il disposto della L. n. 289 del 2003 art. 1, che, ai fini della determinazione dell'indennità, deve essere preso in considerazione soltanto il reddito derivante dall'attività autonoma di farmacista e non già, quindi, anche quelli di diversa natura, quale quello di partecipazione in società esercente attività di impresa.
La censura è infondata.
Questa Corte, infatti, con riferimento alla disciplina (che qui specificamente rileva) vigente anteriormente all'emanazione della L. n. 289 del 2003, è nuovamente intervenuta, dopo la sentenza n. 12260/2005 di rottura con il precedente orientamento di cui alle sentenze nn. 5221/91, 15222/2000 e 15301/2001, riaffermando il principio che il criterio di determinazione dell'indennità di maternità spettante alle libere professioniste, che, a norma dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 379 del 1990 (come sostituito dall'art. 70 del DLgs 151/01), è basato sul riferimento al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda, trova applicazione, nella vigenza di tale norma e pur in considerazione della Legge n. 289 del 2003, a prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l'attività professionale e anche quando il reddito conseguito abbia natura mista, professionale e di impresa,(sent.nn. 11935/08; 17652/09;12528/09; 13725/2010 e 29069/11).
A tale ultimo orientamento questo Collegio intende dare continuità giuridica per la condivisibilità del rilievo che il diverso indirizzo segnato da Cass. n. 12260/2005 non tiene conto che la utilizzazione, nella relazione alla proposta di legge di modifica del D.Lgs. n. 151 del 2001 art. 70, della locuzione "si intende chiarire" non si è tradotto nell'emanazione di una norma di espressa portata retroattiva, né di natura interpretativa della normativa preesistente e che, invece, è stata emanata una disposizione modificativa, destinata a produrre i propri effetti, secondo i principi generali, per il tempo successivo alla sua entrata in vigore e che proprio la circostanza che sia stata emanata una norma modificativa testimonia l'esistenza di un progresso diverso regime, che il legislatore ha inteso mutare.
Con la seconda censura l'Istituto ricorrente propone eccezione di illegittimità costituzionale della L. n. 379 del 1990, art. 1, come sostituito dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 70, nell'interpretazione seguita dalla Corte territoriale, per preteso contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., assumendo che si verificherebbe una evidente disparità di trattamento tra le farmaciste libere professioniste e coloro che sono percettrici di un reddito di impresa.
Su tale eccezione questa Corte, con la citata sentenza n. 11935/08, già si è pronunciata affermando, con argomentazione pienamente condivisa dal Collegio, che a fronte della interpretazione accolta dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 379 del 1990 (come sostituito dall'art. 70 del DLgs 151/01) non è giustificatamente prospettabile, e la violazione del principio costituzionale di uguaglianza, attesa la ratio legis di consentire alla professionista di dedicarsi con serenità alla maternità, prevenendo che a questa si colleghi uno stato di bisogno o una diminuzione del tenore di vita (v. Corte Cost. n. 3 del 1998), e la violazione dell'art. 38 Cost., a causa dello squilibrio che potrebbe verificarsi tra erogazioni previdenziali e contributi, ove siano ammissibili indennità di ammontare particolarmente elevato, posto che l'art. 5 della legge n. 379 del 1990 consente l'eventuale aumento, con decreto, del contributo annuale in misura fissa ivi previsto, al fine di assicurare l'equilibrio delle gestioni ed infine che gli enti previdenziali dei liberi professionisti possono deliberare la ridefinizione dei contributi ai fini del trattamento di maternità ( su cui da ultimo V., nello stesso senso, Cass. 29069/11 cit.).
Sulla base delle esposte considerazioni in conclusione il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in E 100,00 pere esborso oltre E. 3000,00 per compensi ed accessori di legge.