24.05.2004 free
TRIBUNALE di TIVOLI - Dirigenza Medica (sulla illegittimita' del mutamento della sede di destinazione, adottato unilateralmente dalla PA; sulla irrilevanza del comportamento concludente del lavoratore; sulla distinzione tra atti presupposti ed atti di gestione)
§ - La sede di destinazione, rappresenta uno degli elementi che deve fare necessariamente parte del contenuto del contratto di assunzione; ogni suo mutamento, pertanto, deve essere concordato dalle parti così come previsto dalla disciplina generale del codice civile in materia di contratti ed espressamente stabilito dall'art. 13 - Accordo 08.06.2000 sulla dirigenza medica.
L'atto gestionale di natura negoziale, non essendo dotato di imperatività, è inidoneo a spiegare l'effetto degradatorio dei diritti del lavoratore derivanti dalla legge o dal contratto: pertanto la posizione del dirigente destinatario dell'incarico non è di interesse legittimo bensì di diritto soggettivo pieno.
§ - Non puo' ravvisarsi accettazione per " facta concludentia " nella condotta del dipendente che esegue una disposizione del datore di lavoro ancorché ritenuta illegittima, successivamente impugnata, per ottenerne la caducazione. (www.dirittosanitario.net)
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 4/4/03 e ritualmente notificato alla controparte, S.A. adiva questo giudice deducendo di essere dirigente dell' Asl Rm g e di avere ricevuto, in data 2/7/01, l'incarico quinquennale di dirigente medico di II livello presso il presidio ospedaliero di Palestrina Zagarolo. Affermava che, trascorsi pochi giorni dalla stipula del relativo contratto, gli era stata comunicata l'assegnazione presso il presidio ospedaliero di Tivoli, da lui espressamente accettata.
Esponeva che successivamente, in forza di determinazione unilaterale dell’Azienda, era stato nuovamente assegnato al presidio ospedaliero di Palestrina/Zagarolo.
Sosteneva che tale ultima decisione era illegittima perché adottata senza il suo esplicito consenso e che l'Asl resistente non aveva il potere di modificare unilateralmente una clausola contrattuale.
Rilevava che l'assegnazione impugnata gli cagionava anche un danno all'immagine professionale considerato che l'incarico da ultimo affidato gli era meno prestigioso dell'altro cui riteneva di avere diritto. In forza di tali premesse chiedeva che venisse dichiarata l'inefficacia e l'illegittimità del provvedimento di assegnazione al p.o. di Palestrina/Zagarolo e per l'effetto che venisse dichiarato il suo diritto all'assegnazione al p.o. di Tivoli; chiedeva, inoltre, la condanna della resistente al risarcimento del danno da liquidarsi in via equitativa in €. 17.000, vinte le spese di lite.
Si costituiva l'Asl Rm G che impugnava la domanda. Affermava, in particolare, la carenza di giurisdizione del giudice ordinario e la non integrità del contraddittorio per non essere stato chiamato in giudizio il dirigente al quale era stato assegnato l'incarico presso il p.o. di Tivoli. Riteneva di avere agito legittimamente nell'esercizio del proprio diritto di autoorganizzarsi e sosteneva che nessuna norma consente al dirigente di stabilire la propria sede di destinazione. Sosteneva che il ricorrente aveva fatto acquiescenza al provvedimento e contestava, comunque, la sussistenza di danni risarcibili. Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda con vittoria delle spese di lite. Il 2/3/04 le parti discutevano la causa che veniva decisa come da separato dispositivo letto in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata nei limiti di seguito precisati. Preliminarmente deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario. Sostiene la resistente che l'oggetto effettivo del giudizio è l'impugnativa di un atto amministrativo. Tale rilievo non è condivisibile. Non vi è dubbio che anche dopo la privatizzazione del rapporto di pubblico impiego vi siano ancora atti amministrativi dal punto di vista formale e funzionale che incidano sul rapporto di lavoro.
Tuttavia, come è noto, la giurisdizione si determina sulla base della domanda e, ai fini del suo riparto tra giudice ordinario e amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto "petitum" sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della "causa petendi", ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui essi sono manifestazione e dal quale la domanda viene identificata.
Nel nuovo sistema di riparto della giurisdizione sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative alla disciplina del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, poiché il legislatore ha inteso concentrare la competenza presso un unico giudice al fine di assicurare l'applicazione di una disciplina tendenzialmente omogenea ai lavoratori pubblici e a quelli privati, avendo riguardo alla consistenza di diritto soggettivo delle situazioni giuridiche del dipendente inerenti al rapporto e alla facoltà del giudice ordinario di disapplicare tanto gli atti amministrativi presupposti quanto gli atti di organizzazione e gestione del lavoro eventualmente coinvolti dalla controversia. Pertanto allorquando la domanda introduttiva del giudizio si fondi su un petitum sostanziale riconducibile al rapporto di lavoro, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, non rilevando in contrario che la prospettazione della parte sia rivolta anche contro atti prodromici, come é fatto palese dal disposto dell'art. 68 del d.lgs. n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall'art. 29 del d.lgs. n. 80 del 1998 (ora trasfuso nell'art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001), che prevede la giurisdizione ordinaria ancorché "vengano in questione atti amministrativi presupposti", e in considerazione della circostanza che non sussiste alcuna vis attractiva della giurisdizione amministrativa a cagione di questo nesso di presupposizione, atteso che la giurisdizione é inderogabile per ragioni di connessione e che il coordinamento tra le giurisdizioni su rapporti diversi ma interdipendenti può trovare soluzione secondo le regole della sospensione del procedimento pregiudicato.
In questa prospettiva risulta preferibile operare un logico distinguo secondo il quale solo in relazione ai poteri di gestione singolare o collettiva dei rapporti di lavoro è possibile parlare di veri e propri poteri datoriali di matrice privatistica, mentre gli atti organizzativi presupposti dovrebbero avere ancora natura di atti amministrativi. La giurisprudenza che si sta formando appare decisamente orientata nel qualificare come atti privatistici le determinazioni gestionali del datore pubblico privatizzato (Cass. 7/4/99 n. 3373 ss.uu. 5/12/00 n. 1251 e 19/1101 n. 10167; Trib. Genova 19/8/99 Trib. Roma 2/7/99 Consiglio di Stato, sez. V, n. 6750 del 30 ottobre 2003 e da ultimo Cass. ss. uu. ord. 3508 del 7 marzo 2003 (pres. Delli Priscoli; rd. Evangelista) che ha affermato appartenere al giudice ordinario la controversia concernente l'assegnazione di un lavoratore dipendente della Regione alla locale Azienda forestale, trattandosi di atto di esercizio dei poteri direttivi del datore di lavoro attinente ad un rapporto di impiego pubblico contrattualizzato, nella specie successivo alla data del 30 giugno 1998 e quindi sottratto alla disciplina transitoria di cui al d.lgs. n. 165 del 2001). Diventa, pertanto, questione dirimente distinguere in concreto gli atti presupposti dagli atti di gestione.
La migliore dottrina in sintonia anche con la Corte Costituzionale (sent. 16/10/97) sostiene che ciò che resta affidato alla potestà amministrativa è solamente l'organizzazione nel suo nucleo essenziale mentre il rapporto di lavoro dei dipendenti viene attratto nell'orbita della disciplina civilistica per tutti quegli aspetti che non sono connessi al momento esclusivamente pubblico dell' azione amministrativa. E dunque possono considerarsi atti amministrativi solo quelli che definiscono le linee fondamentali di organizzazione nelle materie elencate all'art. 2 c. 1 d.lgs n. 29 del 1993 e cioè quelli che definiscono in via generale l'organizzazione degli uffici, individuano gli uffici di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi o determinano le dotazioni organiche degli uffici.
Venendo alla fattispecie in esame si deve affermare che il provvedimento dal quale scaturisce il giudizio costituisce un tipico atto negoziale di gestione del rapporto, disponendo la delibera impugnata l’assegnazione del ricorrente ad un p.o. diverso da quello cui era stato inizialmente destinato e, quindi, modificando un aspetto concreto delle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Affermata la giurisdizione del giudice ordinario deve osservarsi che non appare fondata la questione di non integrità del contraddittorio per non essere stato chiamato in causa il dirigente medico attualmente titolare di incarico dirigenziale presso il p.o. di Tivoli: il predetto dirigente, infatti, è estraneo al provvedimento impugnato e la sentenza non produrrà effetti nella sua sfera giuridica.
Venendo al merito della questione deve rilevarsi innanzitutto che l'esame delle fonti normative che disciplinano il rapporto di lavoro del dirigente medico, porta ad affermare con certezza la natura strettamente e necessariamente contrattuale delle vicende inerenti gli incarichi dirigenziali. Tanto si desume dalla disciplina degli incarichi di funzioni dirigenziali dettata dagli artt. 15, c. 2, e 15 ter del d.lgs n. 502/92 e dalla contrattazione collettiva cui il d.lgs rinvia. L'art. 13 del ccnl applicabile alla fattispecie, nella parte relativa alla costituzione del rapporto, infatti, prevede che: l'assunzione con la quale si costituisce il rapporto di lavoro del dirigente avviene mediante la stipula del contratto individuale. Il contratto individuale che è regolato da disposizioni di legge, normative comunitarie e dal presente contratto richiede la forma scritta.
La norma collettiva poi elenca il contenuto minimo del contratto e tale elencazione conferma la natura interamente contrattuale del rapporto che si instaura con il dirigente medico atteso che deve essere oggetto di accordo ogni aspetto dell'incarico dirigenziale come la durata, la tipologia (tempo indeterminato o determinato), il contenuto programmatico dell'incarico, il trattamento economico, la durata del periodo di prova e la sede di destinazione. In applicazione di questa disciplina nel caso in esame il rapporto in oggetto si è costituito esclusivamente con la stipula del contratto tra l'Asl ed il ricorrente, risultato vincitore dell'avviso pubblico.
Affermata la natura contrattuale del rapporto ne consegue che le parti sono poste su un piano di parità e che ciò che è stato stabilito per accordo può essere modificato solo per un nuovo accordo delle stesse parti, salvo che non sia prevista dalla legge o dal contratto stesso la possibilità di modifiche unilaterali. E' questo un principio generale in materia di contratto, giusta la previsione dell'art. 1374 c.c. per il quale il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo legge. Nel caso in esame la contrattazione collettiva prevede, ad esempio, come avviene per il rapporto di lavoro dei dirigenti anche in altri ambiti, la revoca per la valutazione negativa dell'operato. La possibilità di mutare unilateralmente l'oggetto del contratto deriva, in questo caso, da una volontà espressa della legge la revoca si presenta, allora, come una sorta di integrazione del contratto prevista dal medesimo legislatore. L'individuazione della natura pattizia o negoziale dell'atto di conferimento degli incarichi dirigenziali, spiega rilevanti effetti sotto il profilo sostanziale e processuale.
Innanzitutto vi è, come già evidenziato, l'impossibilità della parte datoriale pubblica di modificare unilateralmente il contenuto dell'accordo prima della sua scadenza naturale, se non nei casi innanzi delineati. In secondo luogo, dalla natura negoziale dell'atto consegue che il sindacato del giudice ordinario deve essere operato non alla stregua dei parametri di legittimità (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) ma alla luce dei vizi propri della patologia negoziale (nullità, annullabilità, inesistenza, risolubilità) derivanti dalla violazione delle norme di legge e delle clausole contrattuali che regolano l'azione privatistica della p.a. datrice di lavoro, ovvero alla luce della violazione del principio di correttezza e buona fede.
L'atto gestionale di natura negoziale, non essendo dotato di imperatività, è altresì inidoneo a spiegare l'effetto degradatorio dei diritti del lavoratore derivanti dalla legge o dal contratto: pertanto la posizione del dirigente destinatario dell'incarico non è di interesse legittimo bensì di diritto soggettivo pieno. I principi ora affermati trovano una espressa conferma proprio nell'accordo collettivo applicabile il quale, nel già citato art. 13, al penultimo comma stabilisce che nel corso del rapporto di lavoro, la modifica di uno degli aspetti del contratto individuale è preventivamente comunicata al dirigente per il relativo esplicito assenso. E' evidente che ove non fosse stato ritenuto necessario il reciproco consenso per le modifiche contrattuali la norma avrebbe previsto la sola comunicazione al dirigente del mutamento e non certo "l'esplicito assenso". Tanto premesso e venendo alla fattispecie in esame si osserva che con atto unilaterale l'Asl resistente ha disposto l'assegnazione del ricorrente, cui era stato affidato l'incarico presso il p.o. di Tivoli, al p.o. di Palestrina/Zagarolo. Tale provvedimento, per i motivi prima espressi, è illegittimo poiché non appartiene alla resistente il potere di modificare senza il consenso dell'interessato la sede di destinazione del dirigente.
La sede di destinazione, infatti, è uno degli elementi che deve fare necessariamente parte del contenuto del contratto di assunzione e, quindi, ogni suo mutamento deve essere concordato dalle parti così come previsto dalla disciplina generale del codice civile in materia di contratti ed espressamente stabilito dall'art. 13 della contrattazione collettiva. Va dichiarato, pertanto, il diritto del ricorrente al ripristino della situazione originaria così come prevista dal contratto sottoscritto e, quindi, il diritto ad essere assegnato come dirigente medico di II livello presso il p.o. di Tivoli. Si osserva, infine, che non può in alcun modo ritenersi che il ricorrente abbia prestato la propria adesione al provvedimento mediante comportamento concludente. Ed invero alcuna manifestazione di volontà può ravvisarsi nella condotta del dipendente che esegue una disposizione del datore di lavoro ancorché ritenuta illegittima e successivamente l'impugna per ottenerne la caducazione. In ragione di quanto premesso ed affermata l'illegittimità della condotta dell' Asl RM G va ordinato a quest'ultima di assegnare il ricorrente come dirigente medico di II livello al presidio ospedaliero di Tivoli. Deve, infine, essere respinta la richiesta di risarcimento del danno. La stessa, invero, è stata formulata in modo generico posto che il ricorrente si è limitato ad affermare laconicamente che l'illegittima destinazione a sede diversa produce danni all'immagine professionale in quanto l'incarico affidato sarebbe meno prestigioso di quello sottrattogli.
In cosa si sia sostanziato questo danno all'immagine, però, non viene dedotto né tanto meno provato; anche su questo punto, intatti, il ricorrente rileva solo che il p.o. di Tivoli sarebbe il "maggiore" ospedale dell'Azienda. Le scarne le deduzioni di fatto, l'assenza di ogni principio di prova e la assolutamente immotivata quantificazione delle somme conducono al rigetto della domanda di risarcimento del danno. Le spese di lite, liquidate in dispositivo e da distrarre, seguono la soccombenza. Sentenza esecutiva per legge.
P.Q.M.
Il Giudice del lavoro definitivamente pronunciando nella controversia tra le parti in epigrafe cosi provvede: 1) ordina all'Asl Rm G di riassegnare il ricorrente all'incarico dirigenziale presso il presidio ospedaliero di Tivoli;
2) rigetta la domanda di risarcimento del danno;
3) condanna l'Asl resistente al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi €. 1.490 di cui €. 700 per diritti, oltre IVA e CPA, con distrazione in favore del procuratore costituito dichiaratosi anticipatario.
Tivoli, 2/3/04 Il Giudice