03.06.2014 free
Studi di settore in farmacia. Quando è legittimo l’accertamento tributario dell’Agenzia delle Entrate
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) Campania, nel 2012, ribaltando la decisione del giudice tributario di primo grado, ha ritenuto corretto l’accertamento effettuato dalla Agenzia delle Entrate sulla base del concreto dimensionamento della farmacia e del fatturato composto prevalentemente di prodotti destinati a maggiore ricarico rispetto a quello medio.
La Corte di Cassazione chiamata a decidere la questione, ha osservato che l'accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è "ex lege" determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sè considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell'accertamento. In tale sede, questi ha l'onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello "standard" prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate.
L'esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli "standards" al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli "standards", dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito.
La Suprema Corte ha ritenuto poter confermare il ragionamento seguito dal giudice d’appello (CTR), laddove ha affermato che l'accertamento non si fondava sul mero scostamento fra valore dichiarato e parametri previsti dagli studi di settore. Esaminando la particolare situazione patrimoniale della farmacia, la sua collocazione all'interno di un immobile di significative dimensioni, il numero di persone che prestava attività lavorativa, l'importo del costo del venduto e dei ricavi dichiarato, poteva derivarsi innanzitutto, anzitutto, la corretta collocazione dell'esercizio farmaceutico nella fascia prevista dagli studi di settore.
A ciò la CTR ha aggiunto la circostanza che proprio lo specifico settore nel quale operava la farmacia, prioritariamente collocata nella vendita di prodotti per i quali vi era un ricarico maggiore rispetto a quello dei farmaci dispensati dal servizio sanitario nazionale, rendeva legittimo il rilevato scostamento fra la percentuale media di ricarico applicata dalla contribuente, pari al 27 %, a fronte di quella ritenuta dall'ufficio - pari al 35 %- peraltro considerando che la media di settore oscillava fra il 35 ed il 60 %.
Esito del giudizio
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate
[Avv. Rodolfo Pacifico – www.dirittosanitario.net]
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