22.03.2004 free
TAR LAZIO I sez.bis - Medici specialisti e Borse di studio (Vanno estesi , al servizio prestato dai medici durante i corsi specializzazione, in anni precedenti alla emanazione del decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, tutti gli effetti previsti dalla suddetta legge, previa disapplicazione degli illegittimi limiti posti da tale normativa)
Il TAR del Lazio , nel ribadire le considerazioni, in precedenza già propugnate (cfr.T.A.R. Lazio,
sez. I-bis, 16 aprile 1993 n. 601 25 febbraio 1994 n. 279) - riconosce l’estensione, in favore dei
medici iscritti ai corsi di specializzazione, precedentemente al 1991, di tutti gli effetti derivanti dalla
normativa statale di adeguamento sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie in
tema, sempre che ricorrano le condizioni richieste per la concessione dei benefici ivi previsti.
(www.dirittosanitario.net)
SENTENZA N. 2506/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
- Sezione I-bis -
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso n. 12440 del 1992, proposto da ........ contro - il Ministero della Sanità, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliato, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; - il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, in persona del Ministro p.t., n.c.; - il Ministero del Tesoro, in persona del Ministro p.t., n.c.; per il riconoscimento
del servizio prestato dai ricorrenti, in anni precedenti alla emanazione del decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, come servizio del tutto conforme alle direttive comunitarie in materia e, pertanto, per la estensione di tutti gli effetti previsti dalla suddetta legge 8 agosto 1991 n. 257 e dalla normativa esecutiva, in disapplicazione degli illegittimi limiti posti da tale normativa; Visto il ricorso con la relativa documentazione; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Sanità; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 9 febbraio 2004 il Referendario Antonella MANGIA; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Espongono i ricorrenti – tutti quanti medici, iscritti nelle varie scuole di specializzazione medico-chirurgiche in anni precedenti alla normativa di cui al d.lgs. 8.8.1991 n. 257 – che: nel 1975 sono state emanate dal Consiglio della CEE due direttive (n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE), poi modificate dalla direttiva n. 82/76/CEE, con le quali sono state dettate alcune norme per uniformare in ambito comunitario il processo di formazione dei medici specialisti; tali direttive sono rimaste inadempiute dallo Stato italiano per anni e tali inadempienza è stata anche oggetto di una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea; in seguito al D.P.R. n. 162/1982, si è provveduto quantomeno ad una disciplina omogenea ed uniforme delle modalità di accesso alle scuole di specializzazione; con la legge delega 29.12.1990 n. 428, finalmente il Governo è stato delegato ad emanare decreti legislativi per l’attuazione della normativa comunitaria; è stato così emanato il d.lgs. 8.8.1991 n. 257. Secondo tale decreto, i medici specializzandi svolgono attività a tempo pieno, incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro e partecipano a tutte le attività del servizio medico. Necessari corollari di questo rapporto sono la necessità di una remunerazione (prevista sotto forma di borsa di studio) e la valutabilità del servizio prestato durante la specializzazione come titolo di carriera in sede di concorso pubblico presso il Servizio Sanitario Nazionale.
Ciò premesso, i ricorrenti lamentano che detto decreto dispone la sua applicazione a decorrere dall’anno accademico 1991/1992 e che il successivo D.M.17.12.1991, adottato in virtù di una previsione riportata nel d.lgs., estende la normativa comunitaria ai soli nuovi iscritti nel 1991, creando una stridente disparità di trattamento fra quest’ultimi e gli specializzandi ancora in corso nell’anno accademico 1991/92 ma iscritti ad anni successivi ovvero coloro che si sono specializzati in epoche precedenti, con corsi di studio sostanzialmente conformi alla normativa comunitaria.
Ritenendo illegittima tale discriminazione, i ricorrenti chiedono l’estensione dei benefici previsti dalla normativa di adeguamento anche agli altri specialisti e specializzandi; a tal fine deducono i seguenti motivi di diritto: Violazione del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, in particolare dell’art. 8, in relazione anche ai criteri generali e specifici della legge delega 29 dicembre 1990, n. 428. Con tale motivo di illegittimità, avanzato solo dai ricorrenti ancora in corso, ossia dagli specializzandi, si dà evidenza che il d.lgs. non pone distinzione tra gli iscritti al 1° anno e gli iscritti agli anni successivi, sicchè la normativa di esecuzione ha introdotto un’illegittima disparità di trattamento. Illegittimità della normativa statale di adeguamento, per violazione delle direttive comunitarie nn. 75/362, 75/363, 82/76/CEE – conseguente disapplicazione. Le direttive comunitarie devono considerarsi immediatamente applicabili in quanto già sufficientemente precise e non condizionate dall’emanazione di una disciplina esecutiva degli Stati membri. Avendo tutti i ricorrenti svolto un’attività conforme alle condizioni richieste dalle direttive, essi debbono vedersi riconosciuto il servizio a tutti gli effetti previsti dal decreto legislativo, pena l’illegittimità e, dunque, la disapplicazione di quest’ultimo.
Concludono i ricorrenti insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente estensione ad essi degli effetti derivanti dalla normativa statale di adeguamento sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie.
L’Amministrazione intimata si è costituita resistendo. In particolare, con memoria depositata in data 21 marzo 2001, ha fatto presente quanto segue: - il nuovo ordinamento è applicabile solo nei confronti degli ammessi al primo anno di corso nell’anno accademico 1991/92; - non può essere esteso agli specializzandi iscritti agli anni successivi perché per quest’ultimi era vigente la precedente normativa; - il Governo italiano sarebbe inadempiente nei confronti della CEE se applicasse la riforma non per l’interezza del corso di specializzazione ma solo ad una parte residua; - la spesa che poi ne deriverebbe sarebbe priva della necessaria copertura.
Con memoria depositata in data 7.1.94, i ricorrenti hanno reiterato le pretese già avanzate, deducendo sostanzialmente i medesimi motivi di diritto. Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 9 febbraio 2004.
Diritto
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
1.1. I ricorrenti lamentano la violazione del D.Lgs. n. 257/91 per mezzo dell’adozione del D.M. 17 dicembre 1991, che ha previsto l’applicazione della normativa comunitaria ai soli nuovi iscritti alle scuole di specializzazione nel 1991, nonchè l’illegittimità della normativa statale di adeguamento per violazione delle direttive del Consiglio della C.E.E. n. 75/362 , n. 75/363 e n. 82/76, recanti la disciplina comunitaria in materia di corsi per il conseguimento dei titoli di medico specialista. In base a quanto dedotto nel ricorso, queste ultime disposizioni sarebbero di immediata applicazione in quanto già sufficientemente precise e non condizionate dall’emanazione di una disciplina esecutiva degli Stati membri e, dunque, fonte giuridica diretta di posizioni di diritto e/o interesse legittimo in capo ai singoli cittadini; conseguentemente, qualsiasi inadempimento di uno Stato membro nell’applicazione di tali direttive non può ritorcersi a danno dei singoli, per escluderli dal beneficio di una nuova normativa, emanata tardivamente.
1.2. Secondo la normativa comunitaria, le specializzazioni mediche possono essere conseguite a seguito di corsi che richiedono allo specializzando un impegno a tempo pieno; per tale motivo, il medico deve ricevere per la durata del corso una adeguata remunerazione.
Il D.Lgs. n. 257 del 1991 si è uniformato ai principi anzidetti, provvedendo anche a disporre il divieto di esercitare l'attività libero professionale esterna e prevedendo che il titolo conseguito secondo il nuovo ordinamento dovrà essere oggetto di autonoma valutazione con assegnazione di specifico punteggio in sede concorsuale. Il citato decreto legislativo ha però anche disposto, all'art. 8, II comma, che le disposizioni attuative della normativa comunitaria avrebbero ricevuto applicazione a decorrere dall'anno accademico 1991/92: escludendo quindi dal nuovo e più favorevole regime i medici ammessi alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti, i quali pertanto avrebbero dovuto proseguire i corsi intrapresi secondo il vecchio ordinamento e conseguire un titolo di minor valore rispetto a quello riservato agli specializzandi di nuova ammissione alle scuole.
1.3. Come posto in evidenza, il D.Lgs. 257 del 1991 ha dato attuazione alla disciplina comunitaria delle specializzazioni mediche soltanto a partire dall'anno accademico 1991/92, lasciando sopravvivere il precedente regime per le specializzazioni già in corso. Ne costituisce prova, oltre il dato di fatto che nessuna borsa di studio è stata assegnata agli specializzandi ammessi negli anni accademici precedenti, il costante collegamento del diritto alla borsa di studio alla «ammissione» alle scuole (art. 6, I comma; art. 3, I comma; art. 2, IV comma), come procedimento collocato all'inizio di tutti i corsi, e non confondibile con il passaggio all'anno successivo del medesimo corso.
Tale dato trova poi riscontro nell'art. 3, II e III comma, del D.M. 17 dicembre 1991, secondo cui i posti e le relative borse di studio sono assegnati «utilizzando le graduatorie dei concorsi per l'ammissione». L'esame delle direttive della cui attuazione si discute (n. 75/363 e n. 82/76) conduce alla conclusione che l'autorità comunitaria ha inteso dettare una disciplina omogenea per le specializzazioni mediche che si sarebbero conseguite presso i diversi ordinamenti, senza lasciare margini discrezionali per differenziare tra corsi già iniziati e quelli di futura attivazione. Tanto la direttiva 75/363 quanto la successiva 82/76, infatti, enunciano discipline di carattere transitorio dalle quali si evince che – ferma restando l'obbligatorietà del regime generale dei corsi a tempo pieno retribuito, indipendentemente dall'anno di corso che lo specializzando si trovi a frequentare al momento in cui viene attuata la direttiva – gli Stati possono autorizzare la formazione specialistica a tempo ridotto in casi ed a condizioni precisamente individuate.
Tale era il senso dell'art. 3, I comma, della direttiva n. 75/363, nella sua formulazione originaria, che subordinava l'autorizzazione al tempo parziale alla sussistenza di «giustificati motivi», e del successivo II comma, a norma del quale l'autorizzazione al tempo ridotto non avrebbe dovuto compromettere il livello della formazione. Il significato normativo delle due disposizioni emerge con maggior chiarezza dal testo sostituito con l'art. 10 della direttiva n. 82/76, a norma del quale l'autorizzazione alla formazione a tempo ridotto può essere concessa «per casi singoli giustificati». Analogamente, l'art. 7, I comma, della stessa direttiva, nel testo modificato dall'art. 12 della direttiva 82/76, ammette che la formazione specialistica a tempo ridotto possa essere conservata per i medici che abbiano iniziato i corsi «al più tardi il 31 dicembre 1983», ma il comma successivo precisa che “ciascuno Stato membro è autorizzato ad esigere dai beneficiari della deroga di cui al primo comma che i loro diplomi certificati e altri titoli siano accompagnati da un attestato che essi si sono dedicati effettivamente e lecitamente, a titolo di medici specialisti, all'attività in questione durante almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni precedenti il rilascio dell'attestato”.
Si tratta, come è evidente, di disposizioni tutte che configurano il tempo ridotto non retribuito come una ipotesi eccezionale, ammissibile solo su richiesta e nell'interesse del singolo medico, il quale si trovi nelle condizioni, obiettivamente accertate, di non poter seguire il regime generale dei corsi, che è quello del tempo pieno retribuito.
L'adozione di una apposita normativa, destinata a circoscrivere, nel modo anzidetto, le fattispecie nelle quali i singoli Stati possono consentire le «deroghe» al nuovo ordinamento, senza minimamente adombrare la facoltà di escludere autoritativamente dallo stesso i medici ammessi alle scuole negli anni precedenti la notificazione o l'attuazione della direttive, impone di affermare che il D.Lgs. n. 257 del 1991, riservando l'applicazione dell'ordinamento comunitario ai soli medici ammessi alle scuole di specializzazione nell'anno accademico 1991/92, si pone in contrasto con le direttive invocate, ed è pertanto illegittimo, come pure illegittimi risultano i decreti ministeriali che al Decreto in questione hanno dato esecuzione (cfr. C.d.S., Sez. IV, sent. n. 4442 del 10 agosto 2000).
1.4. L’esposta conclusione non incontra ostacoli nella circostanza che il decreto legislativo, in quanto atto con forza di legge, deve essere applicato dal giudice, salva la facoltà di sospendere il giudizio e di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità delle norme di dubbia conformità alla costituzione. Con sentenza n. 170 del 1984 la Corte Costituzionale ha, come è noto, enunciato il principio fondamentale (ispirato alla dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici) secondo cui i due ordinamenti, comunitario e statale, sono «distinti e al tempo stesso coordinati» (secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dai trattati istitutivi) e le norme del primo vengono, in forza dell'art. 11 Cost., a ricevere «diretta applicazione» in quest'ultimo, pur rimanendo estranee al sistema delle fonti statali.
L'effetto di tale diretta applicazione – ha puntualizzato la Corte – non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest'ultima da parte del giudice nazionale del caso di specie, oggetto della sua cognizione, che pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario. I ricordati principi, affermati nella sent. n. 170 del 1984 a proposito dei regolamenti comunitari, dei quali era più chiara la connotazione di fonti immediatamente applicabili, sono stati poi confermati con successive pronunce ed estesi a altri atti comunitari. Con sentenza n. 113 del 1985 è stata ritenuta la diretta applicabilità delle sentenze interpretative rese dalla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177 del Trattato, e con la successiva pronunzia n. 389 del 1989 analoga efficacia è stata riconosciuta alle sentenze della stessa Corte in sede contenziosa ai sensi dell'art. 169 del Trattato.
Questo sviluppo coerente della giurisprudenza costituzionale ha infine toccato le direttive comunitarie, considerate dalla sent. n. 64 del 1990 e – più ampiamente – dalla sent. n. 168 del 1991. In quest'ultima occasione la Corte ha ritenuto di precisare che dall'autonomia del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale discende che le condizioni per la diretta applicabilità delle fonti comunitarie negli ordinamenti degli Stati membri vanno verificate facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, come l'organo cui compete istituzionalmente l'interpretazione del Trattato.
Ed è la stessa Corte costituzionale a ricordare che la Corte del Lussemburgo « … interpretando l'art. 189 del Trattato di Roma sul carattere vincolante delle direttive per gli Stati membri ha da tempo elaborato principi molto puntuali, ritenendo che in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia tempestivamente recepito la direttiva sia che l'abbia recepita in modo inadeguato» (sent. 22 giugno 1989, in causa 103/88; sent. 20 settembre 1988, in causa 31/87; sent. 8 ottobre 1987, in causa 80/86; sent. 24 marzo 1987, in causa 286/85). In particolare in quest'ultima pronuncia la Corte del Lussemburgo ha puntualizzato che la disposizione della direttiva che risponda ai presupposti suddetti possa essere invocata dal singolo innanzi al giudice nazionale «onde far disapplicare qualsiasi norma di diritto interno non conforme a detto articolo».
1.5. Alla stregua della richiamata giurisprudenza costituzionale e della Corte di giustizia (cui può aggiungersi la sentenza di quest'ultima del 19 novembre 1991 in cause 6/90 e 9/90), ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame sussistano le condizioni per l'immediata applicabilità della normativa comunitaria e per la disapplicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991. Le disposizioni delle direttive invocate, infatti, come risulta dall'esame condotto più sopra, risulta del tutto «incondizionata», e cioè tale – come precisa la Corte italiana nella ricordata sent. n. 168/91 – da non lasciare allo Stato alcun margine di discrezionalità circa l'attribuzione di portata generale al nuovo ordinamento delle specializzazioni mediche.
Ma la normativa in questione appare anche «sufficientemente precisa», nel senso che il contenuto normativo che si assume violato è enunciato senza margini di incertezza. Ed è anche sicuramente presente l'ulteriore requisito – logico ed implicito, ma dalla Corte opportunamente sottolineato – che lo Stato risulta inadempiente per essere inutilmente decorso il termine previsto per dare attuazione alla direttiva.
Nel ribadire le considerazioni precedentemente rassegnate – in precedenza già propugnate da questo Tribunale (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 16 aprile 1993 n. 601 25 febbraio 1994 n. 279) - non può esimersi questo Collegio dall'accogliere il presente gravame e, dunque, dal riconoscere l’estensione ai ricorrenti di tutti gli effetti derivanti dalla normativa statale di adeguamento sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie richiamate, sempre che ricorrano le condizioni richieste per la concessione dei benefici ivi previsti. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I-bis – accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, riconosce l’estensione ai ricorrenti dei benefici introdotti a favore degli iscritti alle scuole di specializzazione sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie nn. 75/362, 75/363 e 82/76, così come in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 9 febbraio 2004, con l’intervento dei signori giudici
Dr. Cesare MASTROCOLA – Presidente
Dr. Pietro MORABITO – Consigliere,
Dr.ssa Antonella MANGIA – Referendario, relatore, estensore
SENTENZA N. 2506/2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
- Sezione I-bis -
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso n. 12440 del 1992, proposto da ........ contro - il Ministero della Sanità, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è elettivamente domiciliato, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; - il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, in persona del Ministro p.t., n.c.; - il Ministero del Tesoro, in persona del Ministro p.t., n.c.; per il riconoscimento
del servizio prestato dai ricorrenti, in anni precedenti alla emanazione del decreto legislativo 8 agosto 1991 n. 257, come servizio del tutto conforme alle direttive comunitarie in materia e, pertanto, per la estensione di tutti gli effetti previsti dalla suddetta legge 8 agosto 1991 n. 257 e dalla normativa esecutiva, in disapplicazione degli illegittimi limiti posti da tale normativa; Visto il ricorso con la relativa documentazione; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Sanità; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 9 febbraio 2004 il Referendario Antonella MANGIA; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Espongono i ricorrenti – tutti quanti medici, iscritti nelle varie scuole di specializzazione medico-chirurgiche in anni precedenti alla normativa di cui al d.lgs. 8.8.1991 n. 257 – che: nel 1975 sono state emanate dal Consiglio della CEE due direttive (n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE), poi modificate dalla direttiva n. 82/76/CEE, con le quali sono state dettate alcune norme per uniformare in ambito comunitario il processo di formazione dei medici specialisti; tali direttive sono rimaste inadempiute dallo Stato italiano per anni e tali inadempienza è stata anche oggetto di una sentenza di condanna della Corte di Giustizia Europea; in seguito al D.P.R. n. 162/1982, si è provveduto quantomeno ad una disciplina omogenea ed uniforme delle modalità di accesso alle scuole di specializzazione; con la legge delega 29.12.1990 n. 428, finalmente il Governo è stato delegato ad emanare decreti legislativi per l’attuazione della normativa comunitaria; è stato così emanato il d.lgs. 8.8.1991 n. 257. Secondo tale decreto, i medici specializzandi svolgono attività a tempo pieno, incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro e partecipano a tutte le attività del servizio medico. Necessari corollari di questo rapporto sono la necessità di una remunerazione (prevista sotto forma di borsa di studio) e la valutabilità del servizio prestato durante la specializzazione come titolo di carriera in sede di concorso pubblico presso il Servizio Sanitario Nazionale.
Ciò premesso, i ricorrenti lamentano che detto decreto dispone la sua applicazione a decorrere dall’anno accademico 1991/1992 e che il successivo D.M.17.12.1991, adottato in virtù di una previsione riportata nel d.lgs., estende la normativa comunitaria ai soli nuovi iscritti nel 1991, creando una stridente disparità di trattamento fra quest’ultimi e gli specializzandi ancora in corso nell’anno accademico 1991/92 ma iscritti ad anni successivi ovvero coloro che si sono specializzati in epoche precedenti, con corsi di studio sostanzialmente conformi alla normativa comunitaria.
Ritenendo illegittima tale discriminazione, i ricorrenti chiedono l’estensione dei benefici previsti dalla normativa di adeguamento anche agli altri specialisti e specializzandi; a tal fine deducono i seguenti motivi di diritto: Violazione del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, in particolare dell’art. 8, in relazione anche ai criteri generali e specifici della legge delega 29 dicembre 1990, n. 428. Con tale motivo di illegittimità, avanzato solo dai ricorrenti ancora in corso, ossia dagli specializzandi, si dà evidenza che il d.lgs. non pone distinzione tra gli iscritti al 1° anno e gli iscritti agli anni successivi, sicchè la normativa di esecuzione ha introdotto un’illegittima disparità di trattamento. Illegittimità della normativa statale di adeguamento, per violazione delle direttive comunitarie nn. 75/362, 75/363, 82/76/CEE – conseguente disapplicazione. Le direttive comunitarie devono considerarsi immediatamente applicabili in quanto già sufficientemente precise e non condizionate dall’emanazione di una disciplina esecutiva degli Stati membri. Avendo tutti i ricorrenti svolto un’attività conforme alle condizioni richieste dalle direttive, essi debbono vedersi riconosciuto il servizio a tutti gli effetti previsti dal decreto legislativo, pena l’illegittimità e, dunque, la disapplicazione di quest’ultimo.
Concludono i ricorrenti insistendo per l'accoglimento del gravame, con conseguente estensione ad essi degli effetti derivanti dalla normativa statale di adeguamento sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie.
L’Amministrazione intimata si è costituita resistendo. In particolare, con memoria depositata in data 21 marzo 2001, ha fatto presente quanto segue: - il nuovo ordinamento è applicabile solo nei confronti degli ammessi al primo anno di corso nell’anno accademico 1991/92; - non può essere esteso agli specializzandi iscritti agli anni successivi perché per quest’ultimi era vigente la precedente normativa; - il Governo italiano sarebbe inadempiente nei confronti della CEE se applicasse la riforma non per l’interezza del corso di specializzazione ma solo ad una parte residua; - la spesa che poi ne deriverebbe sarebbe priva della necessaria copertura.
Con memoria depositata in data 7.1.94, i ricorrenti hanno reiterato le pretese già avanzate, deducendo sostanzialmente i medesimi motivi di diritto. Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla pubblica udienza del 9 febbraio 2004.
Diritto
1. Il ricorso è fondato e, pertanto, va accolto.
1.1. I ricorrenti lamentano la violazione del D.Lgs. n. 257/91 per mezzo dell’adozione del D.M. 17 dicembre 1991, che ha previsto l’applicazione della normativa comunitaria ai soli nuovi iscritti alle scuole di specializzazione nel 1991, nonchè l’illegittimità della normativa statale di adeguamento per violazione delle direttive del Consiglio della C.E.E. n. 75/362 , n. 75/363 e n. 82/76, recanti la disciplina comunitaria in materia di corsi per il conseguimento dei titoli di medico specialista. In base a quanto dedotto nel ricorso, queste ultime disposizioni sarebbero di immediata applicazione in quanto già sufficientemente precise e non condizionate dall’emanazione di una disciplina esecutiva degli Stati membri e, dunque, fonte giuridica diretta di posizioni di diritto e/o interesse legittimo in capo ai singoli cittadini; conseguentemente, qualsiasi inadempimento di uno Stato membro nell’applicazione di tali direttive non può ritorcersi a danno dei singoli, per escluderli dal beneficio di una nuova normativa, emanata tardivamente.
1.2. Secondo la normativa comunitaria, le specializzazioni mediche possono essere conseguite a seguito di corsi che richiedono allo specializzando un impegno a tempo pieno; per tale motivo, il medico deve ricevere per la durata del corso una adeguata remunerazione.
Il D.Lgs. n. 257 del 1991 si è uniformato ai principi anzidetti, provvedendo anche a disporre il divieto di esercitare l'attività libero professionale esterna e prevedendo che il titolo conseguito secondo il nuovo ordinamento dovrà essere oggetto di autonoma valutazione con assegnazione di specifico punteggio in sede concorsuale. Il citato decreto legislativo ha però anche disposto, all'art. 8, II comma, che le disposizioni attuative della normativa comunitaria avrebbero ricevuto applicazione a decorrere dall'anno accademico 1991/92: escludendo quindi dal nuovo e più favorevole regime i medici ammessi alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti, i quali pertanto avrebbero dovuto proseguire i corsi intrapresi secondo il vecchio ordinamento e conseguire un titolo di minor valore rispetto a quello riservato agli specializzandi di nuova ammissione alle scuole.
1.3. Come posto in evidenza, il D.Lgs. 257 del 1991 ha dato attuazione alla disciplina comunitaria delle specializzazioni mediche soltanto a partire dall'anno accademico 1991/92, lasciando sopravvivere il precedente regime per le specializzazioni già in corso. Ne costituisce prova, oltre il dato di fatto che nessuna borsa di studio è stata assegnata agli specializzandi ammessi negli anni accademici precedenti, il costante collegamento del diritto alla borsa di studio alla «ammissione» alle scuole (art. 6, I comma; art. 3, I comma; art. 2, IV comma), come procedimento collocato all'inizio di tutti i corsi, e non confondibile con il passaggio all'anno successivo del medesimo corso.
Tale dato trova poi riscontro nell'art. 3, II e III comma, del D.M. 17 dicembre 1991, secondo cui i posti e le relative borse di studio sono assegnati «utilizzando le graduatorie dei concorsi per l'ammissione». L'esame delle direttive della cui attuazione si discute (n. 75/363 e n. 82/76) conduce alla conclusione che l'autorità comunitaria ha inteso dettare una disciplina omogenea per le specializzazioni mediche che si sarebbero conseguite presso i diversi ordinamenti, senza lasciare margini discrezionali per differenziare tra corsi già iniziati e quelli di futura attivazione. Tanto la direttiva 75/363 quanto la successiva 82/76, infatti, enunciano discipline di carattere transitorio dalle quali si evince che – ferma restando l'obbligatorietà del regime generale dei corsi a tempo pieno retribuito, indipendentemente dall'anno di corso che lo specializzando si trovi a frequentare al momento in cui viene attuata la direttiva – gli Stati possono autorizzare la formazione specialistica a tempo ridotto in casi ed a condizioni precisamente individuate.
Tale era il senso dell'art. 3, I comma, della direttiva n. 75/363, nella sua formulazione originaria, che subordinava l'autorizzazione al tempo parziale alla sussistenza di «giustificati motivi», e del successivo II comma, a norma del quale l'autorizzazione al tempo ridotto non avrebbe dovuto compromettere il livello della formazione. Il significato normativo delle due disposizioni emerge con maggior chiarezza dal testo sostituito con l'art. 10 della direttiva n. 82/76, a norma del quale l'autorizzazione alla formazione a tempo ridotto può essere concessa «per casi singoli giustificati». Analogamente, l'art. 7, I comma, della stessa direttiva, nel testo modificato dall'art. 12 della direttiva 82/76, ammette che la formazione specialistica a tempo ridotto possa essere conservata per i medici che abbiano iniziato i corsi «al più tardi il 31 dicembre 1983», ma il comma successivo precisa che “ciascuno Stato membro è autorizzato ad esigere dai beneficiari della deroga di cui al primo comma che i loro diplomi certificati e altri titoli siano accompagnati da un attestato che essi si sono dedicati effettivamente e lecitamente, a titolo di medici specialisti, all'attività in questione durante almeno tre anni consecutivi nel corso dei cinque anni precedenti il rilascio dell'attestato”.
Si tratta, come è evidente, di disposizioni tutte che configurano il tempo ridotto non retribuito come una ipotesi eccezionale, ammissibile solo su richiesta e nell'interesse del singolo medico, il quale si trovi nelle condizioni, obiettivamente accertate, di non poter seguire il regime generale dei corsi, che è quello del tempo pieno retribuito.
L'adozione di una apposita normativa, destinata a circoscrivere, nel modo anzidetto, le fattispecie nelle quali i singoli Stati possono consentire le «deroghe» al nuovo ordinamento, senza minimamente adombrare la facoltà di escludere autoritativamente dallo stesso i medici ammessi alle scuole negli anni precedenti la notificazione o l'attuazione della direttive, impone di affermare che il D.Lgs. n. 257 del 1991, riservando l'applicazione dell'ordinamento comunitario ai soli medici ammessi alle scuole di specializzazione nell'anno accademico 1991/92, si pone in contrasto con le direttive invocate, ed è pertanto illegittimo, come pure illegittimi risultano i decreti ministeriali che al Decreto in questione hanno dato esecuzione (cfr. C.d.S., Sez. IV, sent. n. 4442 del 10 agosto 2000).
1.4. L’esposta conclusione non incontra ostacoli nella circostanza che il decreto legislativo, in quanto atto con forza di legge, deve essere applicato dal giudice, salva la facoltà di sospendere il giudizio e di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità delle norme di dubbia conformità alla costituzione. Con sentenza n. 170 del 1984 la Corte Costituzionale ha, come è noto, enunciato il principio fondamentale (ispirato alla dottrina della pluralità degli ordinamenti giuridici) secondo cui i due ordinamenti, comunitario e statale, sono «distinti e al tempo stesso coordinati» (secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dai trattati istitutivi) e le norme del primo vengono, in forza dell'art. 11 Cost., a ricevere «diretta applicazione» in quest'ultimo, pur rimanendo estranee al sistema delle fonti statali.
L'effetto di tale diretta applicazione – ha puntualizzato la Corte – non è quindi la caducazione della norma interna incompatibile, bensì la mancata applicazione di quest'ultima da parte del giudice nazionale del caso di specie, oggetto della sua cognizione, che pertanto sotto tale aspetto è attratto nel plesso normativo comunitario. I ricordati principi, affermati nella sent. n. 170 del 1984 a proposito dei regolamenti comunitari, dei quali era più chiara la connotazione di fonti immediatamente applicabili, sono stati poi confermati con successive pronunce ed estesi a altri atti comunitari. Con sentenza n. 113 del 1985 è stata ritenuta la diretta applicabilità delle sentenze interpretative rese dalla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177 del Trattato, e con la successiva pronunzia n. 389 del 1989 analoga efficacia è stata riconosciuta alle sentenze della stessa Corte in sede contenziosa ai sensi dell'art. 169 del Trattato.
Questo sviluppo coerente della giurisprudenza costituzionale ha infine toccato le direttive comunitarie, considerate dalla sent. n. 64 del 1990 e – più ampiamente – dalla sent. n. 168 del 1991. In quest'ultima occasione la Corte ha ritenuto di precisare che dall'autonomia del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale discende che le condizioni per la diretta applicabilità delle fonti comunitarie negli ordinamenti degli Stati membri vanno verificate facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, come l'organo cui compete istituzionalmente l'interpretazione del Trattato.
Ed è la stessa Corte costituzionale a ricordare che la Corte del Lussemburgo « … interpretando l'art. 189 del Trattato di Roma sul carattere vincolante delle direttive per gli Stati membri ha da tempo elaborato principi molto puntuali, ritenendo che in tutti i casi in cui alcune disposizioni di una direttiva appaiono, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, i singoli possono farle valere dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato, sia che questo non abbia tempestivamente recepito la direttiva sia che l'abbia recepita in modo inadeguato» (sent. 22 giugno 1989, in causa 103/88; sent. 20 settembre 1988, in causa 31/87; sent. 8 ottobre 1987, in causa 80/86; sent. 24 marzo 1987, in causa 286/85). In particolare in quest'ultima pronuncia la Corte del Lussemburgo ha puntualizzato che la disposizione della direttiva che risponda ai presupposti suddetti possa essere invocata dal singolo innanzi al giudice nazionale «onde far disapplicare qualsiasi norma di diritto interno non conforme a detto articolo».
1.5. Alla stregua della richiamata giurisprudenza costituzionale e della Corte di giustizia (cui può aggiungersi la sentenza di quest'ultima del 19 novembre 1991 in cause 6/90 e 9/90), ritiene il Collegio che nella fattispecie in esame sussistano le condizioni per l'immediata applicabilità della normativa comunitaria e per la disapplicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991. Le disposizioni delle direttive invocate, infatti, come risulta dall'esame condotto più sopra, risulta del tutto «incondizionata», e cioè tale – come precisa la Corte italiana nella ricordata sent. n. 168/91 – da non lasciare allo Stato alcun margine di discrezionalità circa l'attribuzione di portata generale al nuovo ordinamento delle specializzazioni mediche.
Ma la normativa in questione appare anche «sufficientemente precisa», nel senso che il contenuto normativo che si assume violato è enunciato senza margini di incertezza. Ed è anche sicuramente presente l'ulteriore requisito – logico ed implicito, ma dalla Corte opportunamente sottolineato – che lo Stato risulta inadempiente per essere inutilmente decorso il termine previsto per dare attuazione alla direttiva.
Nel ribadire le considerazioni precedentemente rassegnate – in precedenza già propugnate da questo Tribunale (cfr. T.A.R. Lazio, sez. I-bis, 16 aprile 1993 n. 601 25 febbraio 1994 n. 279) - non può esimersi questo Collegio dall'accogliere il presente gravame e, dunque, dal riconoscere l’estensione ai ricorrenti di tutti gli effetti derivanti dalla normativa statale di adeguamento sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie richiamate, sempre che ricorrano le condizioni richieste per la concessione dei benefici ivi previsti. Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I-bis – accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l'effetto, riconosce l’estensione ai ricorrenti dei benefici introdotti a favore degli iscritti alle scuole di specializzazione sulla base della diretta applicazione delle direttive comunitarie nn. 75/362, 75/363 e 82/76, così come in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 9 febbraio 2004, con l’intervento dei signori giudici
Dr. Cesare MASTROCOLA – Presidente
Dr. Pietro MORABITO – Consigliere,
Dr.ssa Antonella MANGIA – Referendario, relatore, estensore