22.05.03 free
CONSIGLIO di STATO -Sent.2412/ 03 - Borse Cee – Medici specialisti 1983/01 – ( sul rito speciale del silenzio rifiuto,previsto dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971 e sulla non estensione all’inerzia serbata dall’amministrazione, nel caso di richieste a contenuto meramente patrimoniale)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.2412/03
Reg.Dec.
N. 5298 Reg.Ric.
ANNO 2002
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5298/02, proposto da:
………….
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (EX MINISTERO DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA), in persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III bis, 6 marzo 2002, n. 1701;
visto il ricorso in appello, con i relativi allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca;
vista la memoria prodotta dagli appellanti a sostegno delle proprie difese;
visti tutti gli atti della causa;
relatore all’udienza pubblica del 18 febbraio 2003 il consigliere Carmine Volpe, e uditi altresì gli avv. F. Lofoco e V. Romano, per gli appellanti;
ritenuto e considerato quanto segue.
FATTO
La signora ………………… e numerosi altri signori presentavano ricorso al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con richiesta di fissazione della camera di consiglio ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 della l. 21 luglio 2000, n. 205, che ha aggiunto l’art. 21-bis alla l. 6 dicembre 1971, n. 1034.
Essi chiedevano l’annullamento:
a) del silenzio serbato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (ex Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica) sulle istanze proposte dai suddetti per la corresponsione delle borse di studio, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 11 della l. 19 ottobre 1999, n. 370, relative ai medici ammessi alla frequenza delle scuole di specializzazione in medicina negli anni accademici precedenti all’anno accademico 1991/1992;
b) nei limiti degli interessi dei ricorrenti, del decreto del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 14 febbraio 2000, nelle parti in cui, in violazione delle direttive 82/76/CEE e 75/362/CEE (poi trasfuse nella direttiva 93/16/CEE), dispone che gli aventi diritto alla corresponsione di una borsa di studio, in qualità di medici ammessi alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991, sono solo i destinatari delle sentenze (passate in giudicato) del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I bis, nn. 601/1993, 279/1994, 280/1994, 281/1994, 282/1994 e 283/1994;
c) ove occorra e nei limiti degli interessi dei ricorrenti, del detto decreto ministeriale:
c.a) laddove stabilisce, in contrasto con l’allegato alla direttiva 75/363/CEE, introdotto dalla direttiva 82/76/CEE, che il diritto alla corresponsione di una borsa di studio spetta solo ai medici i quali non abbiano svolto, per tutta la durata del corso di specializzazione, qualsiasi attività libero professionale esterna, nonché attività lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il Servizio sanitario nazionale;
c.b) nella parte in cui statuisce che sono esclusi dalla corresponsione della borsa di studio per gli anni della durata del corso:
- coloro che non hanno partecipato alla totalità delle attività mediche, dedicando a tale formazione pratica e teorica tutta la propria attività professionale per tutta la durata della settimana lavorativa e per l’anno intero;
- coloro che non abbiano dichiarato il mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione di qualsiasi attività libero professionale esterna, nonché di attività lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il Servizio sanitario nazionale, così come richiesto dall’art. 1, comma 3, punto 6), del decreto stesso;
- coloro che per tutti gli anni di corso abbiano percepito borse di studio, a qualsiasi titolo, per qualsiasi importo, quale che sia il soggetto erogatore;
- coloro che non abbiano concluso il corso di specializzazione ovvero non abbiano recuperato i periodi di sospensione di cui all’art. 5, comma 3, del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 o abbiano sospeso la frequenza dei corsi per motivi diversi da quelli previsti dal citato articolo;
c.c) limitatamente ai ricorrenti che hanno inviato l’istanza di corresponsione della borsa di studio al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica successivamente al 27 giugno 2000, nella parte in cui stabilisce che le istanze dovevano pervenire allo stesso Ministero entro tre mesi dalla pubblicazione del decreto medesimo, a pena di decadenza.
I ricorrenti chiedevano, altresì:
a) la disapplicazione delle disposizioni contenute nell’art. 11 della l. n. 370/1999 nelle parti contrastanti con le disposizioni di cui alle direttive 82/76/CEE e 75/363/CEE;
b) l’accertamento del diritto a percepire comunque un adeguato compenso, ai sensi e per gli effetti delle direttive 82/76/CEE e 75/363/CEE (poi trasfuse nella direttiva 93/16/CEE), per avere frequentato corsi di specializzazione post-universitari di medicina e chirurgia nel periodo dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991;
c) il risarcimento dei danni subiti a causa della mancata ottemperanza da parte dello Stato italiano all’obbligo, imposto agli Stati membri della CEE, di prevedere, entro e non oltre il 31 dicembre 1982, che tutti i corsi di specializzazione debbano svolgersi, di regola, con frequenza a tempo pieno e con diritto ad una remunerazione adeguata;
d) ove occorra, e comunque in via meramente subordinata, la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della l. n. 370/1999, per violazione degli artt. 3, 10, 11, 35 e 97 della Costituzione.
La sezione III bis del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con la sentenza indicata in epigrafe, ha dichiarato inammissibile il ricorso, poiché il procedimento speciale sul silenzio, introdotto dall’art. 2 della l. n. 205/2000, non può servire per promuovere un’azione che ha ad oggetto una pretesa patrimoniale diretta; azione prospettata come rivolta all’accertamento di un comportamento di inadempimento ad un obbligo patrimoniale imposto dall’ordinamento e diretta ad ottenere una pronuncia di condanna dell’amministrazione intimata al pagamento di una somma di denaro. Il detto procedimento speciale, secondo il primo giudice, può portare solo alla declaratoria dell’obbligo di provvedere, ma non consente una delibazione del merito della controversia, che deve essere riservata al normale giudizio di cognizione.
Il primo giudice, però, si è poi pronunciato anche nel merito, affermando che le dedotte direttive comunitarie non erano incondizionate, gli invocati giudicati non potevano estendersi anche ai non ricorrenti poiché l’amministrazione aveva solo la facoltà, e non l’obbligo, alla relativa estensione, il citato decreto ministeriale 14 febbraio 2000 non era stato impugnato nei termini di decadenza, l’eccezione di incostituzionalità del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 era manifestamente infondata, il diritto (alla corresponsione delle borse di studio ed al risarcimento del danno) si era prescritto e che era irrilevante la questione di costituzionalità dell’art. 11 della l. n. 370/1999.
La sentenza viene appellata dalla signora ………….. e dagli altri signori indicati in epigrafe, per i seguenti motivi:
1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della l. n. 205/2000; eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto e di diritto, illogicità e contraddittorietà.
Si sostiene che il primo giudice si sarebbe dovuto limitare a dichiarare la sussistenza o meno dell’obbligo a provvedere e non, invece, pronunciare anche nel merito;
2) violazione e falsa applicazione della direttiva 75/363/CEE, come modificata dalla direttiva 82/76/CEE, ed in particolare dell’allegato di cui all’art. 13 di quest’ultima, avente ad oggetto “caratteristiche della formazione a tempo pieno e della formazione a tempo ridotto dei medici specialisti”; ingiustizia della sentenza impugnata per erronea presupposizione di fatto e di diritto, per illogicità, contraddittorietà e disparità di trattamento;
3) ingiustizia della sentenza impugnata per omessa interpretazione delle sentenze interpretative della Corte di giustizia della CE 25 febbraio 1999, n. 131/1997 e 3 ottobre 2000, n. 371/1997; ingiustizia della sentenza appellata per omessa applicazione della giurisprudenza comunitaria in materia di diritto al risarcimento dei danni per la mancata attuazione delle direttive 75/363/CEE e 82/76/CEE;
4) ingiustizia della sentenza appellata per erronea interpretazione dell’art. 12 della direttiva 82/76/CEE; violazione del principio della prevalenza del diritto comunitario su quello interno incompatibile; eccesso di potere per disparità di trattamento, alla luce dei precedenti giurisprudenziali sull’illegittimità del d.lgs. n. 257/1991; erronea interpretazione dell’art. 2948, n. 4), del c.c..
Gli appellanti, infine, chiedono la rimessione, in via pregiudiziale, alla Corte di giustizia della Comunità europea degli atti, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, affinché si pronunci su una serie di questioni interpretative, e la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della l. n. 370/1999 per contrasto con gli artt. 3, 10, 11, 35 e 97 della Costituzione; nonché la rimessione, in via meramente subordinata, all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato della decisione del presente giudizio.
Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca si è costituito in giudizio, resistendo al ricorso in appello. Gli appellanti hanno depositato successiva memoria con la quale hanno ulteriormente illustrato le proprie difese.
DIRITTO
Il ricorso in appello è fondato con riguardo al primo motivo di gravame.
I ricorrenti sono medici che hanno partecipato ai corsi di formazione conformi alla normativa di cui al d.P.R. 10 marzo 1982, n. 162 e hanno conseguito il titolo nelle relative specializzazioni nell’arco di tempo tra l’anno accademico 1983/1984 e l’anno accademico 1990/1991. Essi assumono di avere gli stessi requisiti posseduti dai destinatari delle sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I bis, nn. 601/1993, 279/1994, 280/1994, 281/1994, 282/1994 e 283/1994. Pretendono, quindi, l’applicazione della nuova disciplina dettata dalla normativa comunitaria per i corsi di specializzazione, con retribuzione per l’intera durata legale del corso e con assegnazione ai titoli di specializzazione conseguiti di uno specifico punteggio da spendere nelle procedure concorsuali. Tutto questo in applicazione di direttive comunitarie direttamente operanti nell’ordinamento giuridico interno che comporterebbero il superamento della normativa nazionale, la quale prevede, invece, tale beneficio solo a decorrere dall’anno accademico 1991/1992; con la conseguente esclusione dei medici ammessi alla frequenza negli anni accademici precedenti.
La sentenza appellata è stata resa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 2 della l. 21 luglio 2000, n. 205, che ha aggiunto l’art. 21-bis alla l. 6 dicembre 1971, n. 1034, secondo cui “I ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta”.
Al riguardo questo Consiglio, con la decisione dell’adunanza plenaria 9 gennaio 2002, n. 1, ha ritenuto che il giudizio disciplinato dal citato art. 21-bis sia diretto ad accertare se il silenzio serbato da una pubblica amministrazione sull’istanza del privato viola l’obbligo di adottare il provvedimento esplicito richiesto con l’istanza stessa e che il giudice, pur se il provvedimento di cui trattasi abbia natura vincolata, non possa sostituirsi all’amministrazione in alcuna fase del giudizio; potendo e dovendo accertare esclusivamente se il silenzio sia illegittimo o meno, imponendo all’amministrazione, in caso di accoglimento del ricorso, di provvedere sull’istanza entro il termine assegnato.
Nella fattispecie sottoposta all’esame della sezione, il primo giudice ha correttamente dichiarato il ricorso inammissibile nella parte in cui non rientrava nei canoni di cui all’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, in ossequio a quanto affermato dall’Adunanza plenaria con la citata decisione n. 1/2002. Ha, invece, errato nella parte in cui si è pronunciato nel merito, esaminando la pretesa fatta valere in giudizio.
Tra l’altro, il rito speciale sul silenzio rifiuto, previsto dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, non può essere applicato all’inerzia serbata dall’amministrazione su richieste a contenuto meramente patrimoniale; contenuto che si evince dalle istanze presentate dagli appellanti al Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, con cui veniva chiesto il pagamento di una somma di denaro dovuta a titolo di borsa di studio.
Proprio perché il giudizio sul silenzio rifiuto verte solo sull'accertamento o meno dell’obbligo di provvedere, al giudice amministrativo non è consentito compiere un accertamento sulla fondatezza della pretesa sostanziale del ricorrente, indicando all’amministrazione il contenuto del provvedimento da adottare. La formazione del silenzio rifiuto o inadempimento non è compatibile con le controversie che solo apparentemente hanno ad oggetto una situazione di inerzia, come i casi dei giudizi incentrati sull’accertamento di pretese patrimoniali costitutive di diritti soggettivi di credito attribuiti alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; in tali ipotesi non occorre l’attivazione della procedura del silenzio ed i ricorsi sono soggetti al termine di prescrizione (Consiglio di Stato: sez. VI, 23 settembre 2002, n. 4824; sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256; sez. V, 4 aprile 2002, n. 1879).
Il giudizio speciale sul silenzio previsto dall’art. 21-bis della l. n. 1034/1971, infine, non può essere convertito in rito ordinario, in considerazione della ratio sottostante alla scelta legislativa, volta ad accelerare e semplificare la definizione delle controversie nella suddetta materia in ragione della relativa semplicità degli inerenti accertamenti di fatto e di diritto (Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana 16 ottobre 2002, n. 593).
Dalla qualificazione della posizione giuridica azionata come diritto soggettivo deriva l’inammissibilità della procedura di annullamento del silenzio rifiuto; impregiudicata ogni altra ulteriore questione che dovrà essere fatta valere con il rito ordinario.
Il ricorso in appello, pertanto, deve essere accolto per quanto di ragione e la sentenza impugnata va annullata. Le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio, sussistendo giusti motivi, possono essere compensati.
Per questi motivi
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, accoglie il ricorso in appello per quanto di ragione e, conseguentemente, annulla la sentenza impugnata.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma il 18 febbraio 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, in camera di consiglio, con l’intervento dei signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere Est.
Rosanna DE NICTOLIS Consigliere