24.02.2004 free
CONSIGLIO di STATO - (Medici Specialisti 1983/91 - Il Consiglio di Stato ribadisce il diritto alla corresponsione degli emolumenti)
§ - Stante il contenuto non incondizionato e non sufficientemente preciso, delle direttive comunitarie (allegato 1 della direttiva 75/36/CEE, aggiunto dalla direttiva 82/76 CEE, oggi trasfuse nella direttiva n.93/16/CEE ) deve essere disattesa la pretesa degli appellanti di percepire una retribuzione “adeguata” di importo pari a £. 21.500.000, che è l’importo stabilito dal legislatore in sede di attuazione delle direttive stesse per gli iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 1991/92 (art. 6, D. L.vo 8 agosto 1991, n. 258).
Nei loro confronti, trova, invece, applicazione, sussistendone i presupposti soggettivi, l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, che, al primo comma, ha disposto la corresponsione di una borsa di studio annua onnicomprensiva di lire 13.000.000 ai medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991, destinatari delle sentenze passate in giudicato del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione I-bis), numeri 601 del 1993 e 279, 280, 281, 282, 283 del 1994.
SENTENZA N.165/04
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso n. 8286 del 2002 ................. tutti rappresentati e difesi dall’avv. P.P. con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Guizzi in Roma, via dei Condotti n.91; contro il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è ex lege domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione III bis n. 6983/01 del 10.8.2001, resa tra le parti;
Visto il ricorso con i relativi allegati; Vistto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione appellata; Visti gli atti tutti delle causa; Alla pubblica udienza del 7 novembre 2003, relatore il Cons. Domenico Cafini, udito l’avv. Piva; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. I ricorrenti sopra specificati - che assumono di essersi specializzati presso varie scuole di Università italiane non prima dell’anno 1982-83 e, in parte, anche dopo l’emanazione del D.Lgs. 8.8.1991, n.257, di attuazione della direttiva n.82/76 CEE che riconosce il diritto all’erogazione di una borsa di studio in favore dei medici a partire dall’anno accademico 1991-92 - nel gravame proposto in primo grado chiedevano (dopo avere premesso che l’Amministrazione non si era adeguata alle direttive europee riferite alla retribuzione della formazione dei medici specialisti) l’annullamento del decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica in data 14 febbraio 2000, recante “disposizioni di attuazione per la corresponsione di borse di studio ai medici ammessi alle scuole di specializzazione negli anni 1983/1991, di cui all’art. 11 della L. 19 ottobre 1999, n. 370”, nonchè degli atti presupposti e conseguenti, previa disapplicazione, ove necessario, della stesso art.11 cit. per contrasto con la normativa comunitaria.
Gli istanti chiedevano, altresì, nella stessa impugnativa la declaratoria del diritto al pagamento di un’adeguata retribuzione per ogni anno dispecialità (nell’ammontare di £. 21.5000.000), oltre rivalutazione e interessi, con condanna dell’Amministrazione al pagamento delle somme a tale titolo dovute.
1.1. A sostegno del ricorso gli interessati deducevano, con un unico articolato motivo, la violazione della normativa comunitaria ed interna, in particolare sotto i seguenti profili: violazione di legge (artt.10-249 Trattato CE; allegato 1 della direttiva 75/36/CEE, aggiunto dalla direttiva 82/76 CEE, oggi trasfuse nella direttiva n.93/16/CEE); violazione dei principi di buona amministrazione e di imparzialità di cui all’art.97 Cost, interpretati alla luce dell’obbligo di lealtà comunitaria ex art. 10 Trattato; violazione dell’art.11. Cost. e dell’obbligo di disapplicazione esistente a carico della P.A. con riferimento al prevalente diritto comunitario; violazione dell’art. 3 L. n.241/1990, nonché eccesso di potere per carenza di motivazione.
Rilevavano sostanzialmente i ricorrenti che il Governo italiano avrebbe violato gli obblighi derivanti dal diritto comunitario e i principi anzidetti, avendo previsto erogazioni monetarie soltanto in favore di alcuni dei soggetti aventi diritto ed a presupposti e condizioni inaccettabili. Infatti il decreto impugnato sarebbe stato ingiustamente discriminatorio, perché accordava la corresponsione della borsa solo, fra tutti i medici specializzati negli anni 1982/1991, ai destinatari di sentenze passate in giudicato, ponendosi altresì in contrasto con le direttive CEE sopra specificate.
Né l’Amministrazione avrebbe tenuto conto della circostanza che, essendo stati annullati da pronunce giurisdizionali atti generali, i benefici dell’annullamento devono estendersi a tutti gli aventi diritto e non solo ai soggetti che sono stati parte nei relativi giudizi e che anche nell’ipotesi che l’estensione del giudicato si configuri come mera facoltà, il relativo potere-dovere costituisce comunque un vero obbligo giuridico in virtù del prevalente diritto comunitario. Secondo i ricorrenti in prime cure, pertanto, lo Stato italiano sarebbe tenuto a riconoscere in loro favore (in quanto iscritti alle scuole suddette a decorrere dall’a.a. 1982-83) l’identica adeguata remunerazione che i decreti di tardiva attuazione della direttiva hanno previsto in favore dei medici iscritti all’anno accademico 1991-92, salvo l’eventuale maggior danno.
1.2. Il Ministero intimato si costituiva in giudizio, deducendo la infondatezza del ricorso e concludendo per la reiezione dello stesso. 1.3. Con la sentenza n. 6983 del 10 agosto 2001, la Sezione III bis del T.A.R. Lazio respingeva il ricorso. 1.4. Con il ricorso in appello ora in esame, gli istanti rappresentano, innanzi tutto, che il T.A.R. Lazio avrebbe erroneamente disatteso la censura di violazione dell’allegato 1 della direttiva 75/362/CE, affermando la legittimità del decreto di attuazione in data 14.2.2000 in relazione alla normativa comunitaria in materia di formazione professionale dei medici specializzandi.
Ad avviso del giudice di prime cure, infatti, la direttiva predetta contiene disposizioni precise e incondizionate sotto il profilo della remunerazione soltanto nella parte relativa all’attività dei medici svolta a tempo pieno e, quindi, in maniera esclusiva, mentre la stessa direttiva non contiene disposizioni sufficientemente precise, e quindi immediatamente applicabili nell’ordinamento interno, con riguardo alla retribuzione da parte dei medici che dette condizioni non abbiano rispettato, sicchè il legislatore, in definitiva, sarebbe libero nella scelta delle modalità di realizzazione delle finalità da conseguire. Più specificamente, secondo il T.A.R., il riconoscimento di emolumenti in favore dei medici frequentanti i corsi di specializzazione, poiché sottoposto dalle direttive a determinate condizioni (inerenti alla esclusività delle prestazioni nel corso degli stessi) assume carattere strumentale rispetto all’obiettivo essenziale delle citate direttive in questione (cioè quello di realizzare un’adeguata ed uniforme preparazione professionale), con conseguente libertà, con riguardo a tale aspetto, per gli Stati membri di organizzarsi nei confronti di medici che dette condizioni non avessero rispettato.
In conclusione, per i primi giudici la normativa comunitaria in questione non può ritenersi che (con riguardo alla pretesa di retribuzione da parte dei medici che dette condizioni non hanno rispettato, avendo riconosciuto di avere effettuato, durante i corsi di specializzazione frequentati, anche prestazioni professionali o lavorative) contenesse disposizioni incondizionate e sufficientemente precise immediatamente applicabili nell’ordinamento interno e inibenti l’applicazione delle norme interne confliggenti, ma che avesse carattere vincolante per le finalità perseguite, alle condizioni stabilite, lasciando libero il Legislatore degli Stati membri nella scelta delle modalità di realizzazione delle finalità stesse nella insussistenza di dette condizioni.
1.5. Ad avviso degli appellanti, le suesposte argomentazioni non sono condivisibili, giacché le direttive non subordinano affatto il diritto alla remunerazione alla frequentazione a tempo pieno dei corsi di specializzazione. Infatti, nel testo dell’allegato 1 della direttiva 75/362/Ce, aggiunto dalla direttiva 82/76/CEE, è prevista, al punto 2, l’eventualità, altrove definita eccezionale (art. 7), che la formazione dei medici specialisti si svolga a tempo ridotto. La citata direttiva, invero, distingue semplicemente tra formazione a tempo pieno e a tempo ridotto dei medici specialisti prevedendo, tuttavia, in entrambi i casi il diritto del mdico a percepire un’equa remunerazione per l‘attività svolta, sicchè solo lo svolgimento di un’attività c.d. a tempo pieno implica logicamnente il carattere esclusivo della stessa inibendo di svolgere altre attività professionali, mentre al contrario nessun ostacolo allo svolgimento di detta attività esterna è stato previsto dalla medesima direttiva.
Poiché, dunque, i ricorrenti. hanno svolto la formazione professionale presso le scuole di specializzazione negli a.a. 1983-91 e la normativa allora in vigore imponeva il numero minimo annuale di ore per la formazione pari a circa 800, l’attività svolta in detti anni corrisponde a quella disciplinata dalla direttiva come attività tempo ridotto (circa 18 ore settimanali). Ciò nonostante, in errata attuazione retroattiva della direttiva, la legge n.370/1999 e il decreto impugnato subordinano il diritto alla adeguata remunerazione ai requisiti che la direttiva impone invece per il tempo pieno, cioè “il mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione di qualsiasi attività libero professionale nonché di attività anche in regime di convenzione e precarietà col SSN, così determinando una palese violazione della direttiva citata in parte qua, certamente applicabile direttamente in quanto sufficientemente precisa, come ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (v. in particolare, Sez IV, causa C-371/97).
In conclusione, secondo parte appellante, il provvedimento impugnato in primo grado sarebbe viziato sotto il profilo della violazione del diritto comunitario, nella parte in cui disciplina i requisiti per il riconoscimento del dirtto all’adeguata remunerazione di medici che abbiano svolto formazione a tempo ridotto. Con altra censura si contesta poi (al punto 2 dell’appello) che la gravata sentenza, nel confermare la legittimità del provvedimento impugnato sotto il profilo della mancata estensione ai terzi, versanti in situazione analoga, degli effetti dei giudicati indicati nell’art. 11 della legge n. 370 del 1999 - accedendo all’orientamento giurisprudenziale che riconosce all’amministrazione la facoltà, e non l’obbligo giuridico, di estendere il giudicato di annullamento di atti amministrativi aventi contenuto generale anche a chi è stato leso dai medesimi, pur non essendo parte nel relativo giudizio - concreterebbe il vizio di eccesso di potere sotto i profili della manifesta ingiustizia e della disparità di trattamento (art.97 Cost).
E ciò perché, in presenza di diritti conferiti ai privati dal diritto comunitario, l’estensione del giudicato ai terzi non ricorrenti costiturebbe sempre un obbligo giuridico da rispettare. Il provvedimento impugnato in prime cure, infine, dovrebbe essere censurato, secondo gli appellanti, anche per avere erroneamente qualificato la rinuncia (avanzata in udienza) alla pretesa risarcitoria ex art. 35 D.Lgs. n.80/1998 quale rinunzia all’azione tout court, non bene interpretando la dichiarazione resa a verbale. 1.6. Alla stregua di quanto esposto, quindi, la sentenza gravata dovrebbe essere, ad avviso dei ricorrenti, riformata con conseguente annullamento (in parte qua) dell’atto originariamente impugnato e con conseguente riconoscimento del loro diritto al pagamento di adeguata remunerazione, nell’ammontare specificato nel ricorso di primo grado, e pari a Lire 21.500.000. (Euro 11.103, 82), oltre interessi e rivalutazione fino al soddisfo, per ogni anno di specialità.
1.7. Resiste al ricorso l’Amministrazione appellata. 2. Con l’odierno ricorso in appello viene impugnata, come accennato, la sentenza 10.8.2001 n. 6893 con la quale il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III bis, ha respinto il gravame degli originari ricorrenti specificati in epigrafe (che assumono di avere conseguito la specializzazione medica dopo l’anno accademico 1982/83, ma prima del 1991), gravame diretto all’annullamento del decreto del Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica del 14 febbraio 2000, meglio sopra specificato, e degli atti presupposti, successivi e connessi, in particolare degli atti di esecuzione ivi previsti, oltrechè alla declaratoria del diritto al pagamento di un’adeguata retribuzione nell’ammontare di £. 21.500.000 (indicizzata ex art.6 D.lgs. n.257/1991), per ogni anno di specialità, ovvero di altra somma ritenuta di giustizia, con interessi e rivalutazione, e al danno ingiusto ai sensi e per gli effetti dell’art.35 D.Lgs. n.80/1998.
2. 2. Si deve subito far presente che in relazione alla stessa sentenza n. 6983/2001 del TAR per il Lazio, Sez. III bis, oggetto dell’odierno giudizio, la Sezione ha avuto già modo di pronunciarsi con decisione 12.12.2002, n.6802. Pertanto, anche in ordine al ricorso in trattazione il Collegio non può che ribadire, nell’esposizione che segue, le argomentazione generali svolte in occasione di tale pronuncia. 2. 3. Contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la disciplina comunitaria non lascia margini discrezionali per differenziare tra corsi già iniziati e quelli di futura attivazione, relativamente all’obbligo dell’Amministrazione di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione tanto a tempo pieno quanto a tempo parziale dei medici specialisti.
Nella sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97, la Corte di giustizia delle Comunità europee si è pronunciata sull’interpretazione dell’art. 2, n. 1, lett. c), nonché del punto 1 dell’allegato della direttiva 75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, che prevedono un’adeguata remunerazione della formazione svolta a tempo pieno, ed ha quindi fornito ai giudici nazionali tutti gli elementi necessari alla soluzione di tale tipo di controversia. In particolare, la Corte ha accertato che la normativa comunitaria impone agli Stati membri, per quanto riguarda i medici legittimati a fruire del sistema del reciproco riconoscimento, di retribuire i periodi di formazione relativi alle specializzazioni mediche, ove esse rientrino nell’ambito d’applicazione della direttiva e che detto obbligo è, in quanto tale incondizionato e sufficientemente preciso. Successivamente, nella sentenza 3 ottobre 2000, causa C-371/97, resa in relazione a fattispecie nella quale, a differenza di quanto verificatosi nel periodo precedente, i ricorrenti frequentavano corsi di specializzazione a tempo ridotto e non a tempo pieno, la Corte ha rilevato che l’analisi contenuta nella precedente sentenza del 1999, per quanto riguarda la formazione a tempo pieno, è pienamente applicabile all’ipotesi di una formazione di medico specialista svolta a tempo ridotto, come emerge tanto dallo scopo quanto dalla lettera della normativa comunitaria.
Infatti – ha affermato la Corte - l’art. 3, n. 2, nonché il punto 2 dell’allegato della direttiva “coordinamento” come modificata dalla direttiva 82/76, prevedono che la formazione a tempo ridotto deve anch’essa essere oggetto di una “adeguata remunerazione” e tale remunerazione, attribuita come ricompensa e riconoscimento del lavoro svolto, è destinata ai medici specialisti che partecipano a tutte le attività mediche del dipartimento in cui si svolge la formazione in dipendenza del fatto che i soggetti in questione dedicano a tale formazione pratica e teorica tutta la loro attività professionale durante tutta la durata della settimana lavorativa, oppure, nel caso dello specialista in formazione a tempo ridotto, una buona parte di essa. Ciò posto, alla stregua dell’interpretazione che delle direttive in questione è stata fornita dal giudice comunitario, vanno disattese le argomentazioni addotte dal giudice di prime cure in favore della tesi della non incondizionata ed immediata applicabilità delle direttive stesse nell’ordinamento interno.
L’orientamento giurisprudenziale prevalente, condiviso dal Collegio, è nel senso che la discrezionalità dell’Amministrazione va riconosciuta per l’organizzazione, la programmazione e la gestione dei corsi di specializzazione, ma non può riguardare il limite temporale di applicazione delle direttive che dalle norme nazionali di recepimento (legge n. 428 del 1990 e D.L.vo n. 257 del 1991) viene fissato ai corsi di specializzazione iniziati nell’anno accademico 1991/92, senza considerare quelli iniziati prima e in corso di svolgimento (cfr. C.d.S., Sez. IV, 25 agosto 1997, n. 909 e 10 agosto 2000, n. 4442; Sez. VI, 29 marzo 2001, n. 1872).
Né, a tal fine, può fondatamente sostenersi che il riconoscimento di emolumenti in favore dei frequentatori dei corsi di specializzazione (con partecipazione esclusiva alle attività del servizio e con l’osservanza di un particolare????) assume un carattere strumentale rispetto alla formazione specialistica, come sarebbe dimostrato dalla circostanza che l’art. 7 della direttiva 75/363/CEE, nel testo sostituito dall’art. 12 della direttiva 82/76/CEE, prevede, in via transitoria, che le disposizioni che stabiliscono una formazione specialistica a tempo ridotto (non retribuita) possano continuare ad essere applicate ai candidati che abbiano iniziato la loro formazione di medici specialisti al più tardi il 31.12.1983). Come osservato dalla Sezione IV e da questa Sezione nelle sentenze sopra citate, la norma comunitaria non prevede l’ultrattività, nella fase di avvio del nuovo ordinamento, delle vecchie disposizioni per un certo periodo o per corsi di specializzazione già iniziati, ma solo la possibilità di continuare ad applicarle ai candidati la cui formazione sia stata già iniziata; si tratta, perciò, di disposizioni dettate nell’interesse ed a richiesta di questi candidati, come si evince anche dalla considerazione che la norma comunitaria, nel comma 2 del citato art. 7, qualifica costoro come "beneficiari della deroga”, e tali non potrebbero essere qualificati se la deroga non fosse prevista a loro richiesta e vantaggio.
Peraltro, la deroga è prevista per i candidati che abbiano iniziato la loro formazione di medici specialisti “al più tardi il 31 dicembre 1983, mentre, anche nella fattispecie in esame, i medici appellanti sono stati iscritti a corsi iniziati in epoca successiva. 2. 4. Circa l’ulteriore questione, che attiene all’importo della remunerazione, che gli appellanti quantificano in lire 21.500.000 per ogni anno della durata del corso di specializzazione, giova considerare che, secondo quanto osservato dalla Corte di giustizia nelle summenzionate sentenze, l’obbligo di retribuzione, se è incondizionato e sufficientemente preciso nella parte in cui richiede - affinché un medico specialista possa avvalersi del sistema di reciproco riconoscimento istituito dalla direttiva 75/362 – che la sua formazione si svolga a tempo pieno o a tempo ridotto e sia retribuita, non consente, peraltro, di per sé, al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata né di individuare l’importo della stessa, fermo restando l’obbligo di quest’ultimo, quando applica disposizioni di diritto nazionale precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto più possibile, alla luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa.
Facendo applicazione alla fattispecie in esame dei suesposti criteri ermeneutici, consegue che, stante il contenuto non incondizionato e non sufficientemente preciso, per tale aspetto, delle direttive comunitarie, deve essere disattesa la pretesa degli appellanti di percepire una retribuzione “adeguata” di importo pari a £. 21.500.000, che è l’importo stabilito dal legislatore in sede di attuazione delle direttive stesse per gli iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 1991/92 (art. 6, D. L.vo 8 agosto 1991, n. 258). Nei loro confronti, trova, invece, applicazione, sussistendone i presupposti soggettivi, l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, che, al primo comma, ha disposto la corresponsione di una borsa di studio annua onnicomprensiva di lire 13.000.000 ai medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991, destinatari delle sentenze passate in giudicato del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione I-bis), numeri 601 del 1993 e 279, 280, 281, 282, 283 del 1994.
Come per questi ultimi, il diritto degli appellanti alla corresponsione delle borse di studio è subordinato all’accertamento da parte dell’Amministrazione delle condizioni previste dal secondo comma del citato art. 11 (frequenza di un corso di specializzazione in base alla normativa prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, per l’intera durata legale del corso di formazione; impegno di servizio a tempo pieno, attestato dal direttore della scuola di specializzazione; mancato svolgimento per tutta la durata del corso di specializzazione di qualsiasi attività libero-professionale esterna, nonché attività lavorativa anche in regime di convenzione o di precarietà con il Servizio sanitario nazionale). 2.5. In ordine a tale ultima statuizione, il difensore di parte appellante all’udienza di discussione del ricorso - assumendo che a pagg.10 e 11 della precedente sentenza n.6802/2002 di questa Sezione vi sarebbe un’errore nel disporre la subordinazione del pagamento delle spettanze dovute agli interessati all’accertamento delle condizioni ivi indicate - ha chiesto che il Collegio, eliminando tale presunta “svista”, accogliesse in pieno la pretesa dei ricorrenti.
Al riguardo si deve osservare che tale richiesta non può essere accolta, essendo necessario che - anche per la mancanza agli atti di causa di ogni utile documento circa la posizione specifica dei singoli istanti - l’Amministrazione valuti caso per caso l’ambito e la portata del riconoscimento del diritto di cui alla pronuncia di questa Sezione al fine della concreta sua attribuzione ad ogni singolo interessato. Va ribadita, pertanto, dal Collegio - che pur deve rilevare come l‘odierno ricorso sia al limite della sua ammissibilità essendo del tutto sprovvisto di adeguata documentazione in relazione alla posizione effettiva di ciascuno dei numerosissimi ricorrenti - la corretta statuizione contenuta nella citata decisione n.6802/02 riguardante la necessità del previo accertamento da parte dell’Amministrazione delle condizioni in essa specificate e sopra riportate ai fini della concreta attribuzione del beneficio richiesto da ogni singolo ricorrente.
2.6. Quanto all’ultimo rilievo dell'appello con cui si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente qualificato la rinuncia alla pretesa risarcitoria ex art.35 D.Lgs. n. 80/1998, avanzata in udienza, quale rinuncia all’azione tout court, il Collegio ritiene che esso sia inammissibile perché generico e, comunque, non sorretto da adeguata documentazione. 2.7. In conclusione, nei sensi e limiti sopra indicati, il ricorso in appello è da ritenersi fondato e può essere accolto per quanto di ragione, con conseguente annullamento della gravata pronuncia e con la declaratoria del diritto degli appellanti a percepire le borse di studio nell’importo e alle condizioni sopra specificate.
Sussistono giusti motivi per compensare, tra le parti in causa, le spese e gli onorari di entrambi i gradi del giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie, nei sensi e limiti indicati in motivazione, il ricorso in appello indicato in epigrafe e, per l’effetto, in tali sensi e limiti, in riforma della gravata sentenza, dichiara il diritto dei ricorrenti a percepire le borse di studio dagli stessi reclamate. Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2003 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Mario Egidio SCHINAIA Presidente Sergio SANTORO Consigliere
Carmine VOLPE Consigliere Giuseppe MINICONE Consigliere
Domenico CAFINI Consigliere Est.