06.02.2012 free
Consiglio di Stato – (ampliamento di strutture sanitarie e sociosanitarie)
§ - la realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione, che è richiesta anche per l'adattamento di quelle già esistenti nonché per la loro diversa utilizzazione, ampliamento, trasformazione e trasferimento in altra sede.
Le norme in tema dispongono che per la realizzazione o, come nel caso specifico, l'ampliamento di strutture sanitarie e sociosanitarie, il Comune acquisisce, ai sensi del D.L. n. 398/1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e successive modificazioni, la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione. Tale verifica è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture.
[Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Consiglio di Stato – Sez. III; Sent. n. 445 del 30.02.2012
omissis
FATTO
L’odierna appellante principale è una struttura autorizzata ed accreditata di Fisiokinesiterapia nel territorio dell’ASP di Potenza.
Essa richiedeva l’autorizzazione all’ampliamento della propria attività anche per la branca «medicina di laboratorio generale di base con sezione specializzata di microbiologia e sierologia».
Il relativo procedimento si snodava attraverso
la verifica di compatibilità di cui all’art. 3, comma 2, della L.R. n. 28/2000 (determina dirigenziale n. 345 in data 9 marzo 2006, adottata su conforme parere della Commissione ASL/1 in data 1° dicembre 2005), la denuncia di inizio attività per lavori edilizi interni di realizzazione della nuova struttura sanitaria (prodotta agli atti del Comune di L. in data 27 giugno 2006), l’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio di cui al D.P.R. n. 278 in data 22 dicembre 2006 (adottato sulla base della conforme valutazione della Commissione Tecnica Aziendale in data 9 novembre 2006).
Avverso detti provvedimenti (con esclusione del titolo edilizio) è insorta in primo grado l’odierna appellata/appellante incidentale, esercente attività sanitaria di laboratorio di analisi cliniche in L. in virtù di originaria autorizzazione del 1980 poi fatta oggetto di provvedimento di sospensione-decadenza (D.P.G.R. in data 22 agosto 2003) ed infine riattivata giusta D.P.G.R. n. 215 in data 20 ottobre 2006.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, con la sentenza indicata in epigrafe, accoglieva il ricorso, nel suo petitum di annullamento, in relazione al solo primo motivo di impugnazione, con il quale era dedotta la violazione dell’art. 8-ter, comma 3, del D. Lgs. n. 502/1992, dell’art. 3 della L.R. n. 28/2000 e delle DD.GG.RR. n. 1347/2003, n. 2041/2004 e n. 1907/2006, ritenendo in sostanza l’applicabilità alla fattispecie della sola delibera di giunta regionale da ultimo sopra indicata, che regolamentava in maniera diversa la determinazione del fabbisogno e della quale invece gli atti impugnati non avevano tenuto conto alcuno.
La sentenza è stata appellata in via principale dalla struttura soccombente in primo grado e con appello incidentale autonomo dalla Regione Basilicata.
Nel giudizio si è costituita con controricorso l’originaria ricorrente, proponendo altresì con lo stesso atto appello incidentale, con il quale la sentenza impugnata viene contestata nella parte in cui ha ritenuto infondati tre dei quattro motivi di illegittimità dedotti ed ha respinto l’istanza risarcitoria.
Non si sono costituiti in giudizio le Aziende Sanitarie, né il Comune intimati.
Con Ordinanza n. 349/2011, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 28 gennaio 2011, è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.
Tutte le parti hanno, con successive memorie, svolto ulteriori considerazioni a sostegno delle rispettive tesi e domande.
All’ésito della chiamata e passaggio in decisione della causa alla udienza pubblica del 17 giugno 2011, la Sezione, con decisione interlocutoria n. 4220/2011, riteneva necessaria attività istruttoria, preliminare a qualsiasi decisione in rito e nel mèrito.
A fronte, infatti, dell’affermazione della Regione di aver ottemperato “alla sentenza del TAR n. 924/10 con la DGR n. 361 del 16.03.11 disponendo a tal fine l’annullamento del DPGR n. 278/06 e della DGR n. 2005/06, con cui si autorizzava, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. b) della L.R. n. 28/00 e s.m. ed i., l’ampliamento dell’attività di laboratorio generale di base con sezione specializzata” (v. memoria in data 13 maggio 2011 ) ed in presenza altresì della diffida inoltrata alla Regione stessa dall’odierna appellante principale “a disporre la revoca di tutte le autorizzazioni rilasciate nelle zone contraddistinte come rosse dalla delibera n. 805/2007” (v. pag. 16 memoria depositata in data 16 maggio 2011), riteneva il Collegio che occorresse acquisire agli atti del giudizio:
- copia DGR n. 361 in data 16 marzo 2011;
- relazione del Dirigente del Dipartimento Salute, Sicurezza e Solidarietà Sociale della Regione Basilicata in ordine ad ogni eventuale iniziativa assunta a séguito della notifica del citato atto di diffida.
“Ciò ai fini della verifica della permanenza dell’interesse tanto al ricorso di primo grado quanto agli odierni appelli, tenuto conto in particolare del naturale effetto caducatòrio discendente dalla provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, sì che occorre accertare se l’apparentemente ultroneo annullamento disposto dalla Regione con riguardo ad atti già annullati dal giudice (così come l’eventuale adozione di atti di révoca di precedenti autorizzazioni, sul qui contestato decisum di primo grado fondati) non possa configurarsi come condivisione della sentenza di prime cure e della motivata ordinanza cautelare di questa Sezione, piuttosto che come mera esecuzione delle stesse” (pagg. 6 – 7 sent. cit.).
Nei términi indicati dalla citata decisione la Regione Basilicata non ha provveduto all’incombente istruttorio posto a suo càrico, del quale le era stata data puntuale comunicazione con avviso in data 13 luglio 2011, trasmessole a mezzo fax in data 14 luglio 2011.
Con memoria depositata in data 15 novembre 2011, l’appellante principale, reiterata l’eccezione (già sollevata con memoria depositata in data 16 maggio 2011) di inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse di parte ricorrente e ribadito il suo perdurante interesse alla coltivazione dell’appello anche alla luce del valore meramente applicativo della sentenza di primo grado da attribuirsi alla sopravvenuta deliberazione della Giunta Regionale n. 361 in data 16 marzo 2011 (copia della quale è stata depositata congiuntamente alla memoria stessa), ha poi contestato punto per punto tutte le eccezioni e deduzioni contenute nell’appello incidentale proposto dalla controinteressata.
Questa, con memoria di replica depositata in data 24 novembre 2011, ha svolto ulteriori considerazioni con riferimento specifico alla predetta memoria avversaria, in particolare contestando la ammissibilità della produzione documentale che l’ha accompagnata, per esser stato detto deposito compiuto oltre il términe, di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a.
Conformemente a quanto già stabilito nella citata decisione interlocutoria, la causa è stata nuovamente fissata, chiamata e trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 16 dicembre 2011.
DIRITTO
1. - I provvedimenti oggetto del giudizio attengono all’ampliamento dell’attività dell’odierna appellante principale per la branca di «medicina di laboratorio generale di base con sezione specializzata di microbiologia e sierologia».
Gli atti autorizzatori (D.G.R. n. 2005 in data 22 dicembre 2006 e coevo D.P.G.R. n. 278, nonché gli atti della presupposta serie procedimentale ) sono stati annullati, in accoglimento del ricorso di primo grado, dalla sentenza impugnata, avendo il T.A.R. ritenuto erroneamente applicate, nella considerazione del fabbisogno oggetto della verifica di compatibilità reputata atto endoprocedimentale finalizzato al rilascio della controversa autorizzazione all’apertura, le delibere della Giunta regionale n. 1347/2003 e n. 2041/2004, anziché la n. 1907/2006, che all’11 dicembre 2006 (e dunque in data anteriore a quella di adozione del contestato provvedimento conclusivo) fotografava il fabbisogno di prestazioni 2006.
Alla reviviscenza degli atti stessi, mediante annullamento della sentenza impugnata, mirano gli appelli principale ed incidentale autonomo, mentre all’affermazione subordinata di ulteriori vizi di legittimità ravvisabili nella sequenza procedimentale de qua è finalizzato l’appello incidentale autonomo proposto dall’originaria ricorrente, che reitera altresì la domanda risarcitoria respinta in primo grado.
2. - Va, preliminarmente:
- respinta l’eccezione di inammissibilità della produzione documentale effettuata dall’appellante principale in data 15 novembre 2011, giacché questa consiste di un “atto di diffida rivolto alla Regione Basilicata” già presente agli atti del giudizio (v. allegato alla memoria dalla stessa appellante principale depositata in data 16 maggio 2011) e di copia della D.G.R. Basilicata n. 361 in data 16 marzo 2011, depositata in esecuzione dell’ordine del Giudice dato con la decisione interlocutoria n. 4220/2011; incombente, cui, se pure ivi posto a càrico della Regione Basilicata, è buona regola di correttezza e di collaborazione nel processo tra le parti e di queste col Giudice (al fine di assicurare il giusto e celere svolgimento del processo stesso) che adempia comunque la parte più diligente. Né siffatta diligenza può essere certo vanificata dal mancato rispetto dell’invocato termine di cui all’art. 73 c.p.a., che può ritenersi applicabile soltanto alle produzioni effettate dalle parti di propria iniziativa e non certo a quelle derivanti da ordini del Giudice; né, peraltro, l’eccipiente ha reclamato in proposito términi a difesa, che comunque ha più che adeguatamente svolto con la memoria di replica da ultimo depositata;
- respinta l’eccezione sollevata in memoria dall’appellante principale, con la quale si denuncia l’inammissibilità del ricorso di primo grado per assoluta carenza di interesse alla luce della menzionata deliberazione della Giunta Regionale n. 361/2011, dalla quale, si afferma, “anche la posizione della ricorrente di primo grado risultava in palese contrasto con il fabbisogno anno 2006”, che, come s’è visto, il Giudice di primo grado ha ritenuto applicabile ai fini della verifica di compatibilità oggetto del giudizio. L’eccezione, pur ammissibile (essendo pacifico, contrariamente a quanto dedotto dalla parte privata appellata/appellante incidentale, che l’eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse può formare oggetto di motivo d’appello – o comunque essere sollevata in grado d’appello anche con semplice memoria, sempre che il Giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato sul punto di diritto e sullo stesso non si sia pertanto formato il giudicato – anche qualora la relativa eccezione non sia stata sollevata in primo grado, trattandosi di questione rilevabile anche d’ufficio dal Giudice in quanto attinente alla sussistenza di una condizione dell’azione), è invero infondata, giacché l’interesse differenziato e qualificato della società originaria ricorrente ad impugnare gli atti emessi dall’Amministrazione per l’ampliamento dell’attività della controinteressata deriva ad essa dall’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio dell’attività per la stessa branca e per lo stesso ambito territoriale rilasciatale con D.P.G.R. 20 ottobre 2006, n. 215, la cui legittimità non risulta contestata né nel presente giudizio con il ben noto strumento del ricorso incidentale di primo grado, né in altro giudizio, costituendo pertanto questione di mero fatto, di per sé inidonea a provocare la sua carenza di interesse alla contestazione dei titoli rilasciati alla controinteressata, quella per cui i criteri di verifica della compatibilità alla realizzazione della struttura (che il T.A.R. ha ritenuto applicabili all’istanza autorizzatoria di quest’ultima e che in concreto risultano effettivamente preclusivi del rilascio dell’autorizzazione stessa) si dovrebbero applicare anche in relazione al titolo autorizzatorio in possesso della ricorrente di primo grado, la cui posizione, si afferma, “risultava in palese contrasto con il fabbisogno dell’anno 2006” (pag. 2 memoria depositata in data 15 novembre 2006). Ed invero questo Giudice non può certo conoscere, nemmeno in via incidentale, della legittimità di tale titolo, estraneo al giudizio ed alla cui esecutività (che può essere eventualmente rimessa in discussione soltanto da un provvedimento di autotutela dell’Amministrazione) nessun ostacolo giuridico allo stato si frappone;
- escluso altresì che l’interesse concreto ed attuale all’impugnativa di detti atti sia venuto meno per effetto della deliberazione di Giunta n. 361/2011 intervenuta nelle mòre del giudizio, con la quale l’Amministrazione Regionale ha preso atto “della Sentenza n. 924/2010 con cui il TAR per la Basilicata, pronunciandosi sul ricorso n. 80/2007 prodotto dal Laboratorio di Analisi “L. ” s.n.c. contro la Regione Basilicata, l’AUSL n. 1 di Venosa, il Comune di L. e nei confronti della X. s.a.s., ha annullato il D.P.G.R. n. 278/2006, i verbali della Commissione Tecnica ex art. 7 L.R. n. 28/2000 dell’AUSLl n. 1 di Venosa dell’1.12.2005 ( verifica di compatibilità ai sensi DD.G.R. nn. 1347/2003 e 2041/2004 ) e del 9.11.2006 (parere di conformità ai requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi art. 7 L.R. n. 28/2000) la determinazione del dirigente Dipartimento Sicurezza e Solidarietà Sociale della Regione Basilicata n. 345 del 9.3.2006 (parere di compatibilità) e l’autorizzazione ex art. 3, comma 2, L.R. 28/2000 (autorizzazione alla realizzazione) nonché dell’Ordinanza n. 349/2011 del Consiglio di Stato di rigetto dell’istanza cautelare di cui al ricorso in appello n. 160/2011 per l’annullamento, previa sospensione, della sentenza n. 924/2010” (punto 1 del dispositivo) e del fatto che per effetto di dette pronunce, “risulta annullato il D.P.G.R. n. 278 del 22.12.2006, conforme alla D.G.R. n. 2005 del 22.12.2006, con cui è stato autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. b) della L.R. n. 28/2000 e s.m.i., l’ampliamento dell’attività di laboratorio generale di base con sezione specializzata di microbiologia da aprire ed esercitarsi nei locali siti alla Via Vico I° Roma n. 10 in L. (PZ) della struttura sanitaria denominata ambulatorio di fisioterapia e rieducazione funzionale X. s.a.s. di Y. A. ” (punto 2 del dispositivo), “individuando, in coerenza alle indicazioni contenute [nelle decisioni dell’autorità giurisdizionale], quale modalità attuativa l’applicazione al 22.12.2006 (data di adozione del D.P.G.R. n. 278) dei dati numerici riportati nella D.G.R. n. 1907 dell’11.12.2006 …” (II “rilevato” del preambolo). Ed invero, a differenza di quanto ritiene l’appellata/appellante incidentale (secondo la quale con detto atto la Regione avrebbe “inteso avviare e concludere un autonomo procedimento di verifica di compatibilità con riferimento alla data del 22.12.2006, di rilascio alla X. dell’illegittimo decreto di apertura al funzionamento n. 278/2006”), la nuova istruttoria procedimentale compiuta a monte di tale deliberazione (v. nota dirigenziale prot. 35293/72AB in data 1 marzo 2011 alla stessa allegata) risulta posta in essere “in ottemperanza alla sentenza del TAR di Basilicata e all’Ordinanza del Consiglio di Stato”; sì che, non essendosi in presenza di una nuova manifestazione di volontà dell’Amministrazione sostitutiva di quella precedente in ordine alla verifica di compatibilità oggetto del presente giudizio, quanto piuttosto di un atto di mera esecuzione della sentenza di primo grado (esecutiva in quanto non sospesa ) destinato in quanto tale a venir travolto dall’eventuale accoglimento degli appelli principale ed incidentale autonomo proposti avverso la sentenza stessa (che comporterebbe la reviviscenza degli atti originariamente impugnati ed annullati dal T.A.R.), permane tanto l’interesse (inteso quale vantaggio ritraibile dalla caducazione degli atti che si assumono illegittimi) della ricorrente originaria a veder accertati i vizi dai quali risultano a suo avviso affetti gli atti stessi, quanto l’interesse degli appellanti anzidetti all’annullamento della sentenza impugnata, la cui esecuzione è pacifico che non costituisce acquiescenza (Cons. St., IV, 28 marzo 2011, n. 1877).
3. – Venendo ora ai proposti appelli principale ed incidentale autonomo, la valutazione delle eccezioni formulate dall’appellante principale (di irricevibilità del ricorso di primo grado quanto all’impugnazione della verifica di compatibilità compiuta sulla sua richiesta di autorizzazione all’ampliamento di attività sanitaria, nonché del presupposto parere della Commissione aziendale) e di inammissibilità del gravame stesso per omessa impugnazione del titolo edilizio (ovvero del silenzio serbato dal Comune di L. sulla denuncia di inizio attività di opere edilizie a tal fine presentata), così come del mérito degli appelli medesimi, richiede un preliminare esame della materia concernente i titoli necessari al fine di poter svolgere legittimamente attività sanitaria privata.
3.1 - Ai sensi dell'art. 8-ter del D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (introdotto dall'art. 8 del D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229 ed ulteriormente modificato dall'art. 8 del D. Lgs. 28 luglio 2000, n. 254), la "realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie sono subordinate ad autorizzazione", che è richiesta anche per "l'adattamento di strutture già esistenti nonché la loro diversa utilizzazione, ampliamento, trasformazione e trasferimento in altra sede".
Detto articolo dispone al terzo comma che, per la realizzazione (o, come nel caso in esame, l'ampliamento) di strutture sanitarie e sociosanitarie, "il comune acquisisce, nell'esercizio delle proprie competenze in materia di autorizzazioni e concessioni di cui all'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493 e successive modificazioni, la verifica di compatibilità del progetto da parte della regione. Tale verifica è effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo e alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l'accessibilità ai servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuove strutture".
Analoga disposizione è contenuta nell'art. 3, comma 2, della L. Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 28.
Il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio delle attività sanitarie sociosanitarie da parte di strutture pubbliche e private presuppone invece la verifica del “possesso dei requisiti minimi, strutturali, tecnologici ed organizzativi stabiliti con atto di indirizzo e coordinamento …” ( comma 4 dell’art. 8-ter citato; v. anche l’art. 7 della L. Regione Basilicata 5 aprile 2000, n. 28 ).
L’autorizzazione alla realizzazione e quella all’esercizio si configurano come gli atti conclusivi di due procedimenti autonomi, l’uno propedeutico all’altro, soltanto nel primo dei quali è richiesta la valutazione di compatibilità con il fabbisogno, essendo l’autorizzazione all’esercizio subordinata alla verifica di altri parametri normativamente prefissati.
Essendo tuttavia la previsione di una verifica di compatibilità da parte della Regione diretta a conseguire una soddisfacente qualità dei servizi sanitari mediante una razionale e capillare distribuzione sul territorio anche con riferimento a strutture sanitarie aventi caratteristiche di centri privati (Cons. St., V, 15 ottobre 2009, n. 6324 ), sarebbe del tutto irragionevole consentire l’apertura e l’esercizio di una struttura sanitaria qualora la verifica di compatibilità svolta nel precedente procedimento di autorizzazione alla realizzazione della struttura risulti superata (nel senso che la verifica già di segno positivo viene ad assumere segno negativo) da nuove determinazioni del fabbisogno, nelle more intervenute, che non includano nell’offerta totale esistente la struttura che sia stata in precedenza oggetto di una verifica positiva e che tuttavia non sia ancora operante.
Ed infatti, ove le strutture per le quali sia già stata rilasciata la sola autorizzazione alla loro realizzazione non siano state prese in considerazione in sede di simulazione/dimostrazione del nuovo fabbisogno ai fini della quantificazione (fatta salva dalla nuova determinazione) delle prestazioni già assicurate, consentire l’apertura e l’esercizio di un’attività, che, alla data di rilascio della relativa autorizzazione, risulti eccedente il fabbisogno a quella data rideterminato, significherebbe vanificare del tutto la funzione dello strumento pianificatorio sanitario, che mira ad escludere che le autorizzazioni di cui si tratta possano essere rilasciate in maniera casuale, arbitraria e comunque priva di una effettiva e concreta visione d’insieme degli ambiti territoriali, in cui si riscontrino specifiche e ben individuate carenze di strutture o di capacità produttiva.
Pur esistendo, dunque, una sostanziale differenza ed autonomia fra l’autorizzazione alla realizzazione e quella all’esercizio di strutture sanitarie private (la prima caratterizzata dal fatto che il relativo procedimento si sostanzia nella valutazione, spettante al Comune, di conformità dell’intervento alle norme urbanistico-edilizie, nonché nella verifica di compatibilità effettuata dalla Regione, che tiene conto del fabbisogno complessivo di prestazioni sanitarie e della localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale; la seconda finalizzata ad evitare che vengano aperte e rese operative strutture sanitarie prive dei requisiti di abitabilità, igienicità, professionalità degli operatori e così via, indispensabili per garantire trattamenti sanitari rispondenti agli standards ordinari), la stretta interconnessione esistente fra i due procedimenti (che non a caso certa giurisprudenza di primo grado ha individuato come fasi autonome di un unico procedimento), cui sottostà l’esigenza ineludibile che le strutture sanitarie private svolgano la loro attività in maniera funzionale alla pianificazione sanitaria regionale (e proprio a tale scopo è prevista la verifica di compatibilità ex art. 8-ter del D. Lgs. n. 502/1992), fa sì che il soggetto (la Regione ) preposto al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio debba in tale fase, si badi, più che svolgere una nuova verifica di compatibilità (già compiuta ad opera della stessa Regione nel precedente procedimento di autorizzazione alla realizzazione), assicurarsi, dandone espressamente atto, che la verifica precedentemente operata nel presupposto procedimento rivesta tuttora i caratteri dell’attualità, sì da doversi poi attivare, in caso di accertato intervenuto mutamento del fabbisogno precedentemente stimato, per la révoca degli atti di quel procedimento, nella cui sede dovrà altresì prendere in considerazione l’eventuale diritto ad indennizzo del soggetto, che sulla base della precedente, legittima, autorizzazione alla realizzazione abbia effettuato investimenti ad essa inerenti.
Tanto, vale la pena di sottolineare, non rappresenta una violazione del principio tempus regit actum, bensì diretta e logica conseguenza del principio secondo cui l’atto amministrativo deve tener conto della situazione di fatto e di diritto esistente al tempo della sua adozione.
L’intervenuta modificazione del dato normativo del fabbisogno nelle mòre del procedimento di autorizzazione all’apertura ed all’esercizio della struttura non può invero non essere presa in considerazione nel procedimento stesso, se si vuole evitare che il principio della programmazione, volta a realizzare un contenimento della spesa pubblica ed una razionalizzazione del sistema sanitario, diventi un vuoto simulacro, fino a consentire al primo paziente di “varcare l’uscio” della nuova struttura sanitaria (secondo la suggestiva immagine evocata dall’odierna appellata/appellante incidentale nelle sue difese) quando il suo esercizio già non corrisponde più all’interesse pubblico al razionale funzionamento del sistema sanitario, che richiede l’imprescindibile coerenza dell’inserimento della nuova struttura nel tessuto esistente con la domanda complessiva di prestazioni sanitarie, per lo meno al momento della sua attivazione.
Quanto, poi, alla verifica regionale di compatibilità del progetto di realizzazione od ampliamento di strutture sanitarie, essa introduce un subprocedimento nell'ambito del complesso procedimento per il rilascio della concessione edilizia per la realizzazione o l'ampliamento di una struttura sanitaria, che si caratterizza per il fatto che la Regione è tenuta ad esprimersi non sulla conformità urbanistico-edilizia dell'intervento (spettando tale esame al Comune), bensì sulla compatibilità e coerenza con le esigenze poste dalla programmazione sanitaria ed ospedaliera, in funzione di un duplice parametro valutativo costituito dal fabbisogno complessivo (incidenza della progettata iniziativa sanitaria nel quadro globale, regionale e locale, della domanda di servizi sanitari del tipo corrispondente) e dalla localizzazione territoriale (in relazione alla presenza e diffusione di altre strutture sanitarie presenti in ambito regionale), anche in vista di una migliore accessibilità ai servizi sanitari e di valorizzazione di aree di insediamento prioritario di nuove strutture (Cons. St., V, n. 6324/2009, cit.).
Pertanto, la verifica di compatibilità viene espressa dalla Regione per profili distinti dalla conformità urbanistico-edilizia valutata dal Comune, sostanziandosi in una valutazione che tiene conto del fabbisogno complessivo e della localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale.
Essa si inserisce dunque nel procedimento di autorizzazione comunale di rilascio del titolo edilizio, il che fa sì che si verifichi nello stesso atto comunale la sintesi della qualità di titolo edilizio in senso proprio e di autorizzazione alla realizzazione (autorizzazione che presuppone la verifica di compatibilità da parte della Regione).
Ovviamente, poi, la circostanza che il procedimento in questione sia unico non implica certo che il provvedimento terminale sia anch'esso espressione di un unico potere amministrativo, in quanto il legislatore (statale e regionale) ha previsto un subprocedimento, finalizzato all'acquisizione del parere di compatibilità regionale; infatti, tenuto conto che la realizzazione di una struttura sanitaria o sociosanitaria investe, come già detto, perlomeno due aspetti diversi (ossia, quello edilizio-urbanistico e quello di politica sanitaria, per tacere delle questioni relative al rispetto di eventuali normative speciali), è evidente che il provvedimento autorizzatorio deve riguardare tutti gli aspetti coinvolti, in base a quanto stabilisce la legislazione di riferimento.
L’emissione del titolo edilizio pertinente alla costruzione equivale peraltro a contestuale rilascio (laddove necessario) dell’autorizzazione alla realizzazione, non potendosi desumere dalle predette disposizioni nazionali e regionali regolanti la materia la necessità di un documento diverso e specifico, che valga come autorizzazione alla realizzazione.
Ne consegue che, ove il titolo edilizio di cui si tratta sia, come appunto accade nella fattispecie, una D.I.A., il titolo, che vale anche come autorizzazione alla realizzazione, consisterà in quello, che, formatosi e consolidatosi per effetto del decorso del termine per l’esercizio del potere inibitorio, si configura, in definitiva, come fattispecie provvedimentale a formazione implicita (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 novembre 2008, n. 5811, nonché Sez. V, 20 gennaio 2003, n. 172 e Sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1550; da ultimo, Cons. St., IV, 8 marzo 2011, n. 1423 ).
4. – Così chiarito il quadro normativo e le relative implicazioni in tema di qualificazione ed ambito di operatività dei provvedimenti che vengono in considerazione, può dunque procedersi all’esame delle questioni in rito e di mérito poste con gli appelli principale ed incidentale autonomo, che méritano prioritaria trattazione.
Va anzitutto respinta l’eccezione di irricevibilità del ricorso di primo grado, già respinta dal T.A.R. e riproposta in questa sede dall’appellante principale, sollevata con riguardo alle censure di controparte in ordine alla verifica positiva di compatibilità ed al presupposto parere della Commissione aziendale, in quanto, se è vero che gli atti stessi risultano entrati nella sfera di conoscenza dell’originaria ricorrente sei mesi prima della notificazione del ricorso introduttivo, omette di considerare l’appellante principale che la c.d. “verifica di compatibilità”, di cui all’art. 3, comma 2, della L.R. n. 28/2000, si configura, come s’è detto, quale atto endoprocedimentale non avente rilevanza esterna ed idoneo, quindi, a determinare la lesione della posizione giuridica di eventuali controinteressati soltanto nella misura in cui si pone come presupposto condizionante il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione, che rappresenta pertanto l’unico atto suscettibile di impugnazione ai fini della deduzione (anche) di ogni eventuale vizio che concerna il sub-procedimento di verifica: atto, appunto, ritualmente gravato con il ricorso originario e rispetto alla cui impugnazione l’appellante principale nemmeno ha dedotto una eventuale conoscenza del provvedimento lesivo da parte dell’originaria ricorrente risalente a più di 60 giorni antecedenti alla notificazione del ricorso.
Quanto, poi, alla eccezione di inammissibilità dello stesso per aver la ricorrente originaria omesso di fare oggetto di specifico gravame il titolo edilizio, essa si rivela inammissibile per perplessità e contraddittorietà con la tesi (peraltro, come s’è visto, corretta) svolta dalla stessa appellante principale, secondo cui l’autorizzazione alla realizzazione (che detta ricorrente ha, come già detto, regolarmente impugnato) “coincide con il rilascio del titolo edilizio” ( pag. 20 app. princ. ); essa, in ogni caso, è pure infondata, atteso che proprio tale coincidenza fa sì che l’unico titolo emesso dal Comune (nella fattispecie con provvedimento tacito in relazione alla natura del relativo titolo edilizio per effetto della presentazione della D.I.A. e del mancato esercizio del conseguente potere inibitorio) “nell’esercizio delle proprie competenze in materia di autorizzazioni e concessioni” edilizie (così il primo periodo del comma 3 dell’art. 8-ter del D. Lgs. n. 502/1992 ), è stato sicuramente impugnato col gravame originario e correttamente ivi qualificato come autorizzazione alla realizzazione.
In relazione al mérito dei proposti appelli principale ed incidentale autonomo, va rilevato che gli stessi denunciano l’error in iudicando asseritamente consumato dal Giudice di primo grado, laddove ha ritenuto, in accoglimento del primo motivo del ricorso di primo grado, che in sede di rilascio dell’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio dell’attività sanitaria dovesse tenersi conto del minor fabbisogno di prestazioni individuato sulla base dei più restrittivi criteri, di cui alla deliberazione G.R. n. 1907/2006.
Ritiene in proposito il Collegio, come già sopra sottolineato, che l’interesse del privato ad intraprendere liberamente iniziative economiche di gestione di strutture sanitarie sia recessivo rispetto all’interesse pubblico relativo al controllo della diffusione di dette strutture, che si realizza mediante la verifica sul territorio del fabbisogno sanitario; e ciò anche nella fase del rilascio dell’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio, in cui la verifica stessa, come risultante dal precedente segmento procedimentale dell’autorizzazione alla realizzazione della struttura, deve essere sottoposta ad un esame di controllo della permanenza dei relativi presupposti (come nella fase anteriore accertati) sulla base del fabbisogno eventualmente normativamente rideterminato rispetto alla situazione esistente al tempo della verifica di compatibilità svolta ai fini del rilascio della prima autorizzazione; esame, questo, al cui ésito positivo deve ritenersi condizionata l’emanazione del provvedimento di autorizzazione all’esercizio, una volta che vengano ritenuti altresì sussistenti gli specifici requisiti, il cui accertamento è specificamente demandato a tale seconda fase (del che, sia detto per inciso, sembra ben consapevole la stessa Regione odierna appellante incidentale autonoma, che nelle premesse del provvedimento finale - v. deliberazione della Giunta Regionale n. 2005 in data 22 dicembre 2006 – richiama espressamente “la Determinazione Dirigenziale n. 72AB/2006/D/345 del Dipartimento Sicurezza e Solidarietà Sociale, Servizi alla Persona e alla Comunità – Ufficio Pianificazione Sanitaria e Verifica degli Obiettivi – con cui è stato disposto la compatibilità con la programmazione regionale … dell’ampliamento del laboratorio di che trattasi ...”).
Se ciò è vero, purtuttavia ritiene il Collegio che il T.A.R. abbia errato nel ritenere che alla data del 22.12.2006 (cioè alla data dell’adozione dell’impugnato provvedimento, di autorizzazione ex art. 5, comma 1, lett. b), L.R. n. 28/2000, all’ampliamento dell’attività della struttura sanitaria controinteressata “X. ” S.a.s. con estensione alla branca di Medicina di Laboratorio generale di base con specializzazione in microbiologia e sierologia) dovevano essere applicati i criteri, stabiliti dalla Del. G.R. n. 1907 dell’11.12.2006, rispetto ai quali il fabbisogno risulta interamente soddisfatto, con conseguente ésito negativo della verifica di compatibilità richiesta per la struttura, della cui autorizzazione qui si tratta.
Infatti, come esattamente dedotto dalle appellanti, ai fini della adozione del provvedimento di autorizzazione all’esercizio, non si sarebbe potuto assolutamente invocare l’applicazione della DGR n. 1907/2006, risultando a detta data comunque ancora in vigore i precedenti criteri, di cui alle DD.G.R. n. 1347/2003 e n. 2041/2004, sulla base dei quali era già stata per detta struttura compiuta una positiva verifica di compatibilità in sede di rilascio di autorizzazione alla realizzazione.
Soccorrono in proposito due ordini di ragioni:
- il regime transitorio dalla stessa DGR n. 1907/2006 contemplato, che prevede che la prima pubblicazione della determinazione del fabbisogno (quella relativa all’anno 2006) sia effettuata entro il mese di gennaio 2007; e poiché tale determinazione è presupposto essenziale della “verifica di compatibilità del progetto da parte della regione" in rapporto al "fabbisogno complessivo ed alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale" (art. 8-ter cit.), risulta evidente che, fino alla nuova determinazione del fabbisogno, ogni verifica di compatibilità resta ancorata ai precedenti criteri, salva la facoltà di sospensione dei procedimenti in corso di autorizzazione fino alla nuova determinazione del fabbisogno, che non risulta peraltro esercitata dalla Regione con la citata deliberazione n. 1907/2006, ogni questione circa l’eventuale legittimità della quale resta pertanto estranea all’oggetto del presente giudizio;
- in ogni caso, la deliberazione, da parte della Giunta Regionale, dei criteri, sulla base dei quali è effettuata la verifica de qua, presuppone che sia “sentita la Commissione Consiliare competente in materia di sanità” (art. 3, comma 2, ultimo periodo, della L.R. 5 aprile 2000, n. 28), l’invio alla quale è appunto a tal fine espressamente previsto al punto 2. del dispositivo della deliberazione n. 1907 medesima; ed il perfezionamento della fattispecie provvedimentale, idonea poi a dispiegare la sua efficacia e ad essere portata ad esecuzione quale termine di riferimento della ridetta "verifica di compatibilità" (derivante da una visione unitaria e globale del servizio sanitario, che solo nell'ambito di una programmazione regionale può essere espressa), non può che intendersi realizzato con l’acquisizione del parere obbligatorio della competente commissione consiliare, restando prima di tale acquisizione la deliberazione dei nuovi criteri allo stato di mera proposta. Nel caso della delibera n. 1907/2006, detto atto di assenso è intervenuto soltanto nella seduta del 15 febbraio 2007, sì che anteriormente a tale data il procedimento di determinazione dei nuovi criteri dovevasi intendere come ancora pendente nella fase istruttoria e dunque in una fase in cui il provvedimento conclusivo non poteva dirsi ancora venuto in essere quale manifestazione definitiva di volontà dell’Amministrazione (ciò, del resto, ben risulta dalla successiva deliberazione della Giunta Regionale n. 523 in data 16 aprile 2007, di presa d’atto del parere favorevole espresso dalla IV Commissione Consiliare e di conseguente “conferma” – da intendersi nel senso di definitiva approvazione – della deliberazione della Giunta Regionale n. 1907 dell’11 dicembre 2006, la contestazione della cui produzione e rilevanza nel presente grado, come sollevata dalla parte appellata/appellante incidentale, è da respingere, dovendosi ritenere ammissibile, in grado di appello, un’impostazione difensiva dell’appellante Amministrazione risultata soccombente in primo grado diversa da quella colà fatta valere, nonché la prospettazione di questioni fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli ivi proposti, con conseguente facoltà di prova degli elementi stessi e dunque con la conseguenza che ben possono ritenersi "prove indispensabili" senz'altro quelle dal cui esito possa emergere l'ingiustizia della prima sentenza di annullamento e condurre a rovesciarne le statuizioni: cfr. sez. VI, n. 2951 del 4 giugno 2007 e, da ultimo, Cons. St., IV, 6 giugno 2011, n. 3384 ).
4.1 – In sintesi, quindi, alla data di conclusione del procedimento di rilascio dell’autorizzazione all’apertura ed all’esercizio della struttura (D.G.R.B. n. 2205 del 22 dicembre 2006 e D.P.G.R. n. 278 in pari data), i criteri per la definizione del fabbisogno delle strutture sanitarie sul territorio regionale applicabili nel procedimento di verifica della compatibilità erano tuttora, a differenza di quanto ritenuto dal T.A.R. e come esattamente dedotto dagli appellanti principale ed incidentale autonomo, quelli stabiliti dalla deliberazione G.R. n. 1347/03 e cioè quegli stessi criteri, sulla base dei quali era stata verificata positivamente la compatibilità della struttura di cui si tratta con la programmazione regionale nell’àmbito del procedimento relativo al rilascio della relativa autorizzazione alla realizzazione (v. Determinazione Dirigenziale n. 72AB/2006/D/345 del Dipartimento Sicurezza e Solidarietà Sociale, Servizi alla Persona e Comunità – Ufficio Pianificazione Sanitaria in data 9 marzo 2006), sì che nessun riesame della verifica stessa si rendeva necessario.
5. – L’indagine del Giudice d’appello, una volta verificata l’erroneità della tesi accolta dal Giudice di primo grado circa l’applicabilità al procedimento in argomento dei criteri di cui alla deliberazione della Giunta Regionale n. 1907/2006, deve allora volgersi, nei limiti del thema decidendum della lite come circoscritto dalle censure avanzate col ricorso originario, a verificare se, come pure dedotto col ricorso stesso (pag. 5), “in applicazione dei criteri prescritti dalla DG n. 1347/2003, non si sarebbe potuta dichiarare la compatibilità” (v. anche pag. 15 memoria costituzione/ appello incidentale).
Tale profilo, non esaminato dal T.A.R., risulta fondato nei términi di cui appresso.
Ed invero la citata determinazione n. 72AB/2006/D/345 del Dipartimento Sicurezza e Solidarietà Sociale, Servizi alla Persona e Comunità – Ufficio Pianificazione Sanitaria in data 9 marzo 2006, con la quale è stato ritenuto “compatibile con la programmazione regionale … l’ampliamento dell’ambulatorio di fisiocinesiterapia e rieducazione funzionale della società X. s.a.s. … relativamente a … medicina di laboratorio generale di base con sezione specializzata in microbiologia …”, risulta, come dedotto in sede di ricorso originario ed in questo grado ribadito, effettivamente viziata da travisamento dei fatti, illogicità, irrazionalità e difetto di istruttoria laddove ha ritenuto che “risultano rispettati positivamente tutti i criteri della DGR n. 1347 del 22.07.2003 e DGR n. 2041 del 13.09.2004” (v. il “considerato” del relativo preambolo).
Sotto questo profilo, in realtà, rileva il criterio, enunciato dalla DGR n. 1347/2003, della “totale assenza o insufficiente presenza di strutture pubbliche o private eroganti quella tipologia di prestazioni nell’ambito distrettuale interessato”, in relazione al quale il parere (consistente nel verbale di incontro dell’apposita Commissione tecnica in data 1 dicembre 2005) trasmesso dall’A.S.L. alla Regione con nota n. 20050065089 del 9 dicembre 2005 e da questa posto a base della successiva anzidetta determinazione dirigenziale di compatibilità, considerava la presenza sul territorio del solo centro prelievi del DSB di L. con circa 83.500 prestazioni/anno, “sicuramente insufficienti a garantire la domanda che si orienta verso strutture esterne o extraregionali” (così il verbale medesimo).
Orbene, tale parere e la conseguente determinazione regionale risultano sicuramente affetti dai denunciati vizi laddove non tengono conto, ai fini della verifica in questione, del parere del tutto coincidente già reso con riferimento alla richiesta di autorizzazione antecedentemente presentata per la stessa branca e lo stesso territorio dall’odierna appellata/appellante incidentale (v. nota A.S.L. indirizzata alla Regione n. 20050063579 in data 30 novembre 2005 e pedissequa determinazione dirigenziale regionale n. 174 del 3 febbraio 2006).
La ricorrente originaria censura invero in proposito la stessa ratio che presiede a siffatta modalità di conduzione del procedimento di verifica di compatibilità, atteso che, essa deduce, “se prima della positiva verifica di compatibilità per la ricorrente esisteva un fabbisogno X, non può più sostenersi che tale fabbisogno X possa essere rimasto in seguito immutato”.
La censura è, come s’è detto, fondata, dal momento che non può certo ritenersi idoneo al soddisfacimento della finalità di una corretta programmazione della presenza di strutture sanitarie sul territorio (cui con tutta evidenza la verifica di compatibilità di cui all’art. 3, comma 2, della L.R. n. 28/2000 mira) un procedimento di verifica, che non tenga conto, nel porre a raffronto il fabbisogno con la capacità delle strutture esistenti di soddisfare il fabbisogno medesimo, delle positive verifiche di compatibilità in precedenza effettuate, anche quando, come appunto accade nel caso di specie, le strutture, cui queste si riferiscono, non abbiano ancora ottenuto l’autorizzazione alla realizzazione e quella all’apertura ed esercizio e non siano dunque effettivamente operanti.
E’ ben chiaro, infatti, come la metodica assunta dall’A.S.L. (e fatta propria dalla Regione nel dichiarare la compatibilità a fronte di una siffatta distorsione nella ricognizione dell’offerta esistente) finisce col fondare la verifica su un dato (quello delle strutture operanti sul territorio) reale sì, ma suscettibile di essere superato nell’arco di breve tempo (e comunque del tutto presumibilmente prima che la struttura della cui verifica si tratta pervenga ad ottenere la autorizzazione all’apertura ed all’esercizio) a séguito della realizzazione e dell’apertura di strutture, che hanno già superato (semplicemente per aver presentato una domanda di autorizzazione alla realizzazione più risalente nel tempo) la fase di verifica: con l’aberrante conseguenza che si rischia per tal via di finire con l’autorizzare strutture in esubero rispetto al fabbisogno già assolto, strutture, cioè, che già al momento dell’apertura non rispondono ad alcun interesse pubblico e la cui attività è tale allora da mettere in pericolo la sempre più pressante esigenza di razionalizzazione del sistema sanitario.
5.1 – In definitiva, a parere del Collegio, in sede di verifica della compatibilità di cui si tratta, per “strutture pubbliche o private eroganti quella tipologia di prestazioni nell’ambito distrettuale interessato” (di cui la deliberazione della Giunta Regionale n. 1347/2003 prescrive che occorra preliminarmente verificare la capacità di far fronte al fabbisogno affinché solo in caso di ésito negativo di tale riscontro si possa poi certificare la compatibilità col fabbisogno stesso della nuova, realizzanda, struttura) debbono intendersi anche quelle, pur non ancora pervenute allo stato operativo, che siano già state assoggettate a previa verifica di compatibilità e l’abbiano superata.
Quanto, poi, al rischio, suscettibile di derivare da tale impostazione metodologica, di considerare acquisita la capacità di strutture che per i più diversi motivi potrebbero non pervenire alla fase di realizzazione prima e di esercizio poi, a parte il fatto ch’esso risulta certamente più eventuale e meno deleterio per l’interesse pubblico di quello opposto (derivante dal modus operandi qui manifestato dalla Regione) di vanificare la programmazione consentendo la realizzazione (nell’àmbito del cui procedimento autorizzatorio detta verifica come s’è visto si inserisce) di strutture eccedenti il fabbisogno, lo stesso è certamente superabile mediante opportune modalità procedimentali, che prevedano la successiva, periodica, possibilità di riesame di quelle verifiche negative di compatibilità, che siano scaturite da una valutazione di sufficienza delle strutture erogatrici fondata su procedimenti di autorizzazione ancora in corso.
Sussiste, pertanto, il vizio istruttorio denunciato dalla ricorrente originaria con riguardo alla verifica di compatibilità posta in essere dalla Regione sulla domanda di autorizzazione alla realizzazione presentata dalla controinteressata, non essendosi in essa tenuto conto, in sede di quantificazione dell’offerta già presente, della capacità operativa suscettibile di essere garantita dalla struttura, per la cui realizzazione la stessa ricorrente aveva già ottenuto in via poziore positiva verifica.
Di tale vizio, peraltro, la stessa controinteressata non riesce a dimostrare l’irrilevanza ai fini del risultato finale (verifica positiva o negativa di compatibilità) del procedimento in questione, essendo rimasta a livello di mera enunciazione, non supportata da alcuna argomentazione e tanto meno da un qualche principio di prova, la sua affermazione, secondo cui “il medesimo dato numerico considerato dalla commissione consentiva ad entrambi i laboratori … di poter congiuntamente operare sul territorio” (pag. 18 app. princ.), sì che ne risulta:
a) l’illegittimità del provvedimento regionale di positiva verifica di compatibilità nonché, in forza del vincolo procedimentale sopra illustrato, del provvedimento sindacale di autorizzazione alla realizzazione e del titolo edilizio con esso coincidente, nel procedimento del cui rilascio si è innestato il veduto sub-procedimento di verifica;
b) il travolgimento degli atti del procedimento di autorizzazione all’apertura ed all’esercizio, del quale l’autorizzazione alla realizzazione si configura come presupposto fondante, il cui venir meno determina la caducazione automatica dell’atto consequenziale.
6. – L’appello principale ed incidentale autonomo vanno così respinti e la sentenza impugnata va, nel suo decisum di annullamento, confermata, se pure con diversa motivazione.
7. - La sentenza stessa va pure confermata nella sua statuizione di reiezione della domanda risarcitoria (sì che va respinto il motivo di appello incidentale avverso di essa proposto), essendosi limitata la ricorrente, col gravame di primo grado, a dedurre la frustrazione della sua condizione di “unico centro privato ad erogare prestazioni di analisi cliniche in L. ” per opera dei contestati provvedimenti di autorizzazione rilasciati alla controinteressata ed a chiedere al Giudice il risarcimento del danno ingiusto “previa valutazione di ordine tecnico contabile”.
Di tal guisa, in realtà, la ricorrente ha omesso del tutto di fornire prova di quanto assunto, di fatto chiedendo la rimessione al c.t.u. della prova di fatti e situazioni, che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda, debbono essere necessariamente provati.
E’ inammissibile, poi, la “nuova” produzione in secondo grado di “perizia tecnico giurata” per la quantificazione del danno, stante il divieto di produzione di documenti in appello recato dall’art. 345 c.p.c., comma 3, che deve essere interpretato nel senso che tale disposizione fissa sul piano generale il principio della inammissibilità dei “nuovi mezzi di prova” (e, quindi, anche delle produzioni documentali) e che la “indispensabilità” dei documenti stessi, che consente di derogare a tale principio secondo la libera valutazione del Giudice di appello, non può certo ritenersi ravvisabile allorché il relativo ònere di produzione sussisteva già in primo grado e lo stesso risulti in quella sede esser rimasto insoddisfatto senza giustificazione alcuna.
Quanto agli altri motivi di appello incidentale, con i quali la sentenza impugnata viene aggredita nella parte in cui non ha accolto i motivi del ricorso di primo grado contraddistinti con i numeri II, III e IV, la veduta reiezione degli atti di appello principale ed incidentale autonomo nei sensi di cui sopra comporta l’assenza di interesse dell’appellante incidentale ad una pronuncia sugli stessi.
8. – In conclusione, l’appello principale e quello incidentale autonomo vanno respinti, mentre l’appello incidentale va in parte respinto ed in parte dichiarato improcedibile per carenza di interesse.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:
- respinge l’appello principale;
- respinge l’appello incidentale autonomo;
- in parte respinge ed in parte dichiara improcedibile per carenza di interesse l’appello incidentale;
- per l’effetto, conferma, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 16 dicembre 2011, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Terza – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Pier Luigi Lodi, Presidente
Lanfranco Balucani, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Vittorio Stelo, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/01/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)