06.04.2009 free
Richiesta di accesso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, da parte di un detenuto
In relazione alla richiesta del detenuto di ammissione alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, il magistrato di sorveglianza, nel verificare le condizioni legittimanti l’intervento, non può disapplicare le linee guida di cui al Decreto 11 aprile 2008 del Ministro della Salute, che indicano le patologie produttive di infertilità o sterilità.
Corte di Cassazione - penale
Sentenza n. 11259 del 21 gennaio 2009 – depositata il 13 marzo 2009
omissis
Motivi della decisione
OSSERVA
1. Con ordinanza in data 07.07.2008, oggetto del ricorso qui in esame, il Magistrato di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto dal detenuto M.A. avverso il provvedimento 17.01.2008 dell'Amministrazione penitenziaria reiettivo della sua istanza di autorizzazione alla fecondazione assistita secondo le procedure della L. 19 febbraio 2004, n. 40.
Detto Magistrato, premessa l'ammissibilità del reclamo in quanto vertente su provvedimento incidente su diritto soggettivo (trattamento sanitario), e richiamata la decisione di questa Corte di legittimità 30.01.2008, Madonia, rilevava peraltro come il detenuto istante non deducesse per sè o per la moglie patologia intrinsecamente impeditiva del concepimento o della gestazione.
In tal senso, infatti - secondo la motivazione dell'impugnata ordinanza - non potevano essere applicate le invocate linee guida (decreto del Ministro della Salute 11.04.2008), di valenza regolamentare, che includevano la patologia di cui soffre il M. (epatopatia HCV correlata) quale condizione che, per l'elevato rischio di trasmissione al partner ed al feto, induce oggettivamente situazione di infecondità e quindi di infertilità.
Ciò in quanto - argomentava ancora l'ordinanza in questione - il chiaro testo della L. n. 40 del 2004, art. 4 fonte primaria, indicava solo le infertilità inspiegate e quelle derivanti da causa accertata certificate da atto medico.
Tale limitazione legislativa, per quanto opinabile, escludeva pertanto le patologie virali trasmissibili, atteso che la malattia infettiva di per sè non è impeditiva della procreazione.
La fonte regolamentare, pertanto, doveva essere nella fattispecie disapplicata per avere ampliato, extra legem, i contenuti della fonte primaria.
2. Avverso tale ordinanza, chiedendone l'annullamento, proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto detenuto che, con atto personale ed altro del difensore, motivava il gravame formulando le seguenti deduzioni per violazione di legge: le linee guida non avrebbero valenza regolamentare, bensì integratrice, L. n. 40 del 2004, ex art. 7 della legge stessa, che dunque l'ordinanza impugnata avrebbe di conseguenza violato.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte depositava quindi requisitoria con la quale richiedeva il rigetto del ricorso.
4. Con atto datato 01.10.2008 il M., personalmente insistendo nella sua richiesta, trasmetteva copia di nota in data 28.08.2008 del Dipartimento di Ginecologia dell'Azienda Ospedaliera (OMISSIS) relativa alle tecniche effettuabili nella fattispecie.
La difesa del predetto, con memoria di replica depositata il 16.01.2009, ribadiva le proprie tesi, allegando anche certificazione 08.01.2009 di sanitario addetto all'Azienda USL Roma (OMISSIS), Unità Operativa di Medicina Penitenziaria, attestante che il M., per la sua patologia "epatopatia HCV correlata", è portatore di "infertilità maschile severa". 5. Il ricorso, fondato nei termini di cui alla seguente motivazione, deve essere accolto.
Deve essere dapprima richiamato, come correttamente ha invero fatto anche l'ordinanza impugnata, il contenuto della citata sentenza di questa Corte n. 7791, in data 30.01.2008, Rv. 238721, Madonia, che ha già aperto la strada alla tutelabilità, per le persone detenute, di quelle situazioni, in quanto incidenti sul diritto alla salute, che facciano riferimento anche alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita.
Ed invero il sacrificio imposto alla persona ristretta non deve mai eccedere il minimo necessario ai fini di sicurezza, e, posta la rilevanza primaria dei diritti umani connessi all'anzidetta funzione riproduttiva, la riconosciuta tutelabilità deve trovare ragionevole e positiva espansione, in un equo contemperamento delle esigenze in gioco.
Tale premessa di carattere generale risulta, per vero, correttamente esplicata anche dal Magistrato di Sorveglianza di Roma nella qui impugnata ordinanza.
Il tema della presente decisione si sposta, ora, sul confronto tra L. n. 40 del 2004 e le successive "Linee guida" espresse con Decreto del Ministro della Salute in data 11.04.2008 (pubblicato sulla G.U. n. 101 del 304.2008).
L'impugnata ordinanza ritiene di dovere nel concreto disapplicare le anzidette "Linee guida" sui seguenti rilievi:
a) trattasi di fonte regolamentare, subordinata alla legge, fonte primaria;
b) la L. n. 40 del 2004 autorizza le procedure medicalmente assistite solo per le patologie, debitamente certificate, di sterilità e di infertilità;
c) la persona affetta da malattia virale trasmissibile per via sessuale non è di per sè portatore di sterilità o infertilità;
d) dunque l'introduzione, nelle "Linee guida", delle patologie sessualmente trasmissibili, quale situazione legittimante il ricorso alle tecniche medicalmente assistite, di cui alla citata legge, risulta extra legem, dunque ne è dovuta la disapplicazione.
Ritiene questa Corte di doversi distaccare da tale argomentazione.
Ed invero l'anzidetta L. n. 40, con previsione di evidente carattere generale, parla di sterilità o infertilità (inspiegate o da cause accertate), ma non indica le specifiche patologie - che producano sterilità o infertilità - in modo dettagliato e nominativo.
E' del tutto pacifico, invero, che l'indicazione contenuta nella legge di sterilità o infertilità (inspiegate o da cause accertate) proponga una condizione generale legittimante l'intervento, ed anzi, nella sostanza, descriva più l'effetto di plurime patologie che di quella condizione finale siano produttive, che le patologie stesse.
Non c'è dubbio, invero, che la nosografia scientifica conosca molte cause riconducibili all'anzidetta indicazione generale.
In siffatto quadro legislativo deve quindi ritenersi che la norma in questione non possa non far riferimento alla più concreta delimitazione che, delle patologie produttive di sterilità ed infertilità, ne dia la comunità scientifica.
In tal senso deve ritenersi che la L. n. 40, art. 7 laddove richiama il parere del Consiglio Superiore della Sanità, quale supporto tecnico delle "Linee Guida" che sono "vincolanti per tutte le strutture autorizzate", pur con riferimento all'indicazione delle procedure (che però non possono essere svincolate dalle concrete patologie a monte), in definitiva demandi proprio alle anzidette "Linee Guida" la più compiuta e particolareggiata indicazione delle patologie rientranti nel più generale quadro normativo.
Tali "Linee Guida", infatti, nel concreto (così come in consimili casi dell'arte medica), in effetti esplicitano una serie di condizioni patologiche, a vario livello incidenti nella funzione riproduttiva, che quella condizione finale di infertilità o sterilità producono.
Tanto ritenuto, risulta consequenziale che non è corretto disapplicare le "Linee Guida" degradate a fonte regolamentare, proprio in quanto esse svolgono invece funzione concretamente integrativa della previsione generale della L. n. 40 (la cui applicazione altrimenti sarebbe lasciata, in materia di particolare sensibilità umana e sociale, oltre che deontologica, alle disomogenee iniziative dei singoli medici).
Ciò posto, non pare lecito che il giudice si possa spingere fino al punto di delimitare, al di là di quello che è stato il parere scientifico del massimo organo di consulenza tecnica in materia medica (il Consiglio Superiore di Sanità), ciò che rientri - o non rientri - nell'ambito delle patologie che la comunità scientifica ritenga invece autorevolmente produttiva di infertilità o sterilità (e cioè sia essa patologia intrinsecamente rientrante, ovvero indirettamente produttiva dello stesso effetto previsto dalla Legge).
Si impone dunque l'annullamento dell'impugnata ordinanza con rinvio al Magistrato di Sorveglianza di Roma per nuovo esame che tenga contro dei principi di diritto qui affermati.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza di Roma.
Così deciso in Roma, il 21 Gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 marzo 2009