10.03.2009 free
CONSIGLIO di STATO – (danni da fumo passivo sul luogo di lavoro al vaglio della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato)
§ - il Consiglio di Stato in tema di risarcibilità del danno da esposizione a fumo passivo sul luogo di lavoro come richiesto da un pubblico dipendente, considerando la rilevanza delle questioni sottoposte e la delicatezza del tema, ha rimesso l’intera controversia alla Adunanza Plenaria (Consiglio di Stato in adunanza plenaria), chiedendo la soluzione di talune problematiche, tenuto anche conto del fatto che il dipendente non aveva avanzato preventiva istanza di riconoscimento della “causa di servizio”.
Il Supremo giudice amministrativo deferendo la controversia alla Adunanza Plenaria ha chiesto soluzione alle seguenti questioni:
a) se i danni derivanti ad un pubblico dipendente per lesione dell'integrità psico-fisica, imputati all'amministrazione datrice di lavoro a titolo di responsabilità contrattuale, siano ristorabili unicamente mediante la concessione dell'equo indennizzo, o se sia esperibile anche o solo una azione di risarcimento;
b) se ammessa l'esperibilità dell'azione risarcitoria, la previa attivazione del procedimento amministrativo per la concessione dell'equo indennizzo costituisca condizione preliminare e necessaria per chiedere il risarcimento dei danni;
c) se le conclusioni cui l'Adunanza perverrà sui punti precedenti valgano anche in ipotesi di qualificazione della responsabilità come extracontrattuale, qualora si ritenga possibile tale qualificazione in relazione alla controversia in esame;
d) se sia ammissibile nel processo amministrativo la condanna generica ai sensi dell'art. 278 c.p.c. o se, invece, il giudice amministrativo anche in caso di richiesta di condanna generica possa, o debba, procedere attivando il meccanismo di cui all'art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Consiglio di Stato - Sezione VI, Sent. n. 546 del 02.02.2009
omissis
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Il signor A.S., dipendente dell'Istituto nazionale per la previdenza sociale in servizio presso la sede territoriale di Ascoli Piceno, proponeva davanti al pretore del lavoro di Ascoli Piceno una azione di accertamento del proprio diritto ad essere risarcito dei danni psico-fisici asseritamene subiti in conseguenza della sua illegittima esposizione a fumo passivo sul luogo di lavoro, cui era stato sottoposto a causa del mancato rispetto da parte del proprio datore di lavoro delle norme di legge in materia di tutela della salute dei lavoratori e più precisamente degli obblighi imposti dalla legge 11 novembre 1975, n. 584, recante norme in materia di divieto di fumo in determinati locali e sui mezzi di trasporto pubblico.
Con sentenza n. 110 del 16 febbraio2000, il Pretore di Ascoli Piceno dichiarava il proprio difetto di giurisdizione, sul presupposto che la domanda del ricorrente era rivolta a far valere una responsabilità di tipo contrattuale nei confronti dell'ente datore di lavoro per violazione dei doveri di tutela dell'integrità fisica dei dipendenti di cui all'art. 2087 del c.c., in relazione alla quale la cognizione della relativa controversia veniva ritenuta spettante al giudice amministrativo, investito all'epoca di giurisdizione esclusiva per quanto riguarda le controversie correlate al rapporto di impiego dei dipendenti pubblici (i fatti risalivano agli anni 1996-97).
Il signor A.S. riproponeva allora la domanda davanti al Tar per le Marche.
Con la sentenza n. 427 del 14 giugno 2006, il Tar, ritenuta sussistente la propria giurisdizione, dichiarava il ricorso inammissibile, rilevando che il dipendente si era limitato a proporre l'azione di accertamento del diritto al risarcimento del danno alla propria salute, senza tuttavia promuovere in precedenza il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio delle patologie lamentate ai fini della liquidazione dell'equo indennizzo, secondo le norme di stato giuridico dei dipendenti dell'I.N.P.S..
Secondo il giudice di primo grado, nel caso di infermità contratte per causa o concausa di servizio, al dipendente compete l'equo indennizzo ai sensi del D.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, il cui accertamento va compiuto sulla base di un apposito procedimento amministrativo; da ciò consegue che non è possibile per i dipendenti dell'ente resistente richiedere direttamente al giudice il risarcimento di danni alla salute asseriti causati dalle disagevoli condizioni di lavoro o comunque da fatti di servizio addebitabili alla responsabilità del datore di lavoro, essendo necessario promuovere prima in sede amministrativa l'accertamento delle infermità denunciate ed il riconoscimento della loro eventuale dipendenza eziologia dall'attività lavorativa. Solo dopo la conclusione di tale procedimento, che rappresenta una condizione pregiudiziale per la successiva tutela giurisdizionale, sarebbe possibile adire il giudice amministrativo.
Il signor A.S.ha proposto ricorso in appello avverso tale decisione, deducendo che:
a) equo indennizzo e risarcimento del danno sono istituti diversi, tra loro cumulabili e compatibili, con la conseguenza che alcuna preclusione per la proponibilità di una azione risarcitoria diretta a tutelare il diritto alla salute può derivare dalla mancata attivazione del procedimento amministrativo per la concessione dell'equo indennizzo;
b) la responsabilità dell'I.N.P.S., derivante dal non aver il datore di lavoro fatto rispettare il divieto di fumo in pubblici uffici, è stata adeguatamente provata in giudizio, come responsabilità ex art. 2087 c.c., anche sulla base delle certificazioni mediche attestanti il nesso causale tra la patologia riscontrata (disturbi della pressione ed altro) e l'esposizione al fumo passivo.
L'I.N.P.S. si è costituito in giudizio, chiedendo al reiezione del ricorso ed eccependone l'inammissibilità per una asserita carente contestazione delle statuizioni della sentenza del Tar.
All'odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
2. L'oggetto del giudizio è costituito dall'esame di una domanda di risarcimento del danno, proposta da un dipendente dell'I.N.P.S. in relazione al pregiudizio subito per l'esposizione al fumo passivo negli anni 1996 e 1997.
In particolare, il ricorrente chiede il risarcimento del danno biologico derivante dall'essere stato trasferito presso un ufficio in cui prestavano la propria attività lavorativa altri colleghi, che durante le ore di lavoro fumavano in violazione dei divieti imposti dalla legge; il disagio sopportato per effetto di tale avvenuta esposizione al fumo passivo, protrattasi per 15 mesi, avrebbe determinato l'insorgenza, o comunque l'aggravamento, di una patologia ipertensiva con danni alla salute ed al benessere psico-fisico.
In primo luogo, si rileva che sulla questione di giurisdizione si è ormai formato il giudicato interno: dopo che il giudice ordinario ha declinato la propria giurisdizione, il Tar ha ritenuto sussistente la giurisdizione amministrativa con statuizione espressa non contestata in sede di appello; da ciò deriva che la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, peraltro pacifica con riferimento all'azione di responsabilità contrattuale per fatti antecedenti il 30 giugno 1998 (cfr., fra tutte, Cass., sez. un., n. 9385/2001), non sia più contestabile anche in ipotesi di una diversa qualificazione della domanda da parte del giudice.
3. Con il ricorso in appello, contrariamente a quanto sostenuto dall'I.N.P.S., l'appellante ha contestato le statuizioni del giudice di primo grado, rilevando come nessuna preclusione per la proponibilità di una azione risarcitoria diretta a tutelare il diritto alla salute possa derivare dalla mancata attivazione del procedimento amministrativo per la concessione dell'equo indennizzo.
La domanda proposta in primo grado e oggetto del ricorso in appello è limitata ad una condanna generica al risarcimento del danno, da determinarsi in un separato e successivo giudizio; si tratta con evidenza di una domanda proposta ai sensi dell'art. 278 c.p.c., in relazione alla quale si ricorda che la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito integra un accertamento di potenziale idoneità lesiva di quel fatto, sicché la prova dell'esistenza concreta del danno, della reale entità e del rapporto di causalità è riservata al successivo giudizio da proporre per la liquidazione (Cass. civ., I, n. 21428/2007).
Ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, ai sensi dell'art. 278 c.p.c., non è sufficiente accertare l'illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pur con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa, senza la quale il diritto al risarcimento di cui si chiede anticipatamente la tutela, non può essere configurato. Nel caso di condanna generica, infatti, ciò che viene rinviato al separato giudizio è soltanto l'accertamento in concreto del danno nella sua determinazione quantitativa, mentre l'esistenza del fatto illecito e della sua potenzialità dannosa devono essere accertati nel giudizio relativo all'an debeatur e di essi va data la prova sia pure sommaria e generica, in quanto costituiscono il presupposto per la pronuncia di condanna generica (Cass. civ., I, n. 18939/2007).
In fatto, si rileva che il ricorrente aveva in passato (23.4.1990) presentato domanda di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di alcune infermità asseritamente contratte in conseguenza dell'attività lavorativa, tra le quali figurava anche una cardiopatia ipertensiva da ansia e che, all'esito dei giudizi clinici all'epoca formulati dai competenti collegi medici, venne esclusa qualsiasi eziologia tra le malattie denunciate dal dipendente e l'attività lavorativa dal medesimo espletata, con la contestuale precisazione che le stesse infermità non avevano comunque prodotto menomazioni di carattere permanente dell'integrità fisica del dipendente.
Tuttavia, la domanda proposta nel presente giudizio non attiene alla dipendenza da causa di servizio della medesima patologia, ma concerne il risarcimento dei danni derivanti dall'incidenza sulla predetta patologia dall'esposizione al fumo passivo.
Ciò che è stato ritenuto preclusivo dal giudice di primo grado è, quindi, non l'esito negativo del precedente procedimento amministrativo, ma la mancata attivazione del procedimento per la concessione dell'equo indennizzo in relazione ai fatti del 1996/97, indicati a fondamento della pretesa risarcitoria.
Per completezza, si precisa che il ricorrente ha fornito i seguenti elementi di prova:
a) in ordine all'esposizione al fumo passivo, numerose lettere di contestazione inviate al datore di lavoro e gli ordini di servizio, tra cui particolare rilievo è attribuito a quello del 15-5-1997, con cui l'I.N.P.S. ha disposto il trasferimento del ricorrente "nella stanza n. 202 dove lavora personale non fumatore" (da cui viene dedotto il riconoscimento della preesistente condizione di lavoro in locali dove il personale fumava);
b) in ordine, alla dimostrazione del danno e del nesso causale (fermo restando quanto detto in precedenza sulla condanna generica e sulla prova sommaria richiesta), diversi certificati medici di una giornata di riposo per crisi ipertensive e una relazione medica in cui gli episodi vengono posti in correlazione con l'esposizione al fumo passivo in ufficio.
4. Ciò premesso, il Collegio ritiene opportuna la rimessione della controversia all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, onde evitare possibili contrasti giurisprudenziali e in relazione all'importanza delle questioni di carattere generale.
Non constano precedenti specifici sulle questioni oggetto della presente controversia e il Consiglio di Stato in passato ha affermato che ove operi l'assicurazione obbligatoria del datore di lavoro presso l'INAIL permane la responsabilità del datore di lavoro solo se l'infortunio sia da ascriversi ad un fatto-reato suo o di un suo preposto, cioè ad un fatto comportante la sua responsabilità extra-contrattuale ex artt. 2043 c.c. e 185, secondo comma, dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda proposta a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cons. Stato, VI, n. 969/2007).
Con riferimento ai rapporti di lavoro privatistici, la giurisprudenza civile ha sempre affermato che le erogazioni spettanti a titolo di equo indennizzo si fondano su un titolo diverso rispetto all'atto illecito e non hanno finalità risarcitorie, con la conseguenza che concessione dell'equo indennizzo e risarcimento del danno sono tra loro compatibili e cumulabili e che dall'importo liquidato a titolo di risarcimento del danno alla persona (patrimoniale o biologico) non può essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di equo indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte od all'invalidità derivante dal servizio (Cass. civ., III, n. 10291/2001; n. 11440/1997).
Nel caso di specie, la questione che assume rilevanza non è quella della cumulabilità tra equo indennizzo e risarcimento del danno (non avendo il ricorrente né chiesto né ricevuto alcuna somma a titolo di equo indennizzo), bensì quella della proponibilità di una azione risarcitoria in assenza dell'attivazione del procedimento amministrativo per la concessione dell'equo indennizzo; ciò sia sotto il profilo dell'autonomia delle due azioni, sia sotto quello della verifica se la via amministrativa dell'equo indennizzo costituisca una condizione necessaria per proporre la domanda risarcitoria, cioè del rapporto fra le due azioni.
L'applicazione dell'orientamento della citata giurisprudenza della Cassazione e, più in generale, dei principi in materia di tutela del diritto alla salute, condurrebbe a ritenere, a differenza di quanto sostenuto dal Tar, che la domanda risarcitoria sia comunque ammissibile e che l'azione amministrativa non sia una condizione necessaria per chiedere il risarcimento del danno.
La rilevanza della questione richiede la rimessione della stessa all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, a cui spetterà verificare anche se la soluzione da seguire sia la stessa a seconda della qualificazione come contrattuale o extracontrattuale dell'azione risarcitoria esercitata (nell'ipotesi in cui si ritenga possibile qualificare in termini di responsabilità extracontrattuale la domanda proposta).
In caso di ritenuta ammissibilità dell'azione risarcitoria, si richiede che l'Adunanza plenaria verifichi l'ammissibilità nel processo amministrativo dell'istituto della condanna generica ex art. 278 c.p.c., anche con riferimento all'art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998, che prevede che il g.a. può "stabilire i criteri in base ai quali l'amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell'avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine".
Mentre con la condanna generica ex art. 278 c.p.c. il giudice si limita ad accertare in astratto l'esistenza del pregiudizio, l'art. 35, comma 2 integra un istituto di carattere diverso ed è utilizzabile non per rinviare la determinazione dell'an del risarcimento, ma la sola fase della liquidazione del danno sulla base dei criteri indicati (Cons. Stato, V, n. 353/2000).
La questione da risolvere è se, in aggiunta e in alternativa al meccanismo previsto dall'art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998, sia possibile chiedere al giudice amministrativo la condanna generica ai sensi dell'art. 278 c.p.c. o se, invece, il giudice amministrativo anche in caso di richiesta di condanna generica, possa o debba, procedere ai sensi del citato art. 35, comma 2, che richiede però diversi presupposti, costituiti dalla piena allegazione di tutti gli elementi dell'illecito (in senso negativo rispetto alla ammissibilità nel processo amministrativo della condanna generica ex art. 278 c.p.c., vedi Cons. Stato, V, n. 2967/08; IV, n. 942/2004).
5. In conclusione, attesa la rilevanza delle questioni e la possibilità di contrasti giurisprudenziali, l'intera controversia va deferita all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato per la soluzione delle seguenti questioni:
a) se i danni derivanti ad un pubblico dipendente per lesione dell'integrità psico-fisica, imputati all'amministrazione datrice di lavoro a titolo di responsabilità contrattuale, siano ristorabili unicamente mediante la concessione dell'equo indennizzo, o se sia esperibile anche o solo una azione di risarcimento;
b) se ammessa l'esperibilità dell'azione risarcitoria, la previa attivazione del procedimento amministrativo per la concessione dell'equo indennizzo costituisca condizione preliminare e necessaria per chiedere il risarcimento dei danni;
c) se le conclusioni cui l'Adunanza perverrà sui punti precedenti valgano anche in ipotesi di qualificazione della responsabilità come extracontrattuale, qualora si ritenga possibile tale qualificazione in relazione alla controversia in esame;
d) se sia ammissibile nel processo amministrativo la condanna generica ai sensi dell'art. 278 c.p.c. o se, invece, il giudice amministrativo anche in caso di richiesta di condanna generica possa, o debba, procedere attivando il meccanismo di cui all'art. 35, comma 2, del D. Lgs. n. 80/1998.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, rimette il ricorso indicato in epigrafe all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Spese al definitivo.
Così deciso in Roma, il 18-11-2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
omissis