05.11.03 free
CORTE di CASSAZIONE - ( sulla sanzione della sospensione dall' esercizio della professione , inflitta dall'Ordine dei medici ; sulla lesione del diritto di difesa )
Massima:
§ -Nel procedimento disciplinare a carico di un esercente la professione sanitaria, il diritto di difesa deve essere assicurato anche nella fase amministrativa davanti al Consiglio dell'ordine professionale locale, tenuto conto che questa, pur avendo natura amministrativa, si concretizza in un'attività preordinata e funzionalmente connessa a quella successiva, di natura giurisdizionale.
§ - La circostanza di un pur notevole ritardo nell'emanazione del provvedimento disciplinare, non determina, il venir meno, in capo all'ordine professionale, del potere sanzionatorio, questo potendo verificarsi solo nell'ipotesi di decorso del termine prescrizionale.
SENTENZA n. 9704 del 18-06-2003
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 GIUGNO 2003.
Svolgimento del processo
L'Ordine dei medici chirurghi di Venezia, con decisione del 4 maggio 2000, dopo avere contestato al dr. XXXXX la violazione delle norme del codice deontologico del 1998, per avere distribuito a privati ed in esercizi commerciali volantini pubblicitari non autorizzati, in occasione dell'apertura di un nuovo studio in località S. Giacomo di Carbonare (TV) nel periodo maggio - giugno 1996, la ritenne responsabile dell'infrazione contestata ed irrogò al medesimo la sanzione di un mese di sospensione dall'esercizio della professione.
Avverso detto provvedimento il XXXXX propose ricorso alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, ricorso che fu respinto dalla suindicata Commissione, con sentenza depositata in data 8 maggio 2002. Per la cassazione di tale sentenza XXXXXXX ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi, illustrati da memoria. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell'art. 25 Cost., comma 2°, dell'art. 7, comma 1°, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dell'art. 2 c.p., deduce che, all'epoca dei fatti, maggio - giugno 1996, vigeva il codice di deontologia approvato dal Consiglio Nazionale nel giugno del 1995, laddove nel capo di incolpazione si assumevano violate norme del codice deontologico del 1998, in particolare gli artt. 53 e 54. Al riguardo, mentre nel codice del 1995 la pubblicità in materia sanitaria era disciplinata in maniera piuttosto generica dall'art. 53, con il quale ci si limitava a richiedere il rispetto dei limiti del decoro professionale, nonché l'ispirazione a criteri di serietà scientifica e di tutela della salute, nel codice del 1998 lo stesso articolo veniva modificato in modo tale da ampliare l'ambito delle condotte punibili giungendo a vietare al medico "tutte le forme, dirette, o indirette, di pubblicità personale". L'art. 54, invece, nel passaggio da un codice all'altro, presentava contenuti neppure paragonabili. Nel codice 1995 era dedicato alle modalità di comunicazione delle scoperte scientifiche, mentre in quello del 1998 trattava l'argomento dell'informazione sanitaria, proprio in riferimento al quale l'Ordine di Venezia aveva ritenuto di censurare il comportamento del dottor xxxxxx. Era stata, pertanto denunziata la violazione del principio di irretroattività delle norme incriminatici, censura che era stata disattesa dalla Commissione Centrale Esercenti Professioni Sanitarie, sotto il profilo che i principi di cui agli artt. 53 e 54 del codice 1998 erano presenti anche nel precedente codice del 1995. Tale motivazione era, peraltro erronea sia per, l'improprio riferimento all'art. 56 del codice 1995, sia per l'errata interpretazione dell'art. 53 del predetto codice.
La censura è inammissibile.
Al riguardo, si osserva, infatti, in una con una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, che il ricorso per cassazione - in ragione del principio di cosiddetta autosufficienza dello stesso - deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed altresì a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di fare rinvio ed accedere a fonti estranee allo stesso ricorso e quindi ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass., 13 settembre 1999, n. 9734).
Il ricorrente per cassazione, pertanto, il quale deduca l'omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata in relazione alla valutazione di una decisiva risultanza processuale ha l'onere di indicare in modo adeguato e specifico la risultanza medesima, atteso che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo del contenuto del documento trascurato o erroneamente valutato dal giudice di merito, deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative.
Pacifico quanto precede, nella specie, è palese, quindi, alla luce delle considerazioni svolte sopra, che parte ricorrente non poteva limitarsi a fare riferimento alle norme relative ai due diversi codici deontologici del 1995 e del 1998, ma doveva trascrivere analiticamente in ricorso il testo integrale delle relative norme che si assume essere diverse, allo scopo di porre questa Corte nelle condizioni di apprezzare la fondatezza, o meno, di quanto dedotto.
Resta, quindi, l'insindacabile apprezzamento di fatto del giudice di merito, secondo cui il più recente codice deontologico applicato in sede di sanzione era, sostanzialmente, identico a quella precedente.
Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell'art. 6, comma 3, Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, dell'artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 64 e 65 c.p.p., denunzia l'utilizzo ai fini decisionali di dichiarazioni rese dal dottor Franceschin nel corso della preliminare audizione con il Presidente dell'Ordine. Ciò in quanto: 1) nella lettera di convocazione 26 agosto 1996 non vi era alcuna menzione del fatto che il colloquio era prodromico all'eventuale esercizio di un'azione disciplinare; 2) nessuna informazione era stata fornita al Franceschin sulla possibilità di farsi assistere da un difensore; 3) nessuna informazione gli era stata fornita sulla possibilità che le affermazioni ivi rilasciate avrebbero poi potuto essere utilizzate nel corso del procedimento disciplinare; 4) nessuna informazione gli era stata fornita in relazione al suo diritto di tacere. Tutti diritti che certamente gli appartenevano in quanto indagato. La C.C.E.P.S. aveva ritenuto infondato il rilievo, poiché l'interessato, che ben avrebbe potuto successivamente "puntualizzare e correggere quanto precedentemente dichiarato", nel corso della seduta 30 marzo 2000 davanti al consiglio aveva, invece, confermato che "il volantino contestato era presente in esercizi pubblici e che ne erano state stampate un centinaio di copie". Il contrasto di tale conclusione con i più elementari principi del codice di procedura penale, oltre che di quelli relativi al giusto processo, era evidente.
La doglianza non ha pregio.
E' certamente esatto il principio invocato dal ricorrente, secondo cui, nel procedimento disciplinare a carico di un esercente la professione sanitaria, il diritto di difesa deve essere assicurato anche nella fase amministrativa davanti al Consiglio dell'ordine professionale locale, tenuto conto che questa, pur avendo natura amministrativa, si concretizza in un'attività preordinata e funzionalmente connessa a quella successiva, di natura giurisdizionale. Peraltro, da ciò non discende l'automatica lesione del diritto di difesa in ogni ipotesi di violazione formale delle modalità previste per la contestazione dall'art. 39 del D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, che disciplina il procedimento disciplinare di cui si tratta. In particolare, deve escludersi la sussistenza di tale lesione nel caso, ricorrente nella fattispecie in esame, in cui il professionista incolpato, comparso personalmente nel giorno fissato per il giudizio, abbia accettato, dopo avere avuto la possibilità di consultare un proprio avvocato (circostanza della quale era stato debitamente preavvertito), di rispondere in ordine ai fatti originariamente addebitati.
Con il terzo motivo à i denunzia violazione dell'art. 6 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo in tema di ragionevole durata del processo, nonché erronea interpretazione del principio generale di immediatezza del provvedimento sanzionatorio in materia disciplinare, per avere la C.C.E.P.S. erroneamente disatteso la denunziata violazione del principio di immediatezza del provvedimento sanzionatorio, posto che mentre la segnalazione dell'infrazione era pervenuta all'Ordine dei medici nel 1996, la contestazione formale, senza l'espletamento di alcuna attività istruttoria, era stata effettuata nel marzo 2000, mentre la decisione era stata comunicata al ricorrente solo nel 2001. L'ingiustificato decorso del tempo determinava, ad avviso del ricorrente, il venir meno in capo all'ordine professionale del diritto di esercitare il potere sanzionatorio.
La doglianza va disattesa.
Ad avviso della corte, esattamente è stato rilevato dal giudice "a quo" che la circostanza di un pur notevole ritardo nell'emanazione del provvedimento disciplinare non determina, per ciò stesso, il venir meno, in capo dall'ordine professionale, del potere sanzionatorio, questo potendo verificarsi solo nell'ipotesi, non sussistente nella specie, di decorso del termine prescrizionale. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nessuna pronunzia va presa in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, il 17 marzo 2003.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 GIUGNO 2003.