10.02.2009 free
CORTE dei CONTI Basilicata – (garza dimenticata: l’intervento di recupero lo paga chi ha sbagliato)
§ - Accertato che la garza fu “dimenticata” dai chirurghi nel corso dell’operazione effettuata, considerata l’evidente negligenza nell’ordinaria esecuzione delle procedure proprie della buona tecnica chirurgica, specificamente finalizzate a prevenire eventi dannosi o pericolosi, quali la c.d. “conta delle garze”, diretta a verificare che all’esito dell’intervento chirurgico residui un numero di garze pari alla differenza tra quelle a disposizione prima di cominciare e quelle in concreto utilizzate, risulta palese la colpa grave.
È indubbio, in tal caso, che il costo dell’operazione di rimozione del corpo estraneo costituisca danno per l’Azienda sanitaria, danno che è conseguenza diretta della gravemente colposa “dimenticanza” e che, pertanto, dovrà essere risarcito dai sanitari in proporzione del loro rispettivo grado di responsabilità. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Corte dei Conti – Sez. Giur. Basilicata – Sent. n. 2 del 22.01.2009
omissis
FATTO
L’odierna causa ha avuto origine con l’atto di citazione, depositato presso la segreteria della Sezione in data 5.3.1998, con cui il Procuratore Regionale ha convenuto in giudizio innanzi a questa Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti i signori X. X. e De Y. Y. per quivi sentirli condannare “pro-quota” al pagamento in favore dell’Erario della complessiva somma di L. 5.295.000 del vecchio conio, oltre accessori di legge, a titolo di responsabilità amministrativa conseguente alla commissione di un fatto dannoso per grave colpa professionale.
Evidenziava l’atto introduttivo del giudizio che i convenuti, nella loro qualità di medici operanti presso il reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di W., effettuarono un intervento per parto cesareo in data 2.2.1996 sulla persona della sig.ra G. H., durante il quale sarebbe stata dagli stessi “dimenticata” nell’addome della paziente una garza laparotomica, con la conseguenza che la puerpera dovette sottoporsi, nell’aprile di quello stesso anno, ad un nuovo intervento chirurgico per la rimozione di tale corpo estraneo, intervento il cui costo (in base al D.R.G.) è stato quantificato in L. 5.295.000; tale somma costituiva, secondo la tesi attorea, un danno per l’USL, danno di cui devono rispondere i convenuti X. e De Y..
Il Procuratore regionale fondava dunque le proprie richieste risarcitorie sul presupposto che i predetti sanitari avevano lasciato nell’addome della G. una garza laparotomica durante l’intervento chirurgico da loro compiuto il 2.2.1996 in occasione del taglio cesareo subito dalla predetta, per la nascita del secondo figlio, e supportava tale tesi con una consulenza tecnica di parte redatta dal dott. L. D..
Evidenziando l’inescusabile colpa professionale in cui erano incorsi i sanitari X. e De Y., e sostenendo che il costo della successiva operazione necessaria alla rimozione del corpo estraneo costituiva danno per le finanze dell’ ASL di Lagonegro, danno in evidente nesso di causalità con la precedente gravemente colposa “dimenticanza” della garza nell’addome della paziente, la Procura concludeva chiedendo la condanna dei convenuti all’integrale ristoro del danno pari a L. 5.295.000, da attribuirsi nella misura del 60% al X. (in quanto primo operatore sanitario) e del 40% al De Y. (in quanto assistente).
Entrambi i convenuti si sono costituiti in giudizio con il patrocinio congiunto degli avv.ti De L. e P., i quali chiedevano il rigetto della domanda attorea in quanto infondata in punto di fatto e di diritto.
In particolare nella memoria di costituzione i convenuti, rilevando la natura assolutamente indiziaria del processo attivato nei loro confronti, evidenziavano come non ci fosse alcuna prova del fatto che la garza laparotomica rimossa dall’addome della G. con l’intervento effettuato nell’aprile 1996 fosse ivi stata “dimenticata” (o “smarrita”) nel corso dell’operazione per taglio cesareo dagli stessi condotta nel febbraio dello stesso anno.
Ricordavano, in particolare, che la predetta paziente aveva subito un primo taglio cesareo nel 1993 e sostenevano che il corpo estraneo ben poteva essere stato lasciato in quell’occasione, invece che nel corso dell’intervento da loro effettuato circa tre anni dopo.
Supportavano tali argomentazioni anche depositando un parere medico-legale del dott. L. S. e concludevano per il rigetto della avversa domanda o, in subordine, per l’espletamento di un’esauriente c.t.u.
Dopo lo svolgimento dell’udienza di discussione del 24.9.1998, il Collegio, considerata la natura squisitamente tecnica della questione da risolvere, emise l’ordinanza istruttoria n. 143/98/R del 19.10.1998 per interpellare l’Ufficio medico-legale presso il Ministero della Sanità sui fatti in contestazione, chiedendo, in particolare, il motivato parere dell’U.M.L., sulla base della documentazione trasmessa in visione, circa l’operazione di taglio cesareo, tra le due subite dalla G. nel 1993 e nel 1996, in cui poteva essere stata lasciata la garza nell’addome.
Acquisito il parere espresso da tale organismo, veniva fissata la discussione del giudizio per l’udienza del 16.12.1999.
In prossimità della predetta udienza la difesa dei convenuti depositava ulteriore memoria, con allegato un altro parere con cui il dott. S. contestava le conclusioni affermative di responsabilità cui era pervenuto l’interpellato U.M.L.
In particolare la difesa evidenziava come la consulenza dell’U.M.L. fosse affetta da vari vizi sia sotto il profilo procedurale che sostanziale: sotto il primo profilo eccepiva la violazione del diritto di difesa dei propri assistiti che non avevano potuto partecipare alle operazioni peritali, mentre sotto il secondo si riportava alle note integrative del dott. Prof. S. con cui si contestavano motivatamente da un punto di vista medico-legale le conclusioni affermative di responsabilità cui era pervenuto l’organo di consulenza interpellato.
All’udienza del 16.12.1999, il P.M. evidenziava come anche la Procura non fosse stata presente alle operazioni peritali e come, comunque, le conclusioni rassegnate dall’U.M.L. fossero assolutamente condivisibili in quanto il “reperto” era stato ritrovato in una posizione tale nell’addome della G. che non poteva lasciare presumere alcuna “retrodatazione” della contestata superficiale dimenticanza o leggerezza.
La difesa, nell’intervento in udienza, ribadiva quanto riportato negli scritti depositati e concludeva chiedendo dichiararsi la nullità della perizia acquisita e, comunque, l’estraneità dei propri assistiti ai fatti contestati eventualmente previa sospensione del giudizio, attesa l’imminenza del dibattimento penale sugli stessi fatti. All’esito della predetta udienza la causa non fu ritenuta ancora matura per la decisione e, pertanto, fu emessa ordinanza istruttoria n. 342/99/R del 30.12.1999. In detta ordinanza si rappresentò “l’esigenza di acquisire ulteriori elementi di valutazione…..allo stato attuale della controversia permangono i dubbi nascenti dalle contrapposte prospettazioni che non possono ancora essere ancora risolti dal Collegio, dato l’insoddisfacente parere medico legale acquisito e motivatamente contestato. Ciò non tanto per le eccezioni di natura processuale sollevate dalla difesa dei convenuti, in quanto in effetti più che di vera e propria C.T.U. nelle forme del codice di rito si era in quella sede disposta l’acquisizione di un parere medico-legale più precipuamente inquadrabile nell’ipotesi di informazioni presso altra pubblica amministrazione di cui all’art.213 c.p.c…..Certamente però una decisione di merito non può fondarsi solo sull’acquisito parere, attese anche le contestazioni scientifiche mosse allo stesso dal prof. S.”. Pertanto, sulla base delle surriportate considerazioni e preso atto che per i medesimi fatti era in corso un procedimento penale nei confronti degli stessi convenuti, con la predetta ordinanza il Collegio dispose: “ Che a cura della Segreteria della Sezione venga acquisita presso il Tribunale di Lagonegro copia degli atti processuali relativi al giudizio penale colà pendente a carico di X. X. e De Y. Y., il cui dibattimento dovrebbe essere fissato intorno al 20.1.2000”.
In data 30.12.1999 la Segreteria onerata dell’incombente istruttorio trasmise l’ordinanza al Tribunale di Lagonegro. Di seguito ci fu uno scambio di varie note interlocutorie tra i due uffici, tra cui le note della Cancelleria del Tribunale di Lagonegro del 14.4.2000 con cui si segnalava la fissazione dell’udienza penale al 18.4.2000, e del 16.2.2001 con cui si trasmise copia degli atti del procedimento penale sino a quel momento svolto. Seguì la nota n. 2009 del 14.5.2002 con cui la cancelleria del Tribunale, nel trasmettere la sentenza n. 389/2001 del 20.12.2001 di condanna dei due medici X. e De Y. per il reato di cui all’art. 590 c.p., rappresentava “che non è possibile evadere la richiesta di trasmissione degli atti in quanto gli stessi sono stati trasmessi in data 14.3.2002 alla Corte di Appello di Potenza, per l’ulteriore corso di appello”.
Esaurita, poi, la fase processuale dell’appello, con la sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 550/2002 – che sostanzialmente confermava la sentenza di condanna di primo grado – e dopo il rigetto, avvenuto nel 2003, da parte della Corte di Cassazione del ricorso degli imputati precedentemente condannati, la Procura presso questa Sezione, premesso di essere venuta a conoscenza il 31.1.2006 dell’intervenuto epilogo della vicenda giudiziaria penale, depositava in Segreteria il 7.2.2006 istanza di riassunzione del giudizio, chiedendo contestualmente la fissazione dell’udienza di discussione.
Quest’ultima veniva celebrata il 4.7.2006, in assenza delle parti convenute, ed ebbe come esito la sentenza n. 204/2006/R con cui fu disposta la condanna a risarcire l’ASL del danno complessivo di € 2.734,64 (comprensivo della rivalutazione monetaria), da ripartirsi tra i convenuti nella misura richiesta dall’attore, oltre al pagamento degli interessi legali dalla data della sentenza stessa e sino al soddisfo del creditore.
La predetta sentenza è stata appellata dai soccombenti, lamentando vizi di procedura del già richiamato atto di riassunzione depositato dalla Procura il 7.2.2006.
La III Sez. Giur. Appello della Corte dei Conti, con sentenza n. 6/08 del 14.1.2008, constatata la irregolare notifica del succitato atto di riassunzione, in quanto notificato personalmente ai convenuti e non ai legali che li rappresentavano, come imposto dall’art. 170 c.p.c. e dall’art. 125 delle relative disp. attuazione, in accoglimento dell’appello, dichiarava la conseguenziale nullità della sentenza n. 204/2006/R, rimettendo le parti innanzi alla Sezione Giurisdizionale per la Basilicata in diversa composizione.
La Procura, con atto di citazione in riassunzione del 6.3.2008, depositato in Segreteria il giorno seguente, ha promosso la prosecuzione del giudizio chiedendo contestualmente la fissazione di nuova udienza, poi disposta dal Presidente della Sezione per il giorno 16.12.2008.
Il 26.11.2008 l’avv. Pasquale De L., ha depositato memoria in cui ha innanzitutto eccepito la nullità dell’atto di riassunzione del 6.3.2008, in quanto mancante di elementi essenziali e conseguentemente non idoneo al raggiungimento dello scopo. Ha poi eccepito anche l’”estinzione del processo sospeso per decorrenza dei termini di rito”; nel motivare l’eccezione il difensore osserva che la precedente ordinanza n. 342/99/R del 30.12.1999 ”pur non disponendo una sospensione in senso tecnico del giudizio (per pregiudizialità penale) ha comunque sospeso il giudizio subordinando la riassunzione non già alla definizione del giudizio penale ex 295 c.p.c. (come giustamente osservato in sede di appello: cfr sentenza n. 06/2008 della Sezione Centrale di Appello), ma più semplicemente all’acquisizione della documentazione del processo penale. Una volta avvenuta tale acquisizione, come espressamente comunicato dalla Segreteria della Sezione, in data 07.04.2003, è cominciato a decorrere il termine perentorio di cui all’art. 297 c.p.c………..e poiché alla data del 07.04.2003 la Segreteria della Sezione aveva comunicato l’avvenuta acquisizione della sentenza penale del Tribunale di Lagonegro, richiamando espressamente l’ordinanza del 30.12.1999, è evidente che il termine (sei mesi) per la riassunzione, alla data del 7.3.2008, di presentazione della nuova istanza, è abbondantemente decorso”. Su tali presupposti la difesa ha concluso chiedendo preliminarmente la dichiarazione di nullità dell’atto di riassunzione e, poi, l’intervenuta estinzione del giudizio.
All’odierna pubblica udienza, il difensore dei convenuti, dopo aver precisato di voler confermare anche la richiesta di nullità dell’atto di riassunzione, si è particolarmente soffermato ad illustrare le motivazioni poste a fondamento dell’eccezione di estinzione del giudizio, confermando poi le conclusioni rassegnate nelle memorie precedentemente depositate.
Nell’intervento orale, il rappresentante del P.M. ha sostenuto che la richiesta di nullità dell’atto di riassunzione è palesemente infondata, in quanto il predetto atto contiene tutti gli elementi utili ad identificare il giudizio riassunto, mentre la richiesta di estinzione del giudizio è da respingere in quanto basata sull’erroneo presupposto che il giudizio era stato sospeso, mentre la precedente ordinanza n. 342/99/R si era limitata a demandare alla Segreteria della Sezione lo svolgimento di attività istruttoria attraverso l’acquisizione di documentazione; pertanto l’attore ha concluso confermando le richieste formulate negli atti precedentemente depositati.
DIRITTO
Il Collegio ritiene necessario esaminare preliminarmente le due eccezioni di carattere procedurale avanzate dalla difesa dei convenuti.
Circa l’eccepita nullità dell’atto di riassunzione del 6.3.2008, in quanto mancante di elementi essenziali e conseguentemente non idoneo al raggiungimento dello scopo, rileva il Collegio che il predetto atto dell’attore, dopo aver correttamente individuato i soggetti da rievocare in giudizio ed i loro difensori, prosegue con una breve ma esauriente esposizione dei principali momenti procedurali in cui si è articolato il giudizio sino alla sentenza n. 6/2008 della III Sez. Giur. di Appello, ribadisce brevemente la causa petendi (richiamando comunque quanto più ampiamente esposto sul punto nell’originario atto introduttivo del giudizio) e conclude con una vocatio in ius che ribadisce e conferma il precedente petitum e specifica il giudice innanzi al quale le parti sono chiamate a comparire. Pertanto il predetto atto di riassunzione appare conforme a quanto disposto dall’art. 125 delle disposizioni di attuazione del c.p.c. e comunque del tutto idoneo al raggiungimento dello scopo (d’altronde la memoria difensiva di replica alla riassunzione tempestivamente depositata il 26.11.2008 evidenzia che era del tutto identificabile il giudizio di cui l’attore voleva promuovere la prosecuzione), per cui l’eccezione va respinta (in senso conforme cfr Sez. I appello n. 24/2008 e n. 188/2007, Sez Lazio 1255/2003).
Anche l’eccezione di estinzione del giudizio, in quanto non riassunto nel termine perentorio semestrale previsto dall’art. 297 c.p.c., non merita accoglimento.
Oltre al fatto che l’eccezione presenta profili di “intempestività” alla luce di quanto disposto dall’ art. 307, ultimo comma, c.p.c. (“L’estinzione opera di diritto, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua difesa”), essa appare anche priva di giuridico fondamento.
Circa i profili di intempestività, va rilevato che il termine perentorio ex art 297 c.pc. era eventualmente già spirato al momento della proposizione dell’appello, poi sfociato nella sentenza n. 9/2008 (secondo la prospettazione dei convenuti il dies a quo sarebbe da individuare nel 7.4.2003, come più ampiamente riferito in fatto) e quindi l’estinzione sarebbe dovuta essere tempestivamente eccepita in occasione dell’appello, secondo i principi enunciati dalla Corte di Cassazione (Sez. I n. 4241/1997, Sez. III n. 5029/1998) in base ai quali l’estinzione può essere eccepita in appello quando la parte non è stata messa nella possibilità di eccepirla nello stesso grado di giudizio, come nella fattispecie all’esame in considerazione dei vizi della notifica dell’atto di riassunzione del 7.2.2006; ma di ciò sembra essere consapevole lo stesso difensore dei convenuti nel momento in cui tenta di “aggirare l’ostacolo” eccependola con riferimento alla riassunzione fatta dall’attore con atto depositato il 7.3.2008 dopo la sentenza di appello, non tenendo conto della già intervenuta decadenza dalla possibilità di sollevarla, per non averlo fatto in occasione dell’atto di appello.
Ma, come innanzi accennato, l’eccezione appare anche infondata. Va al riguardo sottolineato che l’art. 297 c.p.c. , richiamato dal difensore dei convenuti, trova applicazione soltanto nei casi di intervenuta “sospensione necessaria” del giudizio (in senso conforme ex plurimis: Corte dei Conti, Sez. I n. 101/2001, Sez. III n. 271/2003 e n. 277/2006). Di contro l’ordinanza n. 342/99/R del 30.12.1999 non dispose alcuna sospensione del giudizio, ma ha contenuto esclusivamente istruttorio tendente all’acquisizione di documenti, demandata alla Segreteria della Sezione, come si evince dal dispositivo di detta ordinanza, che, per completezza, si riporta di seguito:” Dispone che a cura della Segreteria della Sezione venga acquisita presso il Tribunale di Lagonegro copia degli atti processuali relativi al giudizio penale colà pendente a carico di X. X. e De Y. Y.....”. Non ricorrendo, quindi, i presupposti per l’applicazione dell’invocato art. 297 c.p.c, va rilevato che, invece, la fattispecie all’esame trova specifica disciplina nell’art. 16 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei Conti (R.D. n. 1038/1933), che recita: “ Eseguita l’istruttoria .......ad istanza della parte più diligente viene dal presidente fissata la nuova udienza per la discussione della causa”; va anche sottolineato che il predetto art. 16 non stabilisce alcun termine perentorio per richiedere la fissazione di nuova udienza (cfr Sez. Calabria n. 1148/2001).
Da quanto innanzi esposto consegue che la “tempestività” dell’atto depositato dalla Procura il 7.3.2008, relativamente alla parte in cui manifesta la volontà di “riassumere il giudizio” va verificata esclusivamente con riferimento alla sentenza n. 6/08 del 14.1.2008 della Sez. III di appello (ed è da considerarsi indubbiamente tempestivo, essendo stata depositato nel termine di meno di due mesi dalla sentenza che dichiarava nulla quella di primo grado), mentre il contestuale contenuto di richiesta di fissazione di udienza (dopo l’espletamento dell’attività istruttoria prevista dalla precedente ordinanza) va comunque ritenuto utile alla prosecuzione del giudizio, non essendo previsto alcun termine perentorio al riguardo e, conseguentemente l’eccezione di estinzione del giudizio, formulata con riferimento a quanto previsto dall’art. 297 c.p.c., va respinta.
Passando all’esame del merito, va evidenziato che gli atti del procedimento penale, acquisiti al fascicolo di causa, offrono elementi più che sufficienti a superare gli argomenti difensivi che, anche sulla base di quanto affermato dal consulente di parte convenuta dott. prof. L. S., sostengono essenzialmente che la garza era stata “dimenticata” nel ventre della paziente in occasione di un precedente parto avvenuto, anch’esso mediante taglio cesareo (TC), nel 1993, ed era rimasta “silente” per circa tre anni, sino al nuovo intervento di taglio cesareo effettuato dagli odierni convenuti il 2.2.1996.
In particolare la sentenza della Corte di Appello di Potenza n. 550 del 13.2.2003, anche sulla base della consulenza tecnica d’ufficio svolta dal prof. Z. in occasione del giudizio penale di primo grado celebrato presso il Tribunale di Lagonegro (conclusosi con sentenza di condanna n. 389/2001), giunge alla conclusione che la garza è stata “dimenticata” nel corso dell’intervento svolto dagli odierni convenuti nel 1996, sulla base di argomentazioni che appaiono a questo Collegio oltremodo condivisibili.
In disparte la circostanza, tutt’altro che marginale, che il dolore e la tumefazione sono stati percepiti dalla paziente subito dopo il secondo TC e mai prima di esso, evidenzia la Corte d’Appello che sia l’ecografia e la successiva radiografia effettuate in occasione del ricovero dell’ 1.4.2006, sia la testimonianza resa dal dott. S. (il medico che effettuò la rimozione della garza) rilevano che il corpo estraneo si trovava nel “quadrante antero-laterale al fianco sinistro”, e non nell’addome superiore, come asserito dalla difesa dei convenuti al fine di spiegare i motivi per cui non era stata rilevata nè in occasione dei controlli (anche strumentali) svolti durante la gravidanza, nè in occasione del TC effettuato dai convenuti il 2.2.1996.
Pertanto la posizione della garza era tale che la sua presenza sarebbe agevolmente rilevata nel corso dell’ecografia eseguita il 19.9.1995 dal dott. D’a. per il controllo dell’embrione durante la seconda gravidanza e quindi prima del TC effettuato dai convenuti. Parimenti, in considerazione del suo posizionamento, la presenza del corpo estraneo (che nella cartella clinica viene descritto “della grandezza di un arancia”) non sarebbe potuta sfuggire agli odierni convenuti durante l’operazione del 2.2.1996, considerato il tipo di taglio effettuato e la circostanza che i divaricatori chirurgici ampliano il campo operatorio ben oltre il mero taglio effettuato sulla cute.
Inoltre l’incapsulamento del corpo estraneo, non ancora ultimato al momento della rimozione (secondo la deposizione del dott. S. che, come precedentemente detto, provvide all’operazione di rimozione), è compatibile con una permanenza di circa 45 giorni dal momento della derelizione della garza, ma non è compatibile con l’ipotesi di permanenza per circa due anni e mezzo, lasso di tempo sufficiente perchè si completasse il processo di incapsulamento del corpo estraneo.
Alla luce di quanto innanzi esposto, non merita condivisione l’assunto difensivo che finisce con il sostenere l’inverosimile tesi che la G. non si sarebbe accorta per quasi tre anni di avere nell’addome un corpo estraneo dalle non marginali dimensioni di un’arancia e, soprattutto, non se ne sarebbero accorti nè il medico che effettuò visite e controlli (anche strumentali) durante la gravidanza, nè gli odierni convenuti che effettuarono il taglio cesareo nel febbraio 2006.
Accertato, quindi, che la garza fu “dimenticata” dagli odierni convenuti nel corso dell’operazione da essi effettuata nel 1996, palese la loro colpa grave, considerata l’evidente negligenza nell’ordinaria esecuzione delle procedure proprie della buona tecnica chirurgica, specificamente finalizzate a prevenire eventi dannosi o pericolosi, quali la c.d. “conta delle garze”, che serve a verificare che all’esito dell’intervento chirurgico residui un numero di garze pari alla differenza tra quelle a disposizione prima di cominciare l’intervento e quelle in concreto utilizzate.
Parimenti indubbia la circostanza che il costo dell’operazione di rimozione del corpo estraneo (quantificata in € 2.734,64 del nuovo conio, in base al D.R.G.) costituisca danno per l’Azienda sanitaria, danno che è conseguenza diretta della gravemente colposa “dimenticanza” degli odierni convenuti nel corso dell’operazione di TC del febbraio 2006.
Pertanto il Collegio, quantificato il danno in € 2.734,64 - somma da ritenersi comprensiva della richiesta rivalutazione monetaria in esclusivo riferimento alla generiche difficoltà operatorie comunque ravvisabili nel contesto dell’intervento chirurgico - condanna i signori X. X. e Y. De Y. al risarcimento del predetto danno, che deve essere ripartito, senza vincolo di solidarietà, tra i due medici odierni convenuti nella richiesta proporzione del 60% al dott. X., nella qualità di primo operatore sanitario, e del 40% al dott. De Y., nella qualità di secondo operatore sanitario.
Le spese di giustizia seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Basilicata, ogni contraria domanda ed eccezione respinte:
a) condanna i signori dottori X. X. e Y. DE Y. al risarcimento del danno in favore della ASL n.3 di Lagonegro nella misura di € 2.734,64 nella rispettiva percentuale del 60% e del 40%. Sulla predetta somma sono altresì dovuti gli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza e sino al soddisfo.;
b) le spese seguono la soccombenza e vengono determinate nella misura di € 543,94=.
Euro cinquecentoquarantatre/94=.
Così deciso in Potenza, nella Camera di Consiglio del 16 dicembre 2008.
Il Presidente f.f ed estensore
omissis
omissis
Depositata in Segreteria il 22/01/2009
Il Dirigente
omissis