20.11.2008 free
CORTE di CASSAZIONE - Ingiuriosità del licenziamento e requisiti per la richiesta di danno morale
L'ingiuriosità del licenziamento non consiste nella contestazione di un fatto lesivo del decoro del lavoratore (essendo tale contestazione dovuta dal datore), bensì nella forma del provvedimento e nella pubblicità che gli venga eventualmente data, nè consiste nel mero difetto di giustificazione o nella genericità della contestazione, essendo sempre necessaria la prova che il licenziamento, per le forme adottate o per altre peculiarità, sia lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore. Inoltre il licenziamento ingiustificato o non motivato è illegittimo e produce un danno risarcibile a norma di legge, ma non per questo è anche ingiurioso, onde il lavoratore non può pretendere a tale titolo un ulteriore risarcimento ove non provi di aver subito anche un danno diverso da quello derivante dall'essere stato illegittimamente licenziato.
Sez. lavoro, Ord., 05-11-2008, n. 26590
omissis
Motivi della decisione
M.F. impugnava dinanzi al Giudice del lavoro di Nicosia il licenziamento per giusta causa irrogatogli dal datore di lavoro Francis Sub s.p.a. chiedendo la reintegrazione ed il risarcimento del danno, ivi compreso quello morale. Accertata la mancanza della giusta causa, il Giudice, per quello che qui ancora rileva, accoglieva parzialmente la domanda in sede cautelare e di merito, rigettandola solo a proposito della richiesta di risarcimento del danno morale.
Proponeva appello il M. lamentando il rigetto della richiesta di risarcimento del danno morale. Costituitasi l'appellata, la Corte di appello di Caltanissetta con sentenza 26.4 - 5.5.06, rilevava che il licenziamento, pur illegittimo, non può essere ritenuto di per sè ingiurioso; non avendo il lavoratore fornito prova di ulteriore danno all'immagine ed all'onore, riteneva la domanda sul punto non provata e rigettava l'impugnazione.
Proponeva ricorso per cassazione il M. deducendo due motivi:
a) omessa motivazione circa un fatto controverso, non avendo il giudice di merito tenuto conto del contenuto della lettera di contestazione, di tenore lesivo della sua dignità del lavoratore; b) violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per omessa valutazione della circostanza che indebitamente il datore gli aveva ascritto un danneggiamento del patrimonio aziendale, con il quesito "se il giudice sia obbligato a valutare le prove, secondo il suo prudente apprezzamento, ex art. 115 c.p.c., motivando in misura congrua e adeguata, anche se non necessariamente esplicita". Si costituiva con controricorso la società intimata.
Il consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c., che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata ai difensori costituiti unitamente al decreto di fissazione dell'odierna adunanza in Camera di consiglio.
Il ricorso è infondato.
Quanto al primo motivo, il Giudice di merito ha applicato il principio che l'ingiuriosità del licenziamento non consiste nella contestazione di un fatto lesivo del decoro del lavoratore (essendo tale contestazione dovuta dal datore), bensì nella forma del provvedimento e nella pubblicità che gli venga eventualmente data, nè consiste nel mero difetto di giustificazione o nella genericità della contestazione, essendo sempre necessaria la prova che il licenziamento, per le forme adottate o per altre peculiarità, sia lesivo della dignità e dell'onore del lavoratore. Inoltre il licenziamento ingiustificato o non motivato è illegittimo e produce un danno risarcibile a norma di legge, ma non per questo è anche ingiurioso, onde il lavoratore non può pretendere a tale titolo un ulteriore risarcimento ove non provi di aver subito anche un danno diverso da quello derivante dall'essere stato illegittimamente licenziato (Cass. 14.5.03 n. 7479).
Il Giudice nell'applicare tale principio ha tenuto presente il contenuto della lettera di contestazione, riportandone anche testualmente il contenuto, ritenendo, però, insussistente la prova di quelle ulteriori circostanze (la forma del provvedimento e la pubblicità eventualmente datagli) richiesta dalla giurisprudenza.
Trattasi di valutazione di merito congruamente motivata, su cui non è consentito tornare in sede di legittimità.
Quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che il quesito imposto dall'art. 366 bis c.p.c., "deve consistere in una chiara sintesi logico - giuridica della questione sottoposta al vaglio del Giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa o affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento o il rigetto del gravame", di modo che "è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato il modo inconferente rispetto all'illustrazione dei motivi di impugnazione" (v. tra le tante, Cass. S.U. 28.9.07 n. 20360).
Nel caso di specie il quesito è inconferente in quanto chiede l'affermazione di principi del tutto ovvi, non rapportabili al reale tenore delle questioni sollevate con il ricorso, con cui si intende censurare una pretesa omissione del Giudice di merito in tema di valutazione della prova sotto il profilo della violazione dell'obbligo di decidere iuxta probata et alligata, senza indicare peraltro compiutamente il tenore giuridico della contestazione.
Il primo motivo è pertanto infondato ed il secondo inammissibile; il ricorso deve essere di conseguenza rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 30,00, per esborsi ed in Euro 1.500,00, per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, il 30 settembre 2008.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2008