10.10.03 free
CORTE di CASSAZIONE - (Procedimenti disciplinari; sulla inidoneita' dei fatti, posti a fondamento del procedimento penale, definito con patteggiamento, a costituire, senza ulteriori valutazioni, la prova della violazione del regolamento deontologico)
Massima: Nel giudizio disciplinare, l'accertamento dei fatti addebitati al professionista, allo scopo di valutarne la rilevanza in sede disciplinare avviene in modo del tutto autonomo rispetto alla sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dello stesso in relazione ai medesimi fatti. Tale accertamento può, bensì, avvalersi degli elementi che risultano dal contenuto della predetta sentenza, ma esige che non si tragga da essa la esclusiva prova della sussistenza dei fatti costituenti illecito disciplinare
Sent. n. 7365 del 14-05-2003
Svolgimento del processo
Con sentenza del 22 maggio 1998 adottata dal Gip a norma dell'art. 444 c.p.c., secondo comma al dott. Della ragione veniva applicata la pena della reclusione di anni uno e mesi due, per aver cagionato interruzioni volontarie di gravidanza a dieci donne, in contrasto con la legge n. 194 del 1978, e per aver tentato di commettere lo stesso reato nei confronti di altre due donne. Il dott. Della Ragione convocato dal Presidente del consiglio dell'Ordine dei medici e chirurghi di Napoli, inviava una nota difensiva con la quale dichiarava di essere totalmente estraneo ai fatti addebitatigli e di aver attivato il patteggiamento per ottenere celermente il dissequestro del suo studio.
Il Presidente dell'ordine comunicava al dott. Della Ragione il deferimento disciplinare, con l'addebito dei comportamenti oggetto della sentenza ex art. 444 c.p.c. Il sanitario, nel difendersi, sosteneva che il patteggiamento non poteva considerarsi ammissione di responsabilità e che la contestazione degli addebiti faceva riferimento a comportamenti la cui sussistenza non risultava accertata nella sentenza. Nel procedimento disciplinare iniziato per quei fatti, il dott. Della Ragione deduceva, tra l'altro, di non aver mai effettuato interruzioni di gravidanza nei suoi studi privati, ma solo in strutture accreditate. La Commissione medici chirurghi riteneva l'incolpato responsabile dell'infrazione contestata e gli irrogava la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi tre, anche in considerazione dell'atteggiamento scarsamente collaborativo tenuto dallo stesso.
Il dott. Della Ragione proponeva ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie che, con decisione del 10 aprile 2000, respingeva il ricorso. La Commissione riteneva che legittimamente erano stati presi in esame, i fatti emersi nel corso dell'azione penale e riportati nella sentenza di patteggiamento e che la sanzione era congrua ai fatti addebitati.
Avverso questa decisione il dott. Achille Della Ragione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. All'udienza del 4 giugno 2001, la Corte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 1 della legge 27 marzo 2001, n. 97, entrato in vigore dopo la proposizione del ricorso.
La Corte Costituzionale, con sent. n. 394 del 2002 ha dichiarato la "illegittimità costituzionale dell'art. 10 comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che gli artt. 1 e 2 della stessa legge n. 97 del 2001 si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunziate anteriormente alla sua entrata in vigore".
Dopo la trasmissione della sentenza della corte costituzionale il processo è stato chiamato all'odierna udienza.
Motivi della decisione
1) Come si è detto, successivamente alla proposizione del ricorso è entrata in vigore la legge 27 marzo 2001, n. 97, che, con l'art. 1, ha modificato l'art. 653 c.p.c. concernente l'efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare. La nuova disposizione ha riconosciuto efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare alla sentenza penale irrevocabile di condanna (e non solo quella di assoluzione, come era precedentemente disposto), quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso. A tale sentenza di condanna è stata, poi, equiparata la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento), mediante una modifica, apportata dall'art. 2 della citata legge n. 97 del 2001, dell'art. 455 c.p.c., il cui nuovo testo esclude il giudizio disciplinare dal principio secondo cui il patteggiamento "non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi". Consegue che rispetto al giudizio disciplinare, la sentenza di patteggiamento viene equiparata ad una pronunzia di condanna, secondo la regola generale dettata dall'ultima parte dell'art. 445 c.p.c., comma 1.
Per espresso disposto dell'art. 10 della citata legge n. 97 del 2001, le disposizioni in essa contenute si applicano "ai procedimenti penali, ai giudizi civili e amministrativi e ai procedimenti disciplinari in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa" (fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 5 aprile 2001). Poiché il ricorso alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie introduce un vero e proprio giudizio civile che continua attraverso il presente giudizio di cassazione consentito dall'art. 111 Cost., le innovazioni dettate dagli artt. 1 e 2 della legge n. 97 del 2001 sarebbero state applicabili anche al giudizio disciplinare instaurato contro il ricorrente Della Ragione, per il quale, pertanto, secondo la nuova legge, la sentenza di patteggiamento avrebbe efficacia di giudicato in ordine alla sussistenza del fatto e alla sua commissione da parte dello stesso.
A seguito dell'ordinanza di remissione pronunziata da questa Corte nel presente giudizio, La Corte Costituzionale, con sent. n. 394 del 2002 ha dichiarato la "illegittimità costituzionale dell'art. 10 comma 1, della legge 27 marzo 2001, n. 97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), nella parte in cui prevede che gli artt. 1 e 2 della stessa legge n. 97 del 2001 si riferiscono anche alle sentenze di applicazione della pena su richiesta pronunziate anteriormente alla sua entrata in vigore".
La sentenza di applicazione della pena su richiesta a norma dell'art. 444 c.p.p., secondo comma è stata adottata dal Gip il 22 maggio 1998 e, dunque, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, non trovano applicazione le disposizioni di cui alla legge n. 97 del 2001.
2) Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la "violazione delle regole sul procedimento disciplinare di cui al D.Lgs.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233 e del regolamento D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221", nonché la "carenza di istruttoria procedimentale". Secondo quanto dedotto sia il Consiglio dell'Ordine che la Commissione centrale si erano attestati sul convincimento acritico che i fatti indicati nel procedimento penale che avevano condotto alla sentenza di patteggiamento fossero "ex se" ed in modo esclusivo la prova che il ricorrente avesse violato il regolamento deontologico. In tal senso emergeva una assoluta carenza di istruttoria, necessaria per l'accertamento dei fatti ai fini disciplinari, anche considerando che non erano state valutate le sue difese, avendo egli ribadito l'insussistenza dei fatti. Nel giudizio disciplinare l'accertamento dei fatti doveva avvenire in modo autonomo. Tale accertamento poteva avvalersi degli elementi risultanti dalla sentenza di patteggiamento, ma esigeva che non si traesse da essi la prova esclusiva della sussistenza dei fatti costituenti illecito disciplinare.
Il motivo è fondato.
E' costante nella giurisprudenza di questa Corte, anteriore alla legge n. 97 del 2001, che la disposizione di cui all'art. 445 c.p.p., primo comma, secondo la quale la sentenza di patteggiamento non ha efficacia nei giudizi civili ed amministrativi, si applica anche al procedimento disciplinare. Ne consegue che, nel giudizio disciplinare, l'accertamento dei fatti addebitati al professionista, allo scopo di valutarne la rilevanza in sede disciplinare avviene in modo del tutto autonomo rispetto alla sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dello stesso in relazione ai medesimi fatti. Tale accertamento può, bensì, avvalersi degli elementi che risultano dal contenuto della predetta sentenza, ma esige che non si tragga da essa la esclusiva prova della sussistenza dei fatti costituenti illecito disciplinare, richiedendo l'affermazione di responsabilità disciplinare che, in esito a cognizione piena, l'accertamento a contenuto negativo del giudice pena le (assenza degli estremi per il proscioglimento) si trasformi in un accertamento positivo sulla sussistenza dei fatti, con conseguente necessità dell'esame, quanto meno, della posizione che l'incolpato ha assunto sul punto sia in sede penale, che nel corso del procedimento disciplinare. (v. per es., Cass. 27 agosto 1999, n. 8993; Cass. 15 maggio 2000, n. 6218; Cass. 15 novembre 2000, n. 14807).
Nel caso di specie, non risulta esservi stato un autonomo accertamento e apprezzamento degli elementi emersi in sede penale.
Dalla decisione della Commissione centrale risulta che "l'Ordine, attraverso l'attività svolta dal Presidente della commissione disciplinare e dal consigliere relatore, ha preso in esame i: fatti emersi nel corso dell'azione penale e riportati nella sentenza di condanna, peraltro debitamente contestati al sanitario in sede di avvio del procedimento disciplinare". Se si esclude questa motivazione, meramente di stile non è dato rilevare alcuna autonoma valutazione degli elementi emersi in sede penale, in un contesto disciplinare nel quale, come risulta dalla stessa decisione impugnata, l'attuale ricorrente aveva negato la sussistenza dei fatti.
3) Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del diritto di difesa, in conseguenza del fatto che nel procedimento disciplinare in appello gli era stato, implicitamente, negato un differimento richiesto a causa di malattia. Più specificamente deduce che aveva comunicato il proprio stato di infermità con telegramma che "preannunciava l'invio dell'inerente certificato medico, ricevuto dalla commissione a seduta già tenuta".
Il motivo è infondato.
Non si riscontra alcuna violazione del diritto di difesa, poiché, prescindendo da altrui profili, la prova dell'addotto impedimento sarebbe giunta quando la commissione aveva già tenuto l'udienza. Per quanto detto va accolto il primo motivo e va rigettato il secondo. Per effetto del motivo accolto la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e rigetta il secondo; cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma il 17 marzo 2003.