09.01.2008 free
CASSAZIONE CIVILE – (la selezione dei pazienti nella sperimentazione clinica: una partita a poker ?… una lotteria…? Diffamazione a mezzo stampa e risarcimento ).
§ - gli articoli incriminati hanno rappresentato in modo distorto la realtà di fatto, cioè in modo tale da indurre i lettori a ritenere che la selezione dei malati tramite una prima estrazione di numeri da un mazzo di carte da gioco fosse stata una loro arbitraria invenzione, tacendo il fatto che la procedura era conforme alle istruzioni impartite dall'amministrazione pubblica competente.
L'Istituto superiore di sanità aveva disposto che la Commissione medica selezionasse casualmente una serie iniziale di otto numeri, mediante estrazione da un mazzo di carte da gioco; la serie numerica avrebbe dovuto poi essere moltiplicata per un algoritmo, secondo regole matematiche destinate a garantire la piena casualità nella scelta dei malati e l'uguale probabilità per ognuno di essere scelto.
Gli articoli a stampa, per contro, rappresentavano la vicenda in modo da indurre a ritenere che la Commissione, a suo arbitrio, avesse deciso di selezionare i malati "giocandoseli a poker": immagine certamente riuscita, quanto all'effetto sui lettori ed alla creazione della notizia, ma non certo rispondente al vero. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net ]
Cassazione Civile - Sez. III, Sent. n. 26964 del 20/12/2007
omissis
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 10 giugno 1998 A.A., A.G., B.P., C.S., C.P. F., F.M., F.G., L.D., M.G., R.G., S.G. e V.D. tutti componenti la Commissione medica incaricata dalla Regione Toscana di selezionare i malati da sottoporre alla sperimentazione del metodo di cura del Dott. D.B., hanno convenuto davanti al Tribunale di Firenze la s.p.a. X E.e, editrice del quotidiano X, il direttore del quotidiano, B.A., e i giornalisti N.M., B.S. e C.L., per sentirli condannare in via fra loro solidale al risarcimento dei danni subiti per effetto della pubblicazione sul quotidiano medesimo di alcuni articoli ritenuti diffamatori.
Gli articoli avevano criticato, in particolare, il sistema di scelta casuale dei malati da sottoporre alla sperimentazione, assimilandolo, fra l'altro, alla lotteria di Capodanno, alla roulette russa ed alla selezione degli ebrei nei lager nazisti, ed avevano qualificato le operazioni di sorteggio come manifestazioni di superficialità, arbitrio e perversione nella gestione di vite umane, realizzate in un quadro di evidenti irregolarità.
Il B.A. è rimasto contumace, mentre gli altri convenuti si sono costituiti, resistendo alla domanda e negando la sussistenza degli estremi della diffamazione a mezzo stampa e di un qualunque danno.
Nel corso del giudizio è intervenuta la Regione Toscana, a sostegno delle ragioni degli attori, e i convenuti hanno eccepito l'inammissibilità dell'intervento.
Con sentenza 13 marzo 2002 n. 861 il Tribunale di Firenze ha condannato il N.M., il B.S., il B.A. e la società editrice, in via fra loro solidale, al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dagli attori, nella misura di Euro 36.151,98, (L. 70 milioni) per ciascuno, oltre al rimborso dei due terzi delle spese processuali. Ha respinto le domande proposte nei confronti del C.L., nonchè quelle aventi ad oggetto il risarcimento dei danni patrimoniali.
X., il N.M. e il B.S. hanno proposto appello, deducendo la nullità della sentenza di primo grado, a causa della nullità della notificazione dell'atto di citazione al B.A.; l'inammissibilità dell'intervento della Regione Toscana e l'erroneità nel merito della sentenza impugnata, affermando che le espressioni usate dagli autori degli articoli costituivano normale e corretta espressione del diritto di critica e che gli attori non avevano fornito alcuna prova dei lamentati danni.
Gli appellati si sono costituiti, chiedendo il rigetto dell'appello.
I componenti la Commissione medica hanno proposto appello incidentale, per ottenere la condanna degli appellanti anche al risarcimento dei danni patrimoniali.
Con sentenza 2 - 22 dicembre 2003 n. 2005 la Corte di appello di Firenze ha dichiarato nulla la notificazione dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado al direttore responsabile del quotidiano X, B.A., come richiesto dagli appellanti principali, ma ha escluso che questi fossero legittimati a far valere la causa di nullità della sentenza impugnata, con la motivazione che fra condebitori solidali non vi è litisconsorzio necessario e che sarebbe spettato al B.A., sollevare l'eccezione e far valere, se del caso, l'inopponibilità nei suoi confronti della sentenza e dell'intero processo. Nel merito, la Corte ha respinto tutti gli appelli, principali e incidentali, ponendo a carico degli appellanti principali le spese processuali.
Avverso la sentenza, notificata il 26.1.2004, hanno proposto ricorso per cassazione la X E., il N.M. e il B.S., per sette motivi, a cui hanno opposto resistenza l' A.A. e gli altri componenti della Commissione medica, nonchè la Regione Toscana, con controricorsi, proponendo tutti ricorso incidentale.
I ricorrenti hanno replicato con controricorso ai ricorsi incidentali, a cui i ricorrenti incidentali hanno a loro volta replicato con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, principale e incidentali.
Con il primo motivo i ricorrenti principali deducono la nullità assoluta della sentenza di appello per essersi pronunciata nei confronti di M.G., sebbene questi non abbia rilasciato procura al difensore nel giudizio di primo grado, e nei confronti di C.P.F., sebbene questi non abbia rilasciato procura al difensore per il giudizio di appello.
Il motivo non è fondato.
Il M.G. ha rilasciato regolare procura al suo difensore, con delega a margine dell'atto di citazione in primo grado, nonchè quanto alla fase di appello con delega a margine della comparsa di costituzione e di risposta, depositata il 15.4.2003.
La doglianza relativa alla posizione di C.P.F. evidenzia un errore materiale, non risultando il nome dello stesso fra coloro che si sono costituiti in appello ed hanno proposto appello incidentale, nell'intestazione dell'atto, ma esclusivamente nell'elenco dei soggetti indicati a margine dell'atto, ai fini della sottoscrizione della procura (da lui non sottoscritta).
Ciò non comporta, tuttavia, la nullità della sentenza di appello nella parte in cui ha pronunciato anche nei confronti del C.P. F., ma un mero errore materiale, privo di conseguenze pratiche, considerato che tutti gli appelli incidentali sono stati respinti.
Ne deriva solo che il C.P.F., non avendo proposto appello, non può essere incluso fra gli odierni ricorrenti incidentali.
Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono l'omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 161 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, per avere la Corte di appello escluso la loro legittimazione a far valere la nullità della sentenza di primo grado, conseguente alla nullità della notificazione al B.A. dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado.
Appare tuttavia pregiudiziale l'esame dei ricorsi incidentali della Commissione medica e della Regione Toscana, che denunciano per l'appunto l'erroneità della sentenza di appello, per violazione degli artt. 139 e 160 c.p.c., e per contraddittorieta e insufficienza della motivazione, nella parte in cui ha dichiarato nulla la notificazione dell'atto di citazione al B.A., perchè eseguita non nella personale residenza del destinatario (fuori dal Comune di Firenze), ma nel domicilio dello stesso in Firenze, presso il quotidiano X, di cui era il direttore, in violazione dell'ordine dei luoghi in cui va eseguita la notifica, stabilito dall'art. 139 c.p.c..
Affermano i ricorrenti che la decisione della Corte di merito secondo cui essi non avrebbero eseguito alcuna ricerca del luogo di residenza del B.A., neppure presso l'Ordine dei giornalisti, che avrebbe facilmente potuto trasmettere le informazioni necessarie è incongruente, in quanto essi avrebbero dovuto interpellare tutti gli ordini dei giornalisti esistenti in Italia, con oneri particolarmente gravosi, che vanno ben oltre l'ordinaria diligenza a cui è tenuto il notificante (Cass. 3799/1997).
Il motivo non è fondato.
Correttamente la Corte di appello ha ritenuto che l'ordine dei luoghi fissato dell'art. 139 c.p.c., commi 1 e 6, deve ritenersi tassativo, e che il mancato rispetto di tale ordine nella notificazione della citazione introduttiva del giudizio comporta la nullità della notificazione (Cass. Civ. 5 agosto 2002 n. 11734; Cass. Civ., Sez. 3, 28 gennaio 2005 n. 1753).
I ricorrenti non censurano la suddetta interpretazione delle norme di legge, bensì solo i criteri in base ai quali la Corte di appello ha ritenuto non assolto l'onere dell'ordinaria diligenza nella ricerca del comune di residenza, ove effettuare la notifica, che solo autorizza la notificazione presso il diverso Comune di dimora o domicilio.
Essi mettono in questione, pertanto, una valutazione di merito, non suscettibile di censura in questa sede se non per gravi vizi di motivazione, che nella specie non ricorrono.
La Corte di appello ha giustamente affermato che il B.A., quale direttore del quotidiano cittadino, è persona nota a Firenze e che i ricorrenti non hanno fatto neppure il tentativo di effettuare una ricerca del suo indirizzo di residenza, omettendo anche di rivolgersi all'Ordine dei giornalisti.
I ricorrenti lamentano che essi avrebbero dovuto interpellare tutti gli Ordini esistenti sul territorio nazionale, ma la censura appare pretestuosa, ove si consideri che esiste un solo Ordine nazionale dei giornalisti, che è in possesso di tutti i dati relativi agli iscritti.
Nel decidere un caso perfettamente analogo, questa Corte ha affermato che, in tema di notificazioni, l'ignoranza a cui fa riferimento l'art. 139 c.p.c., comma 6, nel regolare l'ipotesi in cui non è noto il Comune di residenza, non è l'ignoranza meramente soggettiva del notificante, bensì una situazione con carattere di oggettività, qual'è quella che residua nonostante l'effettuazione delle ricerche esperibili secondo l'ordinaria diligenza, le quali debbono precedere, e non seguire, la notificazione stessa (Cass. civ. 3 novembre 2006 n. 23587).
Ciò premesso, appare infondato anche il secondo motivo del ricorso principale.
I ricorrenti censurano la decisione della Corte di appello, secondo cui il debitore non ha un legittimo interesse ad esigere che il giudizio sì svolga nei confronti di tutti i condebitori solidali, non essendovi litisconsorzio necessario fra di essi e potendo ognuno difendere la sua posizione in giudizio, a prescindere dalla posizione e dalle difese degli altri condebitori.
Affermano che la Corte di merito ha così emesso sentenza di condanna anche a carico del direttore responsabile del quotidiano, sebbene questi non sia stato ritualmente chiamato a partecipare al giudizio, e che essi sono stati condannati sul presupposto della concorrente responsabilità del B.A., senza che questi abbia avuto la possibilità di difendersi. Da qui il loro interesse a far valere la nullità della sentenza ed a chiedere che quanto meno limitatamente al B.A. la causa sia rimessa al giudice di primo grado, per l'integrazione del contraddittorio; ciò anche allo scopo di prevenire un eventuale, futuro contrasto di giudicati sulla sussistenza o meno della diffamazione.
Contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, la Corte di appello ha correttamente deciso, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, che essi non risultano pregiudicati dalla mancata costituzione del contraddittorio nei confronti del direttore responsabile, poichè l'obbligazione solidale dal lato passivo non configura un rapporto unico ed inscindibile, tale per cui l'accertamento del debito nei confronti dell'uno richieda necessariamente la partecipazione al giudizio di tutti i coobbligati (Cass. Civ., Sez. 1, 8 settembre 2004 n. 18075; Cass. civ. 9 aprile 2003 n. 5595).
L'unica conseguenza della nullità della citazione del B.A. consisterà dunque nell'inopponibilità a lui delle decisioni emesse nel corso del giudizio (fermo restando che gli odierni ricorrenti avrebbero potuto chiamarlo essi stessi a partecipare al processo, ove fossero stati autenticamente interessati alla sua partecipazione).
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 105 c.p.c., e l'omessa, contraddittoria o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia, nella parte in cui la Corte di Appello di Firenze ha respinto l'eccezione di inammissibilità dell'intervento nel processo della Regione Toscana.
Rilevano che l'intervento adesivo è ammissibile solo quando l'interveniente intenda tutelare una sua posizione sostanziale che verrebbe pregiudicata dagli effetti riflessi della sentenza pronunciata fra le parti originarie, e che non è sufficiente a tale scopo un interesse di mero fatto.
Il motivo non è fondato.
La Corte di appello, con valutazione in fatto non suscettibile di riesame in questa sede, perchè assistita da ampia e pregevole motivazione, ha affermato che gli articoli ritenuti diffamatori hanno contenuto e valenza tali da ledere concretamente e direttamente anche l'immagine della Regione, tanto che questa sarebbe stata legittimata a proporre domanda di risarcimento dei danni anche in proprio ed in via autonoma. Ha rilevato che la Commissione che ha proceduto alla selezione dei pazienti da sottoporre alla sperimentazione è stata istituita dalla Regione e ha lavorato nella sede e utilizzando le strutture e i macchinari messi a disposizione dalla Regione stessa, si che le critiche venivano ad investire anche la Regione, quale ente organizzatore e responsabile di tutte le operazioni affidate alla Commissione medica.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono l'omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 51 c.p., per non avere la Corte di appello applicato la scriminante del legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica.
Essi fanno rilevare che la Corte di appello ha ritenuto sussistenti i primi due presupposti del diritto di critica, cioè la verità dei fatti esposti e l'interesse pubblico alla conoscenza di quei fatti, mentre ha escluso il terzo requisito, cioè la correttezza formale dell'esposizione; non ha però tenuto conto della gravità dei fatti accertati secondo cui la Commissione era ricorsa alle carte da gioco per estrarre i numeri sulla base dei quali procedere alla selezione;
durante la procedura si erano verificati gravi inconvenienti tecnici, quali la presenza di virus nei computers, l'uso di dischetti danneggiati o di programmi non compatibili; ai giornalisti era stato vietato di assistere alle operazioni; la stessa magistratura era stata interessata alle modalità con cui era stato eseguito il sorteggio, ecc. per desumerne, come avrebbe dovuto, che a fronte delle suddette vicende il margine di tolleranza verso le critiche avrebbe dovuto essere più elevato, soprattutto nel valutare la continenza formale nell'esercizio del diritto di critica.
I ricorrenti addebitano ancora alla Corte di appello di non avere tenuto conto del fatto che il quotidiano ha concesso agli interessati ampi spazi per replicare alle censure e che gli articoli contestati non hanno menzionato i nomi dei componenti della Commissione medica di cui censuravano l'operato.
Le censure non appaiono fondate. va premesso che in tema di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del carattere offensivo degli scritti, l'apprezzamento in concreto del carattere lesivo dell'altrui reputazione proprio delle espressioni usate e l'esclusione dell'esimente del diritto di cronaca o di critica, costituiscono accertamenti in fatto riservati alla discrezionale valutazione del giudice di merito ed incensurabili in sede di legittimità se sorretti da motivazione congrua ed esente da vizi logico - giuridici (cfr., da ultimo, Cass. civ., Sez. 3, 8 agosto 2007 n. 17395; Cass. civ., Sez. 3, 7 luglio 2006 n. 15510;
Cass. civ., Sez. 3, 18 aprile 2006 n. 8953; Cass. civ., Sez. 3, 15 febbraio 2006 n. 3284).
Nella specie, i ricorrenti richiedono a questa Corte un giudizio diverso da quello formulato dalla Corte di appello sulle circostanze di cui sopra, senza porre in evidenza illogicità o incongruenze della motivazione, che appare invece ampia, articolata, lineare e pienamente condivisibile.
In primo luogo non è esatto che la Corte di appello abbia affermato che gli scritti oggetto di esame abbiano pienamente rispettato la verità dei fatti.
Al contrario, ha rilevato che gli articoli incriminati hanno rappresentato in modo distorto la realtà di fatto, cioè in modo tale da indurre i lettori a ritenere che la selezione dei malati tramite una prima estrazione di numeri da un mazzo di carte da gioco fosse stata una loro arbitraria invenzione, tacendo il fatto che la procedura era conforme alle istruzioni impartite dall'amministrazione pubblica competente.
L'Istituto superiore di sanità aveva disposto che la Commissione medica selezionasse casualmente una serie iniziale di otto numeri, mediante estrazione da un mazzo di carte da gioco; la serie numerica avrebbe dovuto poi essere moltiplicata per un algoritmo, secondo regole matematiche destinate a garantire la piena casualità nella scelta dei malati e l'uguale probabilità per ognuno di essere scelto.
Gli articoli a stampa, per contro, hanno presentato la vicenda in modo da indurre a ritenere che la Commissione, a suo arbitrio, avesse deciso di selezionare i malati "giocandoseli a poker": immagine certamente riuscita, quanto all'effetto sui lettori ed alla creazione della notizia, ma non certo rispondente al vero.
La motivazione della sentenza impugnata ha messo in evidenza quanto sopra, nell'affermare la valenza diffamatoria degli scritti in oggetto, ed ha testualmente richiamato la suddetta Nota dell'Istituto Superiore di Sanità.
La Corte di appello ha altresì precisato che la Commissione medica si è strettamente attenuta alle suddette prescrizioni; che ha operato alla presenza di due Marescialli capo dei NAS dei carabinieri di Firenze, verbalizzando ritualmente le disfunzioni e i problemi tecnici verificatisi; che la scelta finale è stata compiuta dopo la soluzione di tutti i problemi e nel pieno rispetto dei principi di casualità, trasparenza e imparzialità; che la trasmissione al comando dei carabinieri del verbale delle operazioni costituiva un doveroso rapporto, e non il sintomo di irregolarità che sollecitavano l'interessamento della giustizia penale, come rappresentato dai giornalisti.
Oltre che richiamare la deformata prospettazione dell'accaduto che esclude l'oggettiva verità dei fatti esposti la Corte di appello ha ritenuto che gli scritti in contestazione abbiano superato i limiti della continenza formale delle espressioni critiche, richiamando ad esempio espressioni quali ..... "Il sorteggio dei malati ammessi alla sperimentazione.... lotteria della speranza.... sulla quale ...si allunga l'ombra di un'inchiesta della magistratura.... Malati, la sorte nelle carte da poker. La speranza dei malati affidata a una smazzata.....Durante la premiata riffa - salute è successo di tutto....Fino all'apoteosi della casualità. Due mazzi di carte ogni carta un numero, ogni numero un malato... ricordano i lager nazisti dove i […] si giocavano gli ebrei a briscola o a chissà quale gioco perverso.... la pelle della gente, trattata come carne da macello...", ecc. Pur condividendo quanto afferma il ricorrente, circa la necessità di alzare la soglia di tolleranza delle espressioni critiche a fronte delle esigenze di denuncia di fatti particolarmente gravi, va rilevato che nella specie non ricorrono i fatti gravi, in quanto la Corte di appello ha ben messo in evidenza che la Commissione non ha commesso alcun abuso, uniformandosi del tutto ad istruzioni impartite dall'alto, e che il preteso "scandalo" è stato artificiosamente costruito dalle stesse espressioni critiche, che ora vorrebbero, su quella base, autogiustificarsi.
Irrilevante appare la circostanza che la Corte di appello non abbia preso in considerazione il fatto che sono stati concessi ampi spazi sul quotidiano X per la replica alle critiche da parte degli interessati.
Ed invero, per quanto ampia e articolata, la replica dell'interessato difficilmente raggiunge tutti coloro che hanno letto le dichiarazioni offensive, e difficilmente può valere a dissipare la valenza negativa di critiche provenienti da soggetti terzi rispetto all'interessato e tenuti all'indipendenza di giudizio, quali i giornalisti.
Parimenti, la mancata indicazione dei nomi dei soggetti criticati può mettere questi ultimi al riparo dal discredito presso il grande pubblico; ma non nell'ambiente a cui appartengono, fra i colleghi e nell'ambito degli enti per cui lavorano, ove la loro identità è nota o facilmente ricostruibile in base al loro ruolo. Si che il danno può risultare ugualmente devastante, anche se meno esteso.
Con il quinto motivo i ricorrenti deducono l'omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 595 c.p., per non avere la Corte di appello tenuto conto della mancata prova del dolo da parte dei soggetti ritenuti responsabili della diffamazione, avallando una sorta di presunzione di intenzionalità, desunta dall'intrinseca offensività delle espressioni usate.
Il motivo non è fondato.
La Corte di appello ha giustamente rilevato che, in tema di diffamazione, è necessario e sufficiente che ricorra il c.d. dolo generico, cioè la consapevolezza di offendere l'onore e la reputazione altrui, anche nelle forme del dolo eventuale, e ha ritenuto che una tale consapevolezza si possa desumere dalla consistenza diffamatoria intrinseca delle espressioni usate, conformemente alla giurisprudenza in materia di questa Corte (Cass. Pen. Sez. 5, 23 settembre 1997 n. 11663; Cass. Pen. Sez. 5, 21 dicembre 2000 n. 6920; Cass. Pen. Sez. 5, 7 giugno 2000 n. 3885).
Con il settimo motivo che va esaminato prima del sesto, riguardando un problema di responsabilità, pregiudiziale ad ogni questione circa l'entità dei danni i ricorrenti deducono l'omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 57 c.p., nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che essi erano privi di interesse ad impugnare la sentenza del Tribunale, che ha dichiarato la responsabilità solidale del direttore responsabile del quotidiano per il contenuto degli articoli pubblicati, ivi incluso l'editoriale a sua firma.
Ad avviso dei ricorrenti, la ritenuta responsabilità del direttore avrebbe inciso in misura rilevante sull'ingente quantificazione dei danni ad opera dei giudici di merito e sarebbe da ritenere insussistente nel caso di specie, venendo a mancare i presupposti di cui all'art. 57 c.p., cioè l'accertamento dell'omesso controllo sul contenuto del quotidiano e della colpa del direttore.
Il motivo è inammissibile, nella parte in cui sottopone a questa Corte la questione, di mero fatto, relativa all'effettiva sussistenza dei presupposti per la condanna del direttore responsabile, ed è infondato quanto al resto, poichè non vi sono elementi per ritenere che i ricorrenti abbiano subito pregiudizio dalla condanna del B.A., quale direttore responsabile, per i fatti a loro imputabili e per i quali è solidalmente responsabile anche la società X E.
Nè risulta in che modo la dichiarata responsabilità del direttore responsabile avrebbe comportato un aggravamento delle condanne a carico degli altri soggetti ritenuti responsabili, soprattutto ove si consideri che sarebbe del tutto insufficiente, ai fini della legittimazione ad impugnare, la prospettazione di un interesse di mero fatto a far valere in giudizio diritti spettanti ad altri.
Con il sesto motivo, infine, i ricorrenti deducono l'omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia e la violazione dell'art. 2059 c.c., per avere la Corte di appello liquidato i danni non patrimoniali a prescindere dalla prova da parte degli attori della reale consistenza dei danni, ritenendo detti danni impliciti nella stessa natura degli illeciti.
La Corte di merito avrebbe motivato la liquidazione di L. 70 milioni ciascuno ai componenti della Commissione medica con il fatto che si tratta di professionisti abbastanza affermati nel settore, senza che tali affermazioni siano state in alcun modo dimostrate.
Nè avrebbe preso in esame il nesso di causalità fra gli illeciti e i danni.
Il motivo non è fondato, avendo la Corte di appello giustamente rilevato che in tema di liquidazione dei danni non patrimoniali, non suscettibili di essere tradotti in termini monetar sulla base di parametri oggettivi essenziale è che ricorra la prova dell'esistenza del danno, dovendosi poi procedere alla relativa quantificazione sulla base di criteri equitativi. Alla valutazione equitativa non suscettibile di censura sotto il profilo della violazione di legge - la Corte ha proceduto con ampia, logica e adeguata motivazione, tenendo presenti tutte le circostanze del caso concreto, fra cui la valenza diffamatoria degli articoli pubblicati, la posizione sociale e le qualità professionali dei diffamati, tutti operatori professionali abbastanza affermati nel settore, il tipo di notizia diffusa, la diffusione del quotidiano. Ha richiamato i criteri stabiliti dall'art. 12 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 per la riparazione pecuniaria spettante alle vittime dei reati a mezzo stampa, secondo cui la riparazione va determinata con riguardo alla gravità dell'offesa e alla diffusione dello stampato, ed ha fatto presente che i danneggiati non hanno chiesto altre forme di riparazione dei danni non patrimoniali, quali la pubblicazione della sentenza di condanna.
La decisione non appare censurabile sotto alcun profilo.
Tutti i motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale debbono essere rigettati.
Considerata la natura e la quantità delle censure proposte e risultate infondate, la soccombenza dei ricorrenti principali appare nettamente prevalente. A loro carico vanno perciò poste le spese processuali relative alla presente fase di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi e li rigetta. Condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 6.100,00, in favore della Regione Toscana e in Euro 6.100,00, in favore degli altri controricorrenti (globalmente considerati), con la precisazione che, in entrambi i casi, Euro 100,00, sono attribuiti in rimborso delle spese vive, e che alle somme liquidate vanno aggiunti il rimborso delle spese generali e gli accessori previdenziali e fiscali di legge.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2007