05.04.2006 free
CORTE di CASSAZIONE - sez.penale (quando i " disturbi della personalità " rientrano nel novero delle infermità ?)
§ - I cosiddetti "disturbi della personalità" possono rientrare nel novero delle infermità solamente ove risulti che essi sono di consistenza, intensità e gravita tali da incidere, non solo potenzialmente, ma in concreto, sulla capacità di intendere o di volere; che sussista cioè una condizione, latu senso patologica, che consenta tuttavia di affermare l'esistenza di un nesso eziologico tra quel determinato disturbo mentale e la specifica condotta criminosa posta in essere. Con la conseguenza che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, può essere dato ad anomalie caratteriali o ad alterazioni della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, e cioè che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di"infermità" con specifico ed esclusivo riferimento al comportamento che è prodotto da tale disturbo. ( avv. Ennio Grassini - www.dirittosanitario.net)
Sentenza n. 8266 dep. 08-03-2006
omissis
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Lecce dichiarava inammissibile la richiesta di revisione proposta da S.T. in riferimento alla sentenza emessa dal Tribunale di Bari il 17/09/1968, che lo aveva condannato a otto mesi di reclusione e L. 30.000 di multa, pena interamente condonata, per il reato di furto aggravato commesso il 29/11/1967. La sentenza, confermata in appello e divenuta irrevocabile il 03/05/1971, risulta, come da annotazioni, oggetto di altre istanze di revisione dichiarate inammissibili con sentenze 17/04/1984, 25/09/1985, 05/05/1986 e 07/01/1988 di questa Corte.
La revisione veniva nuovamente chiesta prospettandosi che al momento del fatto S. si trovava in stato d'incapacità d'intendere e di volere per infermità psichica, essendo affetto da "nevrosi psicoastenica, come accertato il 18/02/1965 dalle autorità militari che ne avevano disposto, per tale motivo, l'esonero dal servizio di leva. A sostegno della richiesta veniva prodotta altresì una consulenza medico legale eseguita il 09/01/2001 dal Dott. B. A. visitando il S. e analizzando le dichiarazioni da questo rese nel procedimento di primo grado all'esito del quale era stata pronunciata la sentenza oggetto della richiesta. Motivava l'inammissibilità la Corte d'appello rilevando innanzitutto come fosse impossibile "proprio sul terreno della clinica psichiatrica stabilire a distanza di ben trentacinque armi se il S. all'epoca dei fatti fosse o meno in condizioni di totale o parziale incapacità d'intendere e di volere". Tanto più alla lucedella pretesa di compiere un tale accertamento, come dimostrerebbe la consulenza medico legale allegata dalla difesa, "sulla semplice base delle dichiarazioni rese all'epoca dal condannato, dichiarazioni che, peraltro, lungi dai dimostrare scarsità di equilibrio o sintomo di malattia mentale, costituiscono un semplicistico, ma pur sempre "classico" tentativo di offrire comunque una spiegazione del proprio comportamento", quando all'epoca non era invece emerso alcun elemento che potesse far sorgere dubbi sulla capacità d'intendere e di volere del S..
Osservava quindi che non aveva dignità scientifica il tentativo di valorizzare l'accertamento medico di quasi quarant'anni addietro, effettuato dall'Ospedale Militare con il quale si diagnostica una "nevrosi psicoastenica", essendo noto che le nevrosi rappresentano "meri disturbi della personalità, talvolta sia pur gravi, ma che non possono certo qualificarsi come "malattia", rilevante ai fini penali,nè comunque costituire un presupposto idoneo ad escludere la capacità d'intendere e di volere o da relazionarsi in alcun modo, con un episodio di furto.
2. Ha proposto ricorso il S. personalmente lamentando la manifesta illogicità della decisione della Corte d'appello sotto un duplice profilo. 2.1. La preliminare delibazione di ammissibilità della richiesta avrebbe imposto che, valutando il merito, la Corte d'appello "contestasse" il primitivo giudizio positivo, cosa che non avrebbe fatto.
2.2. La Corte d'appello, pur ammettendo che risulta che al momento del fatto il richiedente era affetto da "nevrosi psicoastenica", arbitrariamente avrebbe definito l'istanza "un classico tentativo di offrire spiegazioni del proprio comportamento" senza essere in possesso delle cognizioni tecnico scientifiche per valutare la patologia documentata dal ricorrente. Illegittimamente dunque i giudici di merito si sarebbero arrogati il diritto di valutare in campo medico una diagnosi senza alcun supporto tecnico specifico.
2.3. In subordine, il ricorrente deduce che l'accertata infermità avrebbe posto il ricorrente nelle condizioni psichiche di un minorenne, con la conseguente possibilità per lui di beneficiare dell'amnistia fino a quattro anni. 3. Con memoria trasmessa il 23 gennaio 2006 il ricorrente insiste nell'accoglimento del ricorso affermando che la nevrosi psicoastenica diagnosticata costituisce una patologia di tipo ossessivo compulsivo. Prosegue il ricorrente affermando che secondo la medicina legale il soggetto affetto da tale patologia "ha chiara coscienza della illiceità dell'azione, ma è proprio tale consapevolezza, ad ingenerare nel soggetto il timore morboso di incorrere nella sua commissione, minando così il volere del soggetto stesso anziinducendolo all'azione". "L' art. 88 c.p. ai fini della imputabilità del soggetto ed ai fini del riconoscimento della infermità totale o parziale statuisce che un soggetto non è imputabile quantomeno è solo parzialmente imputabile quando venga meno la capacità di intendere e/o di volere o soprattutto come nel caso di specie venga meno uno solo dei due elementi l'intendere o il volere. Nel caso di specie il S. era conscio e quindi consapevole ma assolutamente privo della capacità di volere anzi era compulsivamente portato a compiere l'azione in quanto portatore della patologia ossessiva compulsiva. In fattispecie di tale natura ben può accadere che l'infermità sia di portata tale da aver lasciata integra la sfera intellettiva del soggetto e che invece contemporaneamente abbia cagionato una grave lesione della sfera volitiva con conseguenteperdita, totale o parziale del controllo dei freni inibitori e quindi della facoltà di determinarsi secondo gli imperativi della legge pena".
A fronte di tali nozioni la motivazione della sentenza impugnata sarebbe quantomeno inadeguata. Quanto alla distanza temporale della richiesta di revisione dal fatto, essa dimostrerebbe come per lungo tempo il ricorrente non sia stato nelle condizioni di difendersi adeguatamente e come, riuscendo soltanto dopo lunghi sacrifici e cure a migliorare la propria condizione intenda pervicacemente riportare nella giusta luce il proprio operare.
Motivi della decisione
1. La prima doglianza, per così dire "in rito" o metodo, è infondata. Il ricorrente afferma che "se esiste un primo giudizio positivo occorre che detto giudizio venga contestato". Ma la Corte d'appello ha spiegato le ragioni per le quali riteneva inammissibileperchè manifestamente infondata la richiesta e legittimamente ciò ha fatto all'esito della fissazione dell'udienza in contraddittorio, al fine di consentire le più ampie facoltà di difendersi e contraddire alla parte. E, non essendo più in alcun modo scandito il giudizio di revisione in una fase rescindente e in una fase rescissoria (S.U. 2001, Pisano), la preliminare delibazione in forza della quale è stata fissata l'udienza per la discussione e decisione non preclude in alcun modo la più articolata rivalutazione in sede di giudizio dei requisiti d'ammissibilità della richiesta.
2. Parimenti infondate sono le altre censure, di merito, volte, tutte, a negare validità al ragionamento attraverso il quale la Corte d'appello ha ritenuto inammissibile la richiesta di revisione per l'intrinseca inidoneità degli elementi addotti a dimostrare l'incapacità d'intendere e di volere del S. al momento (29novembre 1967) del furto per il quale è stato condannato (nel 1971). 2.1. Va innanzitutto sgomberato il campo dalle deduzioni che concernono la rilevanza degli elementi prospettati in riferimento, se non altro, alla possibilità di ritenere una ridotta capacità d'intendere o di volere del S. al momento del fatto.
La revisione, volta a rimuovere l'obiettiva ingiustizia della condanna travolgendo l'intangibilità del giudicato, trova limite nell'esigenza che la richiesta dell'imputato tenda a dimostrare che era innocente o non punibile, e andava perciò prosciolto. Sicchè è estranea al suo ambito ogni deduzione che tenda soltanto a prospettare che l'imputato andava condannato per un fatto meno grave o meno gravemente punito. 2.2. Quanto al tema principale del ricorso, la cosiddetta prova nuova è costituita da una attestazione dei medici militari di due anniprecedente al fatto dalla quale risulterebbe soltanto una diagnosi di nevrosi psicastenica. Ad essa è accompagnata una consulenza medica che sulla scorta dei soli dati documentali sostiene, per quel che si riferisce nel ricorso e nella memoria, che la sindrome nevrotica da cui era affetto il S. poteva d'incidere sulla sua capacità di volere.
Osserva il Collegio, prescindendo dal principio, peraltro consolidato, che agli effetti dell'art. 630 c.p.p., lettera c), perchè una perizia, e quindi a maggior ragione una consulenza di parte, costituisca prova nuova occorre che essa si basi su nuove acquisizioni scientifiche idonee di per se a superare i criteri adottabili in precedenza (Cass. Sez. 1^, Sent. n. 16455 del 09/03/2005, Caruso; Sez. 1^, 28/9/2000, Ciancabilla; Sez. 6^, 22/04/1997, Gavazza), che la Corte territoriale ha adeguatamente econgruamente motivato sulle ragioni per le quali riteneva ininfluente siffatta produzione documentale. E indubbio infatti che, ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, i cosiddetti "disturbi della personalità" possono rientrare nel novero delle infermità solamente ove risulti che essi sono di consistenza, intensità e gravita tali da incidere, non solo potenzialmente, ma in concreto, sulla capacità di intendere o di volere; che sussista cioè una condizione, latu senso patologica, che consenta tuttavia di affermare l'esistenza di un nesso eziologico tra quel determinato disturbo mentale e la specifica condotta criminosa posta in essere (Sez. U, Sent. n. 9163 del 25/01/2005, Raso). Con la conseguenza che nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, può essere dato ad anomalie caratteriali o ad alterazioni della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, e cioè che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di"infermità" con specifico ed esclusivo riferimento al comportamento che è prodotto da tale disturbo.
Del tutto adeguata è, perciò, la motivazione della decisione impugnata laddove evidenzia che la nevrosi costituisce non una malattia rilevante ex se ai fini della capacità d'intendere o di volere, ma un mero disturbo della personalità; che dei due documenti prodotti, l'uno (l'accertamento medico militare) era di due anni antecedente il fatto e si limitava a diagnosticare detta nevrosi; l'altro (la consulenza) era, inoltre, di tanto successivo da risultare affatto opinabile, anche perchè elaborato non sulla base di un esame obiettivo, ma sulla sola scorta di quanto dichiarato dall'imputato, all'epoca, in ambito processuale: in un contesto in cui però nessuno dei presenti aveva ventilato alcun dubbio sulla sua capacità; che, infine, alla stregua di quanto evidenziato nonsussistevano comunque elementi idonei a porre in relazione l'allegata nevrosi con l'episodio di furto per il quale l'istante era stato condannato.
Nè ha pregio la censura che a siffatti risultati la Corte d'appello non poteva giungere senza ricorre all'ausilio di esperti. In realtà la perizia è un mezzo di prova affatto discrezionale, ed è interamente rimessa al giudice di merito, in presenza di pareri tecnici e documenti prodotti dalla difesa, la valutazione della necessità di disporre indagini specifiche. Sicchè non è sindacabile in sede di legittimità il convincimento del giudice circa l'esistenza di elementi tali da escludere la situazione che l'accertamento peritale invocato dovrebbe dimostrare quando, come nel caso in esame, è sorretto da adeguata motivazione volta a negare, non già il dato scientifico, cioè la diagnosi degli "esperti", ma la sua rilevanza giuridica nella situazione dedotta (Sez. 5^, Sentenza n. 1476 del 10/12/1997, Illiano; Sez. 6^, Sentenza n. 34089del 07/07/2003, Bombino).
Il ricorso deve perciò essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2006.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2006