01.05.03 free
Cass.Penale - (sull'esecuzione di prestazioni professionali in luogo di medico convenzionato)
Massima:
Non integra il reato di truffa la condotta del medico il quale effettui visite mediche ovvero rilasci certificazioni o prescrizioni sanitarie su ricettari intestati ad altro medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale, se non risulta che la U.S.L. abbia erogato compensi al primo professionista, in quanto difetta il danno patrimoniale della persona offesa, elemento costitutivo della fattispecie delittuosa.
Cassazione penale, SEZIONE II, 12 luglio 2001, n. 38333
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE
SECONDA PENALE
così composta:dott. Pietro Sirena Presidentedott. Alessandro Conzatti Consiglieredott. Michele Besson Consiglieredott. Carla Podo Consiglieredott. Giacomo Fumu Consigliereha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto nell'interesse di
Fatto-Diritto
con sentenza della Corte di Appello di Messina in data 19 maggio 2000, in riforma della decisione resa dal Pretore di Rometta il 22 ottobre 1998, i coniugi
entrambi gli interessati hanno proposto ricorso contro la sentenza; con un primo atto, si è dedotta la violazione dell'art. 603 c.p.p., sotto molteplici profili: per essersi omesso l'esame dell'imputato, tanto nel primo quanto nel secondo giudizio, nonostante la prova fosse stata tempestivamente richiesta; per l'utilizzazione di atti non irripetibili illegittimamente inseriti nel fascicolo dibattimentale e la mancata audizione, in particolare, del denunciante; per l'omesso esame o nuovo esame di testi, sollecitato dalla difesa nel grado di appello;
con un secondo atto di impugnazione, ribaditesi le eccezioni già menzionate, si è contestata la configurabilità sia del delitto di truffa, per assenza dell'estremo costitutivo di un danno economico subito dalla U.S.L. 43, sia del delitto di uso abusivo di sigilli e strumenti veri, poiché l'imputato non si era impossessato illegittimamente del timbro della moglie e, d'altra parte, tale timbro ad inchiostro, impresso su ricetta medica, non era equiparabile ai mezzi di autenticazione e certificazione tutelati dalla norma;
l'omesso esame dell'attuale ricorrente - che ha reso dichiarazioni spontanee nel giudizio di appello - costituisce nullità a regime intermedio, che avrebbe dovuto essere rilevata a pena di decadenza a norma dell'art. 182, comma 2 c.p.p.; la dedotta utilizzazione di atti illegittimamente acquisiti nel fascicolo per il dibattimento non è valutabile nella presente sede per omessa specificazione, salvo per quanto attiene alla denuncia di un cittadino di Roccavaldina, che ha determinato l'avvio del procedimento: questa avrebbe dovuto in effetti essere espunta dal fascicolo, a norma dell'art. 431 c.p.p. nella formulazione vigente all'epoca, ma l'irregolarità non produce effetti rilevanti, poiché la denuncia risulta concretamente utilizzata dal giudice di merito come mera presa d'atto della sua presentazione e non già nel suo contenuto;
la rinnovazione, infine, dell'istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello costituisce istituto di carattere eccezionale, subordinato alla valutazione del giudice di non essere in grado di decidere allo stato degli atti e della utilità processuale oggettiva della prova, non manifestamente irrilevante o superflua: valutazione che, ove sia congruamente motivata in assenza di vizi logici e sulla base delle risultanze acquisite, come nella specie, si sottrae al sindacato di legittimità;
non sono accoglibili, pertanto, i motivi di ricorso concernenti le dedotte violazioni in rito; Fondate sono invece le doglianze concernenti l'interpretazione degli artt. 640 e 471 c.p.; dalla normativa sulla disciplina dei rapporti tra sanitari convenzionati ed Enti del Servizio Sanitario Nazionale, succedutasi nel tempo dall'anno 1987 al 1995, è dato trarre: che le dimissioni dall'incarico di medico convenzionato comportano l'interruzione in favore del dimissionario di qualsiasi trattamento economico (onorari, indennità, compensi eccetera) a carico dell'ente pubblico; che la cessazione dell'incarico non interferisce sull'abilitazione dell'interessato all'esercizio della professione medica e, pertanto, neppure sulla sua astratta capacità di sostituire temporaneamente e senza compenso altro medico convenzionato, alle condizioni e nei termini previsti di volta in volta dagli accordi collettivi e dalle leggi in vigore, nè produce generali incompatibilità con l'assunzione di cariche pubbliche, salvi specifici conflitti di interesse; che, infine, il sanitario in regime di convenzione ha diritto ad un trattamento economico nella massima parte indipendente dal numero degli assistibili che lo hanno prescelto; tale numero ha avuto rilievo invece a soli fini del computo di compensi accessori (D.P.R. n. 270-1987; D.P.R. n. 289-1987; D.P.R. n. 314-1990); che dall'entrata in vigore del D.P.R. n. 218-1992, sono state dettate regole specifiche sulle sostituzioni dei medici in regime di convenzione;
poiché non è dubbio che il danno patrimoniale della parte lesa costituisce estremo strutturale dell'elemento oggettivo del delitto di truffa, non è sufficiente la prova che l'attuale ricorrente
quanto poi a maggiorazioni di indennità accessorie, specificamente prospettate dall'accusa come percepite dalla
la prova, tuttavia, di simili indebite maggiorazioni presupporrebbe la dimostrazione che l'imputata non abbia a sua volta mai effettuato prestazioni professionali in favore dei soggetti che avevano rapporti anche con il marito, che questi ultimi superassero la soglia delle 500 o 1000 unità, che tali persone - costrette comunque a prescegliere altro medico in convenzione dopo le dimissioni di
entrambi i ricorrenti vanno pertanto assolti dal delitto in esame; per quanto attiene al reato previsto dall'art. 471 c.p., deve premettersi che il consenso, prestato dall'avente diritto, a che un terzo usi indebitamente un sigillo o altro strumento di pubblica autenticazione o certificazione non soltanto non esclude la punibilità dell'utilizzatore, ma rende anzi partecipe dell'illecito il titolare dello strumento in questione;
nella specie, peraltro, il timbro ad inchiostro recante il nominativo ed il codice regionale del medico in convenzione, su certificazioni mediche e prescrizioni, viene apposto al solo fine di individuare la provenienza amministrativa delle stesse e non già la persona fisica del sanitario che le redige, tanto che di esso può avvalersi anche il sostituto temporaneo;
ne consegue che l'irregolarità nella condotta del ricorrente
P.Q.M
la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Deciso in Roma il 12 luglio 2001
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 24 OTT 2001