22.01.2009 free
CORTE di CASSAZIONE - penale - Commercio o somministrazione di medicinali guasti
La fattispecie criminosa descritta dall'art. 443 cod. pen., e cioè il commercio o la somministrazione di medicinali guasti, mira ad impedire l'utilizzazione a scopo terapeutico di medicinali imperfetti e sanziona ogni condotta che renda probabile o possibile la concreta utilizzazione del medicinale guasto. (Fattispecie relativa al rinvenimento in uno studio medico d'ingente quantitativo di farmaci e altro materiale sanitario, scaduto da molto tempo, frammisto a prodotti in corso di validità e in parte utilizzato).
Sentenza n. 39051 del 28/08/2008
omissis
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Napoli, con sentenza dell'11/6/04, aveva dichiarato colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti e condannati D. R.A., con la contestata recidiva e unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di anni dieci di reclusione, e S.M., con le attenuanti generiche e la contestata continuazione, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento in solido delle spese processuali ed il D.R. anche di quelle di custodia cautelare, con l'applicazione per entrambi delle pene accessorie.
I due imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere del delitto di cui agli artt 81. cpv e 110 c.p., L. n. 194 del 1978, artt. 18 e 19, perchè, in concorso e previa intesa tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, cagionavano - materialmente il D.R. presso il proprio studio medico e comunque presso strutture non autorizzate - a C.F. la interruzione della gravidanza in due diverse occasioni, dapprima nel mese di (OMISSIS), carpendone con l'inganno il consenso (in particolare inducendo in errore la predetta p.o. alla quale veniva riferito dal D.R., nella sua qualità di medico curante, che non sarebbe stata in grado di portare regolarmente a termine la gravidanza a causa delle condizioni del feto) e, successivamente, in data (OMISSIS), con inganno e violenza, consistita nel praticare l'aborto contro volontà della donna, dopo averla immobilizzata a viva forza.
Inoltre il D.R. era chiamato a rispondere dei delitti di cui all'art. 81 cpv c.p., L. n. 194 del 1978, art. 19, perchè cagionava a donne non identificate la interruzione della gravidanza presso una struttura non autorizzata, in violazione della L. n. 194 del 1978, art. 8; di cui all'art. 61 c.p., n. 2 e art. 479 c.p. perchè, al fine di occultare il reato sub A), ovvero per assicurarsene la impunita, formava nell'esercizio delle sue funzioni di medico ginecologo, presso la clinica (OMISSIS), una cartella clinica attestante falsamente che in data (OMISSIS) C.F. era stata sottoposta, presso la predetta struttura ospedaliere, ad intervento di interruzione volontaria della gravidanza; di cui all'art. 443 c.p., perchè, nell'esercizio della professione medica, deteneva per il commercio o somministrava medicinali scaduti dal periodo di validità.
I difensori degli imputati interponevano gravame avverso la detta decisione, che la Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 10/7/07, ha rigettato.
Propongono ricorso per cassazione le rispettive difese dei prevenuti, con i seguenti motivi:
- per S. - nullità della impugnata sentenza per violazione della L. n. 194 del 1978, art. 18, in relazione all'art. 192 c.p.p. e art. 606 c.p.p., lett. c) ed e), - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, eccependo l'error in procedendo ripercorso dalla Corte territoriale, articolatosi nel contrasto tra il giudizio di condanna del prevenuto ed i contraddirteli elementi di prova offerti dal processo;
- in ordine all'episodio del (OMISSIS): nullità della sentenza impugnata per violazione della L. n. 194 del 1978, art. 18, in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b), - violazione di legge - rilevando che la condotta interventista del S. è successiva alla interruzione della gravidanza violenta operata dal D. R., pertanto, successiva alla condotta punibile posta in essere da quest'ultimo;
- nullità della sentenza per violazione della L. n. 194 del 1978, art. 19, in relazione all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), - violazione di legge e contestuale mancanza ed illogicità della motivazione, eccependo che il reato ex art. 19 andava, se non escluso, ritenuto assorbito nella più ampia previsione di cui all'art. 18, non potendosi di certo ravvisarsi il concorso tra le due fattispecie criminose;
- nullità della impugnata sentenza per violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), - difetto di motivazione in ordine alle richieste subordinate, essendo evidente il contrasto tra la pena irrogata in concreto al S. e le valutazioni di favore operate dal Tribunale per la concessione delle attenuanti generiche; peraltro la Corte di merito ha omesso di riscontrare le censure mosse sul punto dalla difesa del prevenuto.
- per D.R. - omessa instaurazione di valido contraddittorio, avendo il giudice di merito rigettato la richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato, in violazione dell'art. 420 ter c.p.p.;
- la Corte territoriale ha omesso di riscontrare le numerose doglianze formulate in atti dalla difesa del prevenuto in attinenza ai capi di imputazione a), b), c) e d);
- la regola della certezza della reità è stata elusa dal decidente;
- ulteriore vizio della gravata decisione è rilevabile in punto di inesatta applicazione delle regole probatorie e di giudizio in merito alla ritenuta compiutezza della prova sui requisiti di tipicità "consenso carpito con inganno" (episodio dell'(OMISSIS)) e "consenso estorto con violenza" (episodio del (OMISSIS)) della ipotesi delittuosa di cui alla L. n. 194 del 1978, art. 18,: la parte offesa non è attendibile per le contraddizioni che pervadono le dichiarazioni dalla stessa rese, peraltro ritenute erroneamente avvalorate dalle deposizioni de relato, rese dai testimoni, e dalle dichiarazioni fatte dal coimputato, S.M., il cui contenuto doveva essere ritenuto inutilizzabile;
- omessa argomentazione sulla sussistenza degli estremi della ipotesi L. n. 194 del 1978, ex art. 18 invece che art. 19.
Con motivi aggiunti, depositati in data 8 e 13/8/08, la difesa del prevenuto ha evidenziato ulteriormente le ragioni che avrebbero dovuto determinare il giudice di merito a ritenere non solo non credibile la p.o., ma anche a considerare inutilizzabili le dichiarazioni dalla stessa rese in quanto la C. doveva riconoscersi punibile L. n. 194 del 1978, ex art. 19, in dipendenza del decisum reso dal Tribunale del Riesame di Napoli, che aveva inquadrato il fatto del (OMISSIS) nella fattispecie criminosa del precitato art. 19.
Inoltre viene censurata la decisione gravata in punto di errata qualificazione dell'episodio dell'(OMISSIS), non ravvisandosi nella condotta posta in essere dal prevenuto alcun atteggiamento ingannevole al fine di sottoporre la p.o. ad interruzione della gravidanza, bensì un evidente stato di suggestione, che aveva pervaso la C., peraltro, di certo non causato dal medico;
ulteriore specificazione argomentativa viene sviluppata in ordine alla contestata condanna per il reato di cui all'art. 443 c.p., evidenziandone la insussistenza, difettando nella specie ogni elemento concretizzante la fattispecie criminosa de qua.
Da ultimo viene eccepita la prescrizione dei reati di cui ai capi b) e c) della imputazione.
Motivi della decisione
I ricorsi sono infondati e vanno rigettati.
La sentenza oggetto di gravame è sorretta da una argomentazione motivazionale logica, corretta e priva di lacune.
Per quanto attiene al gravame proposto dal S. rilevasi che in esso vengono mosse censure attinenti alla insussistenza di riscontri probatori in ordine alla riconosciuta responsabilità in capo al prevenuto nei due episodi di interruzione di gravidanza procurata alla p.o., nonchè all'erronea configurazione del concorso tra i reati di cui alla L. n. 194 del 1978, artt. 18 e 19, dovendosi, di contro, escludere il secondo, o semmai ritenerlo assorbito nella più ampia previsione del primo.
Si osserva che il giudice di merito ha ritenuto attendibile la C. e credibili le dichiarazioni da costei rese, dando contezza come dal racconto della donna emerga, in maniera prepotente, il ruolo determinante del S. nell'indurre la compagna a sottoporsi alle visite mediche del D.R. e le scelte abortiste dell'uomo che in tal senso sollecitava il medico ad intervenire, supportate dalle risultanze delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche, intercorse tra la p.o. e lo stesso medico, nel corso delle quali quest'ultimo riferisce della volontà del S. di fare abortire la donna.
La censura mossa dalla difesa del prevenuto si appalesa inaccoglibile, in quanto tende ad una rivisitazione delle risultanze istruttorie, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, con inibizione alla Corte di legittimità di procedere ad una nuova analisi di esse.
Esula, infatti, dai poteri del giudice di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, senza che possa quindi integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
In una tale prospettiva la Corte non può sovrapporre la propria valutazione a quella del giudice di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova raccolte, dovendosi limitare a stabilire se il giudice di merito abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia applicato esattamente le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta delle conclusioni raggiunte (Cass. 23/1/03, Cozzi).
Nella specie il controllo sul discorso giustificativo, sviluppato dalla Corte di Appello, permette di rilevare la compiutezza della argomentazione, con specifici richiami al quadro probatorio, che risulta correttamente valutato sia in ordine all'episodio dell'(OMISSIS), che a quello del (OMISSIS), nel corso del quale l'imputato "incitò" verbalmente il medico a procedere, senza remore, alla pratica abortiva violenta.
Sostiene, inoltre, il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto affermare la insussistenza del reato L. n. 194 del 1978, ex art. 19, o, semmai, ritenerlo assorbito nella più ampia previsione di cui all'art. 18, e non ritenere il concorso tra le due ipotesi delittuose.
La censura è priva di fondamento, per quanto di seguito si osserva:
i reati di cui agli artt. 18 e 19 rappresentano ipotesi delittuose autonome e si concretizzano il primo nella condotta volontaria di cagionare la interruzione della gravidanza, senza il consenso della donna o col consenso estorto con violenza, minaccia, ovvero con l'inganno; il secondo nella violazione della osservanza delle modalità, prescritte nella medesima disposizione di legge, tendenti, in primis, alla tutela della salute della donna.
Ne consegue che le due fattispecie sono autonome e, nella specie, il giudice di merito, correttamente, ha ravvisato il concorso tra esse in relazione all'episodio del (OMISSIS), in cui il consenso della donna non c'è stato proprio, e alla interruzione di gravidanza praticata nell'(OMISSIS), in cui il consenso della stessa non si è liberamente formato.
Quanto al motivo di ricorso con il quale si contesta il difetto di motivazione in ordine alle richieste subordinate si rileva che il giudice di merito ha adempiuto l'obbligo di motivazione, evidenziando che per le considerazioni svolte, attinenti il previo accordo tra il S. ed il D.R. perchè si procedesse, a qualunque costo, alle interruzioni delle gravidanze della C., non vi è alcuno spazio per configurare un comportamento colposo dell'imputato.
Esaustiva argomentazione il decidente ha sviluppato anche in ordine alla determinazione in concreto della misura della pena, indicando gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell'ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p., con richiamo alla gravità dei fatti e delle violazioni ascritte al prevenuto.
Quanto al ricorso del D.R. si rileva che il primo motivo è privo di pregio: la eccezione di nullità della sentenza per illegittima instaurazione del rapporto processuale, determinata dal rigetto della istanza di rinvio del processo per impedimento dell'imputato, è infondata.
La Corte territoriale ha ampiamente motivato in ordine alla corretta applicazione dell'art. 420 ter c.p.p., con l'evidenziare che se l'impedimento prospettato attiene alle condizioni di salute dell'imputato, l'indispensabile giudizio in ordine ad esso - che deve, comunque, inibire in modo assoluto la possibilità di presenziare alla udienza - passa, necessariamente, attraverso la rappresentazione della natura della infermità.
Nel caso di specie, la certificazione prodotta dal difensore era stata smentita dal medico fiscale, che aveva escluso qualsiasi patologia in atto, del che la insussistenza dell'impedimento a comparire.
Con la seconda censura la difesa del prevenuto rileva che dalla istruttoria dibattimentale non emergevano elementi idonei a fornire la dimostrazione, "oltre ogni ragionevole dubbio", della sussistenza dei reati contestati al D.R..
Anche tale doglianza è infondata, rilevato che dal discorso giustificativo sviluppato in sentenza si evince la assoluta attendibilità, riconosciuta alla p.o., supportata dalle conversazioni telefoniche intercorse tra la donna, il S. ed il D.R., nonchè dalle deposizioni dei testi de relato Co.Ma., Ce.Ri., D.M.S. e del dott. B..
A quest'ultimo si era rivolta la C. prima e subito dopo l'intervento abortivo del (OMISSIS) ed in occasione della seconda visita la donna aveva raccontato che tra l'ecografia eseguita presso costui il (OMISSIS) e quella del (OMISSIS), contro la sua volontà, era stata sottoposta a Napoli ad un raschiamento abortivo.
Il ricorrente eccepisce che la Corte di Appello ha considerato utilizzabili, a conforto del quadro accusatorio anche le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dal S. (il quale in dibattimento si era rifiutato di deporre), in difetto del consenso richiesto ex art. 513 c.p.p., comma 1.
Sul punto si evidenzia che, anche a voler considerare acquisita illegittimamente detta prova, essa non ha avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito: infatti dal controllo sulla struttura della motivazione è facilmente evincibile che pur senza l'utilizzazione di quelle dichiarazioni la soluzione sarebbe stata la stessa, per la presenza di altre prove, ritenute per sè sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Cass. 23/9/04, Morrillo).
Il ricorrente contesta, inoltre, la sussistenza di prove in ordine alla imputazione di cui al capo b), come del pari, del capo c).
L'argomentazione motivazionale svolta dalla Corte di merito nell'affermare la penale responsabilità dell'imputato in relazione ai predetti capi di imputazione non risulta aggredibile, in quanto fondata su valutazioni di fatto, sorrette da logica e completezza concettuale, con specifici richiami a riscontri probatori.
Ulteriore censura la difesa del prevenuto muove alla pronuncia di colpevolezza in ordine al reato di cui all'art. 443 c.p. col sostenere che non può ritenersi integrata la fattispecie di reato in assenza di prova della somministrazione, senza di che la semplice detenzione diviene un fatto penalmente irrilevante.
Priva di pregio è anche tale obiezione: infatti, l'art. 443 c.p., che sanziona il commercio o la somministrazione di medicinali guasti, mira ad impedire la utilizzazione a scopo terapeutico di medicinali imperfetti.
Si tratta, quindi, di un reato di pericolo, volto a sanzionare le condotte alternativamente descritte nella norma, che rendono probabile, o almeno possibile, la concreta utilizzazione del medicinale guasto (Cass. 19/5/04, n. 27923).
Nella sentenza gravata leggesi che l'affermazione di responsabilità dell'imputato è fondata sulla base del fatto che nel corso delle perquisizioni nello studio medico era stato rinvenuto un ingente quantitativo di farmaci e altro materiale sanitario, scaduto da molto tempo, ed una parte parzialmente utilizzata e mischiata con prodotti in corso di validità.
Quanto alla eccepita estinzione per prescrizione dei reati sub b) e d) della rubrica è dato rilevare che alla stregua del tempus commissi delicti, indicato nei capi di imputazione, il relativo termine non è ancora maturato, come evincesi, peraltro, dallo stesso provvedimento presidenziale di fissazione della udienza feriale, in via di urgenza, per la trattazione del ricorso, richiamato dallo stesso ricorrente, nella memoria del (OMISSIS).
Sul punto i giudici di merito hanno osservato come dalle risultanze istruttorie (deposizioni Ca. e N.) era emerso inequivocamente che alla data del (OMISSIS) il prevenuto continuava ad esercitare pratiche abortive e deteneva presso il proprio studio medicine non più somministrabili, in quanto superato il termine di validità.
Da ultimo si ritiene di esaminare due dei motivi aggiunti formulati dalla difesa del D.R., con cui si censura la utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla p.o., nonchè la qualificazione giuridica attribuita all'episodio dell'(OMISSIS).
In ordine al primo il ricorrente rileva che con ordinanza del 20/4/2000, confermata dal giudice di legittimità, il Tribunale del Riesame di Napoli, pronunciandosi sulle imputazioni di cui al capo a) della rubrica, statuiva: quanto al fatto del (OMISSIS), pur confermando la ordinanza applicativa della misura, esso deve essere inquadrato nella fattispecie dell'art. 19, commi 1 e 2, u.p.; con riferimento all'episodio dell'(OMISSIS), annulla il titolo cautelare, sussumendo il fatto nello schema criminoso della L. n. 194 del 1978, art. 19, comma 1.
Conseguentemente, si sarebbe venuto a formare un giudicato cautelare circa la riconducibilità dei fatti ascritti al D.R. ad ipotesi di reato che contemplano una specifica punibilità per la gestante, così che la C. andava esaminata in dibattimento non in veste di testimone-persona offesa, bensì come prescrive a pena di inutilizzabilità l'art. 63 c.p.p., comma 2, con le forme previste dall'art. 210, c.p.p..
La censura è infondata per due ordini di motivi.
In primis, come argomentato dalla Corte territoriale, vicenda cautelare e giudizio di merito operano su piani diversi e non si influenzano reciprocamente, tanto che è possibile disporre il rinvio a giudizio per fatti per i quali non si è ritenuto sussistere un quadro indiziario connotato dal requisito della gravità e che, nel contempo, il rinvio a giudizio non preclude il riesame della misura cautelare sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Di poi, perchè l'esame disciplinato dall'art. 210 c.p.p., è destinato ad essere applicato soltanto alle persone sottoposte a procedimento penale, che non possono assumere l'ufficio di testimone, quindi agli indagati e imputati del medesimo reato, fino a quando nei loro confronti non sia pronunciata sentenza irrevocabile: la C. non risulta essere stata indagata (o imputata) per il reato di cui capo a) della imputazione ascritta al D.R..
In merito alla asserita errata qualificazione, attribuita dal decidente all'episodio dell'(OMISSIS), è sufficiente leggere quanto affermato a pag. 14 della sentenza della Corte territoriale (che trae supporto dalle dichiarazioni rese dalla p.o., verb. Sten. dell'8/10/02), per ravvisare la assoluta carenza di fondamento della tesi del ricorrente, secondo cui non sarebbe ravvisabile nella condotta del D.R. alcun inganno tendente a carpire il consenso della donna, la quale, pervasa da uno stato di grave suggestione, avrebbe espresso la volontà di sottoporsi alla interruzione della gravidanza: "dopo la ecografia il medico aveva iniziato a terrorizzarla, dicendole che non avrebbe potuto portare a termine la gravidanza, che rischiava la vita, che era sul punto di abortire spontaneamente, che, probabilmente, non sarebbe neppure tornata a (OMISSIS)".
Balza evidente la esattezza del decisum.
P.Q.M.
la Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 agosto 2008.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2008