17.12.2010 free
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE VERICA TRSTENJAK presentate il 24 novembre 2010 Divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica
CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
VERICA TRSTENJAK
presentate il 24 novembre 2010
Causa C‑316/09
MSD Sharp & Dohme GmbH
contro
Merckle GmbH
[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dal Bundesgerichtshof (Germania)]
«Art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE – Medicinali per uso umano – Divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica – Nozione di pubblicità – Criteri per accertare l’intento promozionale delle pubblicazioni in materia di medicinali su Internet»
I – Introduzione
1. La presente causa verte su una domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal Bundesgerichtshof (in prosieguo: il «giudice del rinvio») ai sensi dell’art. 234 CE (2), con la quale la Corte è stata investita di una questione vertente sull’interpretazione dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 novembre 2001, 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (3), che vieta all’interno dell’Unione europea la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione.
2. La questione pregiudiziale trae origine da una controversia che oppone due aziende produttrici del settore farmaceutico, la MSD Sharp & Dohme GmbH (convenuta in primo grado e ricorrente in cassazione, in prosieguo: la «MSD») e la Merckle GmbH (ricorrente in primo grado e resistente in cassazione, in prosieguo: la «Merckle»), nell’ambito della quale quest’ultima chiede di vietare giudizialmente alla MSD la diffusione su Internet di informazioni commerciali relative a medicinali soggetti a prescrizione medica da essa prodotti. Per definire questa istanza occorre valutare se la condotta della convenuta nell’ambito della causa principale vada qualificata quale pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione, oggetto di divieto.
3. Le questioni sollevate nella presente controversia si ricollegano direttamente al difficile equilibrio che il legislatore dell’Unione deve trovare tra la tutela della sanità pubblica, da un lato, e il diritto del pubblico all’informazione, dall’altro. Una fonte di queste informazioni è Internet, che oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, è diventato uno dei più importanti mezzi di comunicazione e permette a un numero crescente di persone di acquisire e scambiare informazioni in maniera veloce e facile. Le informazioni sono notoriamente merce preziosa e Internet ha senza dubbio contribuito a una loro notevole diffusione e, così facendo, ha anche contribuito in maniera decisiva alla creazione della contemporanea società dell’informazione. Per garantire che l’informazione sia di utilità per il pubblico è però necessario assicurare che i dati messi a disposizione rispondano a precisi requisiti qualitativi, senza interferire eccessivamente nel libero flusso di informazioni. Nel settore di grande importanza che qui rileva, quello dell’assistenza sanitaria, si deve tutelare il paziente, senza imposizioni, da informazioni non corrette e fuorvianti provenienti da fonti non attendibili. Si tratta, inoltre, allo stesso tempo, di esigere da chi diffonde le informazioni il rispetto di elevati standard di qualità. In tal modo il diritto all’informazione del paziente – soprattutto con riguardo all’utilizzo di moderne fonti di informazione quali Internet – deve divenire un ulteriore strumento a sostegno dell’assistenza sanitaria.
II – Contesto normativo
A – Diritto dell’Unione
4. Oggetto del procedimento di pronuncia pregiudiziale è la direttiva 2001/83/CE, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/27/CE (4).
5. Il secondo ‘considerando’ della direttiva 2001/83/CE così dispone:
«Lo scopo principale delle norme relative alla produzione, alla distribuzione e all’uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della sanità pubblica».
Il quarantesimo ‘considerando’ della direttiva prevede che:
«Le disposizioni relative alle informazioni da fornire ai pazienti devono garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, così da permettere un impiego corretto dei medicinali sulla base di informazioni complete e comprensibili».
Il quarantacinquesimo ‘considerando’ così recita:
«La pubblicità presso il pubblico di medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica potrebbe, se eccessiva e sconsiderata, incidere negativamente sulla salute pubblica; tale pubblicità, se autorizzata, deve pertanto essere conforme ad alcuni criteri essenziali che occorre definire».
6. L’art. 86 della direttiva 2001/83/CE, che apre il titolo VIII («Pubblicità») stabilisce quanto segue:
«1. Ai fini del presente titolo si intende per “pubblicità dei medicinali” qualsiasi azione di informazione, di ricerca della clientela o di incitamento, intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali; essa comprende in particolare quanto segue:
– la pubblicità dei medicinali presso il pubblico,
– la pubblicità dei medicinali presso persone autorizzate a prescriverli o a fornirli,
– la visita di informatori scientifici presso persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali,
– la fornitura di campioni di medicinali,
– l’incitamento a prescrivere o a fornire medicinali mediante la concessione, l’offerta o la promessa di vantaggi pecuniari o in natura, ad eccezione di oggetti di valore intrinseco trascurabile,
– il patrocinio di riunioni promozionali cui assistono persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali,
– il patrocinio dei congressi scientifici cui partecipano persone autorizzate a prescrivere o a fornire medicinali, in particolare, il pagamento delle spese di viaggio e di soggiorno di queste ultime in tale occasione.
2. Non forma oggetto del presente titolo quanto segue:
– l’etichettatura e il foglietto illustrativo, soggetti alle disposizioni del titolo V,
– la corrispondenza corredata eventualmente da qualsiasi documento non pubblicitario, necessaria per rispondere a una richiesta precisa di informazioni su un determinato medicinale,
– le informazioni concrete e i documenti di riferimento riguardanti, ad esempio, i cambiamenti degli imballaggi, le avvertenze sugli effetti collaterali negativi, nell’ambito della farmacovigilanza, i cataloghi di vendita e gli elenchi dei prezzi, purché non vi figurino informazioni sul medicinale,
– le informazioni relative alla salute umana e alle malattie umane, purché non contengano alcun riferimento, neppure indiretto, a un medicinale».
7. L’art. 87 della direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Gli Stati membri vietano qualsiasi pubblicità di un medicinale per cui non sia stata rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio, conforme al diritto comunitario.
2. Tutti gli elementi della pubblicità di un medicinale devono essere conformi alle informazioni che figurano nel riassunto delle caratteristiche del prodotto.
3. La pubblicità di un medicinale:
– deve favorire l’uso razionale del medicinale, presentandolo in modo obiettivo e senza esagerarne le proprietà;
– non può essere ingannevole».
8. L’art. 88 della direttiva recita come segue:
« 1. Gli Stati membri vietano la pubblicità presso il pubblico dei seguenti medicinali:
- quelli che possono essere forniti soltanto dietro presentazione di ricetta medica, conformemente al titolo VI,
(…)».
B – Normativa nazionale
9. La normativa tedesca in materia è contenuta nel Gesetz über die Werbung auf dem Gebiet des Heilwesens (Heilmittelgesetz, legge in materia di pubblicità sui medicinali; in prosieguo: l’«HWG») nella versione pubblicata il 19 ottobre 1994 (5), come modificata da ultimo dall’art. 2 della legge del 26 aprile 2006 (6).
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1. La pubblicità riguardante medicinali soggetti a obbligo di prescrizione medica può essere rivolta unicamente a medici, dentisti, veterinari, farmacisti o a coloro che esercitano il commercio autorizzato di tali medicinali.
2. I medicinali per uso umano diretti a combattere problemi di insonnia o disturbi di natura psichica ovvero i farmaci psicotropi non possono essere pubblicizzati al di fuori della cerchia degli specialisti del settore».
III – Fatti, causa principale e questione pregiudiziale
10. Le parti sono aziende farmaceutiche in concorrenza tra loro. La MSD ha presentato i propri medicinali soggetti a prescrizione «VIOXX», «FOSAMAX» e «SINGULAIR» su Internet, tramite un collegamento ipertestuale (link) non protetto da passwort e, pertanto, accessibile a chiunque, in cui sono riportate la confezione del prodotto, la descrizione dell’indicazione e le istruzioni per l’uso.
11. La Merckle ritiene che ciò costituisca una violazione del divieto di pubblicità previsto per i medicinali soggetti a prescrizione medica all’art. 10, n. 1, HWG e, allo stesso tempo, ritiene che il comportamento della MSD sia inammissibile sotto il profilo della concorrenza. Dinanzi al Landgericht la Merckle ha chiesto di ingiungere alla MSD, pena l’adozione di opportune sanzioni, di porre fine alla diffusione su Internet, in ambito commerciale e per scopi concorrenziali, di informazioni pubblicitarie relative a medicinali soggetti a prescrizione, con l’effetto di far risultare tali informazioni automaticamente accessibili anche al di fuori dell’ambito medico. Il Landgericht ha accolto tale domanda. L’Oberlandesgericht ha respinto il ricorso in appello proposto dalla MSD.
12. L’esito del ricorso per cassazione proposto dalla MSD davanti al giudice a quo dipende dalla questione se l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE, contempli un tipo di pubblicità come quella in esame nella fattispecie, la quale contiene solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto, e che non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili solo su Internet a chi effettua una ricerca specifica.
13. Il giudice del rinvio osserva che, ai sensi dell’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83/CE, le disposizioni di cui al titolo VIII non valgono per l’etichettatura e il foglietto illustrativo (artt. 54-69). Le informazioni riportate sull’etichetta o nel foglietto illustrativo non rappresentano pertanto una pubblicità ai sensi dell’art. 86, n. 1, della direttiva, a condizione che esse vengano utilizzate secondo la loro rispettiva funzione di etichetta o foglietto illustrativo, ovvero esposte sul contenitore e, eventualmente, sull’imballaggio esterno del medicinale, oppure siano allegate alla confezione del medicinale e i pazienti ne entrino in possesso con il medicinale stesso. In base alla giurisprudenza del Bundesgerichtshof si tratta invece di pubblicità nei casi in cui tali informazioni obbligatorie vengono separate dall’etichettatura del medicinale e utilizzate per un uso comunicativo autonomo, ad esempio in annunci commerciali.
14. Il giudice a quo si chiede se, secondo un’interpretazione teleologica del divieto di pubblicità stabilito dall’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83, tale divieto non sia da interpretarsi in senso restrittivo, in modo tale che non comprenda una pubblicità rivolta al pubblico del tipo in discussione nella fattispecie, nella quale le informazioni sono accessibili solo a chi effettua una ricerca su Internet in modo autonomo e sono rese disponibili solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti per l’autorizzazione e che diventano comunque accessibili ai pazienti che acquistano il medicinale. Al riguardo va considerato in particolare il fatto, da un lato, che la pubblicazione viene effettuata dal produttore e, dall’altro, che una siffatta informazione potrebbe eliminare o ridurre il rischio di «un’automedicazione disinformata».
15. Tenuto conto dei dubbi sollevati dal Bundesgerichtshof in merito alla compatibilità del controverso divieto di pubblicità presso il pubblico con i diritti fondamentali dell’Unione e con il principio di proporzionalità, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
Se l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, si riferisca alla pubblicità di medicinali soggetti a prescrizione medica anche se questa contiene solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto, e se tali informazioni non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili solo su Internet a chi effettua una ricerca specifica.
IV – Procedimento dinanzi alla Corte
16. L’ordinanza di rinvio datata 16 luglio 2009 è pervenuta alla cancelleria della Corte il 10 agosto 2009.
17. La MSD, i governi della Repubblica portoghese, della Repubblica ceca, del Regno di Danimarca, della Repubblica ungherese, della Repubblica polacca e del Regno Unito, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte entro il termine previsto all’art. 23 dello Statuto della Corte.
18. All’udienza, tenutasi il 23 settembre 2010, hanno svolto osservazioni orali i rappresentanti della MSD, dei governi della Repubblica portoghese, del Regno Unito, del Regno di Danimarca e del Regno di Svezia, nonché il rappresentante della Commissione.
V – Principali argomenti delle parti
19. Gli argomenti delle parti si distinguono sostanzialmente a seconda della posizione assunta rispetto alla necessità di qualificare una condotta come quella descritta nella questione pregiudiziale come «pubblicità presso il pubblico» ai sensi dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE. I governi polacco, ungherese e portoghese propendono per una qualificazione come pubblicità presso il pubblico, mentre il governo ceco tende ad assumere una posizione di compromesso. I governi britannico, danese e svedese, nonché la Commissione si sono espressi in senso contrario a una qualificazione come pubblicità presso il pubblico.
A – A favore della qualificazione come pubblicità presso il pubblico
20. Il governo polacco ritiene che la pubblicazione su Internet di foto della confezione di uno specifico medicinale, della descrizione dell’indicazione nonché delle istruzioni per l’uso soddisfi i criteri della definizione di pubblicità di cui all’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83/CE. Internet è oggi un mezzo di comunicazione di massa che permette al consumatore di accedere senza difficoltà alle informazioni su un determinato medicinale, soprattutto quando, come nel caso di specie, la pagina Internet non è protetta. Il fatto che la pubblicità del medicinale oggetto della controversia non venga presentata in modo attivo al consumatore, ma sia invece solo pubblicata sulla pagina Internet, non ha quindi alcuna rilevanza ai fini dell’inquadramento giuridico di una simile iniziativa, in quanto si tratta di un’informazione accessibile a chiunque.
21. Secondo il governo polacco, ai fini della decisione non rileva neppure che la pubblicità oggetto della controversia contenga unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione, in quanto l’art. 86 della direttiva 2001/83/CE non prevede alcuna eccezione sulla base della tipologia delle informazioni messe a disposizione. A tale proposito esso rimanda all’art. 89 della direttiva 2001/83/CE, in cui si prevede che qualsiasi pubblicità deve comprendere almeno la denominazione del medicinale e le informazioni indispensabili per un suo corretto uso. Una determinata presentazione potrebbe quindi essere considerata come pubblicità presso il pubblico quando contenga anche solo questi dati.
22. Il governo polacco perviene alla conclusione che l’art. 88, n. 1, della direttiva 2001/83/CE contiene un divieto assoluto di pubblicità per le categorie di medicinali ivi indicati.
23. Il governo ungherese ricorda che nella definizione della nozione di pubblicità per i medicinali viene fatto esplicitamente riferimento allo scopo del messaggio, cosicché, per accertare se la diffusione di informazioni vada o meno qualificata come pubblicità, occorre verificare se questa sia intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali.
24. Nel caso di specie, nell’esame di tale scopo va tenuto conto in particolare che la convenuta ha pubblicato sul proprio sito Internet informazioni relative ai propri prodotti: ciò indicherebbe che tali informazioni erano finalizzate a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo dei medicinali controversi. Il governo ungherese ritiene che tale circostanza giustifichi la qualificazione dell’attività in oggetto come pubblicità ai sensi della direttiva 2001/83/CE. Per valutare se si tratta di pubblicità non rileva in alcun modo il fatto che sulla pagina Internet siano state messe a disposizione solo ed esclusivamente le informazioni che vanno presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e che diventano comunque accessibili ai pazienti che acquistano il medicinale. È irrilevante poi se le informazioni oggetto di esame vengono presentate di propria iniziativa agli interessati o sono invece accessibili su Internet solo a chi effettua una ricerca specifica.
25. Il governo portoghese osserva che non sono previste eccezioni al divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione e che, pertanto, non possono effettuarsi distinzioni sulla base del mezzo utilizzato, del contenuto o della forma della pubblicità.
26. Il governo portoghese ritiene che la questione pregiudiziale si componga di due parti: a) se la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica sia legittima qualora contenga solo informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e che diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto, e b) se la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione medica sia ammissibile allorché le informazioni non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili su Internet solo a chi effettua una ricerca specifica.
27. Quanto alla prima parte, il governo portoghese osserva come la pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione non possa contenere soltanto la riproduzione della confezione del prodotto, la descrizione dell’indicazione e le istruzioni per l’uso, in quanto una simile pubblicità violerebbe sempre alcune condizioni previste per l’ammissibilità della pubblicità presso il pubblico.
28. In relazione alla seconda parte della questione, il governo portoghese afferma che nella distinzione ivi operata si esprime una visione non corretta della pubblicità. Occorrerebbe infatti considerare le differenze tra la pubblicità che il destinatario riceve senza doversi in alcun modo attivare e la pubblicità che il destinatario riceve solo a seguito di una propria iniziativa. L’attività richiesta al destinatario per accedere su Internet alla pubblicità oggetto della presente controversia sarebbe molto più ridotta rispetto al caso in cui, ad esempio, questa pubblicità venga pubblicata in qualche rivista accessibile al pubblico, dovendo il destinatario in tal caso recarsi dal giornalaio per acquistarla.
29. Il governo portoghese è inoltre dell’opinione che una pubblicità come quella oggetto del giudizio di rinvio, qualora ammissibile, sarebbe fuorviante in quanto si è diffusa la convinzione, ormai da tempo, che solo i medicinali non soggetti a prescrizione possano essere pubblicizzati presso il pubblico. La pubblicità alla radio e alla televisione avrebbero ampiamente contribuito a formare tale opinione.
30. Il governo ceco sostiene un’opinione maggiormente differenziata. Esso fa valere che la caratteristica fondamentale della definizione di pubblicità è lo scopo dichiarato, ovvero l’intento promozionale. Quest’ultimo deve essere valutato tenendo conto di tutte le circostanze del caso, senza aver riguardo al contenuto delle informazioni fornite o alla natura dell’attività svolta, tanto più che tali elementi non rientrano tra i caratteri della definizione di pubblicità, ma sono soltanto fattori che possono risultare d’aiuto ai fini della qualificazione.
31. Secondo il governo ceco, le informazioni elencate all’art. 86, n. 2, della direttiva non possono essere escluse a priori dall’ambito di applicazione della nozione di pubblicità di medicinali e delle condizioni previste per la pubblicità dei medicinali, in quanto ciò metterebbe a rischio lo scopo primario della direttiva, ovvero la tutela della salute pubblica. In caso contrario si potrebbero aggirare le condizioni poste per la pubblicità dei medicinali, divulgando dette tipologie di informazioni in modo tale da promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali. È possibile, quindi, in linea di principio, che le informazioni che rientrano nell’art. 86, n. 2, soddisfino la nozione di pubblicità di medicinali, come definita all’art. 86, n. 1, della direttiva. È compito del giudice nazionale stabilire, tenuto conto delle caratteristiche del singolo caso concreto, se una specifica comunicazione persegua una finalità di promozione e vada quindi qualificata come pubblicità, o se persegua invece uno scopo diverso, non rientrando così nella nozione di pubblicità.
B – Contro la qualificazione come pubblicità presso il pubblico
32. La MSD ritiene che la questione pregiudiziale riguardi non soltanto l’interpretazione, ma anche la validità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE. Una norma che vieti di pubblicare su Internet informazioni su medicinali esaminate dalle autorità competenti e utili per il paziente può rivelarsi incompatibile con i diritti fondamentali dell’Unione europea e, in particolare, con la libertà di informazione, con il diritto a decidere liberamente della propria salute, nonché con la libertà di espressione e con la libertà di impresa. La MSD sostiene che la Corte può pronunciarsi sulla validità di una norma del diritto dell’Unione anche qualora le questioni sottoposte vertano esclusivamente sulla sua interpretazione.
33. La MSD sostiene che l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CEE, interpretato in modo restrittivo, limita la possibilità per i consumatori – in particolare per i pazienti – di avere accesso a una corretta informazione sui medicinali soggetti a prescrizione, incidendo così sia sul diritto fondamentale all’informazione, sia sul diritto fondamentale di decidere liberamente della propria salute. Tuttavia ne deriverebbe anche, con un nesso diretto, un’ingerenza ancora più grave nei diritti fondamentali, ovvero una limitazione del diritto dei pazienti all’integrità fisica.
34. Il divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione medica rappresenterebbe un’ingerenza anche nei confronti della libertà di espressione, garantita nell’ambito dei diritti fondamentali, la quale tutela anche la cosiddetta «comunicazione commerciale». La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte eur. D. U.) si è trovata più volte a occuparsi di divieti di pubblicità non proporzionati proprio nel settore sanitario. Con tale divieto si compirebbe inoltre un’ingerenza nella sfera di tutela della libertà di impresa, tutelata dalla Carta dei diritti fondamentali e riconosciuta dalla Corte quale espressione della libertà professionale.
35. Il divieto di pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione medica sancito dall’art. 88, lett. a), primo trattino, della direttiva 2001/83/CE non soddisferebbe neppure il principio di proporzionalità, in quanto un divieto generalizzato di informazione chiaramente non è idoneo, né necessario per tutelare la salute pubblica. A tale riguardo, si dovrebbe tener conto del fatto che il legislatore comunitario non ha motivato questo divieto di pubblicità.
36. La MSD osserva inoltre che la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella causa Stambuk/Germania (7), ha sottolineato che i divieti di pubblicità nel settore della sanità presuppongono sempre una valutazione specifica alla luce del legittimo interesse alla pubblicazione e all’informazione nonché del concreto tenore del messaggio e pertanto non possono essere mai applicati in maniera generalizzata. Anche il Bundesverfassungsgericht ha richiesto una valutazione differenziata della disposizione di attuazione tedesca di cui al § 10, n. 1, HWG (8).
37. Qualora non s’intenda mettere in discussione la validità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 200l/83/CE, continua la MSD, occorre prendere le mosse da un’interpretazione restrittiva della nozione di pubblicità. A suo parere, la salvaguardia dei diritti fondamentali e del principio di proporzionalità impone di dare una soluzione negativa alla questione pregiudiziale. A motivazione di tale affermazione la MSD evidenzia che il tenore letterale della direttiva si presta a varie interpretazioni, dato che non vi si ritrova una definizione unitaria delle nozioni di «pubblicità» e di «informazione». Supporre che ogni tipo di divulgazione di informazioni da parte del produttore sia finalizzata a incrementare le vendite sarebbe errato, in quanto molte sono le ragioni plausibili che possono indurre un produttore a pubblicare delle informazioni. La pubblicazione di informazioni può avvenire, ad esempio, nell’ambito dell’attività generale di comunicazione al pubblico, senza che venga perseguito in concreto un incremento delle vendite.
38. Da un’interpretazione sistematica emergerebbe, inoltre, che esistono «informazioni non promozionali» sui medicinali che già de lege lata possono essere diffuse su Internet. La convenuta nella causa principale sostiene infine che neppure la ratio del divieto di pubblicità osta a un’interpretazione restrittiva della nozione di pubblicità presso il pubblico.
39. Il governo danese reputa irrilevante, al fine di valutare se si tratti o meno di pubblicità di medicinali, la circostanza che il materiale contenga informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione. Decisiva sarebbe invece una concreta valutazione delle finalità perseguite divulgando le informazioni, tenendo conto anche della forma e del contenuto del materiale.
40. Non si tratterebbe di pubblicità se la homepage dell’impresa riporta, sotto forma di foglietto illustrativo, in maniera integrale e non rielaborata, le indicazioni su un medicinale approvate dalle competenti autorità, un riepilogo delle caratteristiche o una valutazione di un’autorità del settore dei medicinali accessibile al pubblico. Una siffatta forma di informazione non avrebbe, né nella forma, né nel contenuto, carattere pubblicitario. Qualora invece le informazioni sul medicinale siano state rielaborate, può presumersi che si tratti di una pubblicità intesa a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali, salvo si tratti di informazioni necessarie per finalità di sicurezza (e non di pubblicità).
41. Il governo danese osserva, inoltre, che il pericolo di automedicazione è molto inferiore nel caso di medicinali soggetti a prescrizione rispetto ai medicinali che non vi sono soggetti, in quanto i primi non possono essere acquistati legalmente senza l’intervento di un medico o di un farmacista e la loro consulenza e visita. D’altro canto, la pubblicità dei medicinali soggetti a prescrizione potrebbe far sì che gli stessi vengano ordinati su Internet o per corrispondenza senza ricetta. In questi casi la commercializzazione, legale o illegale, potrebbe riguardare medicinali originali o contraffatti.
42. Il governo del Regno Unito ritiene che la pubblicazione delle informazioni oggetto della presente controversia, ovvero delle indicazioni di base sulle caratteristiche del prodotto approvate dalle competenti autorità, non costituisca una «pubblicità» ai sensi dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva. La pubblicazione non avrebbe natura promozionale, ma sarebbe volta invece a mettere a disposizione informazioni essenziali sul prodotto.
43. Ai sensi dell’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83, l’etichettatura e il foglietto illustrativo non costituiscono una pubblicità del medicinale e sono soggetti alle disposizioni del titolo V della direttiva. A suo parere, tale previsione può spiegarsi solo in considerazione del fatto che l’imballaggio esterno e il foglietto illustrativo servono a fornire ai pazienti informazioni essenziali sul medicinale, e non invece a promuoverne la vendita. Disciplinando il contenuto dell’imballaggio esterno e del foglietto illustrativo, il titolo V garantisce che tali indicazioni siano limitate alla comunicazione di informazioni e che non abbiano natura pubblicitaria. Una conferma in tal senso verrebbe anche dall’art. 62, che inequivocabilmente prevede che l’imballaggio esterno e il foglietto illustrativo non possano riportare «element[i] di carattere promozionale».
44. Le informazioni approvate riportate sull’imballaggio esterno e sul foglietto illustrativo non avrebbero carattere promozionale neppure se vengono pubblicate sul sito di un’impresa in modo tale che siano accessibili solo a coloro che effettuano una ricerca specifica. Così facendo vengono presentate le stesse informazioni in modo altrettanto neutrale e con il medesimo scopo – ovvero mettere a disposizione informazioni sul medicinale importanti per il paziente –, senza finalità di promozione o pubblicità. La pubblicazione di informazioni secondo tali modalità è del tutto usuale in alcuni Stati membri, tra cui il Regno Unito, e viene considerata in tali paesi del tutto legittima; essa si porrebbe altresì in linea con la prassi dell’Agenzia europea per i medicinali.
45. Secondo il governo britannico siffatta messa a disposizione di informazioni non mette a rischio la salute pubblica, tutelata dalle disposizioni del titolo VIII della direttiva. Il contenuto delle informazioni di cui trattasi viene approvato nell’ambito della procedura di autorizzazione, previa eliminazione di qualsiasi espressione di carattere promozionale. Le informazioni sono accessibili solo a coloro che effettuano una ricerca specifica. I pazienti possono inoltre acquistare i prodotti oggetto della presente controversia solo con il consenso e con la prescrizione di un medico, quindi ne entrano in possesso solo qualora il medico li ritenga necessari per la loro salute.
46. La Commissione ricorda che il divieto di pubblicità costituisce una limitazione della libertà di espressione, giustificabile alla luce del principio di proporzionalità, in considerazione della necessità di salvaguardare la salute umana (v. sentenza Damgaard (9), punti 26 e 27). Secondo la Commissione numerosi elementi inducono a ritenere che le misure oggetto di esame non rientrino nella nozione di «pubblicità».
47. La qualificazione come «pubblicità» nel senso definito dipenderebbe innanzitutto, in particolare, dallo scopo della comunicazione, ovvero dalla volontà di incrementare le vendite. Il fatto che il produttore sia anche l’autore delle informazioni è soltanto uno dei molti elementi da considerare. Per il perseguimento degli obiettivi del divieto occorrerebbe esaminare, oltre alla paternità, il contenuto, i destinatari e le caratteristiche tecniche della comunicazione e l’eventuale previa disponibilità delle informazioni.
48. Con riguardo al contenuto della comunicazione, la Commissione osserva che nel caso di specie le informazioni relative ai medicinali soggetti a prescrizione medica sono state esaminate e approvate dalle competenti autorità; si può quindi ritenere che il contenuto della comunicazione non rappresenti un pericolo per il consumatore.
49. Quanto ai destinatari della comunicazione, la Commissione evidenzia che il rischio di un’assunzione incontrollata di farmaci risulta, almeno nel caso in esame, estremamente limitato, trattandosi di medicinali soggetti a prescrizione. Anche nel caso in cui il paziente o un terzo entri in possesso del medicinale soggetto a prescrizione nel suo cosiddetto confezionamento primario, e quindi senza il rivestimento esterno e le informazioni per il paziente ivi contenute, la pubblicazione controversa non comporterebbe una limitazione della tutela della salute, né nuocerebbe all’elevato livello di tutela del consumatore richiesto dalla direttiva, poiché in tal modo, a determinate condizioni, potrebbe essere evitata l’«automedicazione disinformata». Il rischio che l’interessato, dopo aver letto le informazioni, possa considerare superfluo rivolgersi al medico può facilmente essere evitato indicando chiaramente all’atto della pubblicazione che la consultazione della pagina Internet non sostituisce in alcun modo la consultazione di un medico.
50. Con riguardo alle caratteristiche tecniche della comunicazione, la Commissione fa valere che nel caso di una mera disponibilità dei dati su Internet (il cosiddetto «pull-service») l’utente deve effettuare una ricerca specifica, con l’effetto che chi non è interessato a un determinato medicinale non accede involontariamente a queste informazioni. Diverso sarebbe il caso di quello che viene definito push-service, in cui l’utente di Internet accede a contenuti che non ha ricercato, ad esempio attraverso i cosiddetti «pop-up», finestre che si aprono sul video automaticamente.
51. In conclusione la Commissione fa presente di aver proposto una modifica della direttiva per garantire un’applicazione unitaria del divieto generale di pubblicità previsto nella direttiva stessa e un elevato grado di tutela del consumatore. A differenza della causa Damgaard (10), la Commissione giunge alla conclusione che il divieto controverso, tenuto conto dello scopo perseguito, ovvero la tutela della salute pubblica, non possa essere considerato una limitazione adeguata e proporzionata della libertà di espressione.
52. All’udienza la Commissione, su richiesta della Corte, ha precisato in merito alle proprie osservazioni che, rinviando alle informazioni menzionate nella questione pregiudiziale, intende riferirsi alle informazioni contenute nel foglietto illustrativo.
53. Il governo svedese, intervenuto all’udienza, ha dichiarato nelle proprie osservazioni che una situazione come quella oggetto del giudizio del rinvio non rientra nell’ambito di applicazione del divieto di pubblicità presso il pubblico. Esso si associa sostanzialmente alle osservazioni del governo del Regno Unito. La distinzione tra pubblicità e altre informazioni andrebbe effettuata alla luce di molteplici fattori, quali ad esempio il contenuto dell’informazione. Il governo svedese sostiene in merito che talune informazioni possono senz’altro essere diffuse per scopi non promozionali, come emerge in particolare dal disposto dell’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83/CE. La tipologia di informazioni ivi indicata si riferisce infatti a dati che sono stati esaminati dalle autorità competenti. Il governo svedese richiama, inoltre, il diritto all’informazione del pubblico. Quanto al fatto che le informazioni controverse nella causa principale siano state diffuse direttamente del produttore, il governo svedese sostiene che la paternità delle informazioni in capo al produttore potrebbe costituire un indizio di un possibile intento promozionale, ma non sarebbe, di per sé, determinante. Qualora si trattasse di un criterio di valutazione, il legislatore dell’Unione lo avrebbe chiaramente menzionato nella direttiva.
VI – Analisi giuridica
A – Considerazioni introduttive
1. Rilevanza del problema della distinzione
54. Il caso di specie ripropone la difficile questione della distinzione tra «pubblicità» e «informazione» nell’ambito della normativa in materia di prodotti medicinali.
55. La necessità di distinguere con la massima precisione possibile le due categorie sulla base di criteri chiari nasce, non da ultimo, come riconosciuto dalla Corte nella sentenza Gintec (11), dal fatto che la direttiva 2001/83/CE, come modificata dalla direttiva 2004/27, ha proceduto a un’armonizzazione completa del settore della pubblicità dei medicinali (12) e le ipotesi in cui gli Stati membri sono autorizzati ad adottare disposizioni che si discostino dalle regole fissate dalla direttiva medesima vi sono esplicitamente indicate. In tal senso, la Corte ha interpretato il divieto di pubblicità dei medicinali soggetti a prescrizione di cui all’art. 88, n. 1, della direttiva 2001/83/CE quale norma avente carattere tassativo (13), ragion per cui occorre darne un’interpretazione unitaria alla quale i giudici nazionali possano rifarsi in sede di applicazione del diritto dell’Unione.
56. La distinzione tra «pubblicità» e «informazione» emerge chiaramente già dalla denominazione del titolo VIII bis della direttiva 2001/83/CE. Va ricordato a tale riguardo che solo le norme in materia di pubblicità sono state armonizzate, mentre gli Stati membri sono liberi di disciplinare l’informazione sui medicinali, purché non violino le norme comunitarie in materia di pubblicità contenute nella direttiva 2001/83 (14). Si spiegano così le profonde differenze che oggi esistono tra le normative nazionali in materia di comunicazione e di informazioni sui medicinali ai pazienti. Come osservato dalla Commissione nella sua comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio del 20 dicembre 2007 (15), alcuni Stati adottano un approccio più rigoroso, mentre altri consentono la pubblicazione di informazioni non pubblicitarie. La distinzione delle due categorie rileva pertanto anche nell’ottica della ripartizione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri.
2. Il divieto di pubblicità come risultato di un contemperamento operato dal legislatore
57. Sotto il profilo della politica legislativa, il divieto generale di pubblicità dei medicinali presso il pubblico si giustifica in virtù della tutela della salute pubblica di fronte ai rischi che può comportare per i pazienti una «pubblicità eccessiva e sconsiderata» (16). Tanto emerge dal tenore letterale del quarantacinquesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/83/CE, che prevede la possibilità di autorizzare in via eccezionale la pubblicità di medicinali che possono essere venduti senza prescrizione medica, tuttavia solo se sono rispettati alcuni criteri essenziali fissati per legge. Tale deroga non vale invece per i medicinali soggetti a prescrizione medica, per i quali si deve quindi ritenere che operi un divieto generale di pubblicità. Attraverso un così ampio divieto si intende evitare che la pubblicità possa indurre il paziente all’automedicazione, esponendolo così ai rischi per la salute generalmente connessi all’utilizzo di medicinali soggetti a prescrizione medica. Nella sentenza Deutscher Apothekerverband (17) la Corte ha fatto presente tali rischi per la salute che possono derivare dall’utilizzo di medicinali, richiamandosi all’art. 71 della direttiva 2001/83/CE (18).
58. Tuttavia, con l’art. 88 bis della direttiva 2001/83/CE, introdotto successivamente dalla direttiva 2004/27, il legislatore dell’Unione sottolinea altresì la necessità «di un’informazione di qualità, obiettiva, affidabile e di carattere non promozionale sui medicinali e altre terapie». Questa norma deve essere letta unitamente al quarantesimo ‘considerando’ della direttiva 2001/83/CE, dal quale emerge che «le disposizioni relative alle informazioni da fornire ai pazienti devono garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, così da permettere un impiego corretto dei medicinali sulla base di informazioni complete e comprensibili».
59. Se ne deduce che il legislatore dell’Unione ha inteso contemperare, da un lato, la tutela della salute pubblica e, dall’altro, il diritto dei consumatori all’informazione, nonché la libertà di espressione del produttore del medicinale, vietando esclusivamente quelle informazioni riferite al prodotto che, in considerazione delle loro specifiche caratteristiche, sono dannose per la collettività. Di conseguenza, il divieto di pubblicità è il risultato del contemperamento operato dal legislatore tra posizioni tutelate nell’ambito dei diritti fondamentali, circostanza di cui va tenuto conto in sede di interpretazione dell’art. 88, n. 1, della direttiva.
B – Oggetto del rinvio pregiudiziale
60. In tal modo ci troviamo ad affrontare la questione dell’oggetto del rinvio pregiudiziale. La MSD sostiene che, vista la limitazione operata dal divieto di pubblicità nei confronti di diritti fondamentali, la questione pregiudiziale non riguarda soltanto l’interpretazione, bensì anche la validità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE. Essa fonda la propria lettura della questione pregiudiziale sul punto 15 della domanda di pronuncia pregiudiziale, nel quale il giudice del rinvio espone quanto segue:
«Tenuto conto delle circostanze sopra illustrate, la presente Sezione nutre dei dubbi sul fatto che, alla luce dei diritti fondamentali comunitari, il divieto di pubblicità al di fuori dell’ambito medico relativo a medicinali soggetti a prescrizione medica sia proporzionato, laddove esso si riferisca meramente a informazioni obbligatorie e tali informazioni siano messe a disposizione su Internet e, dunque, non siano rivolte a un pubblico vasto e impreparato (…)».
61. A tali considerazioni va obiettato che la questione pregiudiziale vera e propria è volta chiaramente all’interpretazione dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE. Valutando in tale logica anche il passaggio controverso dell’ordinanza di rinvio, essa va interpretata nel senso che il giudice del rinvio chiede in sostanza se la nozione di pubblicità dei medicinali nel diritto dell’Unione comprenda un preciso insieme di ipotesi, descritte in dettaglio nella questione pregiudiziale. Il giudice del rinvio invita la Corte a confermare una determinata interpretazione della nozione di pubblicità, riconoscendo l’ammissibilità di un’interpretazione restrittiva in virtù delle disposizioni di diritto primario. Ciò non significa tuttavia che venga messa in discussione la validità della disciplina stessa dell’Unione in esame. Il giudice del rinvio non manifesta alcun dubbio in tal senso, né sostiene che una simile questione sia stata sollevata nella causa principale innanzi a esso pendente. Si tratta piuttosto di chiarire, alla luce di un caso concreto, dove si ponga il confine tra «pubblicità», vietata, e «informazione» lecita.
62. Nella misura in cui gli argomenti della MSD esulano dalla questione pregiudiziale vera e propria, si deve ritenere, dal punto di vista processuale, che si tratti di un’istanza di parte di ampliare l’oggetto originario del procedimento pregiudiziale.
63. A tale riguardo occorre in primo luogo evidenziare che il sistema introdotto dall’art. 234 CE per assicurare l’unità dell’interpretazione del diritto comunitario negli Stati membri istituisce una cooperazione diretta tra la Corte e i giudici nazionali attraverso un procedimento estraneo all’iniziativa delle parti (19). Le parti della causa principale non dispongono di poteri di iniziativa nell’ambito del procedimento pregiudiziale, ma sono soltanto invitate a presentare osservazioni (20). A ragione la Corte ha sancito che l’art. 234 CE non costituisce un rimedio giuridico esperibile dalle parti di una controversia pendente dinanzi ad un giudice nazionale, cosicché la Corte non è tenuta a esaminare la questione della validità del diritto dell’Unione per il solo fatto che tale questione sia stata sollevata dinanzi ad essa da una delle parti nelle proprie motivazioni scritte (21). Alla luce della giurisprudenza citata, emerge che dal punto di vista processuale la MSD non è legittimata a modificare l’oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale, sollevando ad esempio la questione della validità di una norma di diritto derivato. La richiesta della MSD va quindi rigettata.
64. In considerazione del fatto che, tranne la MSD, nessuna delle parti processuali ha eccepito l’invalidità della norma, è utile a titolo precauzionale richiamare la giurisprudenza della Corte secondo la quale la soluzione delle questioni complementari menzionate dalle parti nella causa principale nelle loro osservazioni sarebbe incompatibile con il ruolo assegnato alla Corte dall’art. 234 CE e con l’obbligo della Corte di dare ai governi degli Stati membri e alle parti la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell’art. 23 dello Statuto della Corte, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (22).
65. Al di là di queste considerazioni di natura procedurale, la Corte potrebbe eventualmente anche tralasciare per ragioni di diritto sostanziale la valutazione della validità di una siffatta norma, purché la norma di diritto derivato possa essere interpretata in maniera conforme al diritto primario. Secondo una giurisprudenza costante, infatti, allorché una norma di diritto derivato comunitario ammetta più di una interpretazione, si deve dare la preferenza a quella che rende la norma stessa conforme al Trattato (23). Sotto il profilo dogmatico questa regola di interpretazione viene fatta discendere dal principio dell’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione (24). La Corte ha facoltà di verificare se l’eccezione di invalidità sollevata si fondi su una corretta interpretazione della norma secondaria. In tal senso, la Corte ha rinunciato a esaminare la validità di una determinata norma di diritto derivato alla luce del diritto primario nei casi in cui si è resa possibile un’interpretazione conforme al diritto primario (25).
66. Nell’ambito del presente procedimento ritengo adeguato procedere in modo analogo, tanto più che, a mio parere, la questione della compatibilità di un divieto generale di pubblicità con il diritto primario si pone solo qualora l’accesso a informazioni sui medicinali su Internet, secondo le modalità illustrate nella domanda di pronuncia pregiudiziale, possa essere qualificato come pubblicità di medicinali. Dal punto di vista metodologico occorre considerare che, già nel processo di interpretazione – per esempio nell’ambito di un’interpretazione sistematica o teleologica di tale nozione – possono trovare spazio valutazioni che tengono conto dei principi posti dal diritto primario (26). Qualora la condotta del produttore rappresenti una lecita attività di informazione ai pazienti, non si porrà più una questione di compatibilità della norma con il diritto primario. Per questa ragione è opportuno iniziare l’analisi giuridica con l’interpretazione della direttiva 2001/83.
C – Analisi della questione pregiudiziale
1. Definizione di pubblicità dei medicinali e distinzione rispetto all’informazione
67. Occorre preliminarmente osservare che la pubblicazione su Internet di informazioni su un determinato medicinale non è né espressamente consentita, né vietata dal diritto dell’Unione. Per stabilire se siffatta attività è ammessa, occorre in primo luogo accertare se rientra nell’ambito di applicazione della nozione di pubblicità del codice comunitario. L’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83/CE contiene una definizione suddivisa in due punti, che richiede, sotto il profilo oggettivo, un’«azione di informazione» e, sotto il profilo soggettivo, lo scopo di «promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali». La definizione elenca alcuni esempi di pubblicità di medicinali.
68. Tale definizione comprende espressamente la «pubblicità presso il pubblico»; ne consegue che il divieto di pubblicità è applicabile anche alla pubblicazione su Internet (27). Dal tenore letterale di questa disposizione della direttiva, nonché dal suo contesto normativo, emerge inoltre che la pubblicità rappresenta solo una parte delle informazioni nel complesso disponibili (28). La nozione di informazione è quindi ampia e diventa giuridicamente rilevante solo quando l’informazione presenta le specifiche caratteristiche della pubblicità come indicate del diritto dell’Unione (29). Ne deriva che, tenuto conto della definizione contenuta nell’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83/CE, il fatto che le pubblicazioni controverse consistano solo in informazioni obiettive non osta alla loro qualificazione come pubblicità. La pubblicità ai sensi della direttiva non presuppone una forma di grande effetto, non deve contenere esagerazioni o addirittura informazioni non veritiere, elementi che in genere sono considerati caratteristici dell’attività promozionale (30). Il criterio decisivo per distinguere la pubblicità dalla semplice informazione è piuttosto lo scopo perseguito con il messaggio. Qualora si promuova la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali, si tratta di pubblicità ai sensi della direttiva; se vengono invece fornite indicazioni aventi carattere meramente informativo, senza alcun intento promozionale, tale attività non rientrerà nell’ambito di applicazione delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di pubblicità dei medicinali. Dirimente è quindi la consapevole e diretta intenzione di colui che diffonde il messaggio (31).
2. Criteri di valutazione
69. Come ha precisato da ultimo la Corte nella sentenza Damgaard, spetta in linea di principio al giudice nazionale valutare sulla base delle circostanze concrete emerse nella causa principale dinanzi a lui pendente se sussista o meno di un intento promozionale (32). Nulla vieta però alla Corte, in virtù della sua competenza interpretativa, di indicare al giudice nazionale criteri idonei a permettergli di valutare in concreto, in sede di applicazione del diritto dell’Unione e delle norme nazionali di attuazione (33), la sussistenza di un simile intento promozionale.
a) Valutazione dei diritti fondamentali in sede di interpretazione
70. Nella formulazione dei criteri di valutazione occorre anche tener conto della possibilità di interpretare la norma in maniera restrittiva, tanto più che la nozione di pubblicità nella direttiva 2001/83/CE, stando al suo tenore, è piuttosto vaga; a seconda dell’interpretazione, potrebbe quindi essere intesa in maniera estremamente ampia, tanto da ricomprendere eventualmente anche attività che non andrebbero vietate in base alle circostanze del caso specifico o alla luce della disciplina di riferimento.
71. Il divieto di pubblicità presso il pubblico è volto, come già ricordato (34), a impedire che i pazienti vengano condizionati da informazioni scorrette o non obiettive, ovvero in definitiva mira a tutelare la salute pubblica. La normativa in materia di pubblicità dei medicinali amplia mediante tale divieto la tutela accordata con l’obbligo di prescrizione. Nell’interpretare la nozione di pubblicità occorre tenere conto di questa finalità di tutela. Qualora le informazioni in oggetto non possano comportare un pericolo per la salute dei consumatori o il divieto di informazione possa risultare addirittura dannoso, viene a mancare una giustificazione oggettiva per un divieto generale.
72. La necessità di interpretare in maniera restrittiva la nozione di pubblicità sul piano del diritto derivato emerge non da ultimo dal doveroso contemperamento del bene giuridico tutelato dalla norma, da un lato, e dei diritti riconosciuti dal diritto primario ai consumatori e al produttore, dall’altro, diritti questi ultimi che perseguono una diversa finalità di tutela (35). Il contemperamento è inoltre soggetto al principio di proporzionalità, quale manifestazione di un’azione conforme ad uno Stato di diritto. I diritti fondamentali e il principio di proporzionalità, che rientrano tra i principi generali del diritto dell’Unione, rappresentano quindi una parte essenziale di quel contesto normativo nel quale si deve inserire l’interpretazione del diritto derivato (36).
73. Come ricordato più volte dalla Corte (37), nella Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali generalmente riconosciuti e garantiti. I diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto, dei quali la Corte garantisce l’osservanza. A tal fine la Corte si ispira alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo a cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito. La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») riveste, a questo proposito, una particolare importanza (38). I principi elaborati da questa giurisprudenza sono stati rafforzati mediante l’art. F, n. 2, del Trattato sull’Unione europea, secondo cui «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario». Inoltre, per sottolineare l’esistenza di determinati principi giuridici comuni, la Corte si è richiamata alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea(39), proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza, in più occasioni (40); con l’entrata in vigore del Trattato modificativo di Lisbona, la Carta gode dello stesso valore giuridico dei trattati ai sensi dell’art. 6, n. 1, primo comma, TUE (41).
74. Secondo la Corte l’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali da parte dell’Unione si estende anche alle autorità e ai giudici degli Stati membri, cui compete interpretare ed applicare le norme di attuazione. Nella sentenza Bodil Lindqvist (42) la Corte ha dichiarato che questi devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme ad una determinata direttiva, ma anche provvedere a non fondarsi su un’interpretazione di quest’ultima che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario o con altri principi generali del diritto comunitario, come, ad esempio, il principio di proporzionalità.
75. Emerge da una costante giurisprudenza, inoltre, che allorché una normativa nazionale rientra nel settore di applicazione del diritto comunitario, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari alla valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di detta normativa con i diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto (43). Nel prosieguo occorre quindi esaminare i diritti fondamentali su cui va a incidere il divieto di pubblicità di cui all’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE e che depongono a favore di un’interpretazione restrittiva e conforme al diritto primario della normativa in questione. Successivamente verranno esaminati nel dettaglio ulteriori criteri, che possono ugualmente soccorrere nell’interpretazione di tale disposizione.
i) Diritto fondamentale alla libertà di espressione
76. Il divieto di pubblicità incide innanzitutto sul diritto fondamentale alla libertà di espressione, riconosciuto come un principio generale dalla giurisprudenza della Corte (44) e sancito nell’art. 11, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La Corte considera la libertà di espressione un fondamento essenziale di una società democratica, e nella propria giurisprudenza si richiama sia all’art. 10, n. 1, della CEDU, sia alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
77. Quanto alla questione se la comunicazione di informazioni sui medicinali attraverso Internet goda della tutela accordata da questo diritto fondamentale, occorre ricordare come è ampia la nozione di «espressione» che sta alla base della concezione del diritto fondamentale affermatasi a livello di Unione. Secondo tale opinione è un’espressione qualsiasi parere, convinzione, valutazione, presa di posizione, dichiarazione relativa ad un fatto, nonché ogni giudizio di valore, indipendentemente dalla qualità e dal tema (45). Anche la pubblicità per finalità meramente economiche viene tutelata dalla libertà di espressione (46). Essa è parte della cosiddetta «comunicazione commerciale», che comprende la diffusione di opinioni, messaggi e idee per scopi commerciali, indipendentemente dal fatto che abbia natura prevalentemente informativa o promozionale (47). In tal modo rientrano nell’ambito della libertà di espressione tutelata come diritto fondamentale (48) la pubblicazione del foglietto illustrativo di un medicinale, la riproduzione della confezione, nonché altre informazioni. Del resto, nella sentenza Damgaard la Corte ha riconosciuto che la comunicazione di informazioni su medicinali è tutelata in linea di principio dal diritto fondamentale alla libertà di espressione (49).
78. Tale diritto fondamentale non trova tuttavia un’applicazione illimitata, ma può essere soggetto, come dichiarato ripetutamente dalla Corte in riferimento all’art. 10, n. 2, della CEDU (50), a talune limitazioni giustificate da obiettivi di interesse generale, se tali deroghe sono previste dalla legge, dettate da uno o più scopi legittimi ai sensi della detta disposizione e necessarie in una società democratica, cioè giustificate da un bisogno sociale imperativo e, in particolare, proporzionate al fine legittimo perseguito.
79. La tutela della salute rappresenta in linea di principio, in base al combinato disposto dell’art. 10, n. 2, della CEDU e dell’art. 53, prima frase, della Carta dei diritti fondamentali, un fine legittimo idoneo a limitare la libertà di espressione (51). L’individuazione dell’interesse pubblico si ricollega tuttavia alla ripartizione delle competenze, cosicché l’Unione può giustificare una sua ingerenza in un diritto fondamentale solo sulla base di quei valori che essa stessa è chiamata a tutelare. Nonostante il divieto di armonizzazione in materia di politica sanitaria di cui all’art. 152, n. 4, lett. c), CE, la tutela della salute in quanto tema trasversale costituisce comunque un fine legittimo, come sancito tra l’altro dall’art. 95, n. 3, CE e dall’art. 152, n. 1, CE. Da tali disposizioni si desume che, nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione va garantito un elevato livello di protezione della salute umana. Una previsione analoga è contenuta nell’art. 35, seconda frase, della Carta dei diritti fondamentali.
80. Secondo la giurisprudenza della Corte occorre sempre contemperare gli interessi coinvolti e valutare se, alla luce delle diverse circostanze nel caso concreto, ne è stato garantito un corretto equilibrio. Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo afferma la necessità di operare un bilanciamento tra gli interessi coinvolti (52). Come ha giustamente spiegato l’avvocato generale Fennelly nelle sue conclusioni nella causa C‑376/98, Germania/Parlamento europeo e Consiglio (53), in relazione a un divieto di pubblicità dei prodotti a base di tabacco su riviste e giornali, si deve però considerare che i divieti assoluti di pubblicità costituiscono un’ingerenza particolarmente grave nell’esercizio del diritto alla libera espressione e occorrono specifici motivi idonei a dimostrare che una misura meno gravosa non sarebbe stata sufficiente. La legittimità di un divieto di pubblicità deve pertanto essere valutata in maniera oltremodo rigorosa.
ii) Libertà di informazione attiva
81. Qualora il produttore pubblichi sul proprio sito informazioni senza carattere commerciale e senza finalità promozionali, viene in considerazione in via sussidiaria, quale specifico diritto fondamentale, la libertà di informazione attiva. Essa riconosce un autonomo diritto a informare i terzi, indipendentemente dalla forma utilizzata, orale, scritta, stampata o elettronica (54). La libertà di informazione attiva viene generalmente ricondotta all’ambito di applicazione del diritto fondamentale alla libertà di espressione (55). In tal senso l’art. 10, n. 1, della CEDU sancisce anzitutto la libertà di espressione in generale, concretizzandola poi nella seconda frase, laddove sancisce la libertà di comunicare informazioni (56). Anche l’art. 11, n. 1, seconda frase, della Carta dei diritti fondamentali riconosce, nell’ambito del diritto alla libertà di espressione, la libertà di comunicare informazioni senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche. Viene tutelata non soltanto la comunicazione di idee proprie, ma anche la diffusione di idee e informazioni di terzi.
82. In relazione a questo diritto fondamentale valgono le stesse limitazioni che si applicano alla libertà di espressione in senso stretto; si richiamano pertanto le considerazioni già esposte al riguardo (57).
iii) La libertà di impresa
83. Il divieto di pubblicità dei medicinali incide inoltre sulla libertà di impresa, sancita dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali e ribadita nella giurisprudenza della Corte. La libertà di impresa rappresenta una specifica forma della libertà professionale e, in quanto tale, ha il rango di principio generale del diritto comunitario (58). La comunicazione commerciale è strettamente legata alla libertà di impresa. La pubblicità e l’informazione, quali condizioni essenziali per la vendita di un prodotto, rappresentano una tipica modalità di esercizio della libertà di impresa.
84. La Corte, in una giurisprudenza costante (59), ha affermato che questo principio, lungi dal costituire una prerogativa assoluta, va considerato alla luce della sua funzione sociale. Possono quindi essere apportate restrizioni al libero esercizio di un’attività professionale, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente a obiettivi d’interesse generale perseguiti dall’Unione europea e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti.
iv) Libertà di informazione passiva del consumatore
85. Il divieto di pubblicità limita da ultimo anche la libertà di informazione passiva del consumatore, sancita dall’art. 11, n. 1, della Carta dei diritti fondamentali. L’ambito di applicazione oggettivo della tutela si estende dalla semplice ricezione di un’informazione alla sua elaborazione e registrazione (60). La libertà di informazione passiva, come diritto all’accessibilità e all’ottenimento di informazioni, non può essere considerato solo quale condotta passiva, ma tutela invece anche la ricerca di informazioni da parte del singolo (61).
86. Nel settore dei medicinali il diritto all’informazione assume particolare importanza in considerazione del nuovo criterio del «paziente informato», al quale va garantita la più ampia libertà di scelta possibile quanto ai trattamenti e ai medicinali impiegati, e che pertanto necessita di spiegazioni corrette e complete (62). Nella già citata comunicazione al Parlamento europeo e al Consiglio (63), la Commissione riconosce che i pazienti hanno un diritto all’informazione e dovrebbero quindi avere accesso alle informazioni sulla loro salute, alle condizioni mediche e alla disponibilità delle cure. Un simile diritto all’informazione, continua la Commissione (64), tiene conto del fatto che oggi i pazienti non si limitano ad assumere i medicinali che vengono loro prescritti, ma si fanno sempre più carico della loro salute. I pazienti sono sempre più coinvolti nella loro malattia, dimostrano grande interesse per i temi della salute e hanno un crescente bisogno di informazioni. La Commissione vede nel nuovo criterio del «paziente informato», che svolge un ruolo sempre più attivo nell’ambito dell’assistenza sanitaria, un rafforzamento dei diritti del cittadino, come emerge anche dal Libro bianco in materia di politica sanitaria (65).
87. Adeguandosi a questo nuovo modello di paziente, le autorità competenti di numerosi Stati membri mettono oggi a disposizione sempre più informazioni su malattie e medicinali, sia su Internet, sia attraverso la stampa scritta, opuscoli, campagne di informazione, seminari o simposi. È opportuno aggiungere anche la diffusione attraverso le farmacie e i mezzi di comunicazione (66). Nell’ambito dell’analisi dei singoli criteri, per valutare in che misura la diffusione su Internet di informazioni relative ad un medicinale da parte del produttore possa essere qualificata come pubblicità, occorre esaminare, in particolare, le conseguenze di questi sviluppi nel settore dei medicinali.
b) Singoli criteri di valutazione
88. Come anticipato al paragrafo 69 delle presenti conclusioni, nel prosieguo verranno indicati alcuni criteri obiettivi utili al giudice nazionale nel valutare se, alla luce delle circostanze del singolo caso, una determinata pubblicazione su Internet abbia finalità promozionali.
i) Valore meramente indicativo della paternità delle informazioni
89. Si deve in primo luogo valutare quale significato vada riconosciuto alla paternità delle informazioni relative ad un prodotto. Il solo tenore letterale dell’art. 86 della direttiva 2001/83/CE non permette di distinguere a priori tra messaggi promozionali e comunicazioni meramente informative sulla base del solo criterio della provenienza delle informazioni (67). Si rende invece necessaria una precisa interpretazione teleologica di questa norma.
90. Va riconosciuto che il fatto che, nella causa principale, il produttore divulghi informazioni relative ad un proprio prodotto su Internet, rendendole così accessibili a un ampio numero di destinatari, costituisce un forte indizio a favore di una qualificazione di una siffatta attività come pubblicità ai sensi della definizione citata, tanto più che il produttore ha, di norma, un interesse economico a commercializzare il prodotto. Questa conclusione trova conferma anche nell’attuale giurisprudenza della Corte in materia di disciplina dei medicinali nell’Unione europea, come verrà illustrato in seguito.
91. Nella sentenza Ter Voort (68), relativa alla qualificazione di un prodotto come medicinale ai sensi della definizione di medicinale «per presentazione» contenuta nell’art. 1, n. 2, primo comma, della direttiva 65/65/CE (69), la Corte ha dichiarato che «i comportamenti, le iniziative, gli atti posti in essere dal fabbricante o dal venditore che ne rilevino l’intenzione di far apparire il prodotto messo in commercio come medicinale agli occhi di un consumatore mediamente avveduto possono essere quindi decisivi per stabilire se un prodotto debba considerarsi medicinale “per presentazione”» (70). Secondo la Corte, «in particolare, il fatto che il fabbricante o il venditore invii all’acquirente del prodotto una pubblicazione che descriva o raccomandi quest’ultimo come produttivo di effetti terapeutici costituisce indizio determinante dell’intenzione del fabbricante o del venditore di mettere in commercio il prodotto come medicinale» (71). In altre parole, si attribuisce in generale al produttore, in determinate condizioni, una certa tendenza a promuovere i propri prodotti, di cui si deve tener conto.
92. La Corte ha però sottolineato, anche nella sentenza Damgaard, che «la situazione dell’autore di una comunicazione e, in particolare, il suo rapporto con l’impresa produttrice o distributrice di quest’ultimo costituiscono un fattore che aiuta a verificare se tale comunicazione abbia carattere pubblicitario» (72). Essa presuppone quindi implicitamente che la vicinanza di un terzo al produttore vada tenuta in considerazione nel valutare se questi abbia mantenuto una posizione neutrale nel redigere la propria relazione su un determinato prodotto o se abbia invece fatto propri gli interessi del produttore. Non è possibile quindi escludere, in particolare, che il produttore, nel diffondere informazioni circa un proprio prodotto, persegua in linea di principio finalità promozionali.
93. Ritengo che una simile conclusione, seppure talvolta corretta, non sia comunque inevitabile, dato che tanti possono essere i motivi che inducono il produttore a pubblicare delle informazioni. Supporre che qualsiasi pubblicazione di informazioni da parte del produttore avvenga con lo scopo di incrementare le vendite presupporrebbe una nozione troppo ampia di pubblicità.
94. Come spiegato in maniera convincente dalla MSD, la pubblicazione di informazioni può avvenire, ad esempio, in relazione all’attività generale di comunicazione al pubblico, senza che venga perseguito in concreto un incremento delle vendite. Un motivo potrebbe ravvisarsi nella volontà di pubblicare informazioni corrette per contrastare la diffusione su Internet di dati non controllati e non sicuri da parte di privati. Il produttore, in quanto tale, dispone di conoscenze interne ed è pertanto nella condizione di meglio riconoscere la presenza in informazioni non corrette e di esigerne la rimozione. Un simile intervento non è finalizzato ad aumentare le vendite di un determinato prodotto, quanto piuttosto a tutelare la reputazione dell’impresa e dei suoi collaboratori. Così facendo il produttore potrebbe anche voler informare quei pazienti che hanno già acquistato il prodotto, ma che hanno perso il foglietto illustrativo. L’azienda farmaceutica può avere interesse ad evitare che il paziente ricorra all’automedicazione senza consultare il foglietto illustrativo, mettendo potenzialmente a rischio la propria salute, per evitare un danno all’immagine o richieste di risarcimento danni (73). Non è possibile, da ultimo, negare tout court che un produttore di medicinali possa voler rispondere all’esigenza e al diritto del pubblico a essere informato, per esempio per valorizzare la trasparenza della propria impresa.
95. Queste considerazioni confermano che la diffusione di informazioni da parte dello stesso produttore non deve necessariamente essere considerata come una misura volta a promuovere la prescrizione, la fornitura, la vendita o il consumo di medicinali. Devono invece ricorrere ulteriori circostanze idonee a giustificare una simile valutazione. Occorre considerare, tra l’altro, come evidenziato dalla Commissione (74), l’oggetto e il contenuto delle informazioni controverse, i destinatari e le caratteristiche dei mezzi con cui queste informazioni vengono divulgate al pubblico.
96. Prima di analizzare nel dettaglio i singoli criteri di valutazione, mi sia consentito in questo contesto formulare qualche breve osservazione in merito al ruolo dello Stato nell’ambito della divulgazione di informazioni in materia di medicinali, tema che è stato affrontato nel corso dell’udienza. Dato che la mera paternità delle informazioni sui medicinali, come già ricordato, da sola non chiarisce le intenzioni che spingono il produttore a rendere accessibili al pubblico tali informazioni, non reputo convincente l’eccezione sollevata dal governo portoghese, a detta del quale la pubblicazione di simili informazioni dovrebbe avvenire sempre attraverso servizi pubblici. Sono possibili invece altri modelli di comunicazione delle informazioni, che consentano ad esempio parimenti al produttore di pubblicare su Internet le informazioni sui medicinali, sotto il controllo dello Stato e nel rispetto di un insieme di regole che includa anche il divieto di pubblicità per i medicinali soggetti a prescrizione previsto dal diritto dell’Unione. Ritengo che lo scopo che la direttiva si prefigge e che dovrebbe essere conseguito mediante un simile sistema di informazioni di provenienza statale possa essere raggiunto anche nel caso di divulgazione di informazioni da parte del produttore. Il vantaggio di un siffatto intervento consiste, non da ultimo, nell’impiego ottimale di conoscenze interne. Sono consapevole che la realizzazione dei sistemi di informazione in materia sanitaria rientra prevalentemente nella competenza degli Stati membri; non per questo però gli Stati membri sono esonerati dall’obbligo di tener debitamente conto, in sede di attuazione a livello nazionale delle normative dell’Unione in materia di pubblicità dei medicinali presso il pubblico, del diritto dei pazienti a essere informati e dei diritti dei produttori nonché, qualora necessario, di verificare i sistemi già esistenti.
ii) Oggetto dell’informazione
97. Le informazioni controverse nella causa principale si riferiscono, stando alle indicazioni contenute nell’ordinanza di rinvio, ad una serie di medicinali soggetti a prescrizione medica prodotti dalla MSD. A un primo esame un divieto di pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione appare giustificato, considerato che una loro errata assunzione può avere conseguenze tanto gravi per la salute del consumatore da rendere necessario un obbligo rigoroso di prescrizione e acquisto in farmacia. D’altro canto, proprio nel caso di questi medicinali il rischio di un’automedicazione potrebbe essere molto inferiore rispetto a quello connesso all’impiego di medicinali non soggetti a prescrizione, dato che essi non possono essere acquistati – quanto meno per vie legali – senza prima rivolgersi a un medico e a un farmacista e, quindi, senza il loro consiglio o previa visita. Eventuali stimoli derivanti dalla pubblicità non possono pertanto tradursi in un acquisto immediato.
98. Non è possibile escludere del tutto che la pubblicazione di informazioni su un medicinale sulla homepage di un gruppo farmaceutico possa influenzare le vendite di tali prodotti. La semplice diffusione delle informazioni difficilmente risulta però, da sola, idonea a incrementare le vendite di medicinali, se non in modo del tutto limitato, dato che l’obbligo di prescrizione medica fa sì che la decisione se prescrivere un medicinale, e quale, sia rimessa esclusivamente al medico curante, il quale di regola trae le informazioni necessarie sia da pubblicazioni tecniche, sia da imprese farmaceutiche.
99. Un maggior grado di informazione del paziente può incidere in due modi sul comportamento in relazione al consumo. Da un lato, la preventiva lettura del foglietto illustrativo su Internet può indurre il paziente ad opporsi alla prescrizione di un determinato medicinale in considerazione dei possibili rischi ed effetti collaterali. La pubblicazione potrebbe in tal caso addirittura comportare una contrazione delle vendite. D’altro canto, il materiale informativo presente su Internet potrebbe indurre il paziente a indicare al proprio medico quel determinato prodotto, rendendo così possibile la sua prescrizione. Ciò detto, si può in via di principio ritenere che un medico sia meglio informato sui medicinali impiegabili rispetto al proprio paziente. Appare poi del tutto inverosimile che con una ricerca mirata su Internet un profano possa trovare il prodotto adatto a lui, soprattutto se si considera che per accedere alle informazioni relative a uno specifico prodotto è generalmente necessario conoscerne il nome. Infine, la decisione di prescrivere o meno un farmaco in ultima istanza è sempre rimessa al medico. Il materiale informativo pubblicato su Internet può influire, quindi, solo indirettamente sulla condotta d’acquisto, cioè solo attraverso l’intervento del medico che deve e, grazie alla propria formazione professionale, può valutare in modo critico il prodotto.
100. Le informazioni non sono quindi neppure idonee a incrementare le vendite. L’opinione contraria, secondo cui il medico non potrebbe sottrarsi ai desideri di un paziente che chiede di prescrivergli un determinato prodotto, e che riduce così il medico ad un semplice tramite tra il paziente e l’azienda farmaceutica, non rende in alcun modo giustizia al ruolo centrale che il medico svolge all’interno del sistema sanitario. D’altronde, in tutti gli Stati membri è vietato ai medici prescrivere medicinali non adatti o favorire l’abuso di medicinali. Come dichiarato dalla Corte da ultimo nella sentenza 22 aprile 2010, Association of the British Pharmaceutical Industry (75), i medici soggiacciono a una responsabilità penale, civile, professionale e sociale che dovrebbe garantire una condotta adeguata (76).
101. I rischi di un abuso di prodotti soggetti a prescrizione medica è limitato quindi alle confezioni di medicinali già prescritte. L’utilizzo del preparato per uno scopo non corretto o in un dosaggio sbagliato può in questo caso ledere la salute del paziente. Simili pericoli non sono frutto però degli effetti della pubblicità, cosicché un divieto generalizzato di pubblicità, da questo punto di vista, non appare giustificato. Al contrario, la possibilità di accedere in un secondo momento su Internet al foglietto illustrativo e ad altre informazioni obiettive sui medicinali soggetti a prescrizione può addirittura prevenire un simile abuso, richiamando ancora l’attenzione sui pericoli esistenti. Questo è particolarmente più importante nel caso, non inverosimile, di perdita del foglietto illustrativo da parte del paziente. Si possono immaginare molte situazioni plausibili in cui possa rendersi necessario consultare nuovamente le caratteristiche del medicinale assunto. Il paziente può, infatti, aver perso il foglietto illustrativo o persino averlo semplicemente dimenticato a casa prima di partire per le vacanze, o averlo buttato per errore, perdendo così inevitabilmente importanti informazioni sul trattamento della sua malattia. Va quindi condivisa la posizione assunta dal giudice del rinvio, secondo il quale la pubblicazione su Internet di informazioni sul dosaggio, i rischi, gli effetti collaterali e le possibili reazioni al prodotto è assolutamente idonea a evitare o limitare i rischi di una «automedicazione disinformata» (77).
iii) Contenuto dell’informazione
102. Una qualificazione in termini di pubblicità ai sensi della definizione di cui all’art. 86, n. 1, della direttiva 2001/83/CE risulta poco convincente proprio in quei casi in cui la condotta controversa consta nella diffusione di informazioni obiettive, in quanto il carattere promozionale non può essere affermato senza margine di dubbio. Il contenuto concreto dell’informazione assume un ruolo importante al fine di valutare la sussistenza di un intento pubblicitario. Dalla questione pregiudiziale emerge che la pagina Internet oggetto di esame contiene unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto. Da tale affermazione si può dedurre che le informazioni controverse evidentemente nulla aggiungono ai dati riportati sull’etichettatura e nel foglietto illustrativo. Si dovrebbe trattare quindi delle informazioni elencate nell’art. 54 della direttiva 2001/83/CE. Tra queste rientrano le indicazioni circa la composizione qualitativa e quantitativa di tutte le componenti del medicinale, le indicazioni terapeutiche, controindicazioni ed effetti collaterali, posologia, forma farmaceutica, modo e via di somministrazione e durata presunta di stabilità, oltre alle informazioni in caso di sovradosaggio (sintomi, soccorsi d’urgenza, antidoti) e alle informazioni sugli effetti sulla capacità di guidare e sull’uso di macchine.
103. Occorre innanzitutto evidenziare a tale riguardo che l’art. 86, n. 2, della direttiva 2001/83/CE esclude espressamente l’etichettatura e il foglietto illustrativo dall’ambito di applicazione del divieto di pubblicità (78). Ne consegue che in linea di principio né il foglietto illustrativo, né le informazioni stampate sul contenitore esterno hanno rilevanza sotto il profilo della normativa in materia di medicinali. Come osserva correttamente il governo del Regno Unito (79), ciò si giustifica solo in considerazione del fatto che la confezione e il foglietto illustrativo sono volti a fornire al paziente le informazioni necessarie e non invece a promuovere la vendita del prodotto.
104. Non va inoltre dimenticato che nel foglietto illustrativo, non di rado, predomina la descrizione delle controindicazioni, insieme ad informazioni sugli effetti collaterali e le interazioni, per cui esso tende a dissuadere più che a incentivare il paziente all’acquisto.
105. Si pone ovviamente la domanda se una tale valutazione possa essere estesa anche alla pubblicazione del foglietto illustrativo su Internet. Il fatto che una determinata informazione costituisca anche un’informazione obbligatoria non esclude in linea di principio che, in un altro contesto, possa venir qualificata come pubblicità. Tuttavia, in assenza di ulteriori elementi a favore, la riproduzione fedele delle informazioni obbligatorie su Internet non giustifica una qualificazione come pubblicità. Questa conclusione è in linea con il già citato scopo di tutela del divieto di pubblicità, ove si consideri che il medicinale controverso e le relative informazioni sono già state esaminate e approvate dalle competenti autorità ai sensi dell’art. 61 della direttiva 2001/83/CE. L’esame in parola si riferisce, in base all’art. 62 della direttiva, espressamente a quelle informazioni che possono avere carattere promozionale. Si deve pertanto concordare con la Commissione nel ritenere che il consumatore non corre, date le circostanze, alcun pericolo (80). È dubbio, quindi, che sia necessaria una limitazione della pubblicazione di informazioni, come quella oggetto del giudizio principale, per garantire la tutela della salute.
106. Quindi, quando il sito del produttore riporta in maniera integrale e non rielaborata, nella forma del foglietto illustrativo, le indicazioni su un medicinale approvate dalle competenti autorità, un riepilogo delle caratteristiche o la valutazione di un’autorità del settore dei medicinali, non può ravvisarsi un intento pubblicitario. Correttamente il governo danese (81) osserva che questo tipo di informazione non ha, né nella forma, né nel contenuto, carattere promozionale. A una diversa conclusione si dovrà invece pervenire nel caso di informazioni sui medicinali rielaborate dal produttore, salvo si tratti di informazioni necessarie a fini di sicurezza.
107. A sostegno di tale interpretazione può essere avanzato anche un argomento di carattere sistematico. L’art. 86, n. 2, della direttiva stabilisce che la corrispondenza necessaria per rispondere a una richiesta precisa di informazioni su un determinato medicinale nonché le informazioni concrete e i relativi documenti vanno qualificati come attività di informazione e non come attività promozionale o pubblicitaria. Se la messa a disposizione da parte di un’impresa di informazioni approvate per rispondere a una richiesta di un paziente non costituisce attività pubblicitaria, difficilmente si potrà sostenere che la pubblicazione delle stesse informazioni su Internet per renderle accessibili ai pazienti debba essere valutata in modo diverso. La pubblicazione su Internet rappresenta semplicemente uno strumento più pratico ed efficace per rispondere a specifiche richieste di informazioni di fondamentale importanza.
108. Le considerazioni che precedono fanno propendere per un’interpretazione della nozione di pubblicità nel senso che essa non comprende informazioni dal contenuto obiettivo e corretto messe a disposizione dal produttore al consumatore, qualora – specialmente se diffuse tramite Internet – coincidano con le istruzioni per l’uso e o le informazioni scientifiche approvate dalle autorità competenti.
iv) Destinatari e caratteristiche tecniche
109. Ulteriori criteri utili per distinguere tra pubblicità e altre informazioni sono i destinatari e le caratteristiche tecniche del mezzo utilizzato per la diffusione delle informazioni, a seconda che le informazioni in oggetto siano rivolte a un gruppo di specialisti a fini di consultazione o a potenziali pazienti. Tale aspetto deve essere esaminato nel caso concreto con riguardo alla singola pagina Internet.
110. Come correttamente osservato dal governo polacco, oggi Internet è un mezzo di comunicazione di massa accessibile a un’ampia fascia della popolazione (82). Internet svolge ormai da tempo un ruolo importante per quanto riguarda l’accesso e la diffusione di informazioni di ogni tipo. Degna di nota a tale riguardo è anche la funzione di Internet come piazza virtuale per il commercio di varie tipologie di prodotti (il cosiddetto «e-commerce») – anche di medicinali – al di fuori dei confini statali, circostanza questa che pone nuove sfide per la tutela della salute. Non tutti i settori di Internet sono però accessibili a chiunque. Di solito l’amministratore del sistema dispone di strumenti tecnici per bloccare l’accesso di soggetti non autorizzati a determinate pagine mediante l’apposizione di passwort, limitando così a priori la consultazione a determinati soggetti, quali ad esempio gli specialisti del settore (83). Nella causa principale non è fatta parola di limitazioni all’accesso alle informazioni sui medicinali, cosicché le informazioni controverse sono in linea di principio alla portata di tutti. Il produttore ammette evidentemente la possibilità che anche potenziali pazienti abbiano accesso alle informazioni. Inoltre il tipo di informazioni controverse non porta a ritenere che il contenuto della pagina web sia destinato a una cerchia di specialisti.
111. In senso contrario a una qualificazione come pubblicità depone però il fatto che il produttore nella causa principale non ha pubblicato le informazioni sui medicinali controverse in modo tale da imporle all’acquirente. A conclusioni diverse si dovrebbe giungere qualora fosse stato attivato un cosiddetto «push-service», ovvero se, in linea con quanto argomentato dalla Commissione (84), l’utente di Internet avesse accesso a contenuti non ricercati, ad esempio attraverso «pop-up», vale a dire finestre che si aprono sul video automaticamente. Una simile struttura del sito web potrebbe essere valutata come un indizio di un possibile intento promozionale da parte del produttore. Nella causa principale non è emerso però nulla di simile. Occorre piuttosto considerare che, per accedere alle informazioni sui medicinali oggetto di esame, è necessario effettuare una ricerca mirata su Internet. In generale, le potenzialità di Internet sono sfruttate al massimo in presenza di una ricerca specifica dell’utente (85). Il potenziale acquirente deve verosimilmente già conoscere il medicinale ed essere a conoscenza del fatto che il produttore mette a disposizioni determinate informazioni sul proprio sito web. In mancanza di uno specifico interesse per un determinato medicinale, non si entra quindi involontariamente in possesso di tali informazioni. Diversamente da quanto argomentato dal governo portoghese (86), non è sufficiente che l’utente di Internet digiti un determinato indirizzo, in quanto una condotta simile presuppone di per sé che l’utente sappia della pubblicazione delle informazioni da parte del produttore. Si deve quindi concordare con la Commissione quando osserva che una simile forma di diffusione delle informazioni attraverso una piattaforma passiva di solito non importuna né si impone, di propria iniziativa, a un ampio pubblico (87). In un caso come quello esaminato nella causa principale non è dato rinvenire nella forma utilizzata per diffondere le informazioni alcun elemento che attesti un intento promozionale in capo al produttore, pertanto occorre interpretare la nozione di pubblicità in maniera restrittiva.
112. A prescindere da questo, tenuto conto delle considerazioni che precedono, appare dubbio che la sola circostanza che anche potenziali pazienti possano essere destinatari delle informazioni possa giustificare il divieto di pubblicazione delle informazioni mediche, tanto più che i pazienti, come già ricordato (88), hanno un legittimo interesse a ricevere informazioni corrette e obiettive.
113. Vista la caratteristica di questi ultimi di consumatori in uno specifico settore del mercato, ritengo che in linea di principio si possa fare riferimento al criterio del consumatore medio elaborato dalla giurisprudenza (89) anche per il settore dei medicinali (90). Il ricorso al modello di informazione elaborato nel settore della tutela del consumatore si giustifica anche alla luce della giurisprudenza della Corte sulla normativa in materia di medicinali, la quale, già da tempo, adotta la prospettiva del consumatore medio per valutare, ad esempio, se un prodotto rientra nella definizione di medicinale per funzione ai sensi della direttiva 2001/83/CE. In base a una giurisprudenza costante, la competente autorità nazionale, che agisce sotto il controllo del giudice, deve effettuare tale valutazione di volta in volta, tenendo conto della conoscenza che i consumatori hanno del prodotto (91). Ne consegue che, anche nel valutare l’impatto delle informazioni sul prodotto nei confronti del pubblico, occorre avere riguardo in linea di principio a un paziente mediamente informato, adeguatamente attento e critico.
114. D’altro canto il settore medico si caratterizza sempre più per un’elevata complessità tecnica che non permette di attribuire al singolo paziente l’esclusiva responsabilità per la sua salute (92). Tale esito non sarebbe né realistico, né auspicabile, da un punto di vista di politica legislativa, nell’ottica di una necessaria tutela della salute pubblica. La tutela della salute umana è un obbligo ai sensi degli artt. 152 CE e 168 TFUE (93). Il diritto all’informazione del paziente verrebbe però comunque adeguatamente tutelato qualora l’accesso a informazioni obiettive venisse non impedito del tutto, ma permesso a determinate condizioni. Si tratterebbe di una misura meno radicale rispetto a un divieto assoluto di informazione sui medicinali.
115. Non si deve inoltre dimenticare che il paziente, proprio nel caso di medicinali soggetti a prescrizione, è comunque sempre tenuto a ricorrere alla consulenza del medico che li prescrive (94). Una maggiore informazione non mette affatto in discussione il ruolo chiave del medico nel settore dell’assistenza sanitaria, anzi lo conferma. Il medico è tenuto infatti a informare nel dettaglio il paziente in merito agli effetti e ai possibili rischi dell’assunzione di un medicinale, prima di prescriverglielo. Un’informativa precoce e obiettiva del paziente prima che questi si sottoponga alla visita, se proveniente da fonti attendibili, potrebbe addirittura contribuire a migliorare l’assistenza sanitaria, in quanto il medico, in tal caso, trovandosi di fronte un interlocutore informato, sarebbe obbligato a discutere con lui vantaggi e svantaggi della sua terapia. In tal modo si potrebbe assicurare che la scelta ricada su una terapia idonea e nei limiti del possibile economicamente vantaggiosa. Ciò è tanto più importante in quanto sempre più spesso i pazienti sono chiamati a contribuire a finanziare il sistema sanitario, ad esempio, nei casi in cui sono tenuti a sostenere in proprio parte dei costi dei medicinali (95). Una simile soluzione, basata sul consenso del paziente, avrebbe il vantaggio di tener conto dell’autonomia del paziente, senza mettere in discussione l’autorità del medico che prescrive il medicinale.
116. Un divieto generalizzato, come quello descritto nella questione pregiudiziale, avrebbe invece l’effetto di esporre il paziente, disinformato, a informazioni potenzialmente scorrette provenienti da fonti non verificabili, come forum di discussione, enciclopedie libere e portali in tema salute su Internet. I gruppi di auto-aiuto, di pazienti e familiari in questi casi hanno un’assoluta necessità di informazioni sulla cui correttezza e obiettività possano contare. L’esigenza di mettere a disposizione del consumatore informazioni provenienti da fonti attendibili risulta ancora più chiaramente se si considera l’ampio numero di reportage su temi inerenti alla salute che vengono proposti su Internet, ma anche sulla stampa e in televisione, di cui non sempre viene garantita la serietà e la completezza e correttezza dei contenuti (96). La pubblicazione da parte di terzi di contributi non sottoposti al vaglio di specialisti del settore può ingenerare nel pubblico confusione e disinformazione. Un’interpretazione eccessivamente ampia dell’art. 88, n. 1, della direttiva 2001/83/CE, contrasterebbe alla fine con l’obiettivo stesso del divieto di pubblicità di medicinali, ovvero quello di tutelare la salute pubblica dai rischi di una pubblicità «eccessiva e sconsiderata» per i pazienti.
117. Per garantire che il paziente non rinunci a consultare un medico, basterebbe in linea di principio obbligare il produttore ad avvertire sul proprio sito i potenziali clienti che la consultazione delle informazioni ivi pubblicate non sostituisce la visita di uno specialista. Appare dubbio, quindi, che un divieto generale che vieti categoricamente al produttore di pubblicare sul proprio sito Internet informazioni obiettive sui medicinali da lui prodotti sia utile a tutelare efficacemente la salute. In un tale contesto la nozione di pubblicità di medicinali non può che interpretarsi in senso restrittivo.
c) Osservazioni de lege ferenda
118. In conclusione occorre richiamare la proposta della Commissione di modifica della direttiva 2001/83/CE (97), volta a introdurre un nuovo titolo VIII bis («Comunicazione al pubblico di informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione medica») e a escludere, a determinate condizioni, talune informazioni dal divieto di pubblicità.
119. L’art. 100 bis della proposta di direttiva stabilisce che «gli Stati membri autorizzano i titolari di autorizzazione all’immissione in commercio a comunicare al pubblico o a suoi membri, direttamente o indirettamente tramite terzi, le informazioni sui medicinali autorizzati soggetti a prescrizione medica, a condizione che queste siano conformi alle disposizioni del presente titolo». In base alla citata disposizione, queste informazioni non costituiscono pubblicità. A giustificazione di tale previsione la Commissione osserva nell’ottavo ‘considerando’ che «i titolari delle autorizzazioni all’immissione in commercio possono essere una fonte di informazioni non promozionali sui medicinali». Questa valutazione si pone in linea anche con la posizione assunta nell’ambito del presente procedimento (98). In conformità del dodicesimo ‘considerando’ della proposta della Commissione, tale disposizione dovrebbe trovare espressa applicazione anche nel caso delle informazioni sui medicinali soggetti a prescrizione pubblicate su Internet.
120. L’art. 100 ter elenca la tipologia di informazioni che il titolare di autorizzazioni può diffondere. Dalla disposizione si evince che si tratta di informazioni relative al prodotto – il riassunto delle caratteristiche del prodotto, l’etichettatura e il foglietto illustrativo relativi al medicinale approvati dalle autorità competenti, nonché la relazione di valutazione accessibile al pubblico elaborata dalle autorità competenti –, sottoposte al controllo delle autorità e quindi di indubbia obiettività. Questi elementi riflettono esattamente la fattispecie oggetto della causa principale. Fatte salve eventuali modifiche che la proposta di direttiva potrebbe subire nel corso dell’iter legislativo, le informazioni pubblicate dalla MSD su Internet non andrebbero quindi qualificate come pubblicità e non sarebbero di conseguenza vietate.
121. Questa iniziativa legislativa si riallaccia al processo innescato con la modifica del codice comunitario introdotta dalla direttiva 2004/27/CE, volta a distinguere chiaramente tra informazioni obiettive e pubblicità. È stato così introdotto nel codice comunitario il titolo VIII bis «Informazione e pubblicità» che prevede, all’art. 88 bis, che entro tre anni la Commissione presenti una relazione sulle attuali prassi in materia di informazione, in particolare via Internet. Sulla base di tali dati, la Commissione formulerà proposte che definiscano una strategia informativa tale da garantire un’informazione di qualità, obiettiva, affidabile e di carattere non promozionale sui medicinali.
122. Questi interventi possono essere letti come una reazione di fronte ai rischi legati a una nozione troppo ampia di pubblicità nella normativa in materia di medicinali. Sono l’espressione di una tendenza maggiormente liberale all’interno degli organi dell’Unione che partecipano all’attività legislativa in materia di diffusione di informazioni obiettive sui medicinali soggetti a prescrizione medica, nell’intento di raggiungere un equilibrio ottimale tra la tutela della salute pubblica e i diritti fondamentali del consumatore e del produttore. Ritengo che, nell’interpretazione della direttiva 2001/83/CE, non si possa qui ignorare questa tendenza di fondo, che presenta elementi in comune con la posizione sostenuta in questa sede.
3. Considerazioni finali
123. Alla luce di quanto sopra esposto, pervengo alla conclusione che occorre dare un’interpretazione della nozione di pubblicità dei medicinali conforme ai diritti fondamentali per conciliare la tutela della salute pubblica, da un lato, con i diritti fondamentali del consumatore e del produttore, dall’altro. Quanto alla distinzione tra semplice informazione e pubblicità, il criterio dirimente va rinvenuto nello scopo perseguito di volta in volta con il messaggio. Compete in linea di principio al giudice nazionale valutare se, alla luce delle circostanze concrete dello specifico caso, sia ravvisabile o meno un intento promozionale. Nel valutare se l’informazione viene pubblicata con intento pubblicitario occorre tener conto, in particolare, della paternità, dell’oggetto e del contenuto dell’informazione controversa, della cerchia di destinatari e delle caratteristiche tecniche del mezzo utilizzato per la diffusione delle informazioni. Disponendo delle informazioni essenziali relative alla fattispecie oggetto della causa principale, la Corte, nell’esercizio sua competenza interpretativa, può pronunciarsi sulla questione che le è stata sottoposta (99).
124. Tenuto conto dei suddetti principi, occorre risolvere la questione pregiudiziale dichiarando che l’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83/CE deve essere interpretato nel senso che non vi rientra una pubblicità presso il pubblico dei medicinali soggetti a prescrizione quale quella oggetto della causa principale, se essa contiene unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto e se tali informazioni non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili solo su Internet a chi effettua una ricerca specifica.
125. Poiché la messa a disposizione di informazioni sui medicinali su Internet con le modalità descritte nella questione pregiudiziale non è compresa, in base all’interpretazione restrittiva qui sostenuta, nella nozione di pubblicità, viene meno la necessità di valutare la compatibilità dell’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva con il diritto primario (100).
VII – Conclusione
126. Sulla base delle considerazioni sopra svolte, propongo alla Corte di risolvere la questione pregiudiziale sottoposta dal Bundesgerichtshof come segue:
L’art. 88, n. 1, lett. a), della direttiva 2001/83, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, va interpretato nel senso che non vi rientra una pubblicità presso il pubblico di medicinali soggetti a prescrizione come quella oggetto della causa principale, se essa contiene unicamente informazioni che sono state presentate alle autorità competenti nell’ambito della procedura di autorizzazione e diventano comunque accessibili a chiunque acquisti il prodotto e se tali informazioni non vengono presentate di propria iniziativa agli interessati, ma sono accessibili solo su Internet a chi effettua una ricerca specifica.