03.04.2009 free
CORTE d’APPELLO Firenze – (imitazione servile di macchine per la produzione seriale di farmaci)
§ - La Corte d’appello di Firenze, in tema di imitazione di macchine destinate alla produzione seriale di farmaci, rilevando che nel caso specifico a parità di funzioni, le dette macchine non evidenziavano il benché minimo accorgimento estetico idoneo a distinguerle commercialmente da quelle prodotte da altra impresa, ha affermato la sussistenza di una ipotesi di concorrenza sleale per imitazione servile.
L'assoluta identità nell'involucro esteriore e nei colori, non imposta da un vincolo funzionale cogente, può dirsi rispondente alla volontà di rendere indistinguibili i prodotti da quelli del concorrente, giacché altrimenti sarebbe stato agevole confezionare una "carrozzeria" diversa senza compromettere in niente la funzionalità delle apparecchiature.
Né può ritenersi sufficiente a stabilire una differenziazione la semplice aggiunta di accessori (come ad esempio il pannello di comando touch screen), nella misura in cui questi ultimi, per definizione, non incidono sulle caratteristiche strutturali di base. [Avv. Ennio Grassini – www.dirittosanitario.net]
Corte d’Appello di Firenze, sent. del 19.01.2009
omissis
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 22 aprile 2004, X. (poi divenuta s.a.s. e d'ora in poi denominata semplicemente X. invocavano tutela cautelare nei confronti di X. ), chiedendo che fosse loro inibito di produrre, pubblicizzare e commercializzare alcune macchine per la fabbricazione di supposte, in quanto frutto d'imitazione servile dei macchinari progettati dal X. e costruiti dalla ricorrente. Con ordinanza del X. l'adito Tribunale di Firenze provvedeva in conformità.
Nel termine assegnato, i ricorrenti notificavano successivamente alle controparti atto di citazione contenente la domanda di merito, volta alla conferma dell'inibitoria, nonché ad ottenere il risarcimento del danno (determinato in Euro 20.000,00) e la pubblicazione della condanna su una rivista specializzata del settore farmaceutico.
X. e X. si costituivano in giudizio contestando la legittimazione del X. comunque la fondatezza delle domande avverse, non sussistendo alcuna violazione di brevetto e derivando la similitudine tra i macchinari dalla coincidenza delle funzioni.
All'esito dell'istruttoria, espletata una consulenza tecnica d'ufficio volta a verificare le caratteristiche comparate dei macchinari, con sentenza in data 8 ottobre 2007, il Tribunale di Firenze, sezione specializzata in proprietà industriale ed intellettuale, dichiarava il difetto di legittimazione passiva di X. in quanto mero inventore dell'apparato tecnico controverso, e, ravvisata la responsabilità di X. e X. per l'imitazione servile dei macchinari prodotti da X. , inibiva la prosecuzione delle condotte di concorrenza sleale ed ordinava alle convenute di ritirare dal mercato le macchine abusivamente riprodotte, mentre rigettava la domanda di risarcimento danni e di pubblicazione della sentenza, infine condannava le società convenute al pagamento delle spese processuali.
Nell'interporre appello con atto di citazione notificato X. la sola X. avendo nel frattempo incorporato X. negava anzitutto ogni possibilità di confusione tra i macchinari rispettivamente prodotti alle parti, osservando come essi "non presentino alcun tratto "formale" che possa dirsi non necessitato dalla funzionalità e che presenti connotati tali da identificarli validamente nella loro individualità e nella loro provenienza, particolarmente in relazione al tipo di clientela", per contro la difesa appellante riteneva "idonea e sufficiente a distinguere e rendere riconoscibile la diversa provenienza del macchinario ...l'applicazione di evidenti targhette recanti la denominazione ed il marchio grafico del produttore e/o del rivenditore". In tale prospettiva, si sottolineava "l'assoluto difetto di originalità, innovatività e creatività nei sistemi di funzionamento dei macchinari" ormai standardizzati e divenuti usuali dopo la scadenza del brevetto, che, del resto, riguardava soltanto un particolare interno privo di capacità individualizzante, mentre le caratteristiche esteriori apparivano sufficientemente differenziate dall'introduzione di componenti aggiuntive, quali pannelli di controllo elettronici touch screen immediatamente rilevabili dalla clientela, che del resto non era impersonata dal consumatore medio, ma dall'operatore professionale dell'industria farmaceutica, ben attento alle caratteristiche e alla provenienza del prodotto. Né a parere dell'appellante un abuso commerciale poteva essere ravvisato nel solo fatto dell'erroneo utilizzo pubblicitario di una fotografia in bianco e nero di ridotte dimensioni relativa alle macchine di controparte, ciò che tuffai più avrebbe giustificato l'ordine di ritiro di quello specifico materiale pubblicitario, non del prodotto industriale in sé. La difesa censurava poi severamente l'operato del consulente tecnico d'ufficio, il quale aveva trascurato di effettuale un'ispezione diretta dei macchinali e si era invece basato sulla sola visione fotografica, nonché sull'esame della documentazione tecnica di progetto e di manutenzione, secondo un metodo da ritenersi del tutto insufficiente e da rendere necessaria la rinnovazione, o quanto meno il completamento, degli accertamenti peritali. Infine, l'appellante si doleva della condanna alle spese, sebbene il giudice avesse accolto l'eccezione di carenza di legittimazione del X. risultato pertanto soccombente, ed avesse respinto l'avversa domanda di risarcimento danni.
Mentre il X. restava contumace, X. si costituiva nel giudizio d'appello non limitandosi a contestare la fondatezza dell'avverso gravame, ma dolendosi in via incidentale del mancato accoglimento delle domande di risarcimento danni e di pubblicazione del dispositivo di condanna sulla stampa specializzata.
Senza svolgimento di attività istruttoria, sulle conclusioni precisate all'udienza del 1 luglio 2008 così come trascritte in epigrafe, decorsi i termini di legge per il deposito delle difese finali, la causa veniva rimessa in decisione e discussa all'odierna camera di consiglio.
Motivi della decisione
L'esecutività ex lege della pronuncia d'appello rende ormai superato la richiesta di sospensione della provvisoria efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.
Nel merito, il fatto che l'appellante abbia utilizzato per pubblicizzare i propri macchinari una fotografia dei macchinali della controparte rende manifesta l'oggettiva sovrapposizione dell'immagine di mercato dei prodotti e la soggettiva intenzione confusoria perseguita dall'imitatore servile, che perciò, come esattamente affermato dal giudice di primo grado, è responsabile di concorrenza sleale.
Insegna la giurisprudenza della Corte di Cassazione che: "in quanto inserito nel contesto dell'art. 2598 n. 1, cod. civ., che tratta della concorrenza confusoria, il divieto dell'imitazione servile tutela soltanto l'interesse a che l'imitatore non crei confusione con i prodotti del concorrente, realizzando le condizioni perché il potenziale acquirente possa equivocare sulla fonte di produzione.
Tale interesse, quando non sia in discussione la libera produzione di oggetti (sia perché frutto di idee non brevettate, non brevettabili o cadute in pubblico dominio per scadenza del brevetto, sia perché non è invocata la tutela della privativa), può ritenersi soddisfatto dalla presentazione del prodotto con contenitori differenti, recanti il marchio del produttore o comunque una denominazione diversa, ovvero dalla presentazione del prodotto con la precisa indicazione che lo stesso è fabbricato da un diverso imprenditore. Ai fini della confondibilità, non può quindi attribuirsi alcun rilievo alle forme non visibili esteriormente, quali quella del contenuto di una scatola, che non costituiscono forma individualizzante". Inoltre: "l'imitazione rilevante ai fini della concorrenza sleale per confondibilità non si identifica con la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo con quella che cade sulle caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante e cioè idonee, proprio in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa. In ogni caso, non si può attribuire carattere individualizzante alla forma funzionale, cioè a quella resa necessaria dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto. Pertanto, la fabbricazione di prodotti identici nella forma a quelli realizzati da impresa concorrente (che non fruisca più, per essi, della scaduta tutela brevettuale, o comunque non la invochi), costituisce atto di concorrenza sleale soltanto se la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle stesse caratteristiche funzionali del prodotto, ma investa caratteristiche del tutto inessenziali alla relativa funzione; se, infatti, non ricorre una privativa a tutela di una determinata funzione e di una determinata forma, alla libera riproducibilità della funzione corrisponde la altrettanto libera riproducibilità della forma che, necessariamente, la realizza" (massime fratte da Cass. 19 gennaio 2006 n. 1062).
Nella specie, a parità di funzioni, le macchine di X. non evidenziano il benché minimo accorgimento estetico idoneo a distinguerle commercialmente da quelle prodotte da X. , sicché sussiste l'ipotesi della concorrenza sleale per imitazione servile. L'assoluta identità nell'involucro esteriore e nei colori non è imposta da un vincolo funzionale cogente, ma risponde evidentemente alla volontà di rendere indistinguibili i prodotti da quelli del concorrente, giacché altrimenti sarebbe stato agevole confezionare una "carrozzeria" diversa senza compromettere in niente la funzionalità delle macchine, anzi non v'è dubbio che una forma esteriore diversa ed originale si sarebbe spontaneamente determinata ove X. anziché replicare pedissequamente i macchinari della concorrenza, li avesse progettati autonomamente, pur avvalendosi di quegli stessi principi tecnologici adottati dalla concorrente ed ormai liberamente accessibili.
Per vero, l'identità dei prodotti non è frutto del caso, né, come si diceva, è imposta da una vincolo funzionale tanto cogente da estendersi all'aspetto esteriore, ma affonda le radici in una ben precisa vicenda storica, che giova brevemente ripercorrere, sulla base dei documenti prodotti e della narrazione non contestata delle parti.
La macchina per la produzione seriale automatica di supposte - nella sua tipologia essenziale - venne progettata, realizzata e brevettata nel 1962 da X. - rivoluzionando il processo di fabbricazione un tempo affidato alla fusione del composto medicinale in stampi, da dove le supposte venivano poi prelevate a seguito del raffreddamento e singolarmente confezionate.
La società X. , il cui rappresentante legale era la moglie del X. , venne appositamente costituita per la realizzazione di tali innovativi macchinari. Le componenti vennero commissionate a varie officine meccaniche, mentre l'assemblaggio finale era curato da X. dal 1964 la distribuzione commerciale fu affidata alla ditta X. . Verso il 1970 parte cospicua della costruzione meccanica venne commissionata alla X. .
Nel prosieguo, la collaborazione con questa impresa si fece sempre più intenso, finché, nel 1988, essa acquisì il diritto di costruire e distribuire in tutto il mondo, sempre tramite la concessionaria X. e macchine Per il confezionamento di supposte progettata da X. L'accordo venne però a cessare nel 1991.
Successivamente, il X. progettò e realizzò, sempre tramite X. altre macchine più semplici destinate a funzioni diverse che ebbero un discreto successo. In tale ambito esteso venne stipulato un accordo per la distribuzione con X. , figlio di X. titolare di X. . Ben presto però anche la società del padre mise in vendita macchine analoghe. Ciò determinò verso la fine del 1999 la rottura dei rapporti su tutti i fronti. A distanza di qualche tempo, X. - assistette alla messa in commercio da parte di X. e X. (infine ramificate in unico soggetto imprenditoriale), delle macchine per la produzione di supposte per cui è causa. Ecco dunque che l'identità del prodotto trova una spiegazione storica molto semplice e chiara: X. scaduti i brevetti, hanno continuato a produrre e vendere le stesse identiche macchine un tempo prodotte per X. . Tale comportamento ormai non lede alcun diritto di privativa, ma offende il diritto dei produttori e dei consumatori ad individuare sul mercato la differente paternità dei prodotti.
Per evitare l'illecita confusione, l'impresa appellante, pur mantenendo le stesse caratteristiche meccaniche, avrebbe dovuto introdurre elementi estetici distintivi dalla produzione del concorrente, né la semplice apposizione di una poco visibile etichetta può essere ritenuta bastevole ad individualizzare il prodotto agli ocelli del consumatore, il quale, anzi, è realisticamente indotto a credere di trovarsi davanti alla stessa identica macchina alla quale è stata soltanto cambiata l'etichetta.
Né può ritenersi sufficiente a stabilire una differenziazione la semplice aggiunta di accessori (come ad esempio il pannello di comando touch screen), nella misura in cui questi ultimi, per definizione, non incidono sulle caratteristiche strutturali di base, ma possono fisiologicamente adattarsi allo stesso identico macchinario, al quale di conseguenza non apportano elementi distintivi capaci di risolvere il problema della confusione essenziale. Se la confusione sta alla base, il consumatore percepisce la stessa macchina con accessori diversi, laddove invece vi sono macchine indistinguibili provenienti da imprenditori diversi, ancorché caratterizzate da accessori diversi.
Per contrastare l'opinione di confondibilità fra i prodotti - e dunque la tesi della concorrenza sleale - l'appellante insiste sulla particolare professionalità del mercato di riferimento, ma senza riuscire ad essere convincente. Se è vero infatti che "il carattere confusorio deve essere accertato con riguardo al mercato di riferimento (ovvero "rilevante"), ossia a quello nel quale operano o (secondo la naturale espansività delle attività economiche) possono operare gli imprenditori in concorrenza, occorrendo di volta in volta stabilire, nelle singole vicende, anche ai fini del preuso, se gli imprenditori in conflitto offrano prodotti destinati a soddisfare la stessa esigenza di mercato alla medesima clientela" (massima tratta da Cass. 15 febbraio 2005 n. 3040), non è meno vero che anche l'operatore qualificato nell'ambito di un mercato ristretto - come indubbiamente è quello delle macchine farmaceutiche - subisce comunque gli influssi dell'imitazione servile ed è indotto ad assegnare equivalenza di prestazioni e di valore a prodotti che si presentano del tutto identici. Anzi, proprio perché non si discute di produzioni standardizzate rivolte al consumatore di massa, ma di macchine specialistiche piuttosto articolate e complesse rivolte ad operatori altamente professionali, bisogna ritenere che la totale coincidenza di forma esteriore, non derivando dal caso, né da un vincolo funzionale cogente (senz'altro superabile per mezzo di configurazioni alternative), possa spiegarsi soltanto con la precisa volontà di approfittare slealmente presso la clientela dell'altrui posizione e reputazione di mercato.
Non cogliendosi l'elemento confusorio nel dato tecnico intrinseco, bensì nella percezione esteriore del consumatore medio (più - nell'ambito specialistico di cui s'è detto), non si espone a censura la scelta di consulente tecnico d'ufficio di darne conto a seguito dell'esame dei documenti, senza bisogno di ispezionare direttamente il prodotto. L'identità nei dati tecnici di progetto, nelle istruzione di manutenzione, nonché nella presentazione esteriore dei macchinari, così come rilevabile dalle fotografie e dalla documentazione acquisita, conferma esaurientemente l'assunto. L'accertamento di particolari costruttivi interni di qualità differente non sarebbe invero sufficiente ad escludere la confusione ingenerata sul piano commerciale dalla pacifica identità esteriore del macchinario, apertamente rivelata, come si annunciava in principio, dall'uso pubblicitario promiscuo della stessa rappresentazione fotografica, la quale non costituisce soltanto una manifestazione in sé di concorrenza sleale nella fase della comunicazione pubblicitaria, ma anche un sintomo inequivocabile dell'imitazione servile attuata nella fase della fabbricazione industriale del bene pubblicizzato.
L'impugnazione principale proposta contro X. va conseguentemente respinta.
Per quanto concerne la posizione del X. , bisogna invece riconoscere, almeno in qualche misura, la fondatezza dei motivi di doglianza svolti dalla difesa appellante, la quale è stata condannata alle spese pur essendosi vista accogliere l'eccezione di carenza di legittimazione dell'avversario sollevata in primo grado. D'altra parte, il comportamento del X. non implica a ben vedere una vera e propria soccombenza, dal momento che il medesimo non si è fatto portatore in giudizio di richieste diverse da quelle poi accertate dal giudice a vantaggio di X. ma in buona sostanza, nel contesto di una comune difesa, non ha fatto altro che sostenere ad adiuvandum le fondate ragioni della società amministrata dalla moglie. In tale contesto, siccome il Tribunale ha in effetti escluso la legittimazione attiva di tale soggetto, in parziale accoglimento del gravame, sembra equo dispone la compensazione integrale delle spese processuali nel rapporto litigioso X. . Passando all'esame dei motivi d'impugnazione incidentale, non possono essere accolte le generiche e sbrigative doglianze svolte da X. avverso il rigetto della domanda di risarcimento danni e di pubblicazione della sentenza a mezzo stampa.
Quanto al primo aspetto, occorre ribadire che la parte non ha offerto principi di prova idonei ad introdurre una liquidazione equitativa e, come insegna la Corte regolatrice, "il danno cagionato dalla commercializzazione di un prodotto o di un modello in violazione di privativa non è "in re ipsa", ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore dell'illecito rispetto anche alla distorsione della concorrenza da eliminare comunque, richiede di essere provato secondo i principi generali che regolano le conseguenze del fatto illecito, solo tale avvenuta dimostrazione consentendo al giudice di passare alla liquidazione del danno, eventualmente facendo ricorso all'equità" (massima tratta da Cass. 18 dicembre 2003 n. 19430 in tema di violazione di brevetto, ma parimenti applicabile all'ipotesi della concorrenza sleale per imitazione servile).
Quanto al secondo motivo, concernente la pubblicazione della pronuncia di condanna, l'appellante incidentale non ha dimostrato quella pervasiva diffusività dell'illecito che potrebbe giustificare l'ordine di pubblicazione a mezzo stampa ex art. 2600 c.c. e, in particolare, ha soltanto enunciato e non dimostrato la circostanza per cui X. avrebbe proseguito i comportamenti di concorrenza sleale in occasione della X. tenutasi a Roma nel X. .
Il rigetto delle predette doglianze incidentali giustifica la compensazione delle spese processuali d'appello in misura di 1/3, mentre la soccombenza di X. sulla questione principale dedotta in giudizio, ossia l'accertamento della concorrenza sleale, impone la condanna della medesima al pagamento della porzione residua delle spese processuali del grado, che, tenuto conto del valore e della difficoltà della causa, si liquida pro - quota di 2/3 a favore di X. Euro 4.700,00 (di cui Euro 4.000,00 per onorari ed Euro 700,00 per diritti) oltre alle spese forfettarie, nonché al trattamento fiscale e previdenziale vigente.
P.Q.M.
la Corte d'Appello di Firenze, sezione I civile, definitivamente pronunciando nella causa in oggetto, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, in
PARZIALE RIFORMA
della sentenza del Tribunale di Firenze in data 8 ottobre 2007 n. 3953:
- dispone la compensazione integrale delle spese processuali nel rapporto fra X. (anche quale incorporante di X. e X.
- conferma nel resto la sentenza impugnata;
- dispone la compensazione del spese processuali del grado d'appello in misura di 1/3
E condanna X. (anche quale incorporante di X. pagamento delle spese processuali residue, liquidate pro - quota di 2/3 in complessivi Euro 4.7000,00 oltre accessori a favore di X. .
Così deciso in Firenze, il 12 dicembre 2008.
Depositata in Cancelleria il 19 gennaio 2009.