03.11.2005 free
CORTE di CASSAZIONE - (criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale)
§ - La liquidazione del danno non patrimoniale non presuppone l'accertamento di un fatto reato posto che alla risarcibilità di questa forma di danno non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato e che non ostano neppure la mancanza di un accertamento in concreto della colpa dell'autore del danno o la non qualificazione del fatto dannoso in termini di reato (www.dirittosanitario.net)
Sentenza 01-07-2005 n. 14107
Svolgimento del processo
1. Lello P., con atto del 10 novembre 1990, ha convenuto in giudizio davanti al tribunale di Roma la srl Casa di cura s. Anna ed i dottori ..., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti per la morte della figlia P., avvenuta il 25 gennaio 1981.
L'attore ha dichiarato che quest'ultima, dopo un incidente stradale, era stata ricoverata presso la Casa di cura, dove era deceduta per shock anafilattico causato da iniezione di siero antitetanico, praticato nonostante fosse stata resa nota la sua allergia. I convenuti si sono costituiti in giudizio.
La Casa di cura, per quanto è rilevante in questo giudizio, ha negato ogni sua responsabilità, adducendo i che la morte era stata provocata dalle lesioni subite dalla P. in seguito all'incidente stradale di cui era rimasta vittima. Il Dottor R.P., premesso che in sede penale non era stata accertata la causa della morte, ha dichiarato di essere intervenuto la mattina successiva al ricovero di Paola P., praticando una prova di siero profilassi antitetanica con pomfo primitivo ed utilizzando siero non umano fornito dalla Casa di cura.
Il dottor ... ha negato anch'egli di essere responsabile della morte di Paola P. Nel giudizio è intervenuta volontariamente la sig.ra ..., madre di Paola P. 2. La domanda è stata accolta dal tribunale che ha condannato i convenuti in solido al risarcimento dei danni, liquidati in lire 200milioni in favore di ciascuno dei genitori. 3. La decisione è stata confermata dalla Corte di appello di Roma, con sentenza del 13 febbraio 2001, che ha dichiarato che la morte di Paola P., soggetto ad alto rischio allergico, era stata cagionata da grave shock anafilattico provocato dall'iniezione di siero eterologo colpevolmente prescritto e praticato dai dottori.....
4. La Casa di cura S. Anna ha proposto ricorso per Cassazione.
.....hanno resistito con controricorso. Gli altri intimati, ...., non hanno svolto attività difensiva. Le parti costituite hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. La Corte di appello di Roma ha condiviso il giudizio deltribunale, che aveva indicato la causa della morte nello shock anafilattico da inoculazione di siero antitetanico, fondando tale conclusione sull'accertamento che il malore era insorto immediatamente dopo l'inoculazione del siero. Secondo la Corte di merito, inoltre, la responsabilità dell'evento mortale non doveva essere attribuita soltanto ai medici che avevano prescritto l'inoculazione, ma anche alla Casa di cura, sia per la sua colpa concorrente con quella dei medici, sia perchè non si era munita di siero umano, più sicuro di quello animale effettivamente praticato.
Questa conclusione è criticata con i primi quattro motivi del ricorso, che possono essere esaminati in un unico contesto. La Casa di cura, con il primo motivo, si duole del fatto che la Corte di appello non ha considerato che le perizie disposte nel giudizio penale erano giunte a conclusioni contraddittorie e perplesse circala causa della morte e non ha accolto la richiesta di nominare un collegio di medici legali. Da questa premessa la ricorrente ricava che l'affermazione circa l'immediatezza temporale tra l'iniezione e la morte non si reggeva su dati obiettivi: censura di insufficiente motivazione sulla valutazione dei mezzi di prova circa l'individuazione della causa della morte di P.P.
Con il secondo motivo la ricorrente addebita alla sentenza impugnata eguale insufficienza di motivazione relativamente all'affermazione che Paola P. era affetta da poliallergia, che avrebbe sconsigliato di praticarle il siero antitetanico. Secondo la Casa di cura anche questa conclusione è apodittica, perchè la circostanza non era stata riferita ai medici, tanto è vero che non figurava nei dati anamnestici raccolti all'atto del ricovero ospedaliere: censura di insufficiente motivazione sulla valutazione dei mezzi di provacirca l'esistenza di una poliallergia della quale era affetta Paola P. e la circostanza che l'interessata era stata sottoposta in precedenza a terapia antitetanica.
Con il terzo motivo, la Casa di cura si riferisce all'addebito di responsabilità a suo carico. La ricorrente sostiene che questa conclusione è viziata dal doppio errore, di non avere valutato la possibilità che lo shock anafilattico fosse stato provocato da somministrazione di penicillina e di non avere valutato che l'omissione, consistente nel non avere messo a disposizione dei medici siero umano, addebitata alla Casa di cura non aveva alcun fondamento normativo: censura di violazione dell'art. 2043 cod. civ. Il quarto motivo riprende il tema di quello precedente, sotto il profilo del difetto di motivazione. 2. La sentenza impugnata mette in chiara evidenza il fatto di esseregiunta all'accertamento che la causa della morte di Paola P. fu determinata esclusivamente dall'inoculazione di siero antitetanico eterologo, giacchè la morte sopravvenne pochi istanti dopo la stessa inoculazione del siero.
L'accertamento della causa della morte, infatti, è stato compiuto attraverso la deposizione del teste Talarico, dichiarato indifferente ed attendibile. Questa prima conclusione, siccome derivante dalla ricostruzione di un fatto storico, non può essere sindacato in questa sede di legittimità, giacchè convenientemente motivato. Se ne ricava l'infondatezza della critica fondata sugli accertamenti medici compiuti in sede penale, che erano giunti a conclusioni contraddittorie sulla causa i della morte, e sulla necessità di ulteriori indagini da devolvere ad un collegio di medici legali. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda l'esistenza di una poliallergia della paziente, che è stata accertata anch'essa attraverso la deposizione della stessa teste Talarico, che ha deposto nel senso che l'interessata, interpellata dalla sola infermiera presente sul se fosse allergica al siero antitetanico, aveva dato una risposta dubbiosa. Valorizzando questo elemento probatorio, la Corte di appello, infatti, ne ha tratto l'esatta conclusione non solo della non veridicità che il decorso del trattamento antiallergico fosse stato seguito dal Dott. Piro, ma anche della non veridicità delle note della cartella clinica, che riportavano l'annotazione dell'assenza di allergie della paziente, con evidente riferimento al fatto che al momento del ricovero non fu compiuto alcun accertamento anamnestico.
Quanto alla posizione della Casa di cura, come è stato riferito, l'accertamento della responsabilità di questa è il risultato di una doppia regione del decidere: l'una fondata sul fatto che non era stato messo a disposizione dei medici il vaccino omologo ritenuto più sicuro; l'altra su quella del carattere concorrente della responsabilità con quella dei medici. I due fattori di responsabilità sono stati dichiarati alternativi nella sentenza impugnata (il secondo, aggiuntivo di quello precedente), ma solo uno di essi è stato criticato. Se ne ricava che la decisione sul punto si regge sulla prima ragione del decidere e la seconda censura non può essere esaminata; in questo senso esiste una giurisprudenza consolidata di questa Corte:
sentenze 9 dicembre 1994, n. 10555/23 settembre 1996, n. 8405; 26 marzo 2001, n. 4349, tra le altre. 3. Con il quinto ed il sesto motivo del ricorso sono criticati il riconoscimento del danno morale e la sua liquidazione. 3.1. La Corte di appello ha dichiarato: che il danno morale era stato correttamente liquidato con criterio equitativo, dichiarato come l'unico possibile nella liquidazione della pecunia doloris che la maggiorazione della somma capitale per interessi aggiuntivi calcolati sull'entità media del risarcimento maturato dal 1981 al 1998 era giustificato da eguale criterio equitativo.
La ricorrente sostiene in contrario che il riconoscimento del danno morale presupponeva la sussistenza di una fattispecie di reato, il quale non era stato accertato (quinto motivo di violazione dell'art. 2059 cod. civ. ed omessa motivazione) e che il maggior danno non poteva essere riconosciuto, perchè gli attori non ne avevano dato la prova (sesto motivo di insufficiente motivazione ed errore di calcolo nella determinazione delle somme). Le censure non sono fondate.
3.2. La liquidazione del danno non patrimoniale non presuppone l'accertamento di un fatto reato, come questa Corte ha avuto modo diprecisare, affermando che alla risarcibilità di questa forma di danno non osta il mancato positivo accertamento della colpa dell'autore del danno, se essa debba ritenersi sussistente in base ad una presunzione di legge e se, ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato (Cass. 12 maggio 2003, n. 7281) e che non ostano neppure la mancanza di un accertamento in concreto della colpa dell'autore del danno o la non qualificazione del fatto dannoso in termini di reato (Cass. 6 agosto 2004, n. 15179).
In tema di responsabilità civile derivante da illecito civile, inoltre, sorge a carico del danneggiante l'obbligazione del risarcimento del danno, intesa a rimettere il danneggiato o i suoi aventi causa nella stessa condizione economica in cui si sarebbero trovati se l'illecito non fosse stato compiuto: cosiddetto debito di valore, che è liquidato indipendentemente da una specifica richiesta di parte. Vale a dire che i debiti cosiddetti di valore come portano la diretta liquidazione del danno ai valori monetari attuali. In questo senso, rispetto ai limiti dell'impugnazione, la sentenza impugnata non ha violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, come erratamente si duole la ricorrente. Gli altri profili della censura contenuti nei motivi che si stanno esaminando non sono ammissibili in considerazione della forma generica con cui sono stati espressi. 4. In conclusione l'intero ricorso è rigettato.
Le spese di questo giudizio sono poste a carico della ricorrente, in base alla regola della soccombenza.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di questo giudizio, che liquida in E. 6.100,00, di cui E.100,00, per spese, oltre rimborso forfetario, spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 3 giugno 2005.
Depositato in Cancelleria il 1 luglio 2005